Accesso all’edilizia sociale: residenza protratta e certificazione dell’assenza di proprietà immobiliari. Quando differenziare è discriminatorio

 

Francesca Paruzzo1

(Abstract) 

La questione dell’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale – tra queste, all’edilizia residenziale pubblica – è, senza dubbio, una delle più delicate negli ordinamenti moderni, i quali devono fare i conti con la rivendicazione di un bisogno di identità – che porta con sé la richiesta di riconoscere e valorizzare le differenze –, la quale diventa frutto di un preciso orientamento di politica del diritto (a livello statale, come locale) che, esaltando un’idea di cittadinanza e residenza2, come fattori di esclusione dall’esercizio concreto di diritti fondamentali, acconsentono a che prenda forma un sistema di “cittadinanze locali”, che vanno a comporre un quadro frammentato e complesso, che va ad attuare ciò che la Costituzione, al contrario, vuole impedire.

 

1. Premessa.

Afferma Augusto Fierro, difensore civico della Regione Piemonte, in due relazioni straordinarie3, che l’art. 3 comma 1 lett. b) e c) della legge regionale 17 Febbraio 2010, n. 3, recante Norme in materia di edilizia sociale, come modificata dall’art. 106 della legge regionale 17 Dicembre 2018, n. 19, presenta carattere discriminatorio: ciò, tanto con riferimento all’obbligo previsto “per i soli cittadini stranieri di procurarsi una certificazione rilasciata dagli Enti preposti dei Paesi di origine per attestare l’assenza di proprietà immobiliari, quanto in relazione alla pretesa, ai fini dell’assegnazione di un alloggio, della residenza quinquennale (o di un’attività lavorativa esclusiva o principale) nel territorio regionale.

Da una parte, quindi, oneri documentali che rendono più gravoso, per i soli cittadini stranieri, l’accesso a prestazioni sociali quali l’edilizia residenziale pubblica; dall’altra, il requisito della residenza protratta, già oggetto di censura da parte della Corte costituzionale nella sentenza n. 44 del 2020, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 1, lettera b), della legge regionale lombarda 8 luglio 2016, n. 16, che stabiliva, come si vedrà in modo del tutto sovrapponibile alla normativa piemontese, come i beneficiari dei servizi abitativi pubblici dovessero attestare di possedere la residenza anagrafica in Lombardia da almeno cinque anni continuativi.

A essere chiamata in causa, in tali questioni, è con tutta evidenza la dimensione costituzionale dell’uguaglianza, la quale, nella sua prospettiva anti-discriminatoria, è destinata a giocare un ruolo decisivo nel definire i legittimi requisiti di integrazione che, ai fini dell’effettivo godimento dei diritti fondamentali, possono essere richiesti in una società democratica che deve fare i conti con crescenti livelli di diversità multiculturale4.

Oggetto di analisi, quindi, non possono che essere quelle discipline, in gran parte introdotte dalle amministrazioni regionali o locali5, che escludono determinate categorie di soggetti dal godimento di prestazioni di carattere sociale, o riservando i benefici assistenziali ai soli cittadini, oppure, ed è ciò che rileva nel presente lavoro, limitando l’accesso alle prestazioni di welfare in base al requisito della residenza protratta.

Cittadinanza e residenza vengono, così, a intrecciarsi e a sovrapporsi: la residenza qualificata diventa, invero, essa stessa, al pari della cittadinanza, uno status capace di far sorgere situazioni di vantaggio o svantaggio nella fruizione dei diritti fondamentali.

 

2. Diritto all’abitazione e accesso alle prestazioni sociali in condizioni di uguaglianza. Cittadinanza e residenza qualificata come presupposti.

La legge della Regione Piemonte 17 Febbraio 2010, n. 3, oggetto delle relazioni del difensore civico Augusto Fierro, nello stabilire i requisiti di accesso all’edilizia sociale, si propone di riconoscere e promuovere “il diritto all’abitazione mediante politiche territoriali e abitative tese ad assicurare il fabbisogno delle famiglie e delle persone meno abbienti, nonché di particolari categorie sociali”6.

Intende, quindi, garantire quel diritto all’abitazione7 che trova un riconoscimento esplicito nelle sentenze della Corte costituzionale n. 49 del 1987, n. 217 del 1988 e n. 404 del 1988 e che costituisce il punto di riferimento di un complesso sistema di garanzie strettamente legate allo sviluppo della persona8; è un diritto che, nella prospettiva dei pubblici poteri, si qualifica come dovere volto a “impedire che le persone che versano in particolari condizioni di svantaggio possano rimanere prive di abitazione”9 e a contribuire a “che la vita di ogni essere umano rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità”10; è in questo senso che avere una casa si pone come strumento idoneo e funzionale a combattere l’emarginazione e la povertà, come diritto sociale l’accesso al quale deve essere garantito nel rispetto del principio di eguaglianza e di parità di trattamento11: a tal fine, proprio con riferimento al godimento delle prestazioni sociali e, tra queste, del diritto all’abitazione, la Corte costituzionale ha nel tempo provveduto a censurare quelle norme che prevedevano, per accedervi, requisiti connessi alla cittadinanza o alla residenza protratta12, ma non collegati alla ratio del servizio.

Invero, sebbene ogni persona presente sul territorio nazionale sia titolare degli stessi diritti fondamentali13, il godimento di questi risulta essere sovente connesso a particolari condizioni relative alle forme del soggiorno, le quali assumono sempre più spesso la connotazione di indebito fattore di esclusione e fondano disparità di trattamento basate su criteri distintivi – volti a circoscrivere i beneficiari della prestazione – irrazionali o arbitrari rispetto alla causa normativa della disciplina generale14 istitutiva di una misura sociale volta a migliorare le condizioni di vita e di relazione di soggetti accomunati dalla medesima condizione soggettiva di svantaggio; nel giudizio di rilevanza sui caratteri comuni delle fattispecie poste a confronto è proprio tale causa normativa, afferma la Corte costituzionale in numerose pronunce, a dover essere considerata come prevalente rispetto al possesso della cittadinanza o della residenza qualificata15.

 

3. Regione Piemonte e accesso all’edilizia residenziale pubblica: residenza protratta e oneri documentali in capo agli stranieri.

L’edilizia residenziale pubblica, in un contesto così delineato, rappresenta, quindi, l’adempimento di quel dovere, posto in capo ai pubblici poteri, di assicurare il soddisfacimento del diritto all’abitazione nei confronti dei “soggetti economicamente più deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi”16, al fine di garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti17. Essa rientra, in tal senso, nell’ambito dei “servizi sociali” di cui all’art. 1, comma 2, della legge 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, e all’art. 128, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, relativo al Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59 e riguarda quelle prestazioni non destinate alla generalità dei soggetti, ma limitate a coloro che si trovino in possesso di particolari requisiti di natura essenzialmente economica: è evidente, quindi, che, quanto all’accesso a esse, siano questi ultimi a dover essere tenuti in considerazione, mentre non possano trovare giustificazione trattamenti differenziati sulla base del possesso di particolari status o in funzione del grado di integrazione su un determinato territorio18.

Ciononostante, negli ultimi anni, in uno scarto crescente tra le pretese della politica di adottare, in nome della volontà popolare, scelte discriminatorie e quelle dei diritti costituzionali, numerose Regioni italiane si sono trovate a sperimentare, rispetto a tali tematiche, politiche di appartenenza finalizzate a favorire coloro che abbiano un legame con il territorio di riferimento, soprattutto ponendo, per quanto qui interessa, quale criterio di accesso all’edilizia residenziale pubblica, quello della stanzialità regionale più o meno protratta19: non solo, quindi, la Lombardia, la cui disciplina è stata oggetto della pronuncia della Corte costituzionale n. 44 del 202020, ma anche il Veneto21, la Liguria22, l’Emilia-Romagna23, la Valle d’Aosta24 e, come rilevato dal difensore civico Augusto Fierro, il Piemonte25, la cui normativa prevede, in modo del tutto sovrapponibile alla disposizione lombarda dichiarata incostituzionale, che tra i requisiti per conseguire l’assegnazione di un alloggio di edilizia sociale vi è “la residenza anagrafica (a prescindere dalla cittadinanza) o l’attività lavorativa esclusiva o principale da almeno cinque anni nel territorio regionale” (art. 3 co. 1 lett. b) l. 17 febbraio 2010, n. 3).

Si tratta quindi di una deroga, operata dall’amministrazione regionale, al principio di uguaglianza e sulla cui irragionevolezza si è pronunciata da ultimo, come detto, la Corte costituzionale stabilendo che, se l’abitazione è un bene di primaria importanza, una prestazione essenziale che fa fronte a necessità elementari26, l’accesso a essa non può essere consentito solo all’esito di un più o meno lungo percorso di integrazione del soggetto presso la comunità locale27, perché quel servizio attiene alla dimensione intima del singolo e allo svolgimento della sua personalità in un nucleo familiare separato dal mondo esterno.

A ciò si aggiunga, poi, che una previsione di tal genere rischia di incrinare la struttura unitaria dell’ordinamento, così come configurata da diverse norme costituzionali, prime tra tutte, gli artt. 5 e 120, primo comma, della Costituzione: il requisito della residenza qualificata per l’accesso a prestazioni assistenziali si traduce, infatti, in un ostacolo fattuale alla libera circolazione delle persone, trattenute dal trasferirsi da una Regione all’altra per il rischio di essere escluse da forme di welfare28.

Differenziando il bagaglio di diritti a seconda della durata della residenza29, la Regione occulta, così, una discriminazione vietata dall’ordinamento e non giustificata sulla base dei criteri di proporzionalità, ragionevolezza e necessarietà30 e introduce, “nel tessuto normativo, un elemento di distinzione non correlato in alcun modo a quegli altri requisiti (situazioni di bisogno e di disagio riferibili direttamente alla persona in quanto tale)”, che dovrebbero costituire l’unico presupposto di fruibilità di una provvidenza sociale che, per la sua stessa natura, non tollera differenziazioni volte a escludere proprio coloro che risultano essere i soggetti più esposti a quelle condizioni che tale sistema di prestazioni si propone di superare31.

Le argomentazioni esposte – che hanno riguardato la Regione Lombardia – , non possono che estendersi anche alla normativa piemontese (e alle altre dello stesso tenore), la quale, nell’introdurre il requisito della residenza quinquennale al fine dell’accesso all’edilizia sociale, sconta le medesime criticità. Tali criticità non sono sanabili, a differenza di quanto sostenuto dall’Assessore alle Politiche della famiglia, dei bambini e della casa, sociale e pari opportunità della Regione Piemonte, Chiara Caucino, in una nota del 26 maggio 2020, per il sol fatto dell’esistenza, nel nostro sistema regionale, di discipline emergenziali, come quella rinvenibile nell’art. 10 comma 5 della legge regionale 17 febbraio 2010, n. 3. Secondo tale disposizione, in presenza di situazioni di emergenza abitativa per cui sussistono condizioni di particolare urgenza accertate dal Comune, quest’ultimo procede, “anche in deroga al possesso dei requisiti di cui all’articolo 3 e purché nell’ambito della quota di riserva di cui al comma 132, fornendo sistemazioni provvisorie”, le quali, però, non possono eccedere la durata di due anni e non sono prorogabili né rinnovabili. Si tratta di un istituto la cui connotazione emergenziale non costituisce una valida alternativa rispetto all’accesso all’edilizia sociale e la cui durata limitata e non rinnovabile non è sufficiente ad assicurare la pienezza ed effettività di quel diritto all’abitazione, collocato tra i requisiti caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione, che quelle stesse disposizioni sono chiamate a garantire nel rispetto dei parametri di eguaglianza.

Non è solo sulla residenza quinquennale sul territorio regionale, tuttavia, che si concentra l’attenzione del difensore civico nelle sue relazioni. Egli, infatti, estende la propria analisi altresì al carattere discriminatorio dell’art. 3 comma 1, lett. c) della legge regionale 17 febbraio 2010, n. 3, come interpretato dalla Circolare del 14 novembre 2019 dell’Assessore Caucino, nel suo porre in capo ai soli cittadini stranieri, l’obbligo di procurarsi una certificazione rilasciata “dagli Enti preposti dei Paesi di origine per attestare l’assenza di proprietà immobiliari”.

Invero, se inizialmente una Circolare di indirizzo emanata dal Presidente della Giunta regionale del Piemonte in data 18 marzo 2019 aveva stabilito che, “in relazione alle proprietà immobiliari, al fine di rendere concretamente esercitabili tanto la produzione di documentazione da parte dell’interessato, quanto l’esercizio di controlli da parte delle pubbliche amministrazioni”, verificate le proprietà sul territorio nazionale mediante interrogazione delle banche dati esistenti, si sarebbe dovuta depositare “un’apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi delle disposizioni del D.P.R. n. 445 del 2000, attestante l’assenza di proprietà immobiliari in qualsiasi Comune del territorio nazionale o all’estero, adeguate alle esigenze del nucleo”, un’ulteriore nota prot. n. 81 dell’Assessore Caucino, del 14 novembre 2020, aveva limitato la facoltà di autocertificazione ai soli cittadini italiani e comunitari, richiamando il disposto di cui all’art. 3 comma 4 del DPR 28 Dicembre 2000, n. 445 e specificando che “in sede di presentazione della domanda i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea devono produrre apposita certificazione o attestazione rilasciata dalla competente autorità dello stato di nazionalità nelle forme previste dall’art. 33 del DPR 28 Dicembre 2000, n. 445, non essendo per tali soggetti sufficiente la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà.

Secondo l’Assessore Caucino, in questo caso, la Regione Piemonte, si sarebbe limitata a dare applicazione alle disposizioni statali in materia di autocertificazione, in più fornendo una ragionevole opportunità applicativa della normativa, in quanto avrebbe limitato la dimostrazione – e quindi la certificazione – di impossidenza di proprietà immobiliari al solo Paese di nazionalità del richiedente.

Premessa l’indiscutibile irragionevolezza di una disciplina che vorrebbe escludere dall’accesso all’edilizia sociale il titolare di diritti reali su altro alloggio collocato in qualsiasi Stato estero, a prescindere da una sua effettiva fruibilità, appare evidente come la dimostrazione dell’impossidenza mediante produzione di certificazioni o attestazioni rilasciate dalle competenti autorità di altri Paesi, ciascuna corredata da traduzione in lingua italiana, costituisca un requisito di gravosità tale da renderlo – oltre che iniquo, poiché lo Stato di provenienza non ha spesso la possibilità di fornire le attestazioni richieste per mancanza di un sistema di catasto o di registri – irrealizzabile.

Il richiamo, operato dalla nota del 14 Novembre 2019 dell’Assessore Caucino, all’art. 3 comma 4 del DPR 28 Dicembre 2000, n. 445 – in linea con una tendenza ormai diffusa da parte di molte amministrazioni33che “sperimentano”, con sempre maggiore frequenza, politiche di appartenenza finalizzate a favorire coloro che hanno un legame più intenso con il territorio nazionale, regionale o localesi pone, pertanto, come ostacolo all’accesso degli stranieri alle prestazioni sociali e costituisce una forma discriminazione diretta34: per quanto infatti, in questi casi, non si escluda lo straniero regolarmente soggiornante sul territorio dall’accesso a tali prestazioni, nel rendere più complesse e sproporzionate le modalità per accedervi – con il risultato, vista la difficoltà di reperire la documentazione richiesta, di una sostanziale impossibilità di fatto di fruirne – si trattano in modo irragionevolmente diverso soggetti nelle medesime condizioni di partenza e aspiranti al medesimo diritto.

Non sussiste, in questi casi, alcuna proporzionalità tra la deroga, in ragione della cittadinanza del richiedente, al fondamentale principio di parità di trattamento e lo scopo che le disposizioni regionali intendono perseguire, cioè verificare la veridicità delle dichiarazioni ai fini della presentazione delle domande.

 

4. Considerazioni conclusive.

La questione dell’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale – tra queste, all’edilizia residenziale pubblica – è, senza dubbio, una delle più delicate negli ordinamenti moderni: la difficoltà di creare un largo consenso sui criteri di ripartizione delle risorse è, infatti, fonte di tensioni, soprattutto allorché si debbano comparare i bisogni di gruppi sociali portatori di interessi potenzialmente confliggenti.

In questo senso, la rivendicazione di un bisogno di identità – che porta con sé la richiesta di riconoscere e valorizzare le differenze – diventa frutto di un preciso orientamento di politica del diritto (a livello statale, come locale) che, esaltando un’idea di cittadinanza e residenza35, quali potenziali fattori di esclusione dall’esercizio concreto di diritti fondamentali36, determina che prenda lentamente forma un sistema di “cittadinanze locali”, che vanno a comporre un quadro frammentato e complesso, caratterizzato da numerose posizioni giuridiche intermedie non solo tra cittadino e straniero, ma anche tra cittadini italiani e che colloca, all’interno di questi status intermedi, il discrimen per il godimento di alcuni diritti sociali.

Si definisce in questo modo, però, un quadro orientato ad attuare ciò che la Costituzione, al contrario, vuole impedire: la “stratificazione civica” che deriva dalla differenziazione dei regimi giuridici incontra infatti necessariamente un limite di legittimità nella garanzia dei diritti fondamentali; le diverse discipline – nazionali o locali che siano – sono pertanto tenute a riconoscere a ogni individuo il godimento del nucleo minimo di tali diritti, operando ai fini della costruzione di una società fondata su un principio di solidarietà e che possa rispondere adeguatamente a quell’istanza, insita nell’art. 3 della Carta fondamentale, che vede nell’essere umano, considerato nella varietà dei suoi bisogni, dei suoi interessi e nella realtà della sue condizioni di vita37, la chiave di volta dell’ordinamento costituzionale.

 

1 Dottoressa di Ricerca. Università degli Studi di Torino.

 

2 Benhabib S. (2008), Cittadini globali. Cosmopolitismo e democrazia, Il Mulino, Bologna. Cfr., altresì, Veca S. (1990), Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull’idea di emancipazione, Feltrinelli, Milano. Più in generale sono gli stessi flussi migratori a costituire un fattore di accelerazione della crisi degli Stati-nazione, sollecitando risposte specifiche in termini di diritti e integrazione sociale e culturale, come rileva Carrozza P., Nazione (voce) (1995), in Digesto delle discipline pubblicistiche, pp. 126 e ss., in particolare, pp. 156.

 

3 Relazioni straordinarie ai sensi dell’art. 8 della legge regionale 9 dicembre 1981, n. 50.

 

4 Giorgis A., Grosso E., Losana M. (2017), Introduzione, in Giorgis A., Grosso E., Losana M. (a cura di), Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale, Franco Angeli, Milano, pp. 7.

 

5 Monticelli E. (2016), La giurisprudenza costituzionale italiana in materia di residenza qualificata e accesso al welfare regionale, in Osservatorio AIC, n. 2 del 2016, pp. 1.

 

6 Art. 1 c. 1 l. 17 Febbraio 2010, n. 3.

 

7 Per una compiuta disamina si veda Pallante F. (2017), Gli stranieri di fronte al diritto all’abitazione, in Giorgis A., Grosso E., Losana M. (a cura di), Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale, cit. pp. 244 ss..

 

8 Martines T. (1974), Il “diritto alla casa”, in N. Lipari (a cura di), Tecniche giuridiche e sviluppo della persona, Laterza, Roma-Bari, pp. 392 ss.s

 

9 Già in Corte costituzionale, n. 49 del 1987.

 

10 Corte costituzionale, n. 217 del 1988, ma, da ultimo, Corte costituzionale, n. 44 del 2020; nello stesso senso possono considerarsi le sentenze n. 106 del 2018, n. 168 del 2014, n. 209 del 2009 e n. 404 del 1988.

 

11 Paladin L. (1965), Il principio di eguaglianza, in Enciclopedia del diritto, XIV, Milano, Giuffrè, pp. 214; Modugno F. (1995), I «nuovi diritti» nella giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, pp. 61.

 

12 Si veda in questo senso Corvaja F. (2019), Quanto eguali? Cittadini e stranieri tra principio di eguaglianza e divieti di discriminazione, in Dolso G. (a cura di), Dignità, eguaglianza e Costituzione, Eut, Trieste, pp. 180 ss.; Corsi C. (2018), La trilogia della Corte costituzionale: ancora sui requisiti di lungoresidenza per l’accesso alle prestazioni sociali, in le Regioni, n. 5-6 del 2018, pp. 1170; Tega D. (2018), Le politiche xenofobe continuano a essere incostituzionali, in www.dirittiregionali.it, n. 2 del 2018; Olivito E. (2016), Il diritto costituzionale all’abitare. Spunti teorico-dogmatici e itinerari giurisprudenziali, in Politica del diritto, pp. 56 ss.; Biondi Dal Monte F. (2013), Dai diritti sociali alla cittadinanza, Giappichelli, Torino, in particolare pp. 54 ss., 133 ss. e 209 ss.; Biondi Dal Monte F. (2008), Immigrazione e welfare: condizioni di accesso e principio di non discriminazione, in le Regioni, pp. 1099 ss..

 

13 Sul come interpretare le disposizioni costituzionali che incidono sulla condizione giuridica degli stranieri si veda Losana M. (2017), Stranieri e principio costituzionale di uguaglianza, in A. Giorgis, E. Grosso, M. Losana (a cura di), Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale, cit., pp. 67. Si veda altresì Cozzi A. O. (2010), Un piccolo puzzle: stranieri e principio di eguaglianza nel godimento delle prestazioni socio-assistenziali, in Quaderni costituzionali, n. 3 del 2010, 552. Se in un primo tempo era più forte una contrapposizione tra ambiti coperti dai diritti fondamentali e ambiti rimessi alla discrezionalità del legislatore, ora sembra essersi attenuata. La tutela dell’uguaglianza si estende, infatti, ai diritti riconosciuti in generale dall’art. 2, così come a quelli ricavati, attraverso il richiamo operato dall’art. 10 dalle consuetudini o dalle dichiarazioni internazionali. Ex multiis, a livello giurisprudenziale si veda Corte costituzionale, n. 120 del 1967; 104 del 1969; 144 del 1970; 109 del 1974; 244 del 1974; 40 del 1975; 46 del 1977; 54 del 1979; 460 del 1987; n. 62 del 1994; n. 490 del 1988; n. 432 del 2005; Corsi C. (2013), Straniero (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 2013, 878.; Luciani M. (1992), Cittadini e stranieri come titolari dei diritti fondamentali. L’esperienza italiana, in Rivista critica di diritto privato, 214; Grosso E. (1999), Straniero (status costituzionale dello), in Digesto delle discipline pubblicistiche, pp. 156 ss.; Ferrajoli L. (1999), Dai diritti del cittadino ai diritti della persona,in Zolo D. (a cura di), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari, pp. 287 ss. Inoltre, la distinzione tra cittadino e straniero era già stata analizzata in termini di ragionevolezza per esempio da Corte costituzionale n. 144 del 1970, n. 201 e 204 del 1974. Più di recente, si vedano Corte costituzionale, n. 230 del 2015, n. 22 del 2015, n. 329 del 2011, n. 187 del 2010.

 

14 Il riferimento è a Corte costituzionale, n. 432 del 2005; cfr. altresì Cuniberti M. (2006), L’illegittimità costituzionale dell’esclusione dello straniero dalle prestazioni sociali previste dalla legislazione regionale, in Le Regioni, pp. 510 ss.; in questo testo, l’autore sottopone a critica il criterio che limita l’eguaglianza tra cittadino e straniero ai soli diritti fondamentali. Per una più compiuta ricostruzione con riferimento all’accesso alle prestazioni sociali, sia consentito fare riferimento a Paruzzo F. (2020), Modalità di accesso alle prestazioni sociali. Quando differenziare è discriminatorio. Tra azione politica e ruolo della giurisprudenza, in dirittifondamentali.it, n. 1 del 2020, pp. 595.

 

15 Dolso G.P., Cittadini extracomunitari e diritti costituzionali, in AA.VV., Cittadinanza europea, accesso al lavoro e cooperazione giudiziaria, cit., 72. Si veda altresì Corte cost., n. 306 del 2008 e n. 11 del 2009. Si veda in questo senso anche Corte costituzionale, n. 166 e n. 107 del 2018, n. 168 del 2014, n. 172 e n. 133 del 2013 e n. 40 del 2011.

 

16 Corte costituzionale, n. 176 del 2000 e n. 168 del 2014.

 

17 Art. 34 co. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

 

18 Sul diritto di accedere, in condizioni di uguaglianza alle prestazioni sociali, qualificate come diritti fondamentali, si veda ex multiis: Biondi Dal Monte F. (2013), Dai diritti sociali alla cittadinanza, cit.; Chiaromonte W. (2013), Lavoro e diritti sociali degli stranieri, Giappichelli, Torino; Ciervo A. (2011), I diritti sociali degli stranieri: un difficile equilibrio tra principio di non discriminazione e pari dignità sociale, in A. Angelini, M. Benvenuti, A. Schillaci (a cura di), Le nuove frontiere del diritto dell’immigrazione: integrazione, diritti, sicurezza, Jovene, Napoli; Rossi E., Biondi Dal Monte F., Vrenna M. (a cura di) (2013), La governance dell’immigrazione. Diritti, politiche e competenze, Il Mulino Bologna; Paladin L. (1965), Il principio di eguaglianza, in Enciclopedia del diritto, cit.; Salazar C. (2000), Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali, Giappichelli, Torino, pp. 131 ss..

 

19 Padula C. (2020), Uno sviluppo nella saga della “doppia pregiudiziale”? Requisiti di residenza prolungata, edilizia residenziale pubblica e possibilità di disapplicazione della legge, in Consulta online, n. 1 del 2020, pp. 179.

 

20 La sentenza della Corte costituzionale, n. 44 del 2020 si è collocata nella scia dell’orientamento prevalente, in particolare di tre decisioni dell’ultimo periodo che avevano censurato norme contemplanti requisiti di residenza protratta: due sempre in materia di alloggi (Corte costituzionale n. 166 del 2018 e n. 168 del 2014) e una in materia di asili-nido (Corte costituzionale, n. 107 del 2018). Un orientamento apparentemente contrario, proprio in relazione all’edilizia residenziale pubblica, sembra riscontrarsi in Corte costituzionale, n. 106 del 2018 e Corte costituzionale, n. 222 del 2013.

 

21 Art. 25 l.r. Veneto, 3 novembre 2017, n. 39.

 

22 Art. 5 l.r. Liguria, 29 giugno 2004, n. 10.

 

23 Delibera Assemblea Legislativa (DAL) Emilia-Romagna, 6 giugno n. 2018, n. 154.

 

24 Art. 19 l.r. Valle d’Aosta, 13 febbraio 2013, n. 3, modificato in seguito alla Corte costituzionale, n. 168 del 2014, che ha annullato il precedente requisito di 8 anni. Solo Lazio, Campania, Molise, Puglia e Basilicata non richiedono alcun periodo minimo di residenza nella Regione o nel Comune, mentre La Calabria chiede la residenza da almeno sei mesi in uno dei comuni dell’ambito territoriale, ma in alternativa all’attività lavorativa nello stesso ambito (Art. 10 l.r. Calabria, 25 novembre 1996, n. 32).

 

25 Art. 3 l.r. Piemonte 17 febbraio 2010, n. 3.

 

26 Corte di giustizia, sentenza Kamberaj, 24 aprile 2012, C-571/10.

 

27 Biondi Dal Monte F. (2013), Dai diritti sociali alla cittadinanza, cit., pp. 212.

 

28 Padula C. (2020), Uno sviluppo nella saga della “doppia pregiudiziale”? Requisiti di residenza prolungata, edilizia residenziale pubblica e possibilità di disapplicazione della legge, cit., pp. 190.

 

29 Padula C. (2020), Uno sviluppo nella saga della “doppia pregiudiziale”? Requisiti di residenza prolungata, edilizia residenziale pubblica e possibilità di disapplicazione della legge, cit., pp. 186.

 

30 Corvaja F. (2011), Cittadinanza e residenza qualificata nell’accesso al welfare regionale, in le Regioni, pp. 1257 ss..

 

31 Corte costituzionale, ordinanza n. 29 del 2012.

 

32 “I comuni sono autorizzati ad assegnare un’aliquota non eccedente il 25 per cento, arrotondata all’unità superiore, degli alloggi che si rendono disponibili su base annua, al di fuori delle graduatorie di cui all’articolo 5, per far fronte alle situazioni di emergenza abitativa previste con il regolamento di cui all’articolo 2, comma 5. I comuni ad alta tensione abitativa sono autorizzati ad assegnare un’ulteriore aliquota non eccedente il 25 per cento degli alloggi che si rendono disponibili su base annua, di cui almeno la metà per far fronte alla sistemazione di nuclei familiari soggetti a sfratto esecutivo”.

 

33 Si veda in primo luogo, Tribunale di Milano, con l’ordinanza del 13 dicembre 2018; o anche Tribunale di Milano, del 27 marzo 2019 e Corte d’Appello di Milano del 17 gennaio 2019.

 

34 Locchi M. C. (2011), I diritti degli stranieri, Carocci editore, Roma, pp. 25 e ss..

 

35 Benhabib S. (2008), Cittadini globali. Cosmopolitismo e democrazia, Il Mulino, Bologna. Cfr., altresì, Veca S. (1990), Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull’idea di emancipazione, Feltrinelli, Milano. Più in generale sono gli stessi flussi migratori a costituire un fattore di accelerazione della crisi degli Stati-nazione, sollecitando risposte specifiche in termini di diritti e integrazione sociale e culturale, come rileva Carrozza P., Nazione (voce) (1995), in Digesto delle discipline pubblicistiche, pp. 126 e ss., in particolare, pp. 156.

 

36 Gargiulo E. (2011), Welfare locale o welfare localistico? La residenza anagrafica come strumento di accesso ai-o di negazione dei diritti sociali, in Paper for the Espanet Conference “Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa”, Milano, 29 settembre — 1° ottobre 2011, pp. 2. Ronchetti L. (2012), La cittadinanza sostanziale tra Costituzione e residenza: immigrati nelle regioni, in www.costituzionalismo.it, 2 del 2012, pp. 8.

 

37 Ridola P. (2006), Diritti fondamentali. Un’introduzione, Giappichelli, Torino, pp. 127.