Contenimento del consumo di suolo come obbiettivo e azione del governo del territorio

Carlo Alberto Barbieri[1]

 

Serve legiferare, ma come?

Il tema del contenimento del consumo di suolo è ormai da quasi un decennio all’attenzione via via più diffusa e focalizzata, sia nel merito di questo importante obbiettivo, per il valore ecosistemico, paesaggistico, produttivo, socio-economico da assegnare al suolo come risorsa fondamentale e finita, sia per il profilo legislativo-normativo con cui si sta cercando di affrontarlo a livello nazionale e di alcune regioni (fra cui il Piemonte).

Riguardo al contrasto del consumo di suolo ed al risparmio del suo uso (soprattutto per interromperne “senza se e senza ma” lo spreco), condivido il punto di vista che ritiene (inu ad esempio, ma anche il Consiglio regionale del Piemonte[2] con una sua mozione di alcuni mesi fa rivolta alla Giunta regionale) che ciò non debba essere esito di un provvedimento settoriale e che possa trovare la sede più adeguata di decisione e di valutazione, da un lato, proprio nella pianificazione del territorio alle diverse scale[3] e nel suo rilancio come attività fondamentale, in particolare basandosi su di una Pianificazione strutturale che interpreti e valuti (il riferimento è qui alla Valutazione ambientale strategica-Vas) condizioni e vocazioni, sia nel metodo e procedura della Copianificazione (soprattutto con riguardo a quella concepita e disciplinata dal legislatore piemontese con le lr 1/2007 e lr 3/2013) in cui è più agevole, in un ambiente di sostenibile attuazione del principio di sussidiarietà, condividere le scelte, le opportunità, ma anche i vincoli e le limitazioni che i piani del tradizionale sistema di pianificazione gerarchico e separato non hanno sostanzialmente mai saputo esprimere o rendere efficaci.

Prima che di merito, vanno sottolineati quelli che appaiono due aspetti critici generali (e che dovrebbero destare perplessità se non qualche preoccupazione) del Ddl nazionale sul “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato” (AC 2039, approvato dalla Camera il 12 maggio 2016 ed in discussione, come AS 2383, al Senato dal 6 luglio scorso[4]) e più in generale dell’azione legislativa del Governo e del Parlamento.

E’ una critica che potrebbe essere estesa anche all’azione legislativa del Piemonte se la Regione non ritenesse di trattare più opportunamente il contenimento del Consumo di suolo all’interno della sua Legge urbanistica, ad esempio con un’opportuna e praticabile specifica modifica ed integrazione di essa (come peraltro ha correttamente già fatto riguardo alla Vas, con la Lr 3 del 2013, di ampia modifica della Legge urbanistica 56/1977 “Astengo”).

Il primo aspetto critico, consiste proprio nel citato approccio settoriale che presenta l’atto legislativo (peraltro su un tema il cui complesso profilo richiederebbe un approccio più “olistico”, integrato e plurale); ciò in quanto il settorialismo rischia (quasi certamente) di trascurare gli indispensabili nessi con altri aspetti importanti, perdendo il necessario telaio organico nel quale collocare l’indispensabile azione di contenimento del consumo di suolo ed il suo buon uso sotto molteplici profili (ecosistemico, ambientale, agricolo, energetico, paesaggistico, dello sviluppo sostenibile per quella crescita che, contemporaneamente, si invoca continuamente).

Il secondo aspetto è anch’esso di profilo negativo e consiste nel paradosso di utilizzare i provvedimenti settoriali (praticamente quasi gli unici ad avere un percorso con possibilità di conclusione ed entrata in vigore) come contenitori di norme attinenti ad altre materie (di carattere più generale o pure anch’esse settoriali) che, non trovando prospettiva legislativa in leggi organiche o in leggi di principi fondamentali (nel caso di una materia complessa come è il Governo del territorio, “concorrente” ai sensi dell’ancora vigente, dal 2001, Titolo V della Costituzione, o “esclusiva” dello Stato come Disposizioni generali e comuni ai sensi dell’Art. 30 Modifica dell’articolo 117 della Costituzione della Riforma costituzionale “Boschi” in attesa del Referendum confermativo annunciato ad ottobre-novembre 2016), vengono avulse da quei contesti e inserite nella legge settoriale “al momento disponibile”.

E’ questo il caso, con riferimento all’AC 2039, in particolare delle norme sulla rigenerazione urbana, perequazione urbanistica, sugli oneri di urbanizzazione ed in certa misura sulla fiscalità urbanistica (oltre ad un ampio articolo 2 che fissa molteplici definizioni su materie e oggetti inevitabilmente richiamate dal tema del Consumo di suolo ma che toccano altre discipline e normative) che, invece di essere trattate all’interno del luogo legislativo proprio e costituzionalmente corretto (il riferimento è ancora una volta alla Legge sul Governo del territorio), vengono “anticipate” episodicamente e senza la possibilità di esplicitarne gli importanti nessi con altri oggetti, strumenti e temi che la legislazione organica o di principio fondamentale garantirebbe[5].

Vi è poi da sollevare ancora qualche perplessità sulla natura forse troppo “ibrida” del Ddl nazionale sul consumo di suolo fin qui in parola.

Ci si riferisce, nello stesso testo, alla compresenza di profili e stili legislativi che vanno dalla natura di Legge di principi fondamentali (in conformità dell’ancora vigente Titolo V della Costituzione) per ciò che è scritto esplicitamente all’articolo 1, comma 1 dell’AC 2039 e adesso AS 2383[6], alla natura di Legge delega, così chiaramente definita all’art. 5 (Delega al Governo in materia di rigenerazione delle aree urbanizzate degradate), ad una legge di definizione (per legge) di un glossario di cui all’art. 2 (Definizioni), ad una Legge di contenuti e disciplina normativa immediatamente operanti (fra gli altri vanno segnalati l’art 10 Destinazione dei proventi dei titoli abilitativi edilizi e soprattutto il controverso e discutibile[7] Art. 11 (Disposizioni transitorie e finali).

 

Rilanciare la pianificazione e ruolo del legislatore piemontese.

Già da prima, ma soprattutto negli anni che stanno trascorrendo dalla crisi del 2008, in Italia, è andato via via configurandosi un profilo di indebolimento del governo del territorio mediante  l’importante azione della pianificazione delle città e del territorio.

A questo proposito si possono evidenziare tre fattori di marginalizzazione della pianificazione del territorio:

a) la riduzione, da un lato, delle risorse economiche pubbliche, la cui sempre più tangibile diminuzione non ha impedito la crescita di una spesa pubblica drasticamente accelerata dalla crisi (più “resiliente” di quanto auspicato dalle azioni più o meno efficaci di spending review); dall’altro, con l’indebolimento delle risorse private, per causa della stessa crisi economica e del suo “effetto domino” ancora in corso;

b) un’azione dello Stato (peraltro contraddistinta da una produzione legislativa, spesso opera diretta del Governo o comunque quasi del tutto determinata dalla sua agenda) che ha continuato ed accentuato, in particolare in quest’ultimo biennio, la sua tradizionale attività settoriale: sia quando opera su un piano che dovrebbe e potrebbe essere più strutturale (dalla fiscalità al consumo di suolo) sia, soprattutto, quando agisce su quello congiunturale (“Sblocca Italia” invece di una “Legge sul governo del territorio” ad esempio);

c) la perdurante ed insostenibile mancanza di un telaio di principi e regole fondamentali nazionali[8] per sostenere e completare l’innovazione di un pianificare per un governo del territorio, percepibile ed efficace come tale.

Tuttavia sono rilevabili e considerabili anche dinamiche positive, o potenzialmente tali, che si possono sinteticamente cogliere. Due sembrano di interesse pertinente per le considerazioni che si stanno qui delineando.

La prima concerne proprio una maggiore attenzione al consumo di suolo ed allo spreco delle risorse, ai temi dell’efficienza energetica e del comfort ambientale; ciò insieme all’obbligatoria valutazione ambientale strategica (VAS) nel processo di pianificazione urbanistica, territoriale e paesaggistica[9].

La seconda guarda ad una più recente vitalità e innovazione della pianificazione su base intercomunale e unionale, con l’avvio in alcune Regioni, di una seconda generazione di piani associati (rispetto alla fallimentare prima generazione costituita dai PRG intercomunali di oltre 30 anni fa) del territorio locale, favorita dalla diffusione di Piani strutturali in luogo dei tradizionali PRG.

 

E’ in questo quadro che assume particolare importanza l’azione legislativa della Regione Piemonte, certamente nel merito di almeno due temi, ma anche avendo attenzione al metodo legislativo.

Il primo tema riguarda l’innovazione degli strumenti della pianificazione d’area vasta (soprattutto per la Città metropolitana ma anche per le Province o “Aree vaste” del resto della Regione) e urbanistici locali (riformando completamente il PRGC, puntando sulla sperimentazione della pianificazione strutturale delle Unioni e dei Comuni di maggior dimensione, su strumenti operativi e regolativi di competenza comunale).

Il Piemonte ha l’occasione per fare ciò adeguando la propria Legge urbanistica, ovviando così ad un ritardo di oltre un anno nel recepimento-attuazione della Riforma Delrio in materia di pianificazione strategica, territoriale ed urbanistica per le Unioni obbligatorie (e non)[10].

Il secondo tema concerne proprio le tre connesse problematiche del contenimento del consumo di suolo, della rigenerazione urbana (in qualche modo normata “settorialmente” dall’art. 14 della Lr 20/2009 – e s.m.i – “Snellimento delle procedure in materia di edilizia e urbanistica”) e della revisione degli oneri di urbanizzazione (da tempo materia poco aggiornata dalla Regione e su cui è recentemente parzialmente intervenuta con una DGR del febbraio 2016[11]).

E’ una questione di metodo e stile di legislazione il punto che qui si vuole sottolineare.

Il punto è che tali tematiche non debbano essere affrontate separatamente con provvedimenti settoriali e che ciò possa trovare la sede più adeguata in una mirata (ma integrata) revisione (a tre anni ormai dalla lr 3) della Legge urbanistica n. 56/1977 e s.m.i., intervenendo ad esempio:°

° sul Titolo I, introducendo un correlato art 4bis (Contenimento del consumo di suolo);

° sul Titolo II e l’art. 7bis(Formazione e approvazione degli strumenti di pianificazione della Città metropolitana e delle Province o Aree vaste)in recepimento della Riforma Delrio;

° sul Titolo III, riscrivendo l’art 14bis per la (sperimentazione dell’innovazione della pianificazione urbanistica unionale e comunale);

° sul Titolo IV, integrando l’art. 25(Norme per le aree destinate ad attività agricole);

° sul Titolo V per introdurre un articolo 41ter sui (Programmi  di rigenerazione urbana) e integrando l’art 52 per gli (Oneri di urbanizzazione).


 


[1] Professore Ordinario di Urbanistica, Dipartimento Interateneo Scienze Progetto e Politiche per il Territorio-DIST, Politecnico e Università di Torino; Presidente INU Piemonte e Valle d’Aosta.

 

[2]Mozione del Gruppo consiliare PD del 17.11.2015 approvata a larga maggioranza.

 

[3]In questo approccio, per il contrasto o il contenimento del consumo di suolo dovrebbe essere la legislazione nazionale sul governo del territorio e non una legge settoriale (affidata per l’attuazione e gestione generale al Ministero dell’Agricoltura, ed ad un “confronto” annuale per “ridistribuire il suolo consumabile” con le Regioni, in sede di Conferenza Stato Regioni, come sostanzialmente prevede l’AC. 2039) che deve attribuire alla pianificazione territoriale e paesaggistica delle Regioni, alla pianificazione strutturale delle Città metropolitane, a quella di coordinamento delle Province (finché esisteranno) e soprattutto ai Piani strutturali di Unioni dei Comuni più piccoli e delle Città, l’ obbligo di esprimere, mediante interpretazioni strutturali del territorio, “invarianti” e precise direttive atte ad evitare la trasformazione dei territori non urbanizzati se non dopo aver valutato nel merito dei territori oggetto di pianificazione, tutte le alternative di riuso di aree dismesse o sotto utilizzate o da rifunzionalizzare e i necessari parametri di sostenibilità ecologica e le azioni di compensazione e mitigazione.

 

[4]Relatori di maggioranza alla Camera gli On. Braga e Fiorio ed al Senato i Sen. Puppato e Dalla Tor .

 

[5]E’ in quest’ultimo contesto che si colloca uno specifico contenuto del disegno di legge (stranamente trascurato dal dibattito urbanistico) che appare poco comprensibile e coerente, ma che potrebbe aprire ad una pianificazione ed una pratica urbanistico-edilizia “originali”, abbastanza estemporanee e di discutibili effetti. Si tratta dell’articolo 6 dell’ AC 2039 e della “invenzione per legge” di una nuova Zona o fattispecie urbanistica: il “Compendio agricolo neorurale” di cui non sembrava che si sentisse un’urgenza ed una priorità problematica tali da essere ospitate all’interno di un’importante legge nazionale sul contenimento del consumo di suolo.

 

[6]“Art. 1. (Finalità e ambito della legge)

1. La presente legge, in coerenza con gli articoli 9, 44 e 117 della Costituzione, con la Convenzione europea del paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000, ratificata ai sensi della legge 9 gennaio 2006, n. 14, e con gli articoli 11 e 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea,detta principi fondamentali per la valorizzazione e la tutela del suolo, con particolare riguardo alle superfici agricole e alle aree sottoposte a tutela paesaggistica, al fine di promuovere e tutelare l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente, nonché di contenere il consumo di suolo quale bene comune e risorsa non rinnovabile che esplica funzioni e produce servizi ecosistemici, anche in funzione della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico e delle strategie di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici.”

 

[7]Nella sua efficacia, triennale, nei confronti dello stato di diritto del territorio conformato dalla pianificazione urbanistica vigente e sotto il profilo giuridico e del contenzioso che probabilmente susciterà, nonché nelle sue conseguenze economiche sotto molteplici aspetti.

 

[8]In assenza di tali riformati fondamenti, soprattutto la sperimentazione ed innovazione della pianificazione locale, resta ancora esposta al rischio di una “controriforma” dei ricorsi ai TAR ed alle relative sentenze (anche se in misura confortante spesso smontate dalle sentenze del Consiglio di Stato), incerte proprio nel poter trovare riferimenti nella legislazione statale diversi da quelli dell’ancora vigente legge urbanistica.

 

[9]Anche se non sufficientemente conquistate o stabili appaiono sia la necessaria reale integrazione della VAS nella formazione e progettazione dei piani, sia la convinta rinuncia ad una “terzietà” della valutazione rispetto al soggetto che pianifica, sia soprattutto la resistenza delle Autorità ambientali a cooperare in modo integrato nel processo di pianificazione in luogo dell’esercizio dei propri separati poteri specialistici.

[10]Non è infatti sufficiente la Legge regionale n. 23 il 29 ottobre 2015 di “Riordino delle funzioni amministrative conferite alle Province in attuazione della Legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni)”, proprio perchè si limita a tale profilo normativo e dispositivo.

 

[11]DGR 29.2.2016 n.22-2974.