Dai garanti “locali” al nuovo Garante nazionale dei diritti delle persone detenute

Laura Scomparin1

(ABSTRACT)

Lo scritto analizza la recente istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, ponendo in relazione caratteristiche e attività dell’ombudsman nazionale con quelle delle omologhe figure istituite nel tempo nell’ambito delle autonomie locali.

 

1. Il nuovo Garante nazionale e le analoghe figure locali e internazionali.

Con il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito in l. 21 febbraio 2014, n. 10, è stata finalmente introdotta all’interno dell’ordinamento italiano la figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, tassello fondamentale nell’ambito del potenziamento delle attività di vigilanza e di monitoraggio delle condizioni detentive. La novità, oltre a soddisfare con un certo ritardo precise indicazioni internazionali in tal senso2, rappresenta il punto d’arrivo di un dibattito assai articolato, che ha visto susseguirsi numerosi disegni di legge nell’attuale e nelle precedenti legislature3.

Una certa inerzia del legislatore nazionale non ha fortunatamente impedito la costituzione di una serie di figure di garanti dei diritti dei detenuti da parte di molti enti territoriali (Regioni, Province e financo Comuni), nonché la creazione di organismi e associazioni i cui scopi sono riconducibili alle medesime finalità. Organi che hanno svolto, in questi anni, un importantissimo ruolo di promozione, sensibilizzazione e tutela dei diritti delle persone private della libertà personale4. In Piemonte, ad esempio, la figura del Garante regionale è stata istituita con la l. r. 28/2009 (anche se la nomina è stata effettuata soltanto nell’aprile 2014), mentre a Torino la figura del Garante dei detenuti – nata nel 2004 e concretamente attiva dal 2005 – ha svolto continuativamente negli ultimi anni una capillare e insostituibile attività.

Proprio perché si inscrive nell’ambito di un quadro empirico che vede attivi altri soggetti istituzionali, soprattutto a livello locale, la recente istituzione del Garante nazionale ha indotto il legislatore a sottolineare assai opportunamente, nell’incipit delle previsioni volte a regolare ruolo e funzioni del Garante nazionale, come lo stesso debba operare nel senso di «promuovere e favorire rapporti di collaborazione con i garanti territoriali, ovvero con altre figure istituzionali comunque denominate, che hanno competenza nelle stesse materie»5.

Una stretta cooperazione del Garante come organo di sorveglianza interno era stata d’altronde specificamente prevista dalle Regole penitenziarie europee del 2006 adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa6 con le autorità internazionali già istituite con analoghe finalità. Oltre al Sottocomitato delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura e delle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti7, va ricordato che un considerevole peso specifico in quest’ambito è stato svolto negli anni dal Comitato istituito dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti del 26 novembre 1987, organo chiamato a visitare, con accesso illimitato e libertà di comunicazione, i luoghi di detenzione dei diversi Stati membri per verificare le condizioni di trattamento delle persone private della libertà ed inviare successivamente un rapporto al Governo dello Stato interessato con invito a fornire risposte dettagliate ad eventuali raccomandazioni o commenti8. Le autorità di vigilanza interne, primo fra tutte il Garante nazionale chiamato oggi ad affiancare i Garanti “locali”, possono infatti svolgere nei confronti del Comitato un ruolo di utile veicolo d’informazioni periodiche che agevola la programmazione e l’organizzazione delle visite periodiche del CPT all’interno del territorio nazionale.

Sul piano strettamente interno, la funzione che il Garante è chiamato a svolgere è quella di affiancare la tutela giudiziaria facente capo alla magistratura di sorveglianza con un compito di promozione e di tutela extragiudiziale dei diritti dei detenuti che prende avvio da proprie iniziative (per lo più come conseguenza di attività d’ispezione o di vigilanza) o da sollecitazioni individuali (in seguito a colloqui ex art. 18 ordinamento penitenziario o reclami ex art. 35 ordinamento penitenziario). Come si può evincere dalle speculari esperienze di molti altri Stati europei dove la figura è attiva da più tempo, il ruolo dell’autorità garante presenta caratteri eminentemente persuasivi e conciliativi, andandosi così ad affiancare e non a sostituire a quello svolto dall’autorità giurisdizionale9.

 

2. Composizione, funzionamento ed esigenze di autonomia politica.

Se le esperienze locali hanno visto operare in questi anni garanti “monocratici”, la nuova figura nazionale è istituita come organo collegiale, composto da tre membri (di cui uno svolge le funzioni di presidente) scelti per una carica quinquennale non prorogabile tra persone con specifica competenza nell’ambito della tutela dei diritti umani.

L’esigenza di garantire autonomia e indipendenza all’organo – requisiti quanto mai necessari in relazione alle funzioni che lo stesso è chiamato a svolgere – emerge tanto con riferimento ai garanti “locali”, quanto in relazione alla nuova figura nazionale. Nel primo ambito, per quel che riguarda specificamente la Regione Piemonte, tale necessità ha trovato concretizzazione soprattutto nella previsione di una maggioranza qualificata del Consiglio regionale per la relativa nomina, nella individuazione di caratteristiche soggettive della figura, nonché nella definizione di una serie di incompatibilità con il ruolo10. Tali scelte trovano oggi sostanziale conferma, sia pure con qualche divergenza, anche nella normativa nazionale, e in particolare nei commi 2 e 3 dell’art. 7 del d.l. 146/2013.

Oltre alle specifiche competenze di cui si è detto, i prescelti dovranno infatti essere persone «che assicurano indipendenza» ed è proprio in vista di quest’obiettivo che va letta sia la previsione per cui non possono essere nominati per la carica «dipendenti delle pubbliche amministrazioni», sia quella per cui gli stessi «non possono ricoprire cariche istituzionali, anche elettive, ovvero incarichi in partiti politici»11. Per quanto riguarda invece le regole dettate per la nomina, la tensione verso la massima indipendenza e imparzialità dell’organo si è concretizzata soprattutto in sede di conversione, quando l’originario meccanismo previsto dal decreto legge e in base al quale si sarebbe dovuto procedere, «previa delibera del Consiglio dei Ministri, con decreto del presidente del Consiglio dei Ministri, sentite le competenti Commissioni parlamentari» è stato modificato proprio per evitare una troppo stretta correlazione tra potere esecutivo e figura di garanzia e si è stabilito che, ferma restando la delibera del Consiglio dei Ministri e l’audizione delle Commissioni parlamentari competenti, la nomina avvenga tramite decreto del Presidente della Repubblica.

Alcune previsioni inducono peraltro a pensare che l’autonomia di tale organo possa non essere pienamente assicurata sotto il profilo organizzativo: il Garante nazionale si avvarrà infatti di strutture, risorse e personale messi a disposizione dallo stesso Ministero della Giustizia, cui spetterà anche il compito, ai sensi del comma 4 dell’art. 7 del d.l. 146/2013, di determinare entro tre mesi dall’entrata in vigore del decreto la struttura e la composizione dell’ufficio posto alle dipendenze del Garante12. Si tratta di una scelta analoga a quella d’altra parte compiuta dal Piemonte con la l. r. 28/2009, il cui art. 4 prevede che il Garante abbia sede presso il Consiglio regionale e che l’ufficio previsto per il suo funzionamento abbia una dotazione stabilita con delibera dell’Ufficio di presidenza del Consiglio medesimo.

Oggetto di significativo dibattito in sede parlamentare, è stata poi la questione della gratuità o meno dell’incarico e degli oneri in capo alla finanza pubblica derivanti dall’istituzione dell’organo. La soluzione prescelta per il Garante nazionale, per cui lo svolgimento delle funzioni non determina diritti a indennità o emolumenti in capo ai tre componenti del Garante nazionale per l’attività prestata (a differenza di quanto accade in Piemonte, dove l’onerosità dell’incarico è stata specificamente considerata ed è stata dunque associata a un’indennità di carica pari a un terzo di quella prevista per i consiglieri regionali), lascia comunque ferma la possibilità di ottenere il rimborso per le spese legate all’espletamento del mandato e in particolare – come chiarisce la nota di lettura predisposta dal servizio del Bilancio del Senato – per le necessarie trasferte sul territorio nazionale13.

 

3. Ruolo e funzioni.

Il ruolo del Garante nazionale s’inscrive, come si è detto, nell’ambito della tutela extragiurisdizionale delle persone detenute e, in collaborazione e coordinamento con le altre figure istituzionali a ciò deputate, tale organo si è visto attribuire una serie di competenze riconducibili per lo più alla vigilanza sulla concreta rispondenza di ogni forma di limitazione della libertà personale ai principi costituzionali, alle Convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Italia e alle disposizioni legislative e regolamentari.

Merita sottolineare come l’attenzione del legislatore nazionale si sia assestata assai opportunamente su un concetto “sostanziale” e non “formale” di detenzione, con ciò ampliando le omologhe previsioni normalmente in vigore con riferimento alle figure locali. Il compito di vigilare sulla «esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere», ma anche delle «altre forme di limitazione della libertà personale», è infatti chiarito dal riferimento alle strutture che il Garante nazionale potrà visitare senza necessità di autorizzazione: istituti penitenziari, ospedali psichiatrici giudiziari e strutture sanitarie destinate ad accogliere le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive, comunità terapeutiche e di accoglienza o comunque strutture pubbliche e private dove si trovano persone sottoposte a misure alternative o alla misura cautelare degli arresti domiciliari, nonché istituti penali per minorenni e comunità di accoglienza riservate a questi ultimi per l’esecuzione degli specifici provvedimenti adottati dall’autorità giudiziaria. A esse si aggiungono inoltre – sia pure con necessità di previo avviso e sempre che dalla visita non possa derivare danno per le attività investigative in corso – le cosiddette “camere di sicurezza” e quei locali adibiti o funzionali alle esigenze restrittive presso le Forze di polizia di recente valorizzazione per la breve fase che va dall’adozione dei provvedimenti pre-cautelari alla loro convalida. L’estensione più significativa riguarda tuttavia l’accesso dell’ombudsman nazionale «senza restrizione alcuna in qualunque locale» dei centri d’identificazione ed espulsione di cui al d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e cioè di quei contesti detentivi che destano oggi forse ancor maggiore preoccupazione per il rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali.

A un’attività di vigilanza dai caratteri che potremmo definire “collettivi” (l’accesso ai luoghi di detenzione senza avvisi o necessità di previe autorizzazioni) si affianca la possibilità per l’organo nazionale di approfondire questioni “individuali” che si presentino particolarmente meritevoli di attenzione sotto il profilo dell’effettivo rispetto dei diritti umani, sia in sé sia come ipotetici indici sintomatici di problemi diffusi. Per vero, già l’art. 18 comma 1 (come modificato dal d.l. 207/2008) consentiva a detenuti e internati di avere colloqui e corrispondenza «con il Garante dei diritti dei detenuti, anche al fine di compiere atti giuridici»14, ma tale previsione – in mancanza di un ombudsman nazionale – era stata finora applicata con un sostanziale riferimento alle sole figure dei garanti locali. Il nuovo d.l. 146/2013 ha però attribuito al Garante anche il potere di prendere visione, «previo consenso anche verbale dell’interessato, degli atti contenuti nel fascicolo della persona detenuta o privata della libertà personale e comunque degli atti riferibili alle condizioni di detenzione o di privazione della libertà».

Quest’ultima previsione va poi collegata con un’attribuzione al Garante nazionale ben più significativa, specie ove si consideri la mancanza di analoghi poteri in capo alle svariate figure di garanti locali. Il riferimento è alla facoltà di richiedere alle «amministrazioni responsabili» ogni informazione e documento ritenuti necessari per lo svolgimento dei propri compiti, e alla possibilità per il magistrato di sorveglianza competente di emettere, ove l’amministrazione non fornisca risposta nel termine di trenta giorni e sempre su sollecitazione del Garante nazionale, un vero e proprio ordine di esibizione. Si tratta evidentemente di una specifica ipotesi di accesso a documenti amministrativi da parte di un soggetto pubblico per il quale il legislatore pare individuare anche una specifica forma di rimedio giurisdizionale nel caso di rifiuto o silenzio da parte dell’amministrazione in possesso delle informazioni o dei documenti richiesti, sulla falsariga di quanto stabilito all’art. 25 legge 7 agosto 1990, n. 24115.

In capo al Garante nazionale è stato inoltre designato un “potere di raccomandazione”, che indirettamente chiarisce – oltretutto – i limiti degli interventi che la stessa autorità può porre in essere. Quest’ultima, infatti, potrà formulare specifiche raccomandazioni all’amministrazione interessata nel caso in cui accerti violazioni alle norme dell’ordinamento ovvero la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti ai sensi dell’art. 35 dell’ordinamento penitenziario e, rispetto a tali raccomandazioni, l’amministrazione interessata sarà tenuta a comunicare nel termine di trenta giorni eventuali dinieghi con dissenso motivato (anche se non è prevista alcuna specifica conseguenza in caso di mancata risposta o di carenza di motivazione riguardo al dissenso).

Un tratto costante nelle attività che le autorità garanti sono chiamate a compiere all’interno di un sistema è infine quello della circolazione delle informazioni e della sensibilizzazione rispetto ai temi oggetto d’intervento, sulla base dell’idea che una sempre più ampia consapevolezza da parte delle istituzioni, oltre che dell’opinione pubblica, sia un motore importante per determinare la presa in carico dei problemi. Su questo obiettivo già le normative locali hanno nel tempo marcato l’accento, attraverso previsioni che variamente regolamentano obblighi di relazioni periodiche o di segnalazioni tempestive dei più gravi casi di pregiudizio dei diritti dei detenuti16. Per il nuovo Garante nazionale è oggi stabilito un obbligo di relazione annuale sull’attività svolta da presentare ai presidenti del Senato e della Camera, nonché al ministro dell’Interno e al ministro della Giustizia. E pur in assenza di una specifica indicazione pare importante che tra i destinatari vi siano anche gli organi internazionali di controllo sulle condizioni di detenzione, che dalle informazioni contenute nella relazione – specie per il loro respiro che copre l’intero territorio nazionale – possono certo trarre utili spunti per l’organizzazione delle proprie visite periodiche e, in ultima analisi, per una miglior tutela dei diritti delle persone private della libertà.

 

1. Professoressa Ordinaria di Diritto Processuale Penale, Università degli Studi di Torino.

 

2. V. il Protocollo opzionale alla convenzione contro la tortura (Opcat) adottato dall’Assemblea generale dell’Onu il 18 dicembre 2002 ed entrato in vigore nel giugno 2006. In base all’art. 3 di tale Protocollo «each State Party shall set up, designate or maintain at the domestic level one or several visiting bodies for the prevention of torture and other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment», mentre sono i successivi artt. 17-23 a definire più specificamente le caratteristiche e i poteri di tali meccanismi nazionali di prevenzione.

 

3. Nell’attuale legislatura erano in particolare in corso d’esame presso la Commissione Giustizia del Senato tre disegni di legge d’iniziativa parlamentare relativi all’istituzione di un’Autorità nazionale di garanzia per i diritti dei detenuti: cfr. AS 210 (Torrisi), AS 383 (Barani) e AS 668 (Manconi). Tra i precedenti meno recenti va poi menzionato il disegno di legge (AS 1463) che mirava ad istituire una Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani, organo collegiale a nomina parlamentare e il cui presidente sarebbe stato scelto d’intesa tra i presidenti del Senato e della Camera.

 

4. V. in particolare l’Ufficio del difensore civico di Antigone (www.osservatorioantigone.it).

 

5. Art. 5 comma 1 del d.l. 146/2013.

 

6. Cfr. la Rule 93, Rec (2006)2.

 

9. Sulla distinzione tra ruolo dell’autorità garante dei diritti dei detenuti e magistratura di sorveglianza v., prima dell’istituzione del Garante nazionale, Della Casa F., Per un più fluido (ed esteso) monitoraggio delle situazioni detentive: il difensore civico della libertà personale, in Politica del diritto, 2003 (1), pp. 69-82; Gemelli M., Il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, in Giustizia penale, 2007, II, cc. 533-544; Ruaro M., La procedura per la tutela dei diritti del detenuto minorenne, in Coppetta M. G. (a cura di), L’esecuzione penitenziaria a carico del minorenne nelle carte internazionali e nell’ordinamento italiano, Milano, Giuffrè, 2010, pp. 372-375.

 

10. Cfr. artt. 1 e 2 l. r. Piemonte n. 28 del 2009.

 

11. Va segnalato come nel testo del decreto-legge in relazione alle cariche istituzionali e agli incarichi in partiti politici comparisse il termine “assumere” al posto di “ricoprire”. Quest’ultimo, tuttavia, meglio precisa il momento temporale in cui le relative cariche sono ritenute dal legislatore idonee a determinare un possibile pregiudizio per l’indipendenza del Garante, ed è dunque scelta da ritenersi preferibile. Nella stessa direzione va notato come in sede di conversione sia stato ampliato l’ambito delle incompatibilità espressamente previste in relazione agli incarichi in partiti politici, che erano inizialmente limitate ai soli casi in cui il soggetto rivestisse incarichi di responsabilità all’interno degli stessi.

 

12. Per un cenno nel senso dei possibili condizionamenti dell’organo determinati dalla sua collocazione presso il Ministero v. Della Bella A., Emergenza carceri e sistema penale, Torino, Giappichelli, 2014, p. 157.

 

14. Trattasi di previsione che all’epoca della sua introduzione era stata anche criticata proprio nella misura in cui attribuiva poteri e facoltà a un soggetto (il Garante nazionale) che non risultava ancora istituito e – non facendo riferimento ai garanti istituiti con medesime funzioni dagli enti locali – poteva ingenerare problemi interpretativi di un certo rilievo. Per alcune considerazioni in questo senso v. Fiorentin F., Al debutto il Garante dei diritti dei detenuti, in Guida dir., 2009 (dossier/2), pp. 107 ss., e – in chiave ricostruttiva – Bertolotto E., Commento all’art. 18, in Grevi V.- Giostra G.- Della Casa F. (a cura di), Ordinamento penitenziario commentato4, Padova, Cedam, 2011, p. 242.

 

15. Per alcune considerazioni sul procedimento applicabile nel contraddittorio con l’amministrazione interessata dall’ordine di esibizione v., in relazione all’analogo testo di un precedente disegno di legge AC 626 (Mazzoni), Morgante A., L’evoluzione della figura del garante delle persone detenute. Dalle esperienze locali alla prospettiva di una Commissione nazionale,in www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/law-ways/morgante/index.htm.

 

16. Cfr. artt. 5 e 6 l. r. Piemonte n. 28 del 2009.