I “confini” dell’area professionale socio-sanitaria in tempo di emergenza da COVID-19. Nota all’ordinanza T.A.R. Piemonte n. 258/2020

Elisa Bellomo1

 

Sommario: 1. Inquadramento processuale della vicenda. – 2. Il personale a “supporto e in presenza delle OSS”: la pronuncia del Tar Piemonte sulle indicazioni regionali di selezione in tempo di emergenza sanitaria. – 3. La qualifica di Operatore socio sanitario a confronto con altre: analisi della portata derogatoria dei criteri di scelta del personale. – 4. La tenuta sistemica dei requisiti di accreditamento e dei LEA alla prova dell’emergenza Covid-19. – 5. Spunti conclusivi. Il profilo formativo alla luce dell’istituzione dell’area professionale sociosanitaria.

 

1. Inquadramento processuale della vicenda.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte è stato adito dalla Federazione Nazionale Migep delle Professioni Sanitarie e Sociosanitarie, che ha fatto ricorso, chiedendone l’annullamento previa istanza cautelare di sospensione dell’efficacia, avverso la D.G.R. 20 marzo 2020, n. 4-1141, “Indicazioni inerenti alla sostituzione del personale nelle strutture residenziali e semiresidenziali socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani, disabili e minori in contesto emergenziale da diffusione Covid-19”2

Rientrando tra i numerosi atti e provvedimenti, di diversa natura, emanati dai soggetti istituzionali deputati a gestire l’emergenza sanitaria Covid-193, la deliberazione impugnata è un provvedimento fondato sulla straordinarietà della situazione dovuta alla diffusione del contagio e dall’arco temporale di efficacia delle disposizioni espressamente limitato alla durata dell’emergenza4, volta a fornire indicazioni riguardo una tematica di particolare complessità in questo frangente: l’urgenza nel reperimento di personale sanitario presso le strutture socio sanitarie e socio assistenziali.

In tempo di emergenza, tra le problematiche maggiori a cui ospedali e strutture devono fare fronte rientra certamente quella di assicurare il reperimento delle qualifiche professionali in ambito sociosanitario, anche attraverso misure di carattere straordinario, finalizzate a fronteggiare l’emergenza determinata dalla diffusività del contagio. In questo modo le strutture territoriali pubbliche e private che erogano prestazioni sociosanitarie e socioassistenziali in regime residenziale e semi-residenziale possono proseguire la loro attività, nel rispetto delle misure precauzionali di contenimento del rischio, garantendo da un lato la continuità dell’assistenza ai pazienti in condizioni di massima sicurezza, e dall’altro la riduzione del rischio del contagio, nel rispetto di quanto previsto dal decreto legge n. 9 del 2 marzo 20205 e dal D.P.C.M. 4 marzo 20206.

Nell’ambito dello scenario generale di emergenza è emersa la particolare situazione di vulnerabilità degli ospiti ricoverati nelle Residenze Sanitarie Assistenziali, che rappresentano la popolazione maggiormente esposta al rischio di complicanze conseguenti all’infezione dal Covid-19 a causa dell’età avanzata e della particolare incidenza di fattori di comorbilità. Agli ospiti delle strutture, che oltre alle persone anziane possono includere quelle con disabilità, devono essere quindi garantiti sia l’ordinario servizio assistenziale, sia la presa in carico da parte del personale dei bisogni della persona, che in tempo di emergenza sanitaria comprendono anche l’attuazione delle misure di sicurezza richieste dalla necessaria riorganizzazione dei servizi.

A dimostrazione della centralità del settore dei servizi sociali nelle politiche regionali, già con delibera n. 21-1132 del 13 marzo 20207, di pochi giorni antecedente a quella oggetto di impugnazione dinnanzi al Tar Piemonte, la Regione aveva previsto alcune specifiche misure organizzative rivolte alle strutture socio sanitarie e socio assistenziali. In quell’occasione, oltre ad aver ritenuto prioritario escludere “vie esterne di contagio”, proteggendo quindi maggiormente le persone assistite tramite il divieto d’ingresso a parenti o altre persone esterne, la Regione aveva previsto che “gli operatori, adottate le dovute cautele del caso, devono comunque garantire l’assistenza continuativa agli ospiti. I titolari dei servizi devono garantire la copertura degli operatori eventualmente mancanti”.

La deliberazione impugnata dinnanzi al Tar Piemonte si colloca perciò in un momento successivo, e concerne più nello specifico modalità e condizioni in forza delle quali i titolari delle strutture possono reperire il personale a supporto di quello impossibilitato a presenziare.

In questo quadro, con la deliberazione 4-1141, la Giunta regionale ha così fornito alcune indicazioni inerenti al reperimento e alla temporanea sostituzione del personale socio sanitario necessario da parte delle RSA8, enucleando dei canali di reclutamento di operatori in “affiancamento e supporto degli operatori socio-sanitari”. Queste disposizioni sono riferite solo al periodo strettamente connesso all’emergenza epidemiologica, pur sempre fino a nuove disposizioni, e fermo restando la possibilità per i titolari delle strutture di procedere attingendo dalle graduatorie degli idonei in possesso della qualifica di operatori socio sanitari, o, una volta esaurite le graduatorie, con bandi di concorso ad hoc.

In deroga alla normativa regionale e motivata su atti governativi emergenziali governativi e della Protezione Civile, la deliberazione prevede un’ampia gamma di titoli, nonché un’esperienza pratica di assistenza ad anziani o disabili, anche presso domicili privati e non necessariamente in strutture residenziali o semi-residenziali.

I ricorrenti hanno impugnato l’atto deliberativo chiedendo la misura cautelare monocratica della sospensione al presidente del Tar Piemonte, il quale ha fissato a data successiva la camera di consiglio, rigettando la domanda cautelare con decreto reso ai sensi dell’art. 84 del d. l. 17 marzo 2020 n. 189, in quanto non sussisterebbero i presupposti per l’accoglimento della domanda cautelare e quindi il periculum in mora e il fumus boni iuris.

Confermando il decreto cautelare precedentemente assunto dal presidente, con ordinanza n. 258/2020, pubblicata in data 01 maggio 2020, il Tar Piemonte ha rigettato l’istanza di sospensione contenuta nel ricorso proposto dal ricorrente, affermando come in primo luogo non sussista la violazione della legge primaria disciplinante la materia dell’attività propria degli OSS e, in secondo luogo, ritenendo giustificabile il provvedimento, in presenza delle condizioni emergenziali in cui si inserisce la misura. In particolare, il giudice amministrativo si è così pronunciato:

atteso che non legittima lo svolgimento dell’attività propria degli OSS a soggetti privi della relativa formazione in totale autonomia, bensì si limita a consentire di assolvere una quota parte del monte ore assistenziale con operatori a supporto di altri OSS, dovendosi interpretare logicamente la congiunzione “ovvero” in senso esplicativo e non disgiuntivo, stante la precisazione che segue in ordine al fatto che tali operatori siano “sempre in affiancamento a un OSS”.

In sede cautelare, respingendo l’istanza di sospensione, il TAR ha fatto prevalere le esigenze di continuità del servizio di assistenza del personale legittimando, in un’ottica di prevalenza dell’urgenza del provvedere, la creazione di un nuovo contenitore del “personale a supporto”.

 

2. Il personale a “supporto e in presenza degli OSS”: la pronuncia del Tar Piemonte sulle indicazioni regionali di selezione in tempo di emergenza sanitaria.

L’ordinanza in commento offre l’occasione per interrogarsi sulle modalità di assunzione del personale, anche in deroga alla normativa vigente, al fine di attuare un’efficace azione di previsione e prevenzione del contagio e di rafforzare la sorveglianza dei soggetti ritenuti a rischio.

Nel complesso bilanciamento dei valori su cui si fonda, la deliberazione oggetto della pronuncia sembra aver fatto prevalere l’esigenza di continuità del servizio nelle singole strutture, prevedendo che a supporto o in affiancamento di un OSS possa essere assunto personale sfornito di formale titolo per tale qualifica o con una molto diversa.

Più che dai richiami dei provvedimenti emergenziali riportati nella motivazione, la connotazione emergenzialista dell’atto regionale si evince dalla durata limitata, tanto che è espressamente previsto che vale “in via temporanea e fino a nuove disposizioni”. A dispetto della straordinarietà della disciplina di reclutamento prevista, preme evidenziare il tenore innovativo, e in parte altamente derogatorio della normativa primaria, delle indicazioni fornite, e anche interrogarsi sulle ricadute sul lungo periodo post-emergenziale in termini di assunzione del personale scelto in questo frangente di necessità.

Prima di entrare nel merito della disamina dei requisiti di selezione del personale, occorre considerare che la rosa dei “candidabili” chiamati a ricoprire un monte ore sguarnito di copertura è modulabile sulla base della tipologia di struttura, e cioè se si tratta di RSA oppure no.

Laddove, per esempio, serva ricoprire un monte ore di assistenza tutelare, la sostituzione può avvenire solo con personale infermieristico. Sempre in ottica restrittiva, ma questa volta indipendentemente dalla tipologia della struttura, è stato previsto che nel caso in cui il monte ore da ricoprire sia invece ordinariamente attribuito all’“educatore professionale”, una parte possa essere affidato a personale in possesso di laurea triennale in Servizio sociale (classe L-39) o Scienze e tecniche psicologiche (classe L-24), o di quella magistrale in Servizio sociale e politiche sociali (classe LM-87) o in Psicologia (classe LM-51).

Nel caso in cui il monte ore da ricoprire sia invece assegnato a un OSS, indipendentemente dalla struttura presso cui occorra farlo, la Regione Piemonte ha previsto che una parte possa essere “assolto con operatori a supporto, ovvero che lavorino sempre in affiancamento delle OSS”, a queste condizioni: stia frequentando il corso OSS; abbia conseguito la qualifica professionale di assistente familiare; abbia conseguito un diploma tecnico dei servizi socio sanitari o la laurea triennale in Educazione Professionale; sia in possesso del titolo di infermiera volontaria; in ultimo, persino se abbia svolto mansioni di assistenza al domicilio di anziani non autosufficienti o disabili, per almeno sei mesi anche non consecutivi, con regolare contratto di lavoro.

Il numeroso elenco di alternative, tra l’altro apparentemente privo di un ordine di priorità, sembra rappresentare l’intento regionale di ampliare il più possibile il novero dei soggetti cui i titolari possono attingere, al fine di fronteggiare l’emergenza sanitaria sotto il profilo dell’organizzazione dei servizi; tuttavia, proprio l’eterogeneità dei titoli, delle esperienze e delle qualifiche poste in alternativa a fondamento della scelta del personale che supporta e assiste l’OSS può rappresentare un elemento di criticità di ordine sistemico.

Da un lato, infatti, è stato incluso personale con qualifica molto diversa rispetto a quella di OSS; dall’altro, in senso quasi diametralmente opposto, sembra quasi si sia implicitamente comparata la formazione del personale OSS cui è seguito il conferimento della qualifica con coloro che, invece, “stanno ancora frequentando il corso o possano vantare un’esperienza pratica parziale, seppur importante, ma non anche certamente teorica”.

A tal proposito, i ricorrenti lamentano proprio una violazione della normativa primaria riguardante le assunzioni di personale OSS, ravvisando le condizioni per la richiesta di una sospensione cautelare dell’efficacia del provvedimento impugnato affinché sia impedito, anche nel frangente emergenziale, di procedere ad assunzione di personale non qualificato OSS.

Come visto, in sede cautelare il Tar Piemonte ha invece ritenuto che “la delibera impugnata non si pone prima facie in contrasto con la disciplina primaria atteso che non legittima lo svolgimento dell’attività propria degli OSS a soggetti privi della relativa formazione in totale autonomia, bensì si limita a consentire di assolvere una quota parte del monte ore assistenziale con operatori a supporto di altri OSS, dovendosi interpretare logicamente la congiunzione “ovvero” in senso esplicativo e non disgiuntivo, stante la precisazione che segue in ordine al fatto che tali operatori siano “sempre in affiancamento a un OSS”.

Dunque, secondo la ricostruzione del giudice amministrativo piemontese, le modalità con cui il personale assunto in forza di siffatte indicazioni è chiamato a svolgere attività non violerebbero la disciplina primaria, poiché “non è legittimato lo svolgimento dell’attività propria degli OSS a soggetti privi della relativa formazione in totale autonomia”.

La ricostruzione del Tar Piemonte sembra quindi propendere per un legittimo avvallo della rosa di candidabili privi della relativa formazione, in quanto chiamati a svolgere tale attività in periodo emergenziale non in totale autonomia.

Per il giudice amministrativo l’elemento della mancanza di “totale autonomia” nella conduzione della prestazione lavorativa da parte di chi è privo della relativa formazione rende legittima la scelta, in quanto non risulterebbe violata la disciplina ordinaria di selezione.

Tuttavia, anche se il giudice ha escluso che la deliberazione impugnata sia in conflitto con la normativa primaria, non si può escludere che una scelta di questo tipo, assunta con chiaro intento temporaneo, possa far sorgere alcune problematiche. A titolo esemplificativo, potrebbe essere il caso della gestione del rapporto tra OSS strutturati e soggetti qualificati nella stessa delibera come ausiliari degli stessi OSS, in assenza di titolo o interrogativi circa la valenza della qualifica di OSS, sebbene si tratti di personale a supporto e sostegno, e mai in sostituzione.

A tal proposito, al fine di meglio comprendere le conseguenze o l’impatto di deroghe alla normativa in forza dell’emergenza, occorre, seppur per brevi cenni, approfondire l’inquadramento normativo e giuridico entro cui si inserisce la figura professionale al centro della politica regionale qui richiamata.

 

3. La qualifica di Operatore Socio Sanitario a confronto con altre: analisi della portata derogatoria dei criteri di scelta del personale.

L’individuazione dell’Operatore Socio Sanitario (OSS) risale alla stipula dell’accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2001, che ne ha fornito la qualificazione di figura tecnica di comparto della sanità pubblica. Il titolo di OSS, previo superamento di un esame, si consegue all’esito di un corso di durata annuale, cui si può accedere solo se in possesso del diploma di scuola dell’obbligo e compiuto il diciassettesimo anno di età alla data di iscrizione, per un numero di ore di formazione tecnico-pratica non inferiore a mille. Il corso è finalizzato allo svolgimento di una serie di attività rivolte alla cura della persona e del relativo ambiente di vita, e in particolare: a) assistenza diretta e aiuto domestico-alberghiero; b) intervento igienico-sanitario e di carattere sociale; c) supporto gestionale, organizzativo e formativo (art. 5).

Un successivo Accordo Ministeri – Regioni del 16 gennaio 2003 ha ulteriormente specificato che “per far fronte alle crescenti esigenze di assistenza sanitaria nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano possono provvedere alla organizzazione di moduli di formazione complementare di assistenza sanitaria, per un numero di ore non inferiore a 300, di cui la metà di tirocinio, riservati agli operatori socio-sanitari in possesso dell’attestato di qualifica di cui all’art. 12 dell’accordo intervenuto il 22 febbraio 2001[…]”.

Tale Accordo consentiva quindi all’Operatore Socio Sanitario, con formazione complementare in assistenza sanitaria (OSSS), di collaborare con l’infermiere o con l’ostetrica, coadiuvando le altre figure professionali nello svolgimento di alcune attività assistenziali in base all’organizzazione dell’unità funzionale di appartenenza, conformemente alle direttive del responsabile dell’assistenza infermieristica o dell’ostetrica, e sotto la loro supervisione, ognuna nel proprio ambito.

Sebbene, dunque, l’accesso allo svolgimento dell’attività di OSS non sia attualmente condizionata al conseguimento dell’abilitazione, ossia un provvedimento amministrativo abilitante e l’iscrizione all’albo, è evidente che si tratti di un’attività da svolgersi previa adeguata formazione sia di natura teorica che di natura pratica e operativa.

Alla luce di tale inquadramento, si evince che le opzioni di scelta degli operatori previste dalla Regione Piemonte nella deliberazione impugnata prevedano delle figure con competenze non sempre allineate rispetto a quelle accertate al momento conclusivo del corso professionalizzante, sebbene giustificate dalla condizione di emergenza e dell’indisponibilità del personale strutturato.

Si pensi alle due opzioni già affrontate precedentemente: quella che prevede la possibile ammissione allo svolgimento di attività di affiancamento al personale OOS per coloro che abbiano prestato mansioni di assistenza al domicilio di anziani non autosufficienti o disabili per almeno sei mesi anche non consecutivi; quella che prevede l’inserimento in loco di persone frequentanti il corso senza averlo concluso, con conseguente acquisizione del titolo.

Nel primo caso sembrerebbe non essere del tutto considerato il momento formativo, tanto teorico quanto operativo, richiesto, invece, per il conseguimento del titolo di OSS. Nel secondo, è come se si prevedesse lo svolgimento della pratica direttamente presso le strutture, senza tuttavia domandarsi se il personale affiancato possa svolgere un sostanziale ruolo di “tutor” per i nuovi entrati che non abbiano terminato il periodo di pratica previsto, e che sono chiamati a svolgere l’attività in un’oggettiva situazione a elevato rischio di contagio, che richiederebbe una preparazione elevata o quanto meno una certa esperienza, per poter gestire l’assistenza in condizioni quanto mai complesse.

Le previsioni si prestano ad alcune riflessioni di ordine sistemico che attengono al significato addotto dall’ordinamento giuridico all’abilitazione professionale e al conseguimento di qualifiche.

A tal proposito, si possono fare due considerazioni. Da un lato si può certamente affermare che, nel caso di specie, non possa invocarsi l’istituto della “abilitazione all’esercizio della professione” quale elemento che segnala la distinzione tra “professioni protette” e “non protette”, che attribuisce “fondamento costituzionale” solo alle prime, in quanto “rete da rette da ordini professionali per attività che, rimesse nella loro determinazione alla legge, restano subordinate nel loro esercizio all’iscrizione in apposti albi ed elenchi”10; dall’altro è altrettanto vero che a fondamento della scelta di personale nell’ambito sanitario non possa non esserci, quale elemento predominante, l’effettivo interesse pubblico da tutelare, ossia la salute individuale e collettiva.

Fermo restando la differenza tra professione il cui accesso è subordinato all’acquisizione dell’abilitazione all’esercizio, rispetto a quella, come di OSS, per cui è previsto sì l’acquisizione di un titolo ma non anche l’iscrizione a un albo professionale, non può sottacersi l’assoluta rilevanza della formazione e del rilievo sostanziale delle competenze per coloro che sono chiamati, pur sempre nella dimensione del lavoro multiprofessionale, a garantire la sicurezza delle cure e la tutela della salute quale diritto fondamentale costituzionalmente garantito.

Se questo già vale in una situazione ordinaria, a maggior ragione la formazione teorica e operativa (pratica), accompagnata a un elevato grado di competenza professionale, assurge a elemento fondamentale al fine di contenere i rischi e garantire l’implementazione della sicurezza delle cure in un luogo di cura diventato a elevato rischio.

Se da un lato, quindi, la rosa di scelte comprende operatori non qualificati (nel senso sopra specificato), dall’altro la deliberazione contempla personale qualificato da un titolo diverso da quello delle OSS e messo, implicitamente, sullo stesso piano. A tal proposito sembra che in forza dell’emergenza possa essere derogata la normativa in vigore, anche sotto il peculiare profilo della equiparabilità di posizioni e titoli ammessi per la selezione del personale appartenente al comparto sanità.

Valga come esempio il titolo di infermiera volontaria, previsto dal D. Lgs. 66 del 2010 (Codice dell’Ordinamento Militare)11: in verità, la comparazione tra infermiere volontaria e OSS è stata già messa al vaglio del giudice amministrativo, che ha avuto modo di affermare come l’equivalenza possa valere solo “se destinata ad operare nell’ambito dei servizi e dei compiti propri delle Forze Armate e della Croce rossa Italiana, con conseguente esclusione al di fuori dei quel settore”12 . Il Consiglio di Stato ha aggiunto che mentre le competenze dell’infermiera sono incentrate nel campo emergenziale, quelle delle OSS attengono anche a un ambito sociale. In forza di tale distinzione, quanto meno in regime ordinario, il giudice amministrativo di ultimo grado ha affermato che “l’infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana non detiene un titolo equipollente a quello di Operatore Socio Sanitario Specializzato, pertanto non è ammessa la sua partecipazione ai concorsi pubblici aperti agli OSS”.

Quand’anche non emerga alcun profilo di equiparabilità, con le problematicità connesse, tra le qualifiche e i titoli delle figure professionali elencate, alla luce della mancanza di autonomia nell’esercizio dell’attività di recupero delle ore assegnate agli OSS si solleva una questione di non poco riguardo: la non chiara individuazione degli obblighi e delle mansioni affidate alle OSS strutturate nella gestione e nel prospettato coordinamento degli “assistenti”, con tutto ciò che ne consegue in termini di possibile prospettazione di mansioni superiori o, comunque, non oggetto di specifica attribuzione ex lege o derivante dalla contrattazione collettiva.

 

4. La tenuta sistemica dei requisiti di accreditamento e dei LEA alla prova dell’emergenza Covid-19.

Mentre i profili sopra evidenziati hanno natura soggettiva, poiché riguardano la qualifica professionale delle figure coinvolte nella sostituzione o nel supporto delle OSS, la tematica su cui si è pronunciato il Tar sfiora anche un profilo oggettivo concernente l’accreditamento delle strutture nel SSN.

È noto che la regolamentazione dell’ingresso delle strutture pubbliche e private nel sistema di produzione di servizi e prestazioni, per conto e a carico del Servizio sanitario nazionale, è articolata su tre livelli, logicamente e proceduralmente separati, orientati al perseguimento di obiettivi diversi, che fanno capo alla Regione.

Il primo riguarda il rilascio delle autorizzazioni alla realizzazione e al funzionamento delle strutture sanitarie, basato sul possesso dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi.

Un ulteriore obiettivo riguarda invece il sistema di controlli sull’appropriatezza e sulla qualità delle prestazioni erogate dalle strutture accreditate13.

Il terzo concerne tre livelli. Il primo è l’accreditamento istituzionale14, il quale considera sia aspetti di natura funzionale e qualitativa, sia una valutazione dei risultati che la struttura ha conseguito nell’ambito della propria attività, con riferimento ai livelli essenziali e uniformi di assistenza e a indici di appropriatezza nel quadro dell’offerta integrativa di questi livelli. Il secondo livello riguarda gli accordi contrattuali con i soggetti pubblici e con quelli privati, con i quali vengono definiti i criteri di remunerazione delle strutture erogatrici e i volumi di attività che ogni struttura accreditata può erogare con finanziamento del fondo sanitario. L’ultimo livello è costituito dalle azioni concertate e coordinate riguardanti, tra l’altro, la definizione di aree di sperimentazione organizzativa generatrici di modelli socio sanitari tra cui quelli residenziali e semiresidenziali discende dall’attuazione dell’accordo Stato-Regioni del 24 luglio 2003, che ha impegnato i due contraenti a intraprendere azioni concertate e coordinate15.

In relazione a ciò che più interessa per questo lavoro, la Regione Piemonte, con legge regionale 8 gennaio 2004, n. 1 “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento” all’art. 4, elencando materie di propria competenza ha previsto la definizione degli standard formativi degli operatori dei servizi sociali, nell’ambito dei requisiti generali e dei profili professionali definiti dallo Stato e la programmazione, l’indirizzo, il coordinamento e la promozione delle attività formative per il personale dei servizi sociali, nonché’ la vigilanza e il controllo sullo svolgimento di tali attività16.

Le strutture in argomento, come noto, sono gestite da soggetti pubblici o privati e, come altresì chiarito dal giudice amministrativo, sono “finalizzate a fornire ospitalità, prestazioni sanitarie, assistenziali di recupero funzionale e di inserimento sociale”. Inoltre, hanno il compito di prevenire l’aggravamento “del danno funzionale per patologie croniche nei confronti di persone non autosufficienti […]”. Sotto il profilo dell’organizzazione, nella gestione delle RSA sono coinvolte implicitamente “diverse figure professionali”, tra le quali” infermieri, terapisti della riabilitazione e educatori professionali; operatori socio sanitari e figure equivalenti. Inoltre, diversamente dalle altre tipologie di strutture, tra i requisiti di accreditamento delle R.S.A è previsto un numero minimo di figure professionali per i posti letto di struttura17.

Questo elemento, centrale nella questione in argomento, costituisce un requisito di accreditamento al SSN, oggettivamente finalizzato quindi a verificare se il soggetto accreditato fornisca idonee garanzie sulla idoneità a erogare prestazioni per conto del SSN con sufficienti livelli qualitativi. Essi devono essere realmente giustificati in relazione all’interesse pubblico a cui sono finalizzati; perciò il rapporto tra numero di figure professionali (tra cui infermieri, educatori professionali, fisioterapisti, tecnici sanitari e operatore sociosanitario o figura equivalente)e i posti letto costituisce un requisito volto a garantire esigenze strutturali.

Il rispetto del rapporto numerico non ha, dunque, solo ricadute sul profilo organizzativo, ma costituisce un elemento a dimostrazione della garanzia di erogazione di sufficienti livelli essenziali di assistenza in materia di prestazioni socio-sanitarie18, ai sensi del D.P.C.M. 12 gennaio 2017 “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502”19, che ha integralmente sostituto il precedente D.P.C.M. 29 novembre 2001.

Da questo ne consegue che sia l’emergenza sanitaria sia la politica regionale si assestano su un piano che include tanto l’accreditamento quanto l’“essenzialità” del livello delle prestazioni da erogarsi, che non può venir meno. A tal proposito, poiché, come visto, la definizione degli standard formativi degli operatori dei servizi sociali rientra in quei requisiti volti all’accreditamento delle strutture che li elargiscono, ci si possono porre due interrogativi: se, sebbene in forza dell’emergenza, il possesso di titolo diverso o la mancanza di titolo per coloro che supportano gli OSS, possa rappresentare una strada per prevedere ulteriori requisiti di accreditamento delle RSA e, quindi, di rispetto dell’essenzialità del livello delle prestazioni a tutela della stessa salute pubblica; e se, per escludere anche questa ipotesi, possa essere sufficiente rappresentare la mancanza di autonomia nello svolgimento delle attività.

 

5. Spunti conclusivi. Il profilo formativo alla luce dell’istituzione dell’area professionale sociosanitaria.

La tematica affrontata si presta in maniera perfetta a essere pensata nella visione prospettica della riforma delle professioni sociosanitarie voluta dal legislatore nazionale con legge 11 gennaio 2018, n. 3 “Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute”, con la quale all’art. 5 è stata prevista l’Istituzione dell’area delle professioni sociosanitarie, tra cui sono compresi nell’“area professionale” i preesistenti profili professionali di operatore socio sanitario, assistente sociale, sociologo ed educatore professionale.

È noto come questa area fosse già prevista dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”, che all’art. 3-septies aveva già legiferato sull’integrazione sociosanitaria, definendo “prestazioni sociosanitarie” tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione. L’articolo 3 octies prevedeva la disciplina sulla formazione delle figure professionali operanti nell’area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria, da formare in corsi a cura delle regioni, individuabili tramite regolamento del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro per la Solidarietà sociale, sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, lo stesso decreto con cui avrebbero dovuto essere definiti i relativi ordinamenti didattici.

La legge Lorenzin20 ha dato finalmente attuazione a quanto previsto fin dal d.lgs 502/1992, istituendo in tal modo proprio il profilo professionale dell’operatore socio sanitario, incluso così con legge di Stato in un’area di integrazione socio-sanitaria. Attraverso una giusta collocazione, si potrebbero da una parte risolvere alla radice le questioni controverse legate al suo attuale inquadramento nel ruolo tecnico, e dall’altra porre nella giusta dimensione il rapporto di collaborazione con le professioni sanitarie e sociali a iniziare da quella infermieristica.

Dunque, fermo restando la chiara portata derogatoria delle indicazioni introdotta con la delibera regionale impugnata rispetto alla normativa ordinaria con cui si dispone un temporaneo quadro normativo negli stretti limiti necessari a fronteggiare la situazione emergenziale con mezzi che si possono qualificare come straordinari, dinnanzi alla ratio del legislatore di qualificare professione sociosanitaria quella di OSS, potrebbe formularsi un ultimo spunto di riflessione. Infatti, nell’ottica della riforma voluta dal legislatore nazionale, che trova il suo nucleo nel pluralismo professionale pensato come strumento per soddisfare i bisogni di salute e di evoluzione dell’organizzazione del lavoro in chiave di integrazione socio sanitaria, è ancor più auspicabile che siano limitati i confini di vigenza di questo nuovo “contenitore per personale a supporto degli OSS” all’interno dell’arco temporale previsto dalla decretazione d’urgenza senza che ciò si traduca in un meccanismo stabile e generalizzato di copertura delle carenze di organico.

 

1 Dottoressa di ricerca, Università del Piemonte Orientale.

 

2 Pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte n. 13, S.O. n. 3 del 26 marzo 2020.

 

3 Il Consiglio dei Ministri, lo scorso 31 gennaio, ha on delibera dichiarato lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili. Ciò a seguito della dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus (PHEIC) dell’Organizzazione mondiale della sanità del 30 gennaio 2020. La dichiarazione dello stato di emergenza ha portato all’adozione di cinque decreti legge, di sette Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre che di svariate ordinanze e di circolari del Ministro della Salute, di un Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 24 febbraio 2020 avente come oggetto la sospensione dei termini per l’adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti interessati dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, e di una Direttiva del Ministro dell’Interno n. 14606 dell’8 marzo 2020, destinata ai Prefetti per l’attuazione delle misure di contenimento. Si sono susseguite anche numerose circolari interpretative e applicative, ordinanze del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, delle Regioni e dei Comuni interessati.

 

4 Il termine finale per l’efficacia dei provvedimenti assunti in via emergenziale è da considerarsi fissato in via implicita ella delibera impugnata attraverso il richiamo alle disposizioni nazionali che hanno dichiarato lo stato di emergenza (31 luglio).

 

5 Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19, in GU Serie Generale n.53 del 02-03-2020.

 

6 Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, applicabili sull’intero territorio nazionale, in GU Serie Generale n.55 del 04-03-2020.

 

7 Deliberazione della Giunta regionale 13 marzo 2020, n. 21-1132 D.P.C.M. 10 marzo 2020, Indicazioni di dettaglio per i servizi sociali durante l’emergenza del virus Covid-19, pubblicata su BU13S3, 26 marzo 2020.

 

8 Sempre per contrastare e contenere la diffusione del virus Covid-19 negli ambienti delle Residenze Sanitarie Assistenziali, la Regione ha adottato il Protocollo d’intesa fra unità di crisi -regione Piemonte, Prefetture, Città metropolitane, province del Piemonte: ulteriori misure di contenimento Covid-19 e indicazioni operative sull’assistenza territoriale e nelle strutture assistenziali i e socio sanitarie, ivi comprese le RSA, che costituisce le linee guida operative in cui è recepita la delibera in commento, reperibile sul sito https://www.regione.piemonte.it/web/sites/default/files/media/documenti/2020-03/protocollo_rsa.pdf

 

9 Sul rito cautelare emergenziale, si veda, F. Saitta, Sulla decisione di prevedere una tutela cautelare monocratica ex officio nell’emergenza epidemiologica da Covid-19: chi? come? ma soprattutto, perché?, in federalismi.it 2020; C. Saltelli, Note sulla tutela cautelare dell’art. 84 del d.l. 27 marzo 2020 n. 18, in www.giustizia-amministrativa 2020; M. A. Sandulli, Sugli effetti pratici dell’applicazione dell’art. 84 d.l. n. 18 del 2020 in tema di tutela cautelare: l’incertezza del Consiglio di Stato sull’appellabilità dei decreti monocratici, in federalismi.it 2020. Per un’analisi sulle misure straordinarie per il processo amministrativo, si veda R. De Nictolis, Il Processo amministrativo ai tempi della pandemia, in «Osservatorio Emergenza Covid-19», paper del 15 aprile 2020, in federalismi.it, F. Francario, L’emergenza Coronavirus e la “cura” per la giustizia amministrativa. Le nuove disposizioni straordinarie per il processo amministrativo in «Osservatorio emergenza Covid-19»,paper23 marzo 2020, in federalismi.it, S.Tarullo, Contradditorio orale e bilanciamento presidenziale. Prime osservazioni sull’art. 4 del D.L. n. 28 del 2020, in federalismi.it.

 

10 Così Cassazione penale sez. VI, 09 novembre 2017, n.2691 in ilpenalista.it 28 febbraio 2018, (nota di: Coppola Irene). La Cassazione ha così definito professioni protette in occasione dell’accertamento della sussistenza del “delitto di esercizio abusivo della professione qualora un chirurgo, pur altamente specializzato in odontostomatologia, chirurgia orale e implantologia, eserciti quale odontoiatra, senza aver tuttavia conseguito l’abilitazione richiesta, ed essere pertanto iscritto nel relativo Albo”.

 

11 L’art. 1737, comma 6, del d.lgs. del 15.3.2010, n. 66 (Codice dell’Ordinamento Militare), con riferimento alle infermiere volontarie, ha stabilito che “il personale in possesso del diploma, equivalente all’attestato di qualifica di operatore socio-sanitario specializzato, esclusivamente nell’ambito dei servizi resi, nell’assolvimento dei compiti propri delle Forze Armate e della Croce Rossa Italiana, è abilitato a prestare servizio di emergenza e assistenza sanitaria con le funzioni e attività proprie della professione infermieristica”. Tale disposizione è frutto di un riassetto normativo, in quanto riproduce il contenuto dell’art. 3, comma 10, legge 3 agosto 2009, n. 108 (Proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali), abrogato dall’art. 2268, comma 1 n. 1081, del citato d.lgs. n. 66/2010. Trattandosi di norma speciale, non ne è ammissibile l’applicazione a fattispecie non previste.

 

12 Consiglio di Stato, sez. III, 29/11/2018, n. 6803 in www.giustizia-amministrativa.it con riferimento proprio alla formazione per acquisire il titolo di OSS si è precisato che “la formazione sottesa al diploma di Infermiera volontaria non soddisferebbe interamente i contenuti formativi attinenti all’area sociale, richiesti dal citato Accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2001 per l’acquisizione della qualifica di OSS; ne deriva che le infermiere volontarie della CRI, per poter partecipare ai concorsi per il reclutamento degli OSS, devono imprescindibilmente compensare tale carenza formativa nell’area sociale, attraverso un percorso finalizzato al conseguimento del relativo titolo”.

 

13 Per un’analisi sulle modalità di gestione dei servizi sociali, si veda E. Caruso, L’evoluzione dei servizi sociali alla persona nell’ordinamento interno ed europeo, in «Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario», fasc.5, 1° ottobre 2017, p. 1115.

 

14 La giurisprudenza ha sul punto chiarito che “l’accreditamento si riferisce esclusivamente alla struttura in quanto sia dotata (o meno) degli standards necessari per assicurare, come visto, per un verso, effettivamente al cittadino l’esercizio del diritto dl libera scelta della struttura a cui rivolgersi e, per altro, verso quel regime di concorrenzialità tra strutture pubbliche e private in modo da garantire nel miglio modo possibile alla qualità del servizi sanitari effettivamente prestati” (Consiglio di Stato, sez IV, 9 dicembre 2002, n. 6693 in Ragiusan 2003, 227-8, 53 che ha precisato come il regime di convenzionamento fosse diverso da quello attuale di accreditamento, poiché sì il prevedente riguardava necessariamente gli amministratori delle strutture private ma l’attuale la struttura).

 

15 In Piemonte, l’applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenzaall’area dell’integrazione sociosanitariaè stata disciplinata dalla D.G.R. 23.12.2003, n. 51-11389, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte n. 53 del 31 dicembre 2003.

 

16 Si ricorda sulla tematica la deliberazione della Giunta regionale Piemonte 14 settembre 2009, n. 25-12129 Requisiti e procedure per l’accreditamento istituzionale delle strutture socio sanitarie in Regione Piemonte – Bollettino Ufficiale – Supplemento n. 2 del 17/09/09 al n. 37 del 17/09/09, quale viene definito il “processo di accreditamento di tutte le strutture residenziali e semiresidenziali che operano nell’area dell’integrazione socio-sanitaria”, vale a dire i presidi ospitanti soggetti anziani, disabili, minori ed eroganti prestazioni assistenziali e sanitarie in regime di convenzione con il sistema pubblico e che, quindi, in tale contesto vengono remunerate dal Servizio Sanitario Regionale per le prestazioni a rilievo sanitario.

 

17 T.A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 05/07/2018, n. n.7447 in www.giustizia-amministrativa.it che si è occupato di un caso che ha visto l’Istituto ricorrente contestare la legittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui ha stabilito – nell’ambito dei requisiti relativi al personale indispensabili ai fini del rilascio dell’accreditamento per le strutture sociosanitarie residenziali sia assistenziali sia riabilitative, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lettera b) della l.r. 4/2003 – che il personale avente qualifica di infermiere, educatore professionale, fisioterapista, tecnico sanitario e operatore sociosanitario o figura equivalente o dedicata ai servizi alla persona, deve avere con il soggetto gestore della struttura un rapporto di lavoro di dipendenza regolato dal C.C.N.L. sottoscritto dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative nel settore sanitario.

 

18 Come definite dal D.P.C.M. 14 febbraio 2001 Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie, che prevede che possano essere erogate a seconda del bisogno anche in strutture residenziali e semi-residenziali.

 

19 Nel nuovo D.P.C.M. 12 gennaio 2017 non solo vengono indicate le categorie di cittadini a cui è garantita l’assistenza sociosanitaria, ma vengono anche descritti gli ambiti di attività e i regimi assistenziali (domicilio, residenza, centro diurno) nei quali sono erogate le prestazioni sanitarie (mediche, infermieristiche, psicologiche, riabilitative, ecc.), integrate con le prestazioni sociali. A seconda delle specifiche condizioni della persona, della gravità e della modificabilità delle sue condizioni, della severità dei sintomi, ecc., le prestazioni potranno essere erogate in forma intensiva o estensiva, oppure mirare al semplice mantenimento dello stato di salute della persona e delle sue capacità funzionali.

 

20 Sulla riforma delle professioni sanitarie, si veda M. Caputo, La qualifica di esercente una professione sanitaria dopo le recenti riforme: profili penali, scenari futuri. The healthcare practitioners status after the recent reforms: penal aspects, future scenarios, in «Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in campo sanitario)», fasc.4, 1° agosto 2018, p. 1363.