Il responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza negli enti locali

Elisa Bellomo[1]

Sommario: 1. Alcuni elementi di peculiarità nell’attuazione della politica di prevenzione della corruzione negli enti locali. 2. Sulla scelta del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) negli enti locali: dirigente apicale o segretario comunale. 3. Segretario comunale: cenno sulla tenuta dello spoil system in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale. 4. Spunti conclusivi.

 

1. Alcuni elementi di peculiarità nell’attuazione della politica di prevenzione della corruzione negli enti locali.

 

1. La disciplina della prevenzione della corruzione, enucleata dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, delinea alcune soluzioni per l’adattamento agli enti locali del complesso sistema di contrasto al fenomeno corruttivo, al fine di rendere lo strumento della pianificazione e gestione del rischio di corruzione modellabile sulle diverse e peculiari soluzioni organizzative degli enti locali[2].

In primo luogo, stante l’incidenza delle previsioni contenute nella l. n. 190/2012 sulla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento di funzioni attribuite agli enti locali, il legislatore ha espressamente previsto la necessaria previa intesa, in sede di Conferenza unificata Stato – Regioni, su alcuni aspetti della riforma riguardanti le modalità di attuazione della politica anticorruzione, al fine di scongiurare un illegittimo scavalcamento di potere da parte dello Stato[3].

È stata invece prevista l’applicazione diretta delle disposizioni più strettamente afferenti alla disciplina del Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), anche nei confronti delle regioni, degli enti locali e dei soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo come si può leggere nella disposizione di cui all’art. 1 dell’intesa, siglata in data 24 luglio 2013[4].

L’intesa ha altresì stabilito gli adempimenti di competenza di regioni, province (comprese quelle autonome di Trento e Bolzano), comuni e comunità montane, volti a dare attuazione ai decreti previsti dalla legge “anticorruzione”, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33[5], d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39[6], d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62[7]. Gli enti locali hanno quindi attuato le disposizioni nazionali di prevenzione della corruzione con particolare riguardo a tre temi centrali: l’approvazione del piano triennale anticorruzione; l’individuazione di situazioni di conflitto di interesse e di incompatibilità; l’adozione del codice di comportamento interno, che include misure di prevenzione della corruzione la cui violazione può comportare responsabilità disciplinare in capo al dipendente.

2. La pianificazione della prevenzione della corruzione è così stata estesa anche agli enti locali, al fine di creare una rete capillare di contrasto ai diversi fenomeni di maladministration[8] e di gestione inefficace e inefficiente delle risorse pubbliche, quale conseguenza di fenomeni corruttivi.

Mediante l’adozione di Piani Triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza (PTPC), gli enti locali sono infatti protagonisti attivi nell’attuazione, a livello decentrato, del Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), predisposto da ANAC[9] sulla base delle indicazioni fornite dal Dipartimento per la Funzione Pubblica[10].

Il PNA, di durata triennale e aggiornato annualmente, a livello centrale contiene gli obiettivi per lo sviluppo della strategia di prevenzione della corruzione, e fornisce indirizzi e supporto per le pubbliche amministrazioni, ai fini dell’adozione dei propri PTPC.

Quanto ai soggetti di cui all’articolo 2-bis, c. 2, del d. lgs.14 marzo 2013, n. 33[11], il PNA fornisce indicazioni ai fini dell’adozione di misure di prevenzione integrative rispetto a quelle che, per legge, devono essere adottate nel modello privatistico, in base alla “parallela” disciplina societaria, contenuta nel decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”.

Seppur nel rispetto delle strategie decise a livello nazionale, gli enti locali sono chiamati a predisporre dei PTPC che siano adattati e modellati sull’organizzazione dell’ente; l’aggiornamento triennale deve poi essere il frutto del monitoraggio dei risultati conseguiti e del relativo feedback sull’efficacia e sulle modalità di attuazione, a livello decentrato, dei PTPC.

3. Ne consegue che l’efficacia complessiva del sistema nazionale di prevenzione della corruzione, così come previsto dal legislatore, si realizza esclusivamente tramite la complementarietà tra le misure contenute nel PNA, che devono prendere in considerazione le specificità organizzative degli enti locali, e quelle adottate da questi ultimi. La costruzione di una capillare politica di dissuasione e di sanzione rispetto alle diverse manifestazioni del fenomeno corruttivo si fonda proprio su questo proficuo coordinamento: in questo modo può svilupparsi un’azione di contrasto multilivello in cui sono prese in considerazione le peculiarità e specificità di ciascun ente locale, all’interno del quale vengono calate puntuali misure preventive.

Diversamente, laddove i PTPC si limitino a semplici riproduzioni di generalizzate prescrizioni e non contemplino strumenti pensati in relazione alle singole realtà territoriali, gli stessi resterebbero meri adempimenti formali, privi dell’incidenza necessaria a contrastare, nella loro dimensione concreta, i fenomeni di maladministration che si insediano nelle maglie organizzative dell’ente locale[12] insidiandone il corretto funzionamento.

Al fine di creare il necessario coordinamento tra il livello nazionale e quello decentrato di pianificazione delle misure preventive, essenziale per la riuscita complessiva della politica di prevenzione a livello nazionale, la legge n. 190/2012 ha previsto alcuni contenuti minimi essenziali:

–     individuazione all’interno dell’ente non solo dei soggetti che rivestono il ruolo di referente in settori a rischio, ma anche dei nominativi dei dipendenti che operano nelle stesse aree, e dei responsabili dell’attuazione delle misure di prevenzione riferite all’area;

–     l’individuazione delle aree di rischio e la valutazione del grado di rischio relativo a ciascuna attività che si svolge all’interno dell’ente[13];

–     l’indicazione delle misure che devono obbligatoriamente essere previste (e che sono indicate nel PNA)[14] e quelle ulteriori, cosiddette “facoltative”, con specificazione dei rispettivi tempi di attuazione;

–     le modalità di adempimento degli obblighi in materia di trasparenza nei settori a maggior rischio corruttivo;

–     le forme di coordinamento tra PTPC e Piano della Performance.

4. Per quel che riguarda gli enti locali di piccole dimensioni, sono state evidenziate tuttavia eventuali difficoltà nel predisporre il piano per mancanza di personale con competenza specifica, ovvero per l’esistenza di potenziali situazioni di incompatibilità dovute a ragioni organizzative.

Nel contemplare queste possibili criticità, il legislatore ha quindi considerato l’opportunità di svolgere le funzioni di prevenzione della corruzione in forma associata e aggregata, in capo agli enti locali con popolazione inferiore a 15.000 abitanti:

i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti possono aggregarsi per definire in comune, tramite accordi ai sensi dell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il piano triennale per la prevenzione della corruzione, secondo le indicazioni contenute nel Piano nazionale anticorruzione di cui al comma 2-bis” (art. 1, c.6, della l. n. 190/2012).

5. Con analoga ratio, volta a garantire la piena adesione dell’attività di pianificazione triennale alle linee guida nazionali e, in sostanza, l’effettività delle misure anticorruzione nel loro complesso, la parte seconda dell’art. 1, c. 6 della l. n. 190/2012, ha previsto che, “il prefetto, su richiesta, fornisce il necessario supporto tecnico e informativo agli enti locali, anche al fine di assicurare che i piani siano formulati e adottati nel rispetto delle linee guida contenute nel Piano nazionale approvato dalla Commissione”.

La normamira a promuovere forme di collaborazione istituzionale e agevolazioni applicative nella non semplice fase di predisposizione degli strumenti giuridici di programmazione, consentendo un “affiancamento” degli enti locali di minori dimensioni, su temi che richiedono competenze di chiaro stampo manageriale e gestionale.

In questo caso, si tratta del riconoscimento del ruolo di supporto tecnico e informativo, al fine di predisporre la mappatura del rischio e la gestione dello stesso: questo apporto è reso su richiesta dal Prefetto, in qualità di soggetto operante nel circuito collaborativo con ANAC e in ragione della funzione di rappresentanza generale del Governo sul territorio, nonché della consolidata esperienza delle Prefetture stesse nell’attività di contrasto alle diverse forme di illegalità[15].

La collaborazione istituzionale tra Autonomie locali, Prefetture e ANAC, tradotta nel protocollo siglato in data 15 luglio 2014, ha dato luogo all’emanazione delle Linee guida recanti “misure di raccordo volte a garantire il rispetto delle regole in materia di trasparenza ed legalità nella gestione pubblica”[16].

Esse contengono altresì misure per la gestione e il monitoraggio delle imprese coinvolte in procedimenti penali per gravi reati contro la Pubblica Amministrazione[17], costituendo traccia della forma di collaborazione sollecitata dal legislatore.

Concretamente, il Prefetto può fornire all’ente locale informazioni comprensive di dati storici, previsioni, pareri di specialisti, rapporti di organi di polizia, al fine di coadiuvare l’ente nel monitoraggio del contesto sociale di riferimento, nonché un’approfondita disamina della mappatura dei rischi, tenendo conto anche del contesto esterno – sociale in cui l’ente locale è inserito.

Sebbene non espressamente previsto nella l.n.190/21012, si deve tenere presente come alla Prefettura possa essere riconosciuto un ruolo di vigilanza sulla predisposizione tempestiva dei piani da parte degli enti locali: può infatti ritenersi applicabile l’art. 7 del D.P.R. 3 aprile 2006, n. 180, che prevede uno spazio di intervento sostitutivo del Prefetto, fermo restando il potere di ANAC di comminare sanzioni amministrative pecuniarie in caso di omessa adozione del PTPC[18].

6. Per quanto concerne invece gli adempimenti riguardanti la garanzia della trasparenza, previsti dal d.lgs. 33/2013, l’intesa ha disposto che gli enti locali siano assoggettati agli obblighi contemplati dalla stessa, con alcune specificità relativamente a quelli attinenti alla pubblicazione di provvedimenti amministrativi[19]. Si estende agli enti locali la disciplina di cui all’art. 7, c. 7 della l. n. 190/2012, che prevede la nomina di un Responsabile della trasparenza, il quale ben può coincidere con quello della corruzione.

Quest’ultimo è chiamato a svolgere diverse funzioni: di controllo sull’adempimento, da parte dell’amministrazione, degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente; di aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità; di controllo sulla regolare attuazione dell’accesso civico, la cui mancata adozione può comportare l’irrogazione di una sanzione pecuniaria da parte di ANAC[20], oltre che responsabilità di carattere amministrativo perseguibili avanti alla Corte dei Conti. Esso costituisce quindi parte integrante e imprescindibile del PTPC adottato dagli enti locali: va tuttavia rilevato come questi, con massima semplificazione procedimentale, spesso adempiano all’obbligo di comunicazione dello strumento pianificatorio nei confronti della Regione mediante la mera pubblicazione sul proprio sito istituzionale del piano adottato.  

7. Sebbene, come visto, il legislatore abbia immaginato una sorta di adattamento della disciplina anticorruzione alle specifiche caratteristiche ed esigenze degli enti locali, si è registrata una notevole difficoltà per quest’ultimi in sede di applicazione della normativa in oggetto, specialmente per quelli di dimensione inferiore ai 15.000 abitanti. Nell’attività di predisposizione e attuazione della pianificazione in materia di anticorruzione si è venuta a creare una considerevole distanza tra la realtà statale e regionale e quella degli enti locali che, nella prassi, deve necessariamente essere colmata, per garantire la creazione della rete di prevenzione della corruzione a cui il legislatore aspira. In particolare, l’ANAC ha segnalato alcune problematicità nell’attuazione della normativa attinenti ai seguenti aspetti[21]:

–       ridotto coinvolgimento degli Organi di Indirizzo Politico (Giunta e Consiglio);

–       analisi inadeguata del contesto esterno;

–       analisi del contesto interno che non ha consentito una mappatura puntuale dei processi relativi alle aree “obbligatorie” e o “ulteriori”;

–       carente valutazione del rischio a causa della difficoltà di identificare i comportamenti che lo generano;

–       mancata programmazione delle misure generali e assenza di misure specifiche;

–       assenza di efficace coordinamento con il Piano della performance.

Al fine di fornire strumenti utili per affrontare alcune delle sopra elencate problematiche, è meritevole di attenzione il lavoro svolto da ANCI Lombardia, che ha predisposto alcune linee guida[22] operative, rivolte in modo particolare ai comuni di piccole dimensioni, intesi come enti con popolazione inferiore a 15.000 abitanti (come stabilito nel PNA 2016[23]) e alle aggregazioni di Comuni (Unioni, Gestioni associate e Comunità montane) che necessitano di applicare la politica di prevenzione tramite una strategia integrata. In questi casi, si è ipotizzata la nomina di un unico PTPC, che operi per tutti gli enti aderenti o associati, oltre che un’unica nomina del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza[24]. Da ANCI Piemonte è stata predisposta una guida per l’applicazione del Piano nazionale anticorruzione 2018, che indica alcuni strumenti per rendere meno gravosi i “moltissimi adempimenti burocratici imposti dal sistema anticorruzione”[25]. Una prima semplificazione riguarda l’adozione annuale del piano di prevenzione della corruzione, che, ricorda ANCI, in forza dell’interpretazione fornita da ANAC in sede di aggiornamento 2018 al PNA, è possibile solamente evidenziando “l’assenza di fatti corruttivi o ipotesi di disfunzioni amministrative nel corso dell’anno”; gli obblighi di pubblicazione potranno inoltre essere adempiuti tramite collegamenti e link diretti; infine, i comuni di piccole dimensioni potranno pubblicare in via semplificata l’organigramma, limitandosi a indicare recapiti e caselle di posta.

 

2. Sulla scelta del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza negli enti locali: dirigente apicale o segretario comunale.

1. L’architettura della politica di prevenzione della corruzione, oltre a fondarsi sulla pianificazione e gestione del rischio, focalizza compiti e responsabilità prevalentemente in capo a un unico soggetto: il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (di seguito “RPCT” o responsabile).

Agli organi di indirizzo delle amministrazioni compete quindi la valutazione in ordine alla scelta del responsabile, compatibilmente con i vincoli posti dal legislatore in materia di dotazione organica e in relazione alle caratteristiche strutturali dell’ente[26]. La nomina di un dipendente privo di qualifica dirigenziale deve essere adeguatamente motivata con riferimento alle caratteristiche dimensionali e organizzative dell’ente: in ogni caso si deve prediligere chi può garantire un’adeguata conoscenza della struttura interna e del funzionamento dell’amministrazione; inoltre, egli non deve trovarsi in una posizione di conflitto di interessi né essere funzionalmente incardinato nei settori più esposti a corruzione (per esempio ufficio contratti, patrimonio), né essere stato assoggettato a provvedimenti di carattere penale o disciplinare.

Il Responsabile, oltre ad elaborare il piano, dovrà aggiornarlo. Inoltre, è tenuto a segnalare all’organo di indirizzo e all’organismo indipendente di valutazione qualsiasi disfunzione relativa all’applicazione della normativa in materia, e a indicare agli organi preposti alla comminazione di sanzioni disciplinari i nominativi dei dipendenti inadempienti agli obblighi descritti nel piano. Al responsabile spetta altresì la definizione delle procedure per la selezione e formazione dei dipendenti destinati a operare in settori particolarmente esposti alla corruzione. Il responsabile deve, infine, verificare l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività maggiormente a rischio di infiltrazioni corruttive, nonché assicurarsi che nell’amministrazione siano rispettate le disposizioni del d.lgs. 39/2013 sulla inconferibilità e incompatibilità degli incarichi.

Egli dovrà dare conto di tutte le attività svolte riferendo all’organo di indirizzo politico, trasmettendogli una relazione riassuntiva, pubblicata sul sito web dell’amministrazione.

Un ulteriore compito è affidato al responsabile dal c. 5 dell’art. 6 del decreto del Ministero dell’Interno del 25 settembre 2015, recante “determinazione degli indicatori di anomalia al fine di agevolare l’individuazione di operazioni sospette di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo da parte degli uffici della pubblica amministrazione” che prevede che: “la persona individuata come gestore può coincidere con il responsabile della prevenzione della corruzione previsto dall’art. 1, c. 7, della l. n. 190/2012. Nel caso in cui tali soggetti non coincidano, gli operatori prevedono adeguati meccanismi di coordinamento tra i medesimi”.

La previsione sottende una sorta di logica di continuità esistente fra presidi anticorruzione e misure di prevenzione del riciclaggio, ai fini di contrasto della corruzione. In questo modo, in capo al RPCT sono concentrate le responsabilità sulle politiche di prevenzione della corruzione, di promozione della trasparenza e di contrasto al riciclaggio.

Lo stretto legame tra organo di indirizzo e responsabile, dunque, non è circoscritto al solo momento della nomina, bensì si estende ai passaggi volti a prevedere e controllare l’attuazione delle previsioni del piano, che, di fatto, contiene gli impegni di politica rientranti nel mandato elettorale.

Le tipologie di compiti affidati al responsabile richiedono che egli possa svolgere in autonomia il proprio ruolo: per questo il legislatore, con l’art. 41 del d.lgs. 97/2016, ha previsto che sia lo stesso organo di indirizzo politico a disporre “eventuali modifiche organizzative necessarie per assicurare funzioni e poteri idonei”. Si auspica che egli possa effettivamente contare su una struttura di supporto adeguata per qualità di personale e per mezzi tecnici; tuttavia, a parere di chi scrive, la previsione astrattamente condivisibile nei fini potrebbe scontrarsi con concrete problematiche organizzative, soprattutto negli enti locali di piccole dimensioni, comportando, di fatto, un potenziale isolamento della figura.

Ciò comporterebbe un indebolimento dell’impianto della riforma. Onde evitare che la previsione rimanga sulla carta, quand’anche non vi fosse una struttura appositamente creata a supporto del responsabile, la sfera di incisione dell’attività del responsabile nell’ente potrebbe essere rafforzata grazie all’emanazione di appositi atti organizzativi, che consentano allo stesso di avvalersi del personale di altri uffici che si occupano della funzionalità dell’amministrazione (si pensi, ad esempio, a coloro che si occupano della redazione di atti sottoposti a controllo interno, alle strutture di audit, e a quelle che predispongono il piano della performance).

Il responsabile può effettivamente essere organo di propulsione di politica attiva di prevenzione della corruzione se inserito in una logica di collaborazione con gli altri soggetti legislativamente deputati allo scopo: un esempio può essere dato dai dirigenti di uffici dirigenziali generali che hanno il compito di concorrere alla definizione di misure idonee a prevenire e a contrastare i fenomeni di corruzione, fornendo informazioni necessarie per l’individuazione delle attività nelle quali è più elevato il rischio corruttivo, e provvedendo al loro monitoraggio[27].

2. La rilevanza del ruolo assunto dall’RPCT all’interno dell’ente si traduce, sotto il profilo della responsabilità, in una notevole “esposizione” in capo al medesimo.

L’art. 1, c.12, della l. n.190/2012, recita testualmente:

In caso di ripetute violazioni delle misure di prevenzione previste dal Piano, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo risponde ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all’immagine della pubblica amministrazione, salvo che provi tutte le seguenti circostanze: a) di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano di cui al comma 5 e di aver osservato le prescrizioni di cui ai commi 9[28] e 10[29] del presente articolo; b) di avere vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del piano”.

Accanto alla responsabilità sopra delineata ne è prevista una disciplinare in capo ai dipendenti dell’amministrazione: “La violazione, da parte dei dipendenti dell’amministrazione, delle misure di prevenzione previste dal Piano costituisce illecito disciplinare. Entro il 15 dicembre di ogni anno, il dirigente individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo trasmette all’organismo indipendente di valutazione e all’organo di indirizzo dell’amministrazione una relazione recante i risultati dell’attività svolta e la pubblica nel sito web dell’amministrazione. Nei casi in cui l’organo di indirizzo lo richieda o qualora il dirigente responsabile lo ritenga opportuno, quest’ultimo riferisce sull’attività”.

Quindi è prevista una responsabilità dirigenziale, disciplinare ed erariale per una condotta sostanzialmente omissiva (“salvo che…”). Sussiste infatti la responsabilità dirigenziale, ove ricorrano ripetute violazioni del PTCP, e quella disciplinare per omesso controllo, se il responsabile non prova di avere comunicato agli uffici le misure da adottare e le relative modalità, e di aver vigilato sull’osservanza del piano. I dirigenti, pertanto, rispondono per la mancata attuazione delle misure di prevenzione della corruzione, ove il responsabile dimostri di avere effettuato le dovute comunicazioni agli uffici e di avere vigilato sull’osservanza del piano. Resta immutata, in capo al responsabile, la responsabilità di tipo dirigenziale disciplinare, per danno erariale e all’immagine della pubblica amministrazione in caso di commissione di un reato di corruzione, accertato con sentenza passata in giudicato, all’interno dell’amministrazione.

Infatti, il c.12 della l. n. 190/2012 dispone che: “In caso di commissione, all’interno dell’amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo risponde ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all’immagine della pubblica amministrazione, salvo che provi tutte le seguenti circostanze:

a) di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano di cui al comma 5 e di aver osservato le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo;

b) di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del piano[30].

La responsabilità sopra citata può qualificarsi come “aggravata”, rispetto alla quale sono state formulate forti censure, considerando l’anomalia della sua ricollegabilità a condotte di terzi, e rilevando la dubbia ammissibilità e costituzionalità di una responsabilità di carattere sostanzialmente oggettivo, che stride con i principi di personalità della responsabilità amministrativa.

È altresì prevista una responsabilità per ipotesi di omissione degli obblighi di pubblicazione dall’art. 46 del d.lgs. 33/2013, che prevede espressamente che “l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso civico, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 5-bis, costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili

(a seguito di modifica apportata dall’art. 37 del d.lgs. n. 97 del 2016) salvo che il responsabile provi “che tale inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile”.

La dottrina si è interrogata se la responsabilità omissiva, relativamente a entrambe le tipologie di sopra esplicitate, costituisca una nuova forma tipizzata di responsabilità amministrativa o se, piuttosto, possa continuare ad appartenere alla voce “danno da disservizio” annoverato tra le figure di danno erariale[31]. Sostanzialmente, infatti, il danno patrimoniale da disservizio è una sottospecie del danno erariale, che si registra quando si sia verificato o un “un esercizio illecito di pubbliche funzioni” o “una mancata resa della prestazione dovuta al pubblico dipendente”, o, ancora, un “mancato conseguimento della legalità, efficienza, efficacia, economicità e produttività dell’azione della p.a., per via della disorganizzazione del rispettivo servizio dovuta alla condotta commissiva ed omissiva, connotata da dolo o colpa grave, del pubblico dipendente” (Sez. giur. Puglia, n. 261/2012; Sez. giur. Umbria, n. 371/2004; Sez. giur. Veneto, n. 866/2005).

Indipendentemente dalla qualificazione formale delle responsabilità in capo al responsabile, è evidente come esse diano conto del peso e del ruolo che il legislatore affida allo stesso nell’attuazione, a livello decentrato, della politica di prevenzione della corruzione.

3. Passando ora a trattare più propriamente della nomina dell’RPCT negli enti locali, l’analisi non può che prendere le mosse dalla lettura del dato normativo. L’art. 1, c. 7 della l. n. 190/2012 prevede espressamente che il “Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza è individuato, di norma, nel segretario o nel dirigente apicale, salva diversa e motivata determinazione. Nelle unioni di comuni, può essere nominato un unico responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza […]”.

Prima ancora di trattare dell’alternativa contemplata dal legislatore nella scelta del responsabile tra segretario e dirigente apicale, occorre per brevi cenni ripercorrere il dibattito che si è aperto intorno all’organo politico titolare della competenza alla nomina del detto responsabile. Sebbene la l. n. 190/2012 abbia espressamente previsto che sia il Consiglio comunale o provinciale competente alla nomina, la più attenta dottrina ha infatti intravisto in tale previsione un contrasto con la previsione generale contenuta nell’art. 42 del d.lgs. 267/2000 (TUEL).

Gli artt. 50 e 97 del TUEL riservano infatti al Sindaco e al Presidente della provincia la prerogativa di “individuazione e nomina dei responsabili degli uffici e dei servizi nonché quella di conferire al Segretario comunale o provinciale ogni altra funzione non prevista dallo statuto o dai regolamenti”.

Nel tentativo di dipanare tale apparente contrasto normativo va richiamata la soluzione interpretativa indicata dalla CIVIT, con determinazione n. 15 del 13 marzo 2013. Quest’ultima ha dato conto che tra i poteri affidati agli organi rappresentativi degli enti locali non rientrano quelli di nomina, essendo specificamente affidati al Sindaco o al Presidente della Provincia: ai sensi dell’art. 50 del TUEL sono infatti loro che provvedono alla nomina dei responsabili degli uffici e dei servizi[32] nell’ambito del più generale potere di indirizzo politico amministrativo di definizioni di obiettivi e programmi, in qualità di responsabili dell’amministrazione del comune e rappresentante dell’ente.

3. Come visto, il c. 7 dell’art. 1 della l. n. 190/2012 prevede espressamente che “Negli enti locali, il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza è individuato, di norma, nel segretario o nel dirigente apicale, salva diversa e motivata determinazione”. La versione in vigore è frutto della modifica apportata dall’art. 41 del d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 recante “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

Il d.lgs. 97/2016 è uno dei decreti di attuazione previsti dalla legge 7 agosto 2015, n. 124 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” (c.d. Legge Madia)[33].

Il d.lgs. 97/2016 contiene la sola menzione della figura di dirigente apicale mentre la disciplina è contenuta  nell’art. 11 della cosiddetta legge Madia[34].

Tuttavia, la riforma della dirigenza pubblica non è entrata in vigore, a differenza del d.lgs. 97/2016 rendendo cogente la previsione che prevede la figura del dirigente apicale nell’articolo della legge n. 190/2012 (qui in commento). La riforma della dirigenza pubblica, di cui all’art. 11 della l. n. 124/2015, è stata bloccata dell’arresto da parte della Corte Costituzionale n. 251/2016. Come noto, la Corte Costituzionale, con la richiamata pronuncia, ha infatti dichiarato incostituzionale alcune disposizioni contenute nella Legge Madia (l. n. 124/2015), in ragione del fatto che la delega avesse previsto solo il “parere” e non l’“intesa” con le Regioni, in relazione, in particolare, a cinque decreti legislativi di attuazione: servizi pubblici, dirigenza, dirigenza sanitaria, licenziamento disciplinare, società partecipate. I primi due non sono stati più adottati, mentre i restanti tre erano già in vigore al momento della pronuncia[35].

La Corte ha, infatti, dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art.11, comma 1, lettere a), b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g), h), i), l), m), n), o), p) e q), e comma 2, della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui prevede che i decreti legislativi attuativi siano adottati previa acquisizione del parere reso in sede di Conferenza unificata, anziché previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni)”.

Come segnalato dalla dottrina la decadenza della delega, in relazione alla materia della dirigenza, ha consentito il mantenimento della figura del segretario comunale che “negli enti con popolazione superiore a 100.000 abitanti continuerà a convivere con la figura del direttore generale, una delle poche figure, quest’ultima non toccata dalla legge di riforma sulla dirigenza pubblica”[36].

Ne sono conseguite la mancata soppressione della figura del segretario comunale, e l’introduzione della “doppia possibilità di scelta” di individuare il responsabile nel dirigente apicale o nel segretario comunale.

Tuttavia, sono sorte interpretazioni critiche riguardo l’introduzione della figura del dirigente apicale come una sorta di anticipazione della riforma della dirigenza che sarebbe dovuta entrare in vigore nei mesi successivi: l’inserimento del dirigente apicale è stata interpretato come espressione della volontà del legislatore di scardinare anticipatamente il tradizionale impianto organizzativo dell’ente che ruotava intorno alla figura del segretario comunale. La nuova figura organizzativa è stata così qualificata come una “new entry che dovrebbe sostituire i segretari comunali” rappresentando “un’accelerazione dei tempi per dare subito ingresso al dirigente apicale, anche nelle more del completamento della riforma della dirigenza”[37].

In assenza dell’attuazione della delega riguardante la dirigenza in sede locale, la figura del dirigente apicale appare di incerta individuazione. In tale contesto, posto l’arresto della Consulta non ha tuttavia scalfito il ruolo svolto dal segretario comunale, lo stesso risulta ordinariamente individuabile quale destinatario della nomina a responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, in particolare negli enti locali di piccole dimensioni. Per quanto concerne, invece, gli enti locali di maggiori dimensioni, se non si volesse svuotare del tutto significato la figura del “dirigente apicale”, coniata dal legislatore in attesa della riforma non attuata, si potrebbe interpretare l’espressione come dirigente in “posizione apicale”, cui può essere affidato il compito di responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.

 

3. Segretario comunale: cenno sulla tenuta dello spoil system in attesa del pronunciamento della Corte costituzionale.

1. Sebbene, come visto, il c. 7 dell’art. 1 della legge 190/2012 preveda che negli enti locali, di norma, l’RPCT sia individuato nel segretario o nel dirigente apicale, salvo diversa e motivata determinazione, nella prassi la nomina del segretario è estremamente comune per ragioni organizzative dell’ente.

Ai sensi dell’art. 97 del TUEL il segretario comunale e provinciale svolge sia funzioni di assistenza e consulenza giuridica nei confronti degli organi dell’ente, con riguardo alla conformità dell’azione amministrativa, sia funzioni gestionali, nell’ipotesi in cui difetti la figura del Dirigente e altre funzioni attribuite dallo Statuto e regolamenti dell’ente, o con deliberazione del Sindaco o del Presidente. A tal proposito egli non rientra nel novero dei dirigenti dell’amministrazione, come confermato altresì dal c.4 lett. d) dell’art. 97 TUEL, che ipotizza l’affidamento al Segretario comunale e provinciale di competenze dirigenziali limitate e pur sempre legate a esigenze eccezionali e transeunti[38].

La disposizione è frutto della modifica apportata con legge 127/1997 (Legge Bassani bis) che ha reso il Segretario comunale e provinciale non più dipendente dello Stato (come era con l. n. 142/1990) bensì dell’Agenzia autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari comunali e provinciali (AGES).

Lo stesso è iscritto all’Albo da cui il Sindaco e il Presidente della provincia traggono un nominativo: egli dipende dunque funzionalmente dall’organo politico.

Il segretario, di regola, rimane in carica per un tempo coincidente con la durata dell’incarico dell’organo di indirizzo dell’ente, o per minor tempo, se l’incarico è avvenuto in pendenza di un mandato in corso di espletamento, o se il mandato dell’organo politico che lo ha nominato cessa prima della scadenza prevista per legge. Il segretario comunale o provinciale può essere revocato, ma solo con finalità sanzionatorie connesse all’inosservanza dei doveri d’ufficio, previa apposita delibera da parte della Giunta. L’art. 1, c. 82, della l. n. 190/2012 prevede una sorta di formula di garanzia, disponendo che il Prefetto comunichi il provvedimento di revoca del Segretario all’ANAC, che deve esprimersi entro trenta giorni, decorsi i quali la revoca diventa efficace (salvo che non si rilevi che l’operato del Segretario è avvenuto a garanzia della legalità dell’azione amministrativa dell’ente).

Anche relativamente alla figura del Segretario comunale e provinciale ci si interroga sullo spazio effettivo di autonomia riconosciutogli rispetto all’organo che lo ha nominato, con cui può liberamente svolgere i difficili compiti che gli sono affidati in materia di anticorruzione (pena incorrere in responsabilità).

A tale proposito, merita fare un cenno ai dubbi circa la compatibilità costituzionale della previsione di decadenza automatica dall’incarico del Segretario comunale (derivante da una dinamica di cosiddetto spoil system). La facoltà riconosciuta alla maggioranza politica uscita vittoriosa nella competizione elettorale di collocare persone di fiducia nei posti chiave dell’apparato pubblico – con particolare riguardo alla figura del segretario comunale – è stata infatti oggetto di ordinanza di rimessione, n. 39 dell’11 settembre 2017, del Tribunale di Brescia, sezione lavoro, alla Corte Costituzionale.

La questione di costituzionalità dell’art. 99 commi 1, 2, e 3 del d. lgs. 267/2000 per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. è stata sollevata dal giudice a quo nell’ambito di un giudizio intentato da un Segretario comunale rimosso a seguito di cambio di amministrazione conseguente a tornata elettorale.

L’art. 99 TUEL prevede espressamente che: “1. Il sindaco e il presidente della provincia nominano il segretario, che dipende funzionalmente dal capo dell’amministrazione, scegliendolo tra gli iscritti all’albo di cui all’articolo 98. 2. Salvo quanto disposto dall’articolo 100, la nomina ha durata corrispondente a quella del mandato del sindaco o del presidente della provincia che lo ha nominato. Il segretario cessa automaticamente dall’incarico con la cessazione del mandato del sindaco e del presidente della provincia, continuando ad esercitare le funzioni sino alla nomina del nuovo segretario. 3. La nomina è disposta non prima di sessanta giorni e non oltre centoventi giorni dalla data di insediamento del sindaco e del presidente della provincia, decorsi i quali il segretario è confermato”.

Il giudice rimettente ha ritenuto che l’art. 99 TUEL, nella parte in cui prevede che il termine per la durata dell’incarico di Segretario comunale combaci con quella del mandato amministrativo del sindaco che lo nomina, si porrebbe in contrasto con i principi di correttezza e imparzialità dell’azione amministrativa, di cui all’artt. 3 e 97 Cost., atti a garantire la tutela del canone di separazione tra politica e amministrazione, ledendo in particolare il correlato principio di continuità dell’azione amministrativa.

Il giudice ha affermato che, relativamente al Segretario comunale, la questione afferente alla violazione dell’art. 97 Cost. “non è manifestamente infondata in considerazione delle funzioni di controllo via via assegnate al Segretario Comunale dalle nuove disposizioni di legge del settore (segnatamente la legge 190/2012 in tema di prevenzione e repressione della corruzione) e del suo ruolo generale di garante della conformità legale, statutaria e regolamentare degli atti dell’ente”.

In considerazione, quindi, della titolarità di funzioni di natura tecnico professionale, gestionale e consultiva e della sua posizione di garante del rispetto delle leggi e della regolarità dei procedimenti, l’ordinanza afferma: “non pare che il Segretario comunale rientri nelle figure alle quali, alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in materia (sentenza Corte Costituzionale, n. 20 del 2016), possano applicarsi meccanismi di decadenza automatica senza violare i principi di cui all’art. 97 Cost.”; e ancora, “sicché non pare conforme ai principi enucleati dall’art. 97 Cost. che il soggetto deputato a tale ruolo possa essere nominato dal soggetto politico i cui atti egli è chiamato a vagliare e venga posto, altresì, alle dipendente funzionali dello stesso”.

Si attende così la rilevante pronuncia della Corte costituzionale, che nell’udienza dell’8 gennaio 2019 ha esaminato la questione sopra delineata.

Essa rappresenterà, certamente, un ulteriore tassello che si aggiunge al ragionamento che attiene alla disamina sulla concreta attuazione di quella sfera di autonomia e indipendenza richiesta espressamente dal legislatore in capo al responsabile della prevenzione della corruzione.

 

4. Spunti conclusivi.

Se a monte la politica di prevenzione della corruzione denota la predisposizione di una rete di azioni preventive e di contrasto al fenomeno corruttivo, è a valle che il sistema pare evidenziare fragilità, posto che il momento del controllo e del monitoraggio dell’attuazione della pianificazione è affidato – a mio avviso- in misura eccessiva e non congrua sostanzialmente in capo al solo Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.

Stante le rilevanti responsabilità previste dal legislatore, è ancor più significativa la previsione contenuta al c. 6 dell’art. 1 della l. n. 190/2012, secondo cui egli deve poter svolgere il proprio incarico con “piena autonomia ed effettività” (art. 1, c. 7, della l. n. 190/2012).

Tuttavia, come si è visto, per il Segretario comunale e provinciale sussiste un vincolo stretto e fiduciario con l’organo di indirizzo politico che, certamente, incide nel momento di nomina, ma che può altresì influire nella fase successiva di controllo dell’attuazione delle misure contenute nel piano; controllo che, indirettamente, non può che coinvolgere lo stesso operato degli organi di governo degli enti locali.

Da ciò consegue, a parere di chi scrive, che la normativa anticorruzione non affronta un problema rilevante: la difficoltà concreta nel ritagliare un’adeguata sfera di autonomia in capo all’RPCT, correlata a una fumosa partecipazione degli organi di governo nella fase di attuazione della politica corruttiva.

Si ritiene che l’osservanza delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, piuttosto che essere lasciata al mero accentramento delle responsabilità in capo al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, sarebbe tanto più stringente laddove gli impegni assunti dall’organo di indirizzo politico si traducessero in elementi compenetrati nella programmazione strategico-gestionale dell’ente. Questo permetterebbe un più pregnante controllo da parte della Corte dei Conti, il quale costituisce il momento di raccordo tra controlli interni, di competenza degli enti locali, ed esterni, di competenza dell’Istituzione costituzionalmente preposta a questa funzione.


 


[1] Dottoranda di ricerca presso Università degli Studi del Piemonte Orientale.

 

[2] Per una trattazione sull’argomento Gioffrè G.’, Brevi note in materia di corruzione, illegalità e trasparenza degli enti locali alla luce della legge c.d. anticorruzione, in Rivista trimestrale delle amministrazioni, 2012, pp. 149-163.

 

[3] Conferenza unificata di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 cui è affidato il compito di definire gli adempimenti, con l’indicazione dei relativi termini, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali, nonché degli enti pubblici e dei soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo.

 

[4] La disposizione in argomento prevede che “resta ferma l’applicazione immediata delle disposizioni legislative e delle indicazioni del Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.), anche nei confronti delle regioni, degli enti locali, degli enti pubblici e dei soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo, per quanto non previsto nella presente intesa…”.

 

[5] Recante “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”.

 

[6] Recante “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190”.  È così stata prevista l’adozione, da parte di ciascuna amministrazione, di norme regolamentari relative all’individuazione degli incarichi vietati ai dipendenti pubblici di cui all’articolo 53, co. 3-bis, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che prevede “Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti emanati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri interessati, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sono individuati, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2”.

 

[7] Recante “Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”. Ai sensi del co.5 dell’art.54 di siffatto decreto legislativo, fermo restando il codice di comportamento dei dipendenti pubblici delle pubbliche amministrazioni contemplato dal co. 1 dell’art. 54, “ciascuna pubblica amministrazione definisce, con procedura aperta alla partecipazione e previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione, un proprio codice di comportamento che integra e specifica il codice di comportamento di cui al comma 1. Al codice di comportamento di cui al presente comma si applicano le disposizioni del comma 3. A tali fini, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) definisce criteri, linee guida e modelli uniformi per singoli settori o tipologie di amministrazione”.

 

[8] Cassese S., Maladministration e rimedi (Relazione al Convegno dell’Università commerciale Luigi Bocconi sul tema “Trasparenza amministrativa e riforme istituzionali: proposte per l’Italia in chiave europea”, Milano, 14 luglio 1992, in Foro italiano, fasc. 9, pt. 5, pp. 243-250.

 

[9] Nel rispetto delle previsioni contenute nella  Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione del 2003 e in quella penale sulla corruzione del 1999, la legge n. 190/2012 ha individuato come autorità nazionale anticorruzione la “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche” (c.d. CIVIT) attribuendo alla stessa le funzioni prevenzione e repressione della corruzione e della illegalità nell’ambito della Pubblica Amministrazione in collaborazione il Dipartimento della Funzione Pubblica (alla CIVIT erano attribuite funzioni di rappresentanza istituzionale e di vigilanza sulle misure adottate dalle singole amministrazioni pubbliche, al Dipartimento era riconosciuta attività di regolazione). Con successivo d. l. n. 90/2014, convertito in legge n. 114/2014, il legislatore ha rinominato la Commissione “Autorità Nazionale Anticorruzione” (ANAC) quale fulcro del sistema di prevenzione della corruzione nell’ordinamento italiano. La stessa legge, dopo aver provveduto a sopprimere l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP), ha assegnato all’ANAC anche i compiti e le funzioni in precedenza svolte dall’ente soppresso rendendo la stessa, in sostanza, un unicum nel panorama delle autorità amministrative indipendenti italiane.

 

[10] Il Dipartimento della funzione pubblica, ai sensi dell’art. 4 dell’art. 1 della legge n. 190/2012:

a) coordina l’attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione elaborate a livello nazionale e internazionale;

b) promuove e definisce norme e metodologie comuni per la prevenzione della corruzione, coerenti con gli indirizzi, i programmi e i progetti internazionali;

c) (lettera soppressa dall’art. 41 del d.lgs. n. 97 del 2016);

d) definisce modelli standard delle informazioni e dei dati occorrenti per il conseguimento degli obiettivi previsti dalla presente legge, secondo modalità che consentano la loro gestione e analisi informatizzata;

e) definisce criteri per assicurare la rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti alla corruzione e misure per evitare sovrapposizioni di funzioni e cumuli di incarichi nominativi in capo ai dirigenti pubblici, anche esterni.

 

[11] Si tratta di:

a) enti pubblici economici e ordini professionali;

b) società in controllo pubblico come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera m), del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175. Sono escluse le società quotate come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera p), dello stesso decreto legislativo, nonché le società da esse partecipate, salvo che queste ultime siano, non per il tramite di società quotate, controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche;

c) associazioni, fondazioni e di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche amministrazioni, e in cui la totalità dei titolari o dei componenti dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni.

 

[12] La strategia può fondarsi su: la riduzione delle opportunità che si manifestino casi di corruzione; aumento della capacità di scoprire casi di corruzione; infine la creazione, più in generale, di contesto sfavorevole alla corruzione (così nel Piano triennale di prevenzione della corruzione per gli anni 2017-2018 della regione Piemonte).

 

[13] Trattasi delle aree enucleate al comma 16 dell’art. 1 della legge 190/2012:

a) autorizzazione o concessione;

b) scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;

c) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati;

d) concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all’articolo 24 del citato decreto legislativo n. 150 del 2009.

 

[14] Il PNA prevede che alcune misure di prevenzione debbano essere obbligatoriamente indicate come: attuazione degli obblighi di trasparenza; la previsione di un codice di comportamento; la previsione di rotazione del personale; obbligo di astensione in caso di conflitti di interesse; trasparenza per conferimento di incarichi dirigenziali; incompatibilità specifica per posizioni dirigenziali; formazione; tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito.

 

[15] Bolzon M., Il ruolo di Prefetto nell’attuale sistema Anticorruzione, 2017 in http://culturaprofessionale.interno.gov.it.

 

[16] Trattasi delle prime linee guida “per l’avvio di un circuito collaborativo tra ANAC-Prefetture-UTG e Enti locali per la prevenzione dei fenomeni di corruzione attuazione della trasparenza amministrativa”.

 

[17] Tematica oggetto di altre linee guida tra cui  quelle recanti “Seconde Linee guida per l’applicazione delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione anticorruzione e    antimafia” del 27 gennaio 2015; alle “Terze linee guida per la determinazione dell’importo dei compensi da liquidare ai commissari nominati dal prefetto ai sensi dell’art. 32, commi 1 e 10 del d. l. 90/2014, nell’ambito della prevenzione anticorruzione ed antimafia” del 25 gennaio 2016; alle “Quarte linee guida per l’applicazione dell’art. 32, commi 2-bis e 10 del d. l. 24 giugno 2014, n. 90, alle imprese che esercitano attività sanitaria per conto del servizio sanitario nazionale in base agli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502” del 4 agosto 2016.

 

[18] Il potere sanzionatorio riconosciuto ad ANAC è regolato con “Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione per l’omessa adozione dei Piani triennali di prevenzione della corruzione, dei Programmi triennali di trasparenza, dei Codici di comportamento” di cui alla delibera del 9 settembre 2014, pubblicato in G.U. n. 233/201 reperibile sul sito https://www.anticorruzione.it.

 

[19] Previsti dall’articolo 23, c. 1, del d.lgs. 33/2013 è stato chiarito che le prescrizioni riguardano i provvedimenti conclusivi dei procedimenti indicati nelle lettere da a) a d) del predetto comma che costituiscono le aree a rischio corruttivo specificamente individuate dall’articolo 1, comma 16, della legge 190/2012.

 

[20] Come previsto dal d. l. 90/2014 convertito con modifiche nella l. n. 114/2014.

 

[21] Determinazione ANAC n. 12 del 28 ottobre 2015 “Aggiornamento 15 al Piano Nazionale Anticorruzione”.

 

[22] Documento reperibile sul sito http://www.anci.lombardia.it/documenti/6109-Linee_guida_sintetiche.pdf.

 

[23] Questo criterio riprende quello utilizzato dagli artt. 71 e 73 del d. lgs. 8 agosto 2000, n. 267 (Testo unico Enti Locali) per disciplinare i differenti sistemi elettorali vigenti negli enti locali. Esso distingue i Comuni in due categorie a seconda che il numero di abitanti sia inferiore o superiore a 15.000, riconoscendo, per quelli rientranti nella prima categoria, rilevanti semplificazioni.

 

[24] Le linee guida, ad esempio, contengono alcune indicazioni sull’individuazione del RPCT e delle sue funzioni, nominato da parte dell’Unione, che svolge le funzioni istituzionali anche nei confronti dei Comuni associati. In questo caso, tuttavia, stante la difficoltà, per un unico responsabile, di assicurare un capillare controllo anche all’interno di questi ultimi, occorre che ciascun ente locale nomini al proprio interno un referente. Per rafforzare la possibilità che si realizzi un efficace intervento da parte del RPCT, mediante espressa previsione statutaria, sarebbe utile attribuirgli: responsabilità di proporre e sovrintendere all’attuazione del PTPC unico; poteri di coordinamento all’interno dei Comuni, avvalendosi dei referenti nominati e dei soggetti con funzioni dirigenziali (se presenti); possibilità di organizzare al meglio i flussi informativi tra gli uffici degli enti aderenti e l’RPCT.

 

[25]Olivieri L., 14/12/2018 – Piccoli comuni, anticorruzione semplice, in ItaliaOggi, 22 dicembre 2018.

 

[26]La circolare 1/2013 del Dipartimento della funzione pubblica contiene indirizzi circa i requisiti soggettivi del responsabile, le modalità e i criteri di nomina, i compiti e le responsabilità.

 

[27] Così l’art. 16, c. 1 lett. 1-bis) 1-ter) e 1-quater) del d. lgs. 165/2001, i dirigenti di uffici dirigenziali generali che devono concorrere alla definizione di misure idonee a prevenire e a contrastare i fenomeni di corruzione, fornendo anche informazioni necessarie per l’individuazione delle attività nelle quali è più elevato il rischio corruttivo e provvedendo al loro monitoraggio.

 

[28] Che recita: Il piano di cui al comma 5 risponde alle seguenti esigenze:

a) individuare le attività, tra le quali quelle di cui al comma 16, anche ulteriori rispetto a quelle indicate nel Piano nazionale anticorruzione,» e dopo le parole «rischio di corruzione, nell’ambito delle quali è più elevato il rischio di corruzione, anche raccogliendo le proposte dei dirigenti, elaborate nell’esercizio delle competenze previste dall’articolo 16, comma 1, lettera a-bis), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;

(lettera così modificata dall’art. 41 del d.lgs. n. 97 del 2016)

b) prevedere, per le attività individuate ai sensi della lettera a), meccanismi di formazione, attuazione e controllo delle decisioni idonei a prevenire il rischio di corruzione;

c) prevedere, con particolare riguardo alle attività individuate ai sensi della lettera a), obblighi di informazione nei confronti del responsabile, individuato ai sensi del comma 7, chiamato a vigilare sul funzionamento e sull’osservanza del piano;

d) definire le modalità di monitoraggio del rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti;

(lettera così modificata dall’art. 41 del d.lgs. n. 97 del 2016)

e) definire le modalità di monitoraggio dei rapporti tra l’amministrazione e i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono interessati a procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, anche verificando eventuali relazioni di parentela o affinità sussistenti tra i titolari, gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i dirigenti e i dipendenti dell’amministrazione;

(lettera così modificata dall’art. 41 del d.lgs. n. 97 del 2016)

f) individuare specifici obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di legge.

 

[29] Che recita: Il responsabile individuato ai sensi del comma 7 provvede anche:

a) alla verifica dell’efficace attuazione del piano e della sua idoneità, nonché a proporre la modifica dello stesso quando sono accertate significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione o nell’attività dell’amministrazione;

b) alla verifica, d’intesa con il dirigente competente, dell’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione;

c) ad individuare il personale da inserire nei programmi di formazione di cui al comma 11.

 

[30]Foa S. – Bioletto M., Responsabilità disciplinare della dirigenza pubblica tra sanzioni contrattuali e moralizzazione ex lege, in questa rivista.

 

[31] Tenore V. (a cura di), La nuova Corte di conti: responsabilità, pensioni, controlli, 2018, 349 ss.

 

[32] La deliberazione della CIVIT ha sollevato critiche da parte della dottrina che ha ravviato un travalicamento di statuizione da parte dell’autorità rispetto al chiaro dettato legislativo del c. 7 dell’art. 1 della legge 190/2012, si legga a proposito Olivieri L., Civit, la gran confusione sull’organo competente a incaricare il responsabile anticorruzione”, in www.leggioggi.it, 22 marzo 2013.

 

[33] Mattarella B. G., La legge n. 124 del 2015 e i suoi decreti attuativi un bilancio, in Giornale Dir. Amm,2017, 5, 565.

 

[34] Dove erano riportate le funzioni attribuite al dirigente apicale: a) attuazione dell’indirizzo politico; b) coordinamento dell’attività amministrativa; c) direzione degli uffici e, infine, d) controllo della legalità dell’azione amministrativa.

 

[35] Purcaro A., Assetto della dirigenza pubblica locale dopo la sentenza della Corte cost. n. 251/2016 (e in attesa della nuova stagione contrattuale), in Azienditalia-Il personale, 2017, 3, 156.

 

[36] Purcaro A.,op.cit.

 

[37] Olivieri L., Anticorruzione in mano al dirigente apicale negli enti locali, 27 gennaio 2016, reperibile su ItaliaOggi del 26/01/2016.

 

[38] TAR Umbria, Perugia, Sez. I, sent. 20 giugno 2017, n. 466 reperibile sul sito www.giustizia-amministrativa.it.