Il ruolo delle Università durante la pandemia

L’emergenza COVID-19 e il ruolo dell’Università del Piemonte Orientale.

 

Non solo didattica online. L’UPO ha messo in campo competenze trasversali per fronteggiare l’emergenza sanitaria e per plasmare gli scenari economico-sociali dopo la pandemia.

 

Gian Carlo Avanzi, Rettore Università del Piemonte Orientale

 

Tutte le attività subito rimodulate.

La diffusione del SARS-CoV-2, che l’11 marzo 2020 ha costretto l’OMS a dichiarare la pandemia, ha portato alla drastica alterazione degli equilibri pubblici e privati. Alla primissima fase di emergenza sanitaria, che ha coinvolto soprattutto ospedali e istituzioni con responsabilità di igiene pubblica, ne è seguita una seconda in cui il sistema-Paese ha cercato un riassetto nelle attività produttive, nei servizi e nell’istruzione, per ripartire, nonostante le limitazioni imposte dal distanziamento fisico e sociale necessario per arginare il diffondersi del contagio.

In questo scenario critico anche l’Università del Piemonte Orientale ha dovuto rimodulare il proprio atteggiamento istituzionale per fare fronte all’emergenza sanitaria, partecipando in maniera organica alla risposta delle tre aziende ospedaliere di Alessandria, Novara e Vercelli, e per garantire ai propri iscritti la continuità didattica, sfida prioritaria e dall’esito tutt’altro che scontato dal punto di vista pratico.

Fin dai primi giorni di marzo docenti e tecnici si sono prontamente organizzati per permettere lo svolgimento online delle sessioni di laurea previste; è stato rapidamente predisposto un protocollo per lo svolgimento degli esami a distanza, sia scritti sia orali; il Servizio Bibliotecario di Ateneo ha garantito la fruizione delle risorse librarie digitali; nel sito di Ateneo è stata creata una sezione ad hoc per raccogliere in modo organizzato e aggiornato tutte le direttive ufficiali.

L’orientamento si è spostato online: “Open”, la giornata di porte aperte dedicata alle future matricole, inizialmente prevista per il 14 marzo, si è trasformata in “Open online”. In una sezione dedicata del sito sono stati raccolti video di presentazione dei Dipartimenti e dei corsi di laurea, realizzati dai direttori e dai presidenti dei corsi, schede approfondite sui servizi, tour virtuali delle sedi.

Anche gli studenti si sono subito attivati per dare il proprio contributo: le associazioni di studenti e di laureati hanno attivato raccolte fondi a favore delle strutture ospedaliere e degli studenti in difficoltà nel pagamento delle tasse universitarie. UPO Alumni, in particolare, ha intercettato importanti donazioni private per oltre 100 mila euro, che hanno creato una solida forma di difesa contro il rischio di rinuncia allo studio e di cancellare, di fatto, una generazione di laureati.

 

L’impegno 24/7 negli ospedali e nei laboratori.

Sul versante sanitario l’UPO – coinvolgendo soprattutto personale qualificato e scienziati della Scuola di Medicina, del Dipartimento di Scienze del farmaco e del Dipartimento di Scienze e innovazione tecnologica – ha da subito messo a disposizione della collettività le competenze umane e le strutture di assistenza e ricerca che gestisce nel territorio del Piemonte orientale.

Di concerto con la Regione Piemonte e l’Unità di Crisi Regionale, l’Ateneo ha portato avanti fin dal mese di marzo tre importanti incarichi per combattere la COVID-19.

1. Produzione di reagenti. C’è immediatamente stata carenza di tamponi, lo strumento che consente di prelevare cellule superficiali nella mucosa del naso e della bocca per verificare la presenza del virus. Non mancavano gli oggetti in sé, ma i reagenti che consentono l’analisi del RNA virale. La Regione Piemonte ha chiesto all’UPO e all’Università di Torino di effettuare i test sui tamponi in modo autonomo, utilizzando la metodologia ‘PCR real-time’ già in uso da tempo per altre indagini di ricerca. L’UPO si è messa subito in azione e il CAAD (Centro di Ricerca Traslazionale sulle Malattie Autoimmuni e Allergiche), sotto la guida dei professori Claudio Santoro, direttore del Centro, Marisa Gariglio e Umberto Dianzani, ha tempestivamente provveduto.

2. Impiego sperimentale del Tocilizumab. La polmonite causata dal COVID-19 provoca, in una minoranza di soggetti, una reazione infiammatoria violenta in cui sarebbe coinvolta l’Interleuchina 6, una sostanza rilasciata dalle cellule responsabili dei meccanismi che regolano l’immunità. Questa infiammazione sarebbe responsabile del grave stato di compromissione dei polmoni che determina spesso la necessità di intubazione. il farmaco biologico Tocilizumab, normalmente utilizzato per curare l’artrite reumatoide, è un potente inibitore dell’Interleuchina 6. L’Agenzia Italiana del Farmaco ha autorizzato l’AOU Maggiore di Carità di Novara alla sperimentazione con questo farmaco, coordinata dal professor Pier Paolo Sainaghi, docente di Medicina interna dell’UPO.

3. Certificazione di DPI (Dispositivi di Protezione Individuale). Anche le scorte di mascherine di protezione si sono esaurite i tempi rapidissimi nelle prime settimane di lockdown. Alcune aziende locali, che avevano dismesso la produzione, l’hanno ripresa producendo rapidamente i prodotti, che tuttavia non disponevano della certificazione europea che ne autorizzava l’utilizzo in ambiente sanitario. Una task force delle università piemontesi, tra cui UPO, confortata dalle Linee guida del MIUR, ha lavorato per fornire prove di equipollenza di questi materiali con quelli certificati e quindi autorizzarne l’uso. Il responsabile delle indagini su questi materiali per l’UPO era il professor Michele Laus.

I laboratori del CAAD, oltre a garantire un considerevole aumento nella produzione di reagenti in collaborazione con gli altri atenei piemontesi, sono stati scelti dalla Regione Piemonte per essere uno dei tre centri pilota che consentiranno alla sanità regionale di analizzare 20.000 tamponi diagnostici giornalieri contro gli attuali 8-9.000. Ciò grazie alla disponibilità di spazi per i laboratori e alle competenze dei ricercatori, ma anche per l’integrazione con la rete ospedaliera che consentirà di tracciare più facilmente i soggetti postivi. In questo contesto sarà cruciale anche lo studio e la ricerca sui campioni raccolti, per capire meglio come si comporta il SARS-CoV-2 e come potremo limitarlo in futuro.

Da metà aprile è poi diventata operativa la Biobanca UPO, una struttura pensata per raccogliere e conservare i campioni biologici relativi ai pazienti affetti da Sars-CoV-2 provenienti da diverse strutture ospedaliere del quadrante orientale del Piemonte. UPO Biobank è una delle risposte dell’Università del Piemonte Orientale per andare incontro all’esigenza concreta di avere a disposizione campioni biologici raccolti secondo criteri stabiliti di qualità di biobancaggio e accompagnati da dati clinici, necessari per avviare progetti di ricerca collaborativi a livello nazionale e internazionale. I campioni biologici e i dati raccolti depositati nella biobanca saranno messi a disposizione dei ricercatori che vorranno avviare progetti di studio allo scopo di comprendere come si sviluppa la malattia, per sviluppare strategie diagnostiche e terapeutiche efficaci e per identificare i fattori biologici che possono aiutarci a riconoscere precocemente coloro che potrebbero sviluppare la malattia in forma più grave.

La biobanca attualmente già operativa presso i Laboratori di Ricerca della Scuola di Medicina di Novara, sarà presto dotata di un ampio spazio presso il CAAD. La struttura sarà organizzata in un laboratorio per il processamento del materiale biologico e un locale, con annessa area tecnica, dedicato a ospitare fino a 12 contenitori criogenici che potranno contenere fino ad un milione di campioni. Oltre alla conservazione dei campioni per la ricerca COVID-19, ci si impegnerà anche nella raccolta di materiale biologico per lo studio dei processi d’invecchiamento nella popolazione del territorio novarese, individuando stili di vita sani e fattori di rischio, nell’ambito del progetto di eccellenza “AGING Project” e “Novara Cohort Study” del Dipartimento di Medicina traslazionale e per progetti di ricerca relativi al progetto di eccellenza “Food for Health” del Dipartimento di Scienze della Salute.

Tra gli studi effettuati dai ricercatori UPO balzati agli onori della cronaca figurano due indagini epidemiologiche condotte a Novara e a Borgosesia. A Novara, un team di ricercatori della clinica universitaria di Otorinolaringoiatria, diretta dal professor Paolo Aluffi Valletti, ha recentemente pubblicato i risultati di un’indagine epidemiologica compiuta su un campione di soggetti novaresi che hanno contratto il SARS-CoV-2 e che dimostra come l’infezione abbia importanti implicazioni nel causare alterazioni della percezione del gusto e dell’olfatto.

Il lavoro Smell and taste disorders during COVID ‐19 outbreak: A cross‐sectional study on 355 patients, pubblicato sulla prestigiosa rivista americana Head and Neck, è stato coordinato dalla dottoressa Valeria Dell’Era e supervisionato dal professor Massimiliano Garzaro, del gruppo di studio rinologico della clinica Otorinolaringoiatrica. Intervistando un campione di più di trecentocinquanta casi positivi che non hanno richiesto ospedalizzazione, casi catalogabili come lievi, hanno potuto dimostrare come la disfunzione dell’olfatto e del gusto, fino alla completa perdita degli stessi (anosmia ed ageusia in termini tecnici), siano presenti in almeno due soggetti su tre colpiti. In una quota di soggetti la perdita del gusto, dell’olfatto o di entrambi è stato l’unico sintomo di infezione dal virus. Le disfunzioni si manifestano precocemente e possono richiedere anche più di quarantacinque giorni per guarire. Al momento è già in corso uno studio di fase due per capire quali sono le caratteristiche dei soggetti che richiedono più tempo per recuperare e per capire se il virus può lasciare alterazioni permanenti in questi sensi. Presso la stessa clinica otorinolaringoiatrica all’AOU “Maggiore della Carità” di Novara è attivo un ambulatorio ultra-specialistico di rinologia, dove è possibile rivolgersi, tramite il servizio sanitario nazionale, per problematiche legate al naso, come per esempio la perdita dell’olfatto dopo coronavirus.

A Borgosesia UPO e ASL Vercelli, con il supporto del Comune e della Fondazione Valsesia, hanno realizzato uno studio epidemiologico su 4.987 persone (volontarie), pari a circa il 50% degli abitanti di Borgosesia. I risultati principali dello studio hanno evidenziato che il 4,9% della popolazione esaminata era entrato in contatto con il virus e che il 4,2% aveva sviluppato l’immunoglobulina di tipo G (IgG), che normalmente è associata all’immunità, con una quota maggiore di persone immuni tra gli ultrasessantenni; da questa percentuale sono state individuate 24 persone positive al test tampone, 5 delle quali del tutto asintomatiche.

UPO è anche stata pronta a concedere all’Ospedale di Vercelli, dopo una concertazione tra le massime istituzioni, la residenza studentesca di via Quintino Sella, gestita dall’EDISU Piemonte, per la convalescenza degli ammalati di COVID-19 in via di guarigione in uno spazio protetto che a Vercelli non si riusciva a trovare.

 

Non solo sul territorio.

La Struttura di Medicina fisica e riabilitativa diretta dal prof. Carlo Cisari si è messa a disposizione per collaborare con gli esperti della Guangzhou Medical University per la gestione delle problematiche respiratorie dei pazienti COVID-19. Queste linee guida, a oggi, rappresentano le principali indicazioni scientifiche a livello internazionale per l’approccio riabilitativo di questi pazienti.

Il Crimedim (Centro di Ricerca Interdipartimentale in Medicina di Emergenza e dei Disastri ed Informatica applicata alla didattica e pratica Medica) ha varato in tutto il mondo webinar di formazione e di aggiornamento su tutti gli aspetti della crisi, dall’esperienza in prima linea dei medici e paramedici coinvolti alle implicazioni etiche, sociali e psicologiche. Ha pure pubblicato un rapporto preliminare sulla previsione del fabbisogno di posti in terapia intensiva e, per la Cambridge University Press, una checklist indirizzata ai direttori e agli operatori sanitari mettendo ordine nella freschissima letteratura scientifica che rischiava di disperdersi. Anche Simnova (Centro Interdipartimentale di Didattica Innovativa e di Simulazione in Medicina e Professioni Sanitarie) ha creato simulazioni e programmi di formazione per affrontare l’imprevedibile.

Il professor Gianluca Gaidano, ordinario di Malattie del sangue, è intervenuto al congresso mondiale della European Hematology Association per discutere sulla gestione delle malattie oncoematologiche durante la pandemia; è stato uno degli ultimi a tenere una lecture a Wuhan, la città da dove è partito il virus, durante la conferenza cinese di Ematologia.

 

La fase 2 per favorire la ricerca.

La fase 2 ha richiesto uno sguardo più ampio per garantire la ripartenza e l’UPO ha messo in campo 46 progetti di ricerca che coinvolgono tutti i Dipartimenti, alcuni in attivazione immediata, raggruppati in 12 direttrici primarie sulle quali operare, linee di ricerca che verranno affrontate in maniera inter- e transdisciplinare.

Dal punto di vista sanitario le linee di ricerca riguardano soprattutto:

  • l’analisi dei meccanismi patogenetici responsabili dell’insorgenza del Covid-19 (aspetti epidemiologici, genetici, immunologici e ambientali; sviluppo di nuovi trattamenti terapeutici; studi di comunità);

  • la diagnostica in vitro e in vivo (sviluppo e validazione di nuovi test diagnostici anche per diagnosi precoce di massa, sviluppo di modelli animali per capire l’insorgere dell’infezione, impronta metabolica; dispositivi per test diagnostici semplici);

  • gli studi di popolazione (valutazione dell’immunità di gregge, miglioramento di qualità e sicurezza nelle RSA);

  • il trattamento e la gestione del paziente critico (nuovi approcci diagnostici e classificazione dei pazienti COVID-19, evoluzione della malattia in pazienti con altre patologie).

Il settore farmacologico si concentra sull’identificazione di nuovi farmaci e nuove strategie terapeutiche. Nuovi studi riguardano i fattori di rischio e i possibili vettori del virus (contagio per via aerea; aspetti climatici e interazioni ambientali potenzialmente dannosi; interazioni delle superfici; particolato atmosferico studio di animali – uccelli e pipistrelli – come possibili vettori o serbatoio di COVID-19). Si ipotizza anche il tracciamento per mezzo di App su supporti mobili e sistemi informatici per predire la potenziale propagazione del contagio. Verranno infine sviluppati studi sui dispositivi di protezione individuale (riciclo e autosterilizzazione di DPI, utilizzo delle microonde per la sterilizzazione).

Gli effetti della crisi pandemica nel settore socio-economico sono valutati da diversi punti di vista: tenuta del welfare sanitario; valutazione del sistema di istruzione e nuove disuguaglianze; sistema produttivo e ripresa delle attività economiche, mobilità territoriale dei cittadini, qualità dell’aria e impatto del COVID-19 sul comparto turistico.

La pandemia è infine esaminata in base agli effetti nei confronti della dimensione politico-istituzionale: come e da chi vengono assunte le decisioni; gestione politica multilivello; analisi giuridica e filosofica del conflitto fra diritti fondamentali e limitazioni alle libertà personali. Anche la comunicazione nella crisi pandemica ha un suo percorso di analisi privilegiato: si considera la comunicazione istituzionale della pandemia, le fake news, il linguaggio utilizzato. Saranno anche proposte delle linee guida di comunicazione politica e scientifica.

Per finire, si affrontano i temi di bioetica e di etica pubblica di fronte alla pandemia, per analizzare la possibilità di accesso alle cure dei cittadini e la distribuzione delle risorse sanitarie fra ospedali e territorio; un’area specifica riguarderà i comportamenti sociali: generosità, solidarietà, resilienza in relazione a COVID-19.

L’UPO è anche nel gruppo di esperti, guidato dal Politecnico di Torino, che hanno steso il progetto “Emergenza COVID-19: Imprese aperte, lavoratori protetti”, sottoposto al Governo per facilitare la riapertura del Piemonte nella fase 2. Il gruppo di docenti dell’Università del Piemonte Orientale è composto da: Marisa Gariglio (Microbiologia), Fabrizio Faggiano (Igiene), Paolo Chirico (Statistica), Fabrizia Santini (Diritto del lavoro), Roberta Lombardi (Diritto amministrativo), Carmen Aina (Economia politica), Lucrezia Songini (Economia aziendale), Chiara Morelli (Economia aziendale – Analisi di processi).

Il progetto “Imprese aperte”, presentato pubblicamente lo scorso 16 aprile e in seguito sottoposto alla task force governativa guidata da Vittorio Colao, si presenta come un vademecum: si parte dall’analisi dell’organizzazione del lavoro e dall’individuazione delle attività che possono essere eseguite con il telelavoro (numero e lavoratori interessati), passando per i percorsi degli addetti dentro l’azienda, la classificazione dei luoghi (in base a transito, sosta breve, sosta prolungata, assembramento e assembramento senza utilizzo), fino ad arrivare all’individuazione del personale esterno (consegna prodotti, controlli sul territorio, manutenzione esterna), dei lavoratori distaccati, delle attività in appalto e infine dei rischi secondari.

La ricognizione prevede nuove misure organizzative, procedurali, tecniche, compresi i trasporti; l’utilizzo dei dispositivi di protezione come le mascherine, la pulizia e anche il supporto tecnologico. Gli esperti hanno individuato anche aziende cosiddette ‘beta tester’, cioè quelle che si candidano a sperimentare le linee guida previa indicazione di dipendenti, attività prima della chiusura e ridefinizione di spazi, riunioni e linee produttive.

 

A tutto campo nell’impegno per la comunità verso la ripresa.

Non si contano le iniziative con cui UPO ha svolto in modo convincente la propria missione di public engagement nel comunicare con la comunità in cui è insediata, dare informazioni, rassicurare. Per fare solo qualche esempio, con l’Associazione Cultura e Sviluppo di Alessandria è stata lanciata #laculturanonsiferma via web. Dirette Facebook sono state tenute su molti argomenti legati al virus negli UPOTalk settimanali coordinati dalla prof. Carmen Aina. Il professor Massimiliano Panella ha spiegato su YouTube la pandemia in modo semplice ma preciso, a beneficio di chiunque volesse approfondire l’argomento. L’Osservatorio epidemiologico dell’ASL di Vercelli, diretto dal professor Fabrizio Faggiano ha prodotto per l’ASL di Vercelli un opuscolo divulgativo per comprendere meglio le parole dell’epidemia. Uno studente di Informatica, Alberto Ratto, ha persino ideato una app che consentiva di verificare l’entità delle code al supermercato o in farmacia.

La fase 3 dovrebbe coincidere con la definitiva partenza e l’UPO, in una conferenza stampa del 9 luglio, ha dichiarato di essere pronta a riaprire a settembre le aule per le attività didattiche in presenza e in live streaming, nel pieno rispetto delle norme vigenti, con prolungamento dell’orario delle lezioni, anche il sabato, e l’ampliamento delle dotazioni tecnologiche.

«I ragazzi e le ragazze che s’iscriveranno all’università dal 1° settembre – ha detto il Rettore – portano sulle spalle il peso di un anno scolastico ferito e foriero di ansia residua, che rischia di compromettere il tradizionale entusiasmo per l’ingresso in università. Riaprire le aule non è un capriccio. L’emergenza della pandemia ci ha obbligati a utilizzare strumenti nuovi, ma la sostanza fortemente educativa e comunitaria della formazione universitaria non è cambiata. Non ci prestiamo ad avventate competizioni per immatricolare ogni studente possibile; lasciamo alle ragazze e ai ragazzi la libertà e la bellezza della propria scelta maturata secondo le proprie convinzioni».

Il grande rientro sarà la Settimana delle Matricole a fine settembre: quasi un rito di passaggio pieno di ottimismo.

 

Dare Risposte

Stefano Geuna, Rettore Università degli Studi di Torino

Lavorare con il sapere significa quasi sempre coltivare il dubbio, alleato essenziale nella ricerca della verità. Tuttavia, anche le istituzioni che del sapere si nutrono, devono essere capaci, in alcuni particolari momenti, di fornire certezze e dare risposte. È stato questo il patto che si è istituito tra l’Università di Torino e il tessuto sociale durante l’emergenza Covid 19.

La prima risposta che abbiamo fornito è stata quella della continuità. Fin dal primo momento ci siamo impegnati perché questa emergenza non danneggiasse le carriere degli studenti, per assicurare lo svolgimento delle attività didattiche in modalità a distanza e garantire la continuità formativa ad una popolazione studentesca di ottantamila tra studentesse e studenti iscritti a 155 corsi di laurea, 102 master e 57 scuole di specializzazione. Non si è trattato però solo di dare continuità alle lezioni e agli esami, ma di essere punto di riferimento per decine di migliaia di giovani disorientati da quanto stava accadendo, dagli studenti fuorisede agli stranieri iscritti al nostro Ateneo fino a chi impegnato fuori dal Paese in un progetto Erasmus. Considero la didattica stessa come una relazione tra persone e credo che la nostra scommessa – vinta – sia stata quella di mantenere alta l’attenzione alla persona anche quando proprio il rapporto interpersonale costituiva la maggior fonte di pericolo.

Ogni azione intrapresa in questo periodo, individuando priorità e provvedimenti affinché l’attività didattica e i servizi essenziali – che la rendono possibile – potessero proseguire ed essere erogati, ha richiesto a molte persone spirito di servizio e lavoro duro. Il cambiamento a cui tutti siamo stati chiamati è diventata una consapevolezza condivisa e compresa dall’intera comunità di UniTo. Una comunità a cui rivolgo il mio più sentito ringraziamento per lo spirito di collaborazione dimostrato. Al personale tecnico-amministrativo, alle studentesse, agli studenti, ai docenti e a tutte le altre figure professionali che a vario titolo contribuiscono alla vita del nostro Ateneo.

Va da sé però che l’espressione di continuità che la maggior parte delle persone si attendeva era quella che si concretizzava nella prosecuzione dei corsi. Eravamo pronti? Se esiste una sottile differenza di significato tra “pronti” e “preparati” è questo il momento di sottolinearla. Non eravamo pronti ai blocchi di partenza, nessuno era pronto per una sfida del genere; però eravamo preparati, avevamo le infrastrutture e le competenze per aprire in tempi brevissimi una nuova strada sulla quale quasi centomila giovani avrebbero continuato il percorso iniziato in aula.

Credo che nessuno possa negare che l’Università italiana nel suo complesso sia stata più rapida di altre istituzioni ad adattare la propria offerta alla nuova situazione. La ragione è piuttosto semplice: nell’Università si sperimenta, si fa ricerca, si anticipa il futuro, anche nella didattica. Nell’ateneo torinese, già dal 2003 sono state introdotte forme di didattica on line sperimentate da una nutrita avanguardia di docenti; grazie a questa costante sperimentazione, grazie a una cultura dell’innovazione, passare da un’avanguardia alla totalità dei docenti e farlo con la reattività imposta dell’emergenza, per noi è stato possibile.

Mi soffermo sull’aspetto dell’innovazione perché questo è davvero il terreno di confronto tra gli atenei, le istituzioni territoriali e il tessuto produttivo. L’Università di Torino, in una precisa logica di Public Engagement, si è messa, e intende farlo sempre più, a disposizione della comunità, di tutta la comunità, dalle realtà economiche fino agli Enti territoriali, perché le competenze e le conoscenze maturate attraverso la ricerca devono essere a beneficio di tutti e perché, parimenti, dopo l’esperienza della pandemia, nessuno può più pensare di ripartire senza fare ricorso a quelle stesse conoscenze e competenze.

L’Università ha un ruolo centrale nel progetto di innovazione sociale dei territori. Così è anche per il nostro Ateneo. Gli atenei, con le loro eccellenze, attraggono e formano le migliori risorse, le quali trovano nei territori in cui agiscono tessuti in grado di alimentare creatività e iniziativa. I giovani ben preparati poi sono il migliore investimento possibile per il futuro. L’innovazione è ciò che risponde all’urgenza di metodi alternativi. Una richiesta che, soprattutto in momenti come questi, ci viene avanzata a gran voce dai protagonisti del futuro e che oggi non possiamo più derogare.

E veniamo quindi a un secondo ambito nel quale l’Università di Torino si è impegnata a dare risposte, quello cioè della ricerca applicata al superamento dell’emergenza. Nel periodo dell’emergenza abbiamo osservato come l’intera società abbia maturato e compreso, il ruolo centrale della ricerca.

L’Università di Torino è stata coinvolta in prima linea nell’emergenza, a partire dalla Scuola di Medicina alla quale mi onoro di appartenere. Molti colleghi sono stati impegnati nel combattere la situazione di grandissima emergenza degli ospedali del nostro territorio. Abbiamo collaborato, già dalle prime ore dell’emergenza, con l’Unità di Crisi, per indicare linee guida che definissero un percorso visibile nell’incertezza nel quale il virus ci aveva precipitati. A meno di un mese dall’inizio del lockdown, l’Università degli Studi di Torino e l’Università del Piemonte Orientale hanno allestito un test “in house” per l’identificazione del Coronavirus nei tamponi eseguiti sul territorio regionale e lo hanno fatto proprio nel momento in cui la capacità di condurre questi test da parte del Sistema sanitario sembrava compromessa dalla carenza di kit e di consumabili, diventati praticamente irreperibili dal circuito commerciale. Da medico, oltre che da Rettore, sono particolarmente orgoglioso del modo in cui le università hanno saputo fornire quelle soluzioni che le logiche del mercato non riuscivano più a offrire: soluzioni tempestive e di qualità.

La risposta giunta dall’Università è stata una risposta corale, nata per esempio dall’entusiasmo con il quale hanno dato la loro disponibilità i ricercatori e le ricercatrici del Centro Interdipartimentale di Biotecnologie Molecolare e del Centro di Ricerca Traslazionale sulle malattie autoimmuni e allergiche (CAAD-UPO).

Ancora un aspetto forse meno noto che vorrei mettere in luce, è quello del coinvolgimento delle studentesse e degli studenti. Dal 27 febbraio, cioè dal manifestarsi dei primi casi sul territorio piemontese, studentesse e studenti della Scuola di Medicina dell’Università di Torino, coordinati dall’Unità di Crisi della Regione Piemonte sul Coronavirus “Covid19”, si sono impegnati volontariamente nel garantire la copertura, 24 ore su 24, di due postazioni telefoniche del numero verde sanitario che forniva informazioni ai cittadini sulle misure da adottare per fronteggiare in maniera corretta la situazione. Neolaureati e studenti del V e VI anno dei due corsi di laurea di medicina e chirurgia iscritti a Torino e Orbassano; giovani che hanno dato prova di quella sensibilità medica che nei nostri corsi cerchiamo di trasmettere come requisito essenziale per svolgere una professione che non assomiglia a nessun’altra. In quel pre-triage, il “dare risposte” ha assunto la sua forma più evidente e completa.

Con il nostro Dipartimento di Psicologia poi abbiamo rivolto attenzione alla dimensione del carico emotivo e psicologico con cui tutti abbiamo convissuto in questi giorni, attivando uno sportello di counseling dedicato all’emergenza e aperto a tutta la comunità.

Occorre ricordare infine che la ricerca scientifica non è solo quella che si fa nei laboratori. Esiste tutta una serie di altre attività che si sono svolte in remoto e che sono state altrettanto importanti per affrontare l’emergenza: le ricerche bibliografiche e le analisi critiche della letteratura, le elaborazioni dei dati sperimentali e non, la stesura dei rapporti tecnici che sono, a tutti gli effetti, ricerca scientifica, anzi, lasciatemi dire, rappresentano l’anima della scienza. A tal proposito tutti i nostri Dipartimenti sono stati impegnati nell’organizzazione di webinar scientifici in tutte le aree disciplinari e di azioni di disseminazione e comunicazione verso il grande pubblico attraverso i social per spiegare l’emergenza secondo punti di vista multidisciplinari. Un modo in più in cui i nostri ricercatori e le nostre ricercatrici hanno potuto condividere e discutere criticamente i risultati delle loro ricerche e fornire spunti di riflessione alla comunità tutta.

Durante l’emergenza Covid l’Università di Torino si è dimostrata, grazie al contributo di tutta la sua comunità, capace di una reazione forte, per molti aspetti tempestiva e efficiente. La situazione ha richiesto e probabilmente ancora richiederà in futuro uno sforzo eccezionale che, ne sono sicuro, tutti insieme sapremo affrontare al meglio. Anche per questo l’Università di Torino può dire di essere una grande comunità.

 

Il Politecnico di Torino di fronte all’emergenza globale del Covid-19

Guido Saracco, Rettore Politecnico di Torino

Comunità accademica: è una definizione che spesso si usa per descrivere l’insieme di coloro che studiano e lavorano nell’università. Comunità, appunto: in un momento di difficoltà come quello che ha attraversato il nostro Paese e il mondo intero, abbiamo prima di tutto scoperto una risorsa fondamentale che già caratterizzava il nostro Ateneo, ma di cui forse non sempre eravamo così consapevoli, il valore della comunità. Grazie alle competenze di molti e alla disponibilità di tutti nell’adattarsi alla nuova situazione, il Politecnico si è scoperto capace di compiere passi che nel normale scorrere dei semestri, delle lezioni e dei progetti di ricerca, avrebbero forse richiesto anni per essere messi in campo, mentre sono stati proposti in tempi rapidissimi per dare una risposta adeguata alla nostra comunità. Che si trattasse degli studenti, ai quali fin dai primi giorni delle chiusure è stata garantita un’attività didattica che ha permesso di non ritardare lezioni ed esami, dei docenti, che sono stati supportati nella grande disponibilità che hanno dimostrato nell’adottare modalità di insegnamento e valutazione del tutto inedite, del personale, che ha potuto svolgere la propria attività in modi flessibili e che si è dimostrato capace di adattarsi al meglio alla situazione. La vita dell’Ateneo, insomma, è continuata, anche se in forme diverse e nuove.

 

La didattica da remoto.

Per prima cosa, la didattica ha dovuto reinventarsi per far fronte a una situazione inattesa e improvvisa. A partire dai primi giorni dell’emergenza sanitaria e fino al mese di luglio 2020, tutte le attività didattiche del Politecnico – esami e discussioni di laurea compresi – si sono svolte esclusivamente in modalità online.  La risposta messa in campo dall’Ateneo è stata senza precedenti: il potenziamento delle infrastrutture informatiche, la scoperta di soluzioni tecnologiche, ma anche di nuove modalità di fare didattica hanno permesso lo svolgimento pressoché regolare delle attività di insegnamento e valutazione nei mesi dell’emergenza. Le soluzioni adottate dal Politecnico sono state improntate all’utilizzo di software e server proprietari, irrobustiti poi attraverso l’utilizzo di servizi in cloud, in modo da garantire autonomia e un buon livello di soddisfazione nell’utilizzo degli strumenti da parte di docenti e studenti.

Da risposta rapida a una fase di emergenza, la didattica online è diventata un’occasione unica per testare modalità innovative di insegnamento, come l’introduzione della realtà virtuale per le revisioni progettuali, le visite a distanza di laboratori didattici, ma anche a siti culturali, e per introdurre strumenti di formazione e valutazione che potranno entrare, almeno in parte, nel quotidiano di tutti gli studenti dell’Ateneo nel prossimo futuro, anche quando la fase emergenziale sarà terminata.

Anche per l’anno accademico 2020/2021, infatti, l’Ateneo ha deciso di impegnarsi a garantire, per entrambi i semestri, l’erogazione dell’intera offerta formativa di primo e secondo livello in modalità on line, ma auspichiamo anche di poter garantire un rientro in presenza per un numero consistente dei nostri studenti, sempre nel rispetto delle norme di distanziamento e delle misure di sicurezza: le aule saranno utilizzate al 25% della loro capienza, privilegiando le attività che necessitano maggiormente dell’interazione e della presenza in aula, come seminari, esercitazioni con confronto tra studenti e docenti, classi progettuali, atelier di progettazione architettonica, team studenteschi, classi di problem solving/challenge (dove gruppi di studenti di diverse discipline risolvono problemi complessi e creano soluzioni innovative), laboratori e tesi sperimentali, tirocini; anche per le lezioni frontali le aule saranno attrezzate in modo da poter garantire allo studente di seguire il corso allo stesso modo in presenza oppure online. Il tutto, con una particolare attenzione alla tutela degli studenti con disabilità.

 

La ricerca non si è fermata.

La vita dell’Ateneo è continuata anche per quanto riguarda le attività di ricerca, che per forza di cose si sono concentrate molto nei primi mesi dell’emergenza soprattutto su iniziative di contrasto al Covid-19. Anche in questo caso, l’Ateneo ha messo al primo posto i valori di servizio alla comunità e al territorio che devono caratterizzare un’istituzione di ricerca pubblica.

Progetto “Imprese aperte, lavoratori protetti”.

È stata subito avviata una grande iniziativa di studio e ricerca multidisciplinare 1 , con un team coordinato dal Politecnico ma composto da esperti delle Università e dei centri di ricerca piemontesi, di associazioni, Enti e altri organismi, che ha analizzato i dati e suggerito principi da adottare in vista della cosiddetta Fase 2. Il risultato è il rapporto “Imprese aperte, lavoratori protetti” 2 , insieme ai successivi report dedicati alle riaperture delle attività sportive 3 (sviluppato con il CONI, il CUSI e le Federazioni) e delle scuole 4 e, infine, alla riconfigurazione delle attività sanitarie ordinarie dopo la prima fase dell’emergenza 5 (con l’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Torino).

I Rapporti, frutto del lavoro di task force di esperti e tecnici di ciascun settore, forniscono indicazioni su quattro aspetti: prevenzione, monitoraggio, informazione e formazione per la prevenzione e il contenimento del contagio. Viene indicato, ad esempio, come gestire ingressi, turni e spazi: dalla distanza interpersonale da adottare in relazione alle superfici dei locali – con una maggiore densità di occupazione in aree di transito (corridoio) e meno in quelle di sosta “critiche” come la mensa e l’area fumatori – all’organizzazione degli ingressi e degli spazi grazie anche all’adozione di dispositivi di monitoraggio non invasivo (telecamere IR, telecamere, “intelligenti”) nel rispetto della privacy, alla suddivisione dei lavoratori in squadre.

Anche l’utilizzo delle tecnologie dovrà essere potenziato, in modo coerente e tarato sullo sviluppo tecnologico di ciascuna realtà aziendale. Le tecnologie suggerite vanno dall’impiego di diari online per il tracciamento a metodi di screening diagnostico rapidi, economici e applicabili in larga scala (ad esempio temperatura con visori IR durante l’intera giornata lavorativa, app di autovalutazione dei sintomi, telediagnosi, ecc.), da attività di formazione online fino alle app per evitare di recarsi in luoghi nei quali già ci sono assembramenti, a sistemi di simulazione degli spazi e dei flussi, fino all’utilizzo della realtà virtuale per la formazione e il lavoro. Tutte le tecnologie suggerite sono tecnicamente ed economicamente praticabili da tutti, le grandi come le piccole imprese.

Un discorso specifico va fatto per le mascherine: le mascherine chirurgiche o “di comunità”, specificatamente proposte dal Politecnico di Torino con un livello di qualità testato, sono quelle che i lavoratori dovranno indossare normalmente come dispositivo di prevenzione della trasmissione del contagio; solo in casi specifici (addetti alla rilevazione della temperatura all’ingresso, guardiania, cassieri, squadre di emergenza, ecc.) si consiglia l’impiego di dispositivi di tipo FFP2/FFP3, guanti e cuffie per capelli. Ogni lavoratore potrà opportunamente avere a disposizione un “kit” di protezione individuale, composto generalmente da 2-4 mascherine per uso giornaliero e gel igienizzante, che può aiutare a prevenire il contagio anche sui mezzi pubblici.

Il tema dei trasporti – oggetto di un approfondimento condotto insieme alla Commissione “Trasporti, Mobilità, Infrastrutture e Sistemi” dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino – è particolarmente delicato: sarà ancora possibile utilizzare tram, autobus e metro, ma con la consapevolezza che la responsabilità della sicurezza è condivisa tra passeggeri, autisti e gestori dei mezzi, ciascuno per quanto gli compete; quindi sì a distanze di sicurezza e minore affollamento, uso di mascherine e sanificazione dei mezzi, ma anche ai controlli sui contagi tra gli autisti.

Una volta tornati in ufficio o in fabbrica, comunque, il lavoro cambierà secondo quelle modalità alle quali ci stiamo in parte abituando. Ingresso a turni o scaglionato per evitare affollamento sui mezzi pubblici e agli ingressi, potenziamento dello smart working, riduzione se non eliminazione delle riunioni in presenza, suddivisione dei lavoratori in squadre – tenendo anche conto della possibile presenza di lavoratori “deboli” rispetto al virus, metodi di formazione interattiva e impiego della realtà virtuale sono solo alcuni degli strumenti suggeriti dal Rapporto.

Un discorso a parte va fatto per teatri, sale da concerto, musei, cinema e biblioteche. Qui la ripartenza deve tenere conto di vincoli fisici, come ad esempio la difficoltà di sanificare ambienti di valore storico, economici, quali la forte riduzione dei posti a sede a sedere in sala per mantenere le distanze, ma anche psicologici, perché servirà una lunga fase di elaborazione prima che le persone tornino a frequentare luoghi chiusi affollati. Il Rapporto fornisce alcune indicazioni per avviare una riapertura, innanzitutto formando il personale e adeguando dove possibile i locali – come nelle biblioteche, dove è possibile applicare barriere di plexiglas – e gestendo gli accessi con app di programmazione.

Particolarmente complesso il discorso legato alla riapertura delle scuole. I 23 estensori del Rapporto “Scuole aperte, Società protetta” 6 hanno preso avvio dalla definizione della possibilità di applicazione dei principi di distanziamento sociale, igiene personale e degli ambienti e utilizzo dei dispositivi di protezione nei contesti scolastici. Ne consegue una prima indicazione, quella della necessità di ridurre la numerosità delle classi, a partire dai nidi e fino ad arrivare alle scuole superiori. Anche i layout delle aule e degli spazi comuni dovranno cambiare, per garantire percorsi unidirezionali e il distanziamento necessario a limitare il contagio.

Punto fondamentale, la necessità di prevedere turnazioni nelle classi, a partire dalla scuola primaria, per assicurare numeri contenuti in aula, mentre un’altra parte di alunni segue le lezioni da casa, ma garantendo comunque a tutti i bambini e i ragazzi la possibilità di vivere anche l’esperienza della scuola in presenza. La letteratura internazionale è infatti unanime nel sottolineare l’importanza per tutti i bambini, ma soprattutto per i più svantaggiati economicamente e socialmente, o con qualche disabilità, di esperienze educative extra familiari precoci. Anche nelle fasi 2 e 3 sarà comunque importante la didattica online, integrata con quella in presenza e garantita per tutti grazie ad investimenti in tablet e pc per tutti. Si propone nel Rapporto di potenziare anche la figura dell’animatore digitale, che può svolgere il ruolo fondamentale nel supporto tecnico a docenti e famiglie sull’uso di piattaforme e device.

Per tornare alla presenza in aula il Rapporto definisce come “necessaria la definizione di un Protocollo nazionale, analogo a quelli redatti per la ripartenza delle attività produttive, che dovrà trovare concretezza, declinazione specifica ed operatività nelle singole diverse realtà scolastiche; proprio in questa direzione, il gruppo di lavoro coordinato dal Politecnico è entrato in contatto con la task force del Ministero dell’Istruzione contribuendo alla definizione delle linee guida nazionali anche con l’esperienza maturata con un piano di analisi di dettaglio di alcuni istituti scolastici, scuole dell’infanzia e asili nido selezionati dagli organismi competenti cittadini e regionali come beta-tester.

I Rapporti, resi disponibili a tutti i soggetti interessati su un sito web dedicato (http://www.impreseaperte.polito.it/) ci hanno insegnato molto, non solo dal punto di vista tecnico, ma soprattutto circa la nostra capacità – e la necessità, soprattutto in periodi di emergenza, ma poi anche in quelli ordinari – di fare sistema, prima di tutto tra le nostre competenze interne, ma anche con il territorio.

Laboratori e progetti al servizio del Territorio e del Paese.

Il Politecnico di Torino è un Ateneo con competenze riconosciute a livello internazionale nell’ambito tecnologico.

I laboratori del Politecnico si sono rivelati fin da subito una risorsa preziosissima e si sono messi a disposizione del territorio per supportare il sistema produttivo e le istituzioni. Il primo progetto è nato già nel mese di marzo, quando è diventata evidente la necessità di produrre una quantità di mascherine superiore a quella disponibile nel nostro Paese e moltissime aziende del territorio piemontese hanno dichiarato la propria disponibilità a produrre presidi di protezione individuale. Le Università piemontesi, insieme alla Regione, si sono subito attivate per supportare questa generosa risposta del mondo imprenditoriale mettendo a disposizione le proprie competenze e laboratori per rendere più veloce il processo di certificazione dei materiali prodotti, in modo da poterli rendere più rapidamente disponibili al personale sanitario. Una task force di 18 docenti e ricercatori esperti del settore coordinati dal Politecnico, ma che comprende professionisti provenienti, oltre che dalle tre università piemontesi, anche da CNR-STIIMA di Biella, Università di Bologna e alcune aziende specializzate ha consentito in pochi giorni di riaprire i laboratori e allestire protocolli e sofisticati impianti per questa fondamentale missione di servizio.

Dall’inizio del progetto, sono pervenute da parte delle aziende più di 300 domande per testare mascherine e respiratori FFP e 25 per prove su tessuti per camici, fornendo un importante supporto alle aziende che hanno voluto iniziare la produzione.

L’analisi si è concentrata anche, dal punto di vista accademico, sulla definizione di prassi di riferimento per le cosiddette “mascherine di comunità”, come definite dal DPCM del 26 giugno 2020, utilizzabili per la prevenzione del contagio da tutti, ad eccezione delle categorie di lavoratori che hanno bisogno di dispositivi medici o di protezione individuale. Insieme a UNI – Ente Italiano di Normazione, sono state pubblicate le UNI/PdR 90:2020, per la definizione dei requisiti prestazionali e dei metodi di prova delle mascherine generiche.

La “Parte 1 – Requisiti, classificazione e marcatura”, fornisce i requisiti prestazionali, inclusi gli elementi utili per una loro classificazione e marcatura e indicazioni relative alla valutazione di conformità, mentre la “Parte 2 – Metodi di prova”, contiene le indicazioni per l’uso di un metodo innovativo per misurarne le prestazioni filtranti mediante due prove distinte, ovvero l’efficienza di rimozione delle particelle e la resistenza all’attraversamento dell’aria.

Una particolare sottospecie delle mascherine di comunità sono i dispositivi espressamente pensati per attività particolari, come quelle sportive, che richiedono caratteristiche diverse dalle altre. Un team multidisciplinare del Politecnico sta lavorando per cercare in tempi brevi una soluzione al problema degli sportivi, che necessitano di mascherine con caratteristiche di respirabilità e filtrazione adeguate. La prima questione da affrontare è di comfort: uno sportivo ha bisogno di mascherine che consentano il passaggio di almeno 200 litri di aria al minuto, mentre le mascherine chirurgiche garantiscono 95 litri al minuto; una soluzione sarebbe avere una superficie più grande di tessuto filtrante, ma questo sarebbe ergonomicamente poco praticabile perché ridurrebbe la visuale e le prestazioni dell’atleta. La sfida, quindi, è quella di individuare materiali con caratteristiche adeguate e soluzioni di prodotto che massimizzino la capacità di filtraggio e la respirabilità, garantendo, anche, un’indossabilità stabile e che non influenzi il gesto atletico.

I prototipi, confezionati con materiali di partner industriali valutati presso i laboratori del Politecnico, sono stati sottoposti a una serie di test di indossabilità e valutazioni fisiologiche in collaborazione con l’Istituto di Medicina dello Sport di Torino. L’obiettivo dello studio, sostenuto anche dai fondi del Rotary Club Distretto 2031, è di arrivare alla definizione di standard replicabili e adottabili dai produttori entro l’autunno, per avere in commercio prodotti a prezzi accessibili e che garantiscano la pratica delle attività sportive in piena sicurezza.

Sempre in tema di dispositivi di protezione, I ricercatori del virtuaLAB del Politecnico in collaborazione con il FabLab Torino hanno realizzato una maschera elettroventilata a pressione positiva, che permette di proteggere integralmente il viso della persona garantendo un flusso d’aria filtrata fresca e costante. Il dispositivo si compone di una serie di elementi progettati ad hoc e di altri componenti di facile reperibilità sul mercato: i primi – progettati per la produzione in additive manufacturing – costituiscono il telaio, elemento strutturale del modello e funzionale al corretto posizionamento della maschera, alla sua stabilità e adattabilità sul capo dell’utente; i secondi, invece, assolvono le funzioni di isolamento e protezione individuale oltre che di immissione dell’aria all’interno della maschera.

Gli studi dell’Ateneo non si sono concentrati però solo sulle mascherine e i dispositivi di protezione individuale, ma le nostre competenze non potevano che essere applicate all’emergenza in tutti i campi dei nostri studi, con progetti e iniziative di ricerca, anche internazionali, rivolte a dare un contributo allo studio e al contrasto dell’epidemia. A titolo di esempio, è possibile citare alcune di queste ricerche, nate spesso dalla volontà dei singoli ricercatori e delle loro reti sul territorio o internazionali di voler contribuire alla soluzione dell’emergenza.

Una ricerca italo-statunitense, finanziata dalla National Science Foundation USA, ha indagato i meccanismi legati ai cosiddetti tamponi “drive-through”, cioè quelli realizzati direttamente in auto. Il Politecnico ha messo a disposizione la sua competenza nello sviluppo di modelli per la diffusione di malattie infettive che tengano conto delle variazioni di attività e del comportamento umano sulla città test di New Rochelle, uno dei primi importanti focolai di COVID-19 nello stato di New York, per sviluppare un modello utile a valutare l’efficacia delle procedure di testing con l’introduzione di strutture “drive-through”.

Sempre in tema di analisi dei dati, hanno fornito un contributo, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Elettronica del Politecnico ha sviluppato una variante di un Modello SIR – Susceptible-Infected-Recovered, già utilizzato per lo studio dei fenomeni infettivi, per definire un modello predittivo sull’andamento dei contagi COVID-19 in Italia. Il modello standard è stato modificato introducendo nuovi parametri, tra cui il numero dei positivi rilevati in rapporto al numero di contagiati effettivi. La rilevazione originale è durata dal 24 febbraio al 30 marzo e si è basata sui numeri forniti dalla Protezione Civile, sia aggregati sia differenziati per regione, e ha consentito di individuare un valore approssimativo di 63 per il fattore relativo alla proporzione contagi rilevati/contagi effettivi, e di stimare il tasso di infettività, il tasso di mortalità e quello di guarigione relativi all’epidemia. Le stime ottenute sono sostanzialmente in linea con quelle fornite dall’Imperial College Team di Londra, al momento principale riferimento condiviso dalla comunità scientifica, e questo avvalora ancora di più le analisi e le proiezioni ottenute.

Altro ambito di indagine, l’utilizzo della cartografia satellitare ad altissima risoluzione in risposta all’emergenza Covid-19. L’Associazione Ithaca, ente partecipato del Politecnico di Torino e dalla Compagnia di San Paolo, ha permesso l’attivazione tramite il Dipartimento di Protezione Civile regionale del servizio Copernicus Emergency Management Service (EMS), per testare la possibilità di derivare dai dati satellitari ad altissima risoluzione (30-50 cm al suolo) informazioni ad elevato valore aggiunto sull’area torinese, con lo scopo di cartografare le strutture temporanee di carattere sanitario e i luoghi soggetti a possibili assembramenti di persone, come mercati rionali e spazi antistanti centri commerciali. Le informazioni raccolte potranno costituire la base per la prossima gestione operativa di queste strutture e di questi spazi.

Sempre in tema di monitoraggio, ma non solo, una tecnologia che può essere utilmente impiegata per la lotta al Covid-19 è quella dei droni. Il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale del Politecnico, ENAC e la Drone Unit della Città di Torino insieme all’azienda americana Skypersonic, hanno testato un drone per la sanificazione e monitoraggio di ambienti indoor e outdoor controllato da remoto, facendo agire a Detroit un prototipo comandato da Torino.

Ultimo esempio che voglio citare, l’impiego di una tecnologia su cui il nostro Ateneo è all’avanguardia, come l’additive manufacturing, per la realizzazione rapida di dispositivi e componenti: i nostri laboratori e anche i macchinari di alcune start up si sono messi a disposizione per stampare in 3D visiere protettive per il personale sanitario e valvole per far diventare respiratori le maschere da snorkeling, in un’attività non propriamente di ricerca, ma davvero di servizio alla comunità.

 

Condividere il patrimonio culturale, oltre che scientifico.

Infine, in un momento di difficoltà e in qualche modo anche di interruzione della vita sociale e delle attività culturali, un’istituzione come il Politecnico di Torino ha anche il compito di trovare modi innovativi di aprirsi a tutta la cittadinanza, condividendo risorse e mettendo a disposizione di tutti contenuti scientifici, culturali o di intrattenimento.

È nata così l’iniziativa social #POLITOdaTE. Un canale per portare il Politecnico a casa di tutti quelli che hanno interesse per la cultura politecnica e che hanno voluto approfondire argomenti più o meno tecnologici nei giorni del lockdown. Una rubrica giornaliera fino allo scadere delle norme restrittive necessarie per contrastare la diffusione dell’epidemia, con proposte di contenuti d’archivio e con la creazione di contenuti nuovi, nati per la fruizione digitale, come brevi video-incontri con autori di libri o percorsi digitali delle mostre organizzate in Ateneo.

Insomma, quella che il Politecnico di Torino ha dato di fronte all’emergenza sanitaria è stata una risposta complessiva e corale, che ha riguardato tutte le sue componenti e ha proposto un contributo fattivo per il superamento della prima fase dell’emergenza e la gestione delle fasi successive, per le quali ci siamo già messi a disposizione con la competenza e la disponibilità dei nostri ricercatori e tecnici per favorire una ripresa sociale, oltre che economica, del nostro territorio e del nostro Paese.