L’abuso delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti, non rimediato dal d. l. Minniti

Giovanni Cavaggion[1]

 

SOMMARIO: 1. L’ordinanza sindacale contingibile e urgente nell’ordinamento costituzionale. 2. La riforma del 2008 nella sentenza n. 115/2011 della Corte Costituzionale. 3. Ricognizione della casistica successiva. 4. Dubbi circa la costituzionalità del d. l. n. 14/2017.

 

1. L’ordinanza sindacale contingibile e urgente nell’ordinamento costituzionale.

 

I poteri sindacali di emanare ordinanze contingibili e urgenti sono da ricondursi, nell’ordinamento costituzionale italiano, in seno al più ampio (e risalente) dibattito sulla necessità come fonte del diritto[2]. La posizione dottrinale che sosteneva la configurabilità della necessità come fonte appare peraltro ormai ampiamente minoritaria, con la tesi prevalente che ritiene piuttosto di rinvenire nella necessità il presupposto ovvero il prerequisito per l’emanazione di provvedimenti eccezionali[3]. In questo senso la necessità, intesa come situazione straordinaria alla quale non è possibile fare fronte con i mezzi ordinari predisposti dall’ordinamento, diviene la condizione giustificativa, prevista dalla Costituzione o dalla legge ordinaria, per l’esercizio di poteri extra ordinem, mediante l’emanazione di provvedimenti capaci finanche di derogare al diritto vigente. In quest’ottica, e in accordo con il principio di legalità, condizioni di legittimità del provvedimento extra ordinem sarebbero la previsione in una fonte legislativa, in primo luogo, dell’abilitazione all’utilizzo dei poteri (anche tramite l’individuazione dell’organo che degli stessi sarà titolare), e, in secondo luogo, del fatto eccezionale che l’utilizzo di tali poteri giustifica[4].

Con specifico riferimento ai poteri di ordinanza extra ordinem dei Sindaci, è bene sottolineare sin da ora che questi ultimi sono sempre storicamente stati, ancor prima della Costituzione repubblicana, uno dei luoghi privilegiati del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti[5]. Tale impostazione appare del resto coerente con il ruolo centrale che nell’ordinamento è sempre stato riconosciuto ai Sindaci in materia di pubblica sicurezza, se si considera che già il TULPS (regio decreto n. 773/1931) attribuiva al Sindaco i poteri dell’autorità locale di pubblica sicurezza laddove non fosse formalmente istituito il capo dell’ufficio preposto a detta funzione. La nuova legge sull’ordinamento della pubblica sicurezza, legge n. 121/1981, confermava peraltro le funzioni di pubblica sicurezza del Sindaco, così come disciplinate in precedenza dal TULPS. La tendenza ad ampliare i poteri sindacali in quest’ambito si è inoltre rafforzata, come si vedrà, in seguito all’introduzione dell’elezione diretta del Sindaco con la legge n. 81 del 25 marzo 1993.

Non deve peraltro stupire che un ruolo così rilevante venga attribuito proprio al Sindaco: è stato infatti sottolineato come esso, a causa della sua prossimità alla cittadinanza, sia l’organo più idoneo ad intercettare il sentimento e le problematiche degli appartenenti alla comunità cittadina, e dunque a disporre una rapida ed efficacie risposta[6]. In ogni caso, i poteri di ordinanza del sindaco in materia di pubblica sicurezza erano gerarchicamente subordinati a quelli del Prefetto, che disponeva del potere di annullare le ordinanze sindacali, in quanto queste ultime erano adottate dal Sindaco in qualità di ufficiale del Governo.

Significative attribuzioni in materia di ordinanze contingibili e urgenti venivano quindi disposte in capo ai “primi cittadini” già con il regio decreto n. 148/1915 (testo unico della legge comunale e provinciale), che all’articolo 151 attribuiva al Sindaco il potere di adottare provvedimenti contingibili e urgenti di sicurezza pubblica in materia di edilizia, polizia locale e igiene pubblica. In seguito all’adozione della Costituzione repubblicana, l’autorevole dottrina ha ritenuto di poter rinvenire il fondamento costituzionale del potere extra ordinem sindacale nell’articolo 77 Cost., secondo un’interpretazione del termine “Governo” orientata secondo il disposto degli articoli 92 Cost. e seguenti, e pertanto comprensiva di tutte le articolazioni gerarchiche e territoriali del potere esecutivo[7]. Il riferimento allo specifico strumento dell’ordinanza contingibile e urgente faceva inoltre nuovamente comparsa nella legge n. 142/1990 sull’ordinamento delle autonomie locali, il cui articolo 38 attribuiva al Sindaco il potere di emanare provvedimenti contingibili e urgenti, ancora una volta in materia di edilizia, polizia locale e sanità e igiene. Il legislatore del 1990, recependo peraltro la giurisprudenza della Consulta in materia, introduceva altresì il limite espresso del rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e il fine vincolato della prevenzione e rimozione di gravi pericoli per l’incolumità dei cittadini.

I poteri di ordinanza del Sindaco non rimanevano peraltro immuni al mutamento dell’assetto costituzionale del regionalismo italiano, e infatti le leggi Bassanini, che come noto hanno per molti aspetti anticipato la successiva riforma del Titolo V della Costituzione, introducevano un nuovo tipo di ordinanza contingibile e urgente, diverso e separato rispetto a quello sopradescritto attribuito al Sindaco in qualità di ufficiale del Governo in materia di sicurezza. Trattasi delle ordinanze contingibili e urgenti in materia di sanità ovvero di igiene pubblica, emanate dal Sindaco in qualità di rappresentante della comunità locale.

La bipartizione del potere sindacale di ordinanza extra ordinem veniva in seguito confermata dal TUEL (decreto legislativo n. 267/2000). Il TUEL nella sua originaria formulazione disponeva, in particolare, all’articolo 50 comma 5 che «in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale», e all’articolo 54 comma 2 che «il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini; per l’esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l’assistenza della forza pubblica».

La distinzione tra ordinanze adottate quale rappresentante della comunità locale e ordinanze adottate quale ufficiale del Governo, esplicitata nel TUEL, ha dato adito a un dibattito dottrinale sull’inquadramento gerarchico dei poteri di ordinanza sindacale, e in particolare sul residuare o meno di un potere di annullamento prefettizio sulle ordinanze adottate ai sensi dell’articolo 50[8]. Detto dibattito veniva inoltre alimentato dalla svolta regionalista, culminata nella riforma del Titolo V della Costituzione del 2001.

Il potere di ordinanza contingibile e urgente del Sindaco è pertanto da ritenersi una costante dell’ordinamento costituzionale italiano, e affonda le sue radici in un’epoca addirittura precedente alla Costituzione repubblicana. Nondimeno, è necessario evidenziare come si tratti di un potere che ha sempre incontrato limiti ben precisi, individuati dalla Corte Costituzionale sin dai primi anni della propria attività con riferimento in generale all’istituto delle ordinanze extra ordinem. Con la sentenza n. 8/1956, interpretativa di rigetto, la Consulta affermava la legittimità costituzionale dell’istituto in esame, chiarendo che lo stesso, pur essendo legato al periodo pre-repubblicano, vive ora nell’ordinamento inaugurato con la Costituzione del 1948, e deve quindi essere interpretato secondo i principi fondamentali da quest’ultima individuati. In questo senso, la Corte qualificava l’ordinanza extra ordinem alla stregua di un atto amministrativo, strettamente limitato per tempo e territorio e con riferimento ai presupposti per la sua adozione. L’ordinanza può incidere, limitandoli, sui diritti costituzionali, ma deve essere adeguatamente motivata, specie per quanto riguarda i presupposti sopradescritti, oltre che rispettosa dei principi generali dell’ordinamento giuridico. In quanto atto amministrativo, e non già normativo, l’ordinanza è in ogni caso sempre impugnabile dinnanzi all’autorità giudiziaria.

Il persistere di una prassi amministrativa insensibile ai principi interpretativi posti dalla Corte portava quest’ultima a dichiarare a distanza di pochi anni, con la sentenza n. 26/1961, l’illegittimità parziale dell’articolo 2 del TULPS. La Consulta ribadiva la natura amministrativa delle ordinanze contingibili e urgenti, e dunque la loro inidoneità a discostarsi dai principi costituzionali, facoltà che del resto è esclusa anche per gli atti aventi carattere normativo quali la legge ordinaria. L’articolo 2 veniva pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo «nei limiti in cui esso attribuisce ai prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico»[9].

In seguito alla pronuncia della Corte e all’evoluzione giurisprudenziale degli anni successivi, la dottrina giungeva a una perimetrazione puntuale dei limiti al potere di ordinanza sindacale, che venivano così individuati: urgenza (l’atto, la cui adozione deve apparire improrogabile, deve essere immediatamente necessario per far fronte a una situazione concreta, che comporti il pericolo incombente di un grave danno agli interessi pubblici protetti); contingibilità (l’evento deve avere le caratteristiche dell’emergenza, e dunque essere straordinario e imprevedibile, presentando una situazione che non può essere fronteggiata con i mezzi ordinari normalmente previsti dall’ordinamento); temporaneità (l’atto amministrativo deve restare in vigore per il tempo strettamente necessario a rimediare alla situazione emergenziale individuata); preventiva individuazione da parte degli organi competenti della situazione emergenziale che si deve affrontare; ragionevolezza e proporzionalità del provvedimento (e dunque obbligo di motivazione, che deve illustrare come lo strumento adottato sia il meno gravoso per i soggetti destinatari); rispetto dei principi generali dell’ordinamento[10]. Proprio il rispetto dei principi generali dell’ordinamento veniva del resto, come si è visto, espressamente recepito negli anni successivi dal legislatore nel disposto delle norme disciplinanti i poteri sindacali di ordinanza, in conformità alle sopraccitate pronunce della Corte Costituzionale.

 

2. La riforma del 2008 nella sentenza n. 115/2011 della Corte Costituzionale.

 

Nel quadro sopradescritto si inseriva la modifica dell’articolo 54 del TUEL operata con il decreto legge n. 92/2008 (recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 125/2008 (nell’ambito del cosiddetto “pacchetto sicurezza”). Il potere di ordinanza del Sindaco in qualità di ufficiale del Governo, a seguito della riforma, era disciplinato dall’articolo 54 comma 4, ai sensi del quale «il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato provvedimenti anche contingibili ed urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana».

La questione maggiormente problematica era evidentemente l’inserimento della congiunzione “anche”, in virtù del quale la formulazione letterale della norma si prestava a essere interpretata come attributiva di un nuovo potere di ordinanza sindacale finalizzato alla prevenzione ed eliminazione dei pericoli per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Detto nuovo tipo di ordinanza extra ordinem, ma non contingibile e urgente, sarebbe stato quindi soggetto unicamente al vincolo del rispetto dei principi generali dell’ordinamento, sfuggendo invece alle ulteriori limitazioni individuate nel corso degli anni dalla giurisprudenza e dalla dottrina[11].

Problematica appariva inoltre la nozione di sicurezza urbana, affiancata all’incolumità pubblica, che storicamente rappresentava l’interesse protetto dal potere sindacale di ordinanza, dal momento che se l’incolumità pubblica può certamente apparire in pericolo in situazioni emergenziali e imprevedibili, la sicurezza urbana sembra invece fare riferimento a elementi più strutturali, e la sua tutela dovrebbe quindi forse essere perseguita mediante il ricorso a fonti normative ordinarie, e non già a provvedimenti amministrativi, per giunta limitati territorialmente[12]. Il nuovo comma 4 bis dell’articolo 54 del TUEL prevedeva peraltro che le definizioni di sicurezza urbana e incolumità pubblica fossero individuate da un successivo decreto ministeriale, decreto che veniva in effetti emanato il 5 agosto 2008, adottando delle letture indubbiamente estensive dei due concetti in esame. L’articolo 1 del decreto, infatti, affermava che «per incolumità pubblica si intende l’integrità fisica della popolazione» e «per sicurezza urbana un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale». Veniva evidenziato sin da subito, peraltro, come la definizione sopraccitata non delineasse tanto una “sicurezza urbana” quale materia di competenza locale, ma piuttosto una “sicurezza urbana” quale combinazione della nozione di “ordine pubblico”, tipicamente statale, con elementi tipici invece del governo locale del territorio («migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale»), e dunque fornisse una lettura della materia in chiave finalistica e di indirizzo per l’amministrazione locale[13].

L’articolo 2 del decreto in esame forniva poi un elenco (sulla cui natura tassativa ovvero esemplificativa si è molto dibattuto) di condotte specifiche che il Sindaco aveva facoltà di reprimere (evidentemente anche con ordinanza non contingibile e urgente), includendovi, più precisamente:

«a) le situazioni urbane di degrado o di isolamento che favoriscono l’insorgere di fenomeni criminosi, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili e i fenomeni di violenza legati anche all’abuso di alcool;

b) le situazioni in cui si verificano comportamenti quali il danneggiamento al patrimonio pubblico e privato o che ne impediscono la fruibilità e determinano lo scadimento della qualità urbana;

c) l’incuria, il degrado e l’occupazione abusiva di immobili tali da favorire le situazioni indicate ai punti a) e b);

d) le situazioni che costituiscono intralcio alla pubblica viabilità o che alterano il decoro urbano, in particolare quelle di abusivismo commerciale e di illecita occupazione di suolo pubblico;

e) i comportamenti che, come la prostituzione su strada o l’accattonaggio molesto, possono offendere la pubblica decenza anche per le modalità con cui si manifestano, ovvero turbano gravemente il libero utilizzo degli spazi pubblici o la fruizione cui sono destinati o che rendono difficoltoso o pericoloso l’accesso ad essi».

Anche in questo caso va evidenziato come le categorie individuate dal decreto sembrino afferire ad ambiti che esulano dall’emergenza e si collocano invece nell’ambito strutturale del governo delle città, e che per ciò dovrebbero essere di regola normati e affrontati per il tramite degli strumenti ordinari comunemente previsti dall’ordinamento. Il riconoscimento al Sindaco di un potere extra ordinem su materie siffatte prelude evidentemente al riconoscimento di un vero e proprio potere normativo in capo allo stesso, a dispetto del carattere amministrativo che la Corte Costituzionale riconosce all’ordinanza sindacale.

La confusione del mutato quadro normativo di riferimento prestava quindi il fianco a un’interpretazione estensiva del potere di ordinanza sindacale, e dunque alla proliferazione di ordinanze extra ordinem, a contenuto sostanzialmente normativo e in assenza di una reale situazione di emergenza ovvero di una impossibilità di farvi fronte con i mezzi ordinari predisposti dall’ordinamento. In particolare lo strumento dell’ordinanza ex articolo 54 comma 4 TUEL veniva spesso utilizzato dai Sindaci con finalità chiaramente politiche, ai fini di intercettare sentimenti, anche “populisti”, particolarmente diffusi nella cittadinanza, ovvero per marcare una presa di distanza dalle politiche adottate ai livelli di governo superiori su determinate questioni “sensibili”, in alcuni casi secondo evidenti ragionamenti di tipo elettorale.

Secondo i dati dell’ANCI, a un solo anno di distanza dall’intervento del legislatore sull’articolo 54 del TUEL, si contavano ben 788 ordinanze sindacali sulle materie più disparate. E così i sindaci intervenivano, asseritamente ai fini di tutelare la sicurezza urbana, con ordinanze extra ordinem, ad esempio: vietando l’esercizio del mestiere di lavavetri[14]; vietando l’esercizio della prostituzione[15]; vietando di indossare il velo integrale (burqa o niqab) ovvero il cosiddetto “burqini[16]; vietando il bivacco e lo stazionamento in luoghi pubblici, ovvero l’occupazione degli stessi per l’organizzazione di giochi e simili[17]; disciplinando gli orari di apertura di alcuni specifici esercizi commerciali (specie di ristorazione) per evitare la formazione di assembramenti e il disturbo della quiete pubblica[18].

Questa diffusa interpretazione estensiva trovava peraltro una prima conferma in sede giurisprudenziale, ritenendo il giudice amministrativo che il legislatore avesse scientemente e legittimamente ampliato la sfera di competenza del Sindaco a emanare ordinanze oltre i confini tradizionali della necessità e dell’urgenza, e in particolare in assenza dei requisiti della contingibilità e dell’urgenza e in assenza di limiti temporali, in quanto la riscrittura completa dell’articolo 54 TUEL avrebbe innovato la figura del Sindaco, rendendolo «soggetto attuatore, in ambito locale ed in relazione alle domande sociali di sicurezza che di volta in volta le singole collettività pongono, delle regole all’uopo stabilite a garanzia dell’unità dell’ordinamento e della stabilità sociale della Repubblica»[19].

L’uso ipertrofico che i Sindaci facevano del nuovo strumento messo a loro disposizione dalla novella del 2008 portava pertanto a un’evidente segmentazione dell’ordinamento, per cui uno stesso identico comportamento, in alcuni casi addirittura riconducibile all’esercizio di diritti costituzionalmente protetti e finanche fondamentali, poteva essere lecito nel territorio di un Comune e vietato in quello del Comune immediatamente adiacente, con conseguente lesione del principio di eguaglianza. Non stupisce quindi che la questione sia stata portata all’attenzione della Corte Costituzionale, che è stata chiamata a fare chiarezza sulle criticità sopraccitate con la sentenza n. 115/2011 (e del resto non appare casuale, alla luce di quanto esposto, che la questione sia stata sollevata in un giudizio di merito avviato dalla onlus “Razzismo Stop”, per l’impugnazione di un’ordinanza sindacale che aveva vietato l’accattonaggio sul territorio comunale, istituendo un’apposita sanzione amministrativa)[20].

La Consulta veniva pertanto investita del giudizio di legittimità dell’art. 54 comma 4 del TUEL, nella parte in cui esso conferiva il Sindaco il potere di adottare provvedimenti a contenuto normativo generale e a efficacia temporalmente indeterminata in materia di sicurezza urbana, anche in assenza dei requisiti della contingibilità e dell’urgenza. La Corte, muovendo da un’interpretazione letterale della disposizione in esame, escludeva preliminarmente che l’art. 54 comma 4 TUEL attribuisse al Sindaco un potere generale di derogare alla normativa vigente mediante una qualsiasi tipologia di ordinanza extra ordinem diversa dall’ordinanza contingibile e urgente. Un potere siffatto, in accordo con un’attenta lettura dell’articolo 54, è infatti da ritenersi riservato in via esclusiva proprio a quest’ultima tipologia di atti. Le ordinanze sindacali extra ordinem sono pertanto solo e soltanto le ordinanze contingibili e urgenti, mentre le ulteriori ordinanze sindacali previste dall’articolo 54 a tutela della sicurezza urbana devono ritenersi limitate alle faccende di “ordinaria amministrazione”, essendo quindi prive del potere di derogare alla normativa vigente, dovendo essere con quest’ultima compatibili, secondo i normali principi che regolano la subordinazione delle fonti secondarie rispetto alle fonti primarie.

L’interpretazione sopradescritta era evidentemente già di per sé sufficiente a fondare l’illegittimità delle ordinanze extra ordinem emanate al di fuori dei casi emergenziali, confinando i residui poteri di ordinanza all’ordinaria amministrazione: nondimeno, la Corte rilevava altresì la violazione del principio di legalità sostanziale di cui all’articolo 23 Cost.. L’articolo 54 del TUEL conferiva infatti al Sindaco una discrezionalità pressoché illimitata nell’intervenire su materie sostanzialmente indefinite, limitando i diritti individuali nell’ambito del territorio comunale, senza tuttavia stabilire i limiti e i criteri di esercizio del potere sopradescritto.

La Corte ritiene quindi, in altre parole, che ai fini di soddisfare la riserva di legge non basta che il potere attribuito al Sindaco sia vincolato dal legislatore alla tutela di un bene o di un interesse come la sicurezza urbana: è invece necessario che «il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa». Il decreto ministeriale del 5 agosto 2008 non può essere quindi ritenuto idoneo a soddisfare la sopradescritta riserva relativa di legge, se intesa in questo senso, in quanto esso è fonte secondaria frutto della discrezionalità amministrativa e non della manifestazione della volontà dei rappresentanti, con efficacia che deve essere inoltre limitata ai rapporti interni tra Ministro e Sindaco.

La Corte rilevava altresì la mancata individuazione per via legislativa di un parametro con il quale vagliare, in sede di controllo giurisdizionale, la legittimità del provvedimento sindacale, circostanza che integra una violazione del principio di imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’articolo 97 della Costituzione, in quanto è rimesso al Sindaco il potere di agire con un margine amplissimo di discrezionalità, comprimendo la sfera di libertà dei cittadini. Il limite di cui all’art. 97 Cost. è, infatti, imposto alla pubblica amministrazione proprio al fine di proteggere i cittadini da eventuali discriminazioni. Dalla mancata imposizione di un limite che protegga i cittadini da trattamenti irragionevolmente diseguali discende la violazione del principio di eguaglianza formale, atteso che il potere di ordinanza sindacale nelle modalità configurate dall’articolo 54 poteva evidentemente portare a trattamenti differenziati sulla base del solo criterio territoriale, e dunque comportare una disuguaglianza inaccettabile tra le discipline vigenti in Comuni diversi. Dalla mancata imposizione di un limite al potere di ordinanza sindacale risulta infatti la situazione per cui l’autorità giudiziaria si ritrova sprovvista di un qualsiasi parametro da utilizzare in sede di controllo di ragionevolezza, con la conseguenza che risulta impossibile stabilire se le compressioni dei diritti individuali operate dal Sindaco siano legittime o meno.

La Corte dichiarava pertanto l’illegittimità costituzionale dell’articolo 54 comma 4 del TUEL, limitatamente alla locuzione “anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”. Il potere di ordinanza sindacale risultante dalla pronuncia della Consulta è, pertanto, ancora una volta limitato all’ordinanza contingibile e urgente, con la conseguente necessità di rispettare tutti i limiti di cui si è detto al paragrafo precedente, essendo stata l’ordinanza “di ordinaria amministrazione” espunta dall’ordinamento. La giurisprudenza amministrativa si adeguava quasi immediatamente alla sentenza sopraccitata, riportando i requisiti richiesti per la legittima adozione di ordinanze sindacali contingibili e urgenti nel solco della giurisprudenza ormai consolidata e precedente all’intervento del legislatore del 2008, di cui si è detto[21].

 

3. Ricognizione della casistica successiva.

 

Vale la pena interrogarsi, a oltre cinque anni dalla declaratoria di illegittimità parziale da parte della Corte, sullo stato attuale dell’utilizzo dello strumento dell’ordinanza contingibile e urgente. Come si vedrà, nonostante i chiari limiti posti dalla Consulta abbiano sicuramente frenato l’impeto espansivo delle ordinanze sindacali “creative”, esso non si è del tutto arrestato, dal momento che i Sindaci, anche di grandi città, sembrano continuare a ricadere nella tentazione di ricorrere all’ordinanza extra ordinem in casi in cui i presupposti per l’utilizzo di detto strumento appaiono oggettivamente assenti. Detta tendenza emerge già da un’approssimativa ricognizione quantitativa, se si considera che nell’anno 2016 la giustizia amministrativa ha dovuto produrre oltre 250 sentenze in procedimenti aventi ad oggetto ordinanze sindacali contingibili e urgenti[22]. Risulta quindi interessante analizzare alcuni esempi tratti dalla recente giurisprudenza amministrativa in materia, ai fini di verificare dove siano attualmente tracciati dall’autorità giudiziaria il confine e il perimetro del potere sindacale di ordinanza.

Un primo esempio è rappresentato dall’ordinanza n. 122 del 1° dicembre 2016, adottata dal Sindaco del Comune di Roma ai sensi dell’articolo 54 comma 4 TUEL: mediante detta ordinanza contingibile e urgente il Sindaco, peraltro prorogando di fatto gli effetti di un analogo provvedimento appena scaduto, stabiliva «il divieto di qualsiasi attività che preveda la disponibilità a essere ritratto come soggetto in abbigliamento storico, in fotografie o filmati, dietro corrispettivo in denaro», con riferimento al centro storico della città. Il divieto era in particolare indirizzato ai cosiddetti “centurioni”, come chiarito dalla motivazione dell’ordinanza, che affermava che questi ultimi avrebbero importunato i turisti con «modalità inopportune, insistenti e, talvolta, aggressive», addirittura coartando la libera iniziativa del turista con richieste di contropartite economiche per le foto scattate. L’interesse da tutelare veniva rinvenuto dall’amministrazione nella garanzia della fruibilità e della vivibilità del centro storico per i turisti e per la cittadinanza, oltre che del decoro della città poiché «tali soggetti adottano un fantasioso e non consono abbigliamento connotato da inverosimili ricostruzioni storiche».

È evidente sin da ora come la riconducibilità delle attività oggetto di divieto sindacale alle materie dell’incolumità pubblica e della sicurezza urbana appaia piuttosto discutibile, tanto che esse vengono richiamate nel corpo dell’ordinanza in modo del tutto generico, senza un reale approfondimento delle ragioni per cui detti interessi sarebbero stati messi a repentaglio dall’attività dei centurioni. Appare peraltro contraddittoria la circostanza per cui l’ordinanza sarebbe stata adottata “nelle more dell’adozione” del nuovo regolamento di polizia urbana, che avrebbe disciplinato l’attività dei centurioni, dal momento che si tratta di una implicita ammissione del fatto che il fenomeno è privo dei requisiti della contingibilità e dell’urgenza, essendo quest’ultimo, invece, fenomeno strutturale, tanto da dover essere normato per il tramite dello strumento regolamentare.

Sulla questione veniva chiamato a pronunciarsi il giudice amministrativo, in seguito al ricorso presentato da diversi cittadini, oltre che da un’associazione rappresentativa della categoria[23]. Il TAR ha quindi accolto l’istanza cautelare dei ricorrenti, sospendendo l’ordinanza contingibile e urgente adottata dal Sindaco ex articolo 54 comma 4 TUEL. Il Tribunale muove dalla premessa per cui l’ordinanza sindacale extra ordinem è strumento approntato dall’ordinamento esclusivamente ai fini di fronteggiare situazioni di emergenza impreviste, e che essa deve avere necessariamente efficacia limitata nel tempo, nell’ambito della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare. Nel caso di specie, era compresso dall’ordinanza il diritto dei ricorrenti a svolgere un’attività lecita e riconducibile a quella degli artisti di strada, attività peraltro normata dal Comune con apposito regolamento, a fronte di una situazione priva delle caratteristiche dell’emergenza, e dunque senza che in sede di bilanciamento a detto diritto potesse essere opposta una reale esigenza di salvaguardia degli interessi pubblici che fondano il potere di ordinanza stesso. Il Collegio ritiene quindi che il Comune debba intervenire sulla materia non già mediante un’ordinanza emergenziale, bensì tramite apposita disciplina organica.

Sorte analoga toccava all’ordinanza n. 145 del 22 dicembre 2016, ancora una volta adottata ai sensi dell’articolo 54 comma 4 TUEL. Con detta ordinanza il Sindaco ordinava, in tutto il territorio di Roma Capitale, il divieto assoluto di utilizzare materiale esplodente, fuochi artificiali, petardi, botti, razzi e altri artifici pirotecnici o comunque contenente miscele detonanti ed esplodenti, oltre al divieto di usare materiale esplodente anche declassificato a meno di 200 metri da centri abitati, persone o animali. Detti prodotti venivano ritenuti pericolosi perché il loro uso avrebbe provocato “ogni anno” incidenti con danneggiamenti a cose e lesioni anche gravi a persone e animali, oltre a provocare reazioni di disorientamento, paura e comportamenti incontrollati negli animali domestici e nella fauna selvatica. Dette reazioni da parte degli animali avrebbero costituito, a detta del Sindaco, un pericolo per la pubblica incolumità e per gli animali stessi. E infatti gli interessi tutelati venivano rinvenuti nell’incolumità pubblica, sicurezza urbana e protezione degli animali.

Va osservato in primo luogo come la protezione degli animali non sia certo una delle finalità per cui al Sindaco è consentito adottare ordinanze contingibili e urgenti. In secondo luogo, con riferimento alla sicurezza urbana e all’incolumità pubblica, appaiono del tutto assenti, anche in questo caso, i requisiti della contingibilità e dell’urgenza, come peraltro implicitamente ammesso dall’ordinanza stessa: è evidente che se l’utilizzo degli strumenti esplodenti è “consuetudine”, e se gli incidenti denunciati si verificano “ogni anno”, non vi è alcuna emergenza imprevedibile da fronteggiare per il tramite dello strumento extra ordinem, ed è invece necessario ricorrere ai normali strumenti regolatori approntati dall’ordinamento, per normare un fenomeno pacificamente strutturale.

Anche in questo caso l’ordinanza veniva impugnata dinnanzi al giudice amministrativo, che la annullava[24], dopo averla sospesa cautelarmente in via d’urgenza[25]. Il Tribunale ha ritenuto che fosse assente un prerequisito necessario per l’esercizio del potere di ordinanza sindacale: la sussistenza di «un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento». Il Collegio affermava che vero è che l’utilizzo di botti in occasione del Capodanno integra un evento eccezionale e oggettivamente pericoloso, ma vero è altresì che esso non è affatto imprevedibile, ripetendosi con cadenza annuale. E del resto il fatto stesso che il Sindaco abbia potuto prevederlo in concreto, sembra escludere in radice la sussistenza di una qualsiasi imprevedibilità. Ancora una volta, il Tribunale invita l’amministrazione comunale a ricorrere ai mezzi ordinari disponibili nell’ordinamento ai fini di rimuovere pericoli che non presentino quelle caratteristiche necessarie per l’adozione di ordinanze contingibili e urgenti.

A ben vedere, peraltro, quello del Comune di Roma non è un caso isolato, atteso che le ordinanze “anti-botti” hanno goduto negli ultimi anni di una certa popolarità, senza dubbio crescente, in tutta Italia. Basti ricordare, ad esempio, il caso del sud-Milano, in cui diversi Comuni[26] hanno adottato ordinanze siffatte, che sono invariabilmente incorse nel parere prefettizio negativo. Il caso è particolarmente interessante perché il Prefetto aveva espressamente invitato i Sindaci a trasmettere in via preventiva i testi delle eventuali ordinanze, in modo da evitare la situazione, oggettivamente imbarazzante da un punto di vista istituzionale, della revoca “obbligata” a seguito di parere negativo, poi di fatto verificatasi.

Le ordinanze in esame avevano contenuto sostanzialmente analogo a quella già menzionata del Comune di Roma, distinguendosi in alcuni casi per un richiamo al rischio relativo all’aumento degli inquinanti causato dall’accensione e dall’esplosione dei materiali pirotecnici, nonostante il quale le motivazioni dei provvedimenti in esame seguitavano a menzionare il solo articolo 54 TUEL, e non anche l’articolo 50, che disciplina le ordinanze in materia di emergenze sanitarie e di igiene pubblica[27]. Il parere negativo del Prefetto di Milano[28] evidenziava l’assenza del pericolo di un danno grave e imminente all’incolumità pubblica che fonderebbe la possibilità di derogare al principio di tipicità degli atti amministrativi, atteso che le celebrazioni per il Capodanno integrano una “consolidata consuetudine”, e come tale non sono certamente né eccezionali né imprevedibili. Il parere evidenziava altresì la sproporzione tra il divieto emanato, che peraltro non distingueva tra le diverse categorie di esplodenti, e il sacrificio imposto alla libera vendita degli artifici pirotecnici, la cui sicurezza è garantita da un’organica normativa nazionale ed europea. Il Prefetto metteva infine in guardia i Comuni circa la possibile responsabilità in sede giurisdizionale che sarebbe potuta derivare dal mantenimento delle ordinanze adottate. Molti Sindaci provvedevano pertanto alla revoca dei provvedimenti contingibili e urgenti, sostituendoli con un semplice invito alla popolazione di astenersi dall’utilizzo dei materiali interessati.

È stata altresì ritenuta illegittima dal Consiglio di Stato l’ordinanza n. 239 del 21 marzo 2008, adottata dal Sindaco del Comune di Pescara[29]. Con detto provvedimento veniva ordinato a una emittente radio di adeguare i propri impianti ai fini di ricondurre i valori dei campi elettromagnetici nei limiti di legge, diffidandola contestualmente dal proseguire con le trasmissioni. L’interesse tutelato era individuato nella salute pubblica, protetta mediante l’eliminazione di «inconvenienti segnalati già da anni e non ulteriormente differibili».

Il Consiglio di Stato riteneva insussistente l’urgenza qualificata prevista a pena di illegittimità, in quanto il mero superamento dei valori di attenzione delle emissioni elettromagnetiche non integra i caratteri di straordinarietà e di emergenza. La circostanza può essere peraltro dedotta dal fatto che sia lo stesso Sindaco, in sede di motivazione dell’ordinanza, ad affermare che la situazione è conosciuta e invariata “già da anni”, ed è quindi evidente come essa non fosse affatto imprevedibile o peculiare. Ancora una volta, la situazione avrebbe dovuto essere affrontata facendo ricorso agli strumenti ordinari messi a disposizione dall’ordinamento, atteso altresì il fatto che il ricorso al potere di ordinanza extra ordinem presuppone una situazione non tipizzata dal legislatore, che tuttavia ha provveduto a normare la fattispecie venuta in rilievo nel caso specifico.

E ancora, illegittima veniva ritenuta l’ordinanza contingibile e urgente con cui il Sindaco di Pozzuoli vietava a una donna, titolare di una società operante nel settore della pesca, di accedere al Mercato Ittico del Comune, poiché il marito era rimasto recentemente ucciso in un attacco di sospetta matrice camorristica, e l’amministrazione riteneva che la presenza della donna nel mercato avrebbe potuto cagionare un rilevante allarme sociale[30]. Anche in questo caso, il pericolo non veniva ritenuto sussistente in concreto, in quanto la situazione appariva risolvibile mediante il ricorso ai normali mezzi previsti dall’ordinamento.

Tra i casi che non sono giunti all’attenzione dell’autorità giudiziaria, di particolare interesse risulta l’ordinanza n. 16 del 26 novembre 2015 adottata ai sensi dell’articolo 54 comma 4 TUEL dal Sindaco del Comune di Varese, con la quale veniva disposto il «divieto di utilizzo di mezzi atti a travisare o rendere irriconoscibile la persona anche mediante dissimulazione del volto», ordinanza che peraltro si colloca in una storia ormai decennale di provvedimenti analoghi evidentemente indirizzati a reprimere l’utilizzo del velo integrale (burqa o niqab) portato dalle donne di fede islamica[31]. L’ordinanza motivava la sussistenza dei requisiti di contingibilità e urgenza affermando che in seguito ai noti attentati che avevano colpito la Francia alla fine del 2015, si sarebbe innalzato il livello di allarme nell’ordinamento italiano per la paura di attentati terroristici. La finalità dell’ordinanza era pertanto dichiaratamente la tutela della sicurezza urbana mediante la prevenzione dell’insorgere di «ingiustificati allarmi nella cittadinanza».

Appare evidente come, anche nel caso di specie, siano del tutto assenti i requisiti di contingibilità e urgenza richiesti per l’adozione di un’ordinanza extra ordinem, atteso che un astratto innalzamento del rischio percepito dalla cittadinanza, in seguito ad attentati che hanno colpito un altro Stato, non sembra essere fatto idoneo a rappresentare un pericolo provvisto di quei caratteri di concretezza e imminenza richiesti a pena di illegittimità. E del resto è lo stesso Sindaco a specificare che l’allarme nella cittadinanza, in conseguenza della circolazione in luogo pubblico di donne portanti il velo integrale, sarebbe ingiustificato, con ciò sostanzialmente ammettendo l’insussistenza dei requisiti di legge per l’adozione del provvedimento.

A fianco della giurisprudenza sopradescritta, che ha spesso posto un freno alle tendenze espansive dell’utilizzo sindacale dello strumento in esame, si registrano una serie di sentenze che hanno invece ritenuto legittima l’adozione di ordinanze contingibili e urgenti. Appare quindi utile procedere a una sommaria ricognizione, meramente esemplificativa, di alcune delle decisioni sopraccitate, ai fini di poter meglio individuare, per contrasto, i casi e le materie in cui al Sindaco è consentito di ricorrere al proprio potere di ordinanza.

È stata ritenuta in questo senso legittima l’ordinanza adottata dal Sindaco ai sensi dell’articolo 54 comma 4 TUEL con la quale si intimava la messa in sicurezza di un’area di alberi pericolanti siti sul margine del percorso stradale, in quanto detta fattispecie presenterebbe precisamente il carattere di grave minaccia per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana che il potere di ordinanza extra ordinem del Sindaco deve rimuovere[32].

Similmente, è stato ritenuto legittimo l’ordine di provvedere alla ricostruzione e messa in sicurezza di manufatti murari crollati ovvero danneggiati (e in particolare di un tratto di acquedotto) in seguito a un evento franoso, oltre che lo sgombero dei detriti e la pulizia dell’area interessata, operazioni ritenute essenziali per la salvaguardia dell’incolumità pubblica[33]. Ancora, legittima è l’ordinanza con cui il Sindaco dispone che il privato provveda alla risagomatura e ripavimentazione della strada soggetta a servitù di passaggio (in favore del privato stesso), per rimediare alla normale usura dovuta al traffico veicolare, idonea a pregiudicare la sicurezza della circolazione[34]. È stata altresì ritenuta legittima l’ordinanza con cui il Sindaco vietava a un condominio l’utilizzo delle autorimesse interrate, in assenza dell’idonea autorizzazione antincendio rilasciata dai vigili del fuoco, in quanto detta situazione di fatto era ritenuta sintomatica di una «assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile» per scongiurare un reale pericolo per l’incolumità pubblica[35].

E ancora, legittima è l’ordinanza contingibile e urgente adottata ex articolo 50 comma 5 TUEL, con cui si vieta alla società che gestisce il servizio idrico integrato di procedere alla disattivazione dei collegamenti fognari per le utenze in stato di morosità[36]. Il Collegio riteneva infatti che fosse insorta una situazione imprevedibile (la morosità concomitante di un numero elevato di soggetti) che non poteva essere fronteggiata con gli strumenti ordinari, e che poteva dar luogo a un grave pericolo per la salute pubblica, non sussistendo alcuna alternativa praticabile in concreto per lo smaltimento dei reflui.

È stata altresì ritenuta legittima l’ordinanza ex articolo 50 TUEL con cui il Sindaco impone al privato di provvedere alla disinfestazione di un fabbricato di proprietà, abbandonato da oltre 30 anni, in quanto esso può evidentemente comportare un pericolo per l’igiene pubblica, pericolo che può essere evitato, per l’appunto, solo tramite idonea disinfestazione periodica[37]. Similmente, legittima è l’ordinanza sindacale che dispone lo sgombero di una struttura alberghiera ritenuta inidonea alla fruizione per l’assenza dei requisiti minimi di abitabilità, igiene e sicurezza, non potendo la struttura offrire i servizi minimi necessari per una ospitalità di nuclei a carattere residenziale per la mancanza di apposita cucina o angolo cottura, oltre che per gli spazi minimi insufficienti, circostanze che avevano prodotto una «situazione di diffuso degrado e insicurezza dell’immobile e sue pertinenze»[38].

Risulta interessante, infine, una recente pronuncia del TAR Lazio, con la quale il Giudice sembra sostanzialmente riconoscere che l’urgenza di provvedere possa discendere non solo da una situazione emergenziale di fatto, ma altresì da una pronuncia dell’autorità giudiziaria: nel caso di specie, infatti, il Consiglio di Stato aveva ordinato al Comune di procedere entro trenta giorni allo sgombero da persone e cose del suolo pubblico occupato da alcuni privati, e il Sindaco adottava l’ordinanza contingibile e urgente proprio ai fini di adempiere a detto comando[39].

 

4. Dubbi circa la costituzionalità del d. l. n. 14/2017.

 

Dalla sommaria ricognizione operata al paragrafo precedente appare evidente come la sentenza n. 115/2011 della Corte Costituzionale abbia sì posto un freno alle ordinanze sindacali “creative”, ma non abbia arrestato del tutto la tendenza a fare un uso distorto dello strumento, come evidenziato in particolare dalle recenti pronunce del TAR Lazio sulle ordinanze contingibili e urgenti adottate dal Sindaco di Roma. In particolare, emerge una sopravvivenza della criticata tendenza a utilizzare l’ordinanza extra ordinem in ottica politica, ai fini di intercettare alcuni (percepiti) sentimenti diffusi nella cittadinanza, anche in ottica elettorale. Se appaiono forse in parte superati (con alcune eccezioni), anche alla luce della giurisprudenza della Consulta, i tempi in cui si parlava addirittura di “Sindaco sceriffo”[40], le interpretazioni estensive dei poteri di ordinanza sindacale sembrano perdurare, e il numero di provvedimenti sindacali contingibili e urgenti annullati ogni anno risulta estremamente elevato.

Se da un lato è certamente vero che il Sindaco è l’organo più idoneo per rispondere a determinate emergenze locali, vista la sua prossimità alla cittadinanza e la conseguente capacità di individuare prontamente le criticità[41], dall’altro è necessario che i poteri sindacali, specie in materia di sicurezza urbana, si muovano nello stretto rispetto dei limiti posti al potere di ordinanza extra ordinem. In altri termini, è necessario che il Sindaco non ceda alla tentazione di utilizzare i propri poteri di ordinanza ai fini di intervenire su problematiche che esulano dal suo naturale ambito di competenza, vuoi per la portata del fenomeno, vuoi per la riferibilità dello stesso alla sfera di competenza statale. È questo, ad esempio, il caso delle ordinanze che tentano di intervenire, in un modo o nell’altro, sui temi dell’immigrazione e del multiculturalismo. La dottrina ha del resto sottolineato come ormai sia proprio il livello urbano a essere divenuto, per effetto dell’intensificarsi dei fenomeni migratori, il polo nevralgico per l’elaborazione delle politiche finalizzate all’integrazione culturale e religiosa[42]. Nonostante l’idoneità di dette problematiche a scatenare reazioni nella cittadinanza, le politiche sopraccitate devono essere necessariamente elaborate al livello statale, e non possono certo conoscere l’ingerenza del Sindaco, che peraltro rischierebbe di comportare evidenti discriminazioni fondate unicamente su di un criterio geografico.

Allo stesso modo, il Sindaco dovrebbe astenersi dall’intervenire con ordinanza con riferimento a problematiche caratterizzate da un’evidente dimensione strutturale. La tentazione di dare un’immagine dinamica dell’amministrazione comunale gioca indubbiamente un suo ruolo sotto questo punto di vista, e conseguentemente il ricorso allo strumento dell’ordinanza, in quanto atto percepito come idoneo a rimuovere con estrema rapidità problemi fortemente avvertiti dalla cittadinanza (o, in alcuni casi, esasperati dai mezzi di comunicazione), è particolarmente frequente. E tuttavia, se l’immagine trasmessa nel breve periodo è quella dell’efficienza, nel lungo periodo il ricorso massivo e indiscriminato allo strumento extra ordinem porta a risultati estremamente inefficienti, in quanto le ordinanze irrispettose dei limiti a esse imposti verranno verosimilmente espunte dall’ordinamento in seguito all’intervento dell’autorità giudiziaria, con il rischio che nel frattempo l’amministrazione comunale non abbia individuato una soluzione organica a problematiche di carattere strutturale, per il tramite degli strumenti già esistenti, allo stato, nell’ordinamento giuridico.

Non va poi trascurato l’aspetto, tutt’altro che secondario, del danno che l’utilizzo distorto delle ordinanze contingibili e urgenti può potenzialmente causare alle finanze pubbliche. La difesa dei provvedimenti sindacali dinnanzi ai Tribunali amministrativi è infatti indubbiamente attività dispendiosa, e il problema è ancor più grave nel caso di ordinanze adottate con finalità politiche, e dunque di atti la cui illegittimità era sostanzialmente conosciuta, o quantomeno presunta, dal Sindaco stesso, nel qual caso lo spreco di risorse, economiche e non, risulta del tutto deliberato.

Al contrario, lo strumento dell’ordinanza sindacale di emergenza sembra dare prova di una sua indubbia efficacia laddove esso venga utilizzato all’interno del perimetro degli ambiti di competenza per cui il potere extra ordinem è stato assegnato al Sindaco dal legislatore ordinario, e dunque senza tentare di espandere forzatamente le nozioni di sicurezza urbana, pubblica incolumità, sanità locale e igiene pubblica locale. Come si è visto, le ordinanze contingibili e urgenti adottate ai fini di fronteggiare fenomeni che siano da un lato oggettivamente imprevedibili ed emergenziali, e dall’altro effettivamente circoscritti, per potenzialità lesiva, al territorio comunale, passano senza difficoltà il vaglio dell’autorità giudiziaria, che entro questi limiti non si ingerisce del merito della discrezionalità amministrativa.

Va peraltro segnalato come, sul quadro appena delineato, sia destinato ad avere un impatto potenzialmente radicale il decreto legge n. 14/2017 (convertito con modificazioni dalla legge n. 48/2017), cosiddetto “decreto Minniti”, che è intervenuto nuovamente sui poteri sindacali di ordinanza, modificando sia l’articolo 50 che l’articolo 54 del TUEL[43]. In particolare, con riferimento all’articolo 50 (e dunque ai poteri del Sindaco quale rappresentante della comunità locale, slegati dal rapporto gerarchico con il Prefetto), viene introdotto il potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti «in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche». Con riferimento all’articolo 54, invece, viene introdotta una definizione legislativa di sicurezza urbana (definizione che il legislatore del pacchetto sicurezza aveva demandato a un successivo decreto, con scelta censurata dalla Consulta per violazione del principio di legalità sostanziale), definita «bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città». Il nuovo articolo 54 specifica che i provvedimenti contingibili e urgenti «concernenti l’incolumità pubblica sono diretti a tutelare l’integrità fisica della popolazione», mentre quelli «concernenti la sicurezza urbana sono diretti a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, ovvero riguardano fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti».

Ancora una volta, quindi, il legislatore ha ritenuto di fare ricorso a un potenziamento dei poteri sindacali di ordinanza al finer di ricomprendervi situazioni evidentemente tutt’altro che emergenziali. Va tuttavia ricordato che anche la nuova formulazione degli articoli 50 e 54 TUEL dovrà essere vagliata con riferimento ai parametri individuati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n 115/2011, per cui i poteri sindacali di comprimere la libertà dei singoli devono necessariamente trovare un fondamento nella legge ordinaria, che deve essere inoltre estremamente rigorosa nell’individuare le modalità d’uso del potere e delle limitazioni che esso dovrà necessariamente incontrare. Il rischio concreto è quindi che il legislatore del 2017, mediante l’attribuzione di poteri estremamente invasivi al Sindaco, vincolati esclusivamente al perseguimento di finalità estremamente generali, sia incorso nel medesimo errore del legislatore del 2008, con evidenti conseguenze dal punto di vista della legittimità costituzionale della norma[44]. Inoltre, lo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente, che come specificato dalla Consulta deve pur sempre mostrarsi compatibile con i limiti storicamente individuati per via giurisprudenziale, appare difficilmente conciliabile con il perseguimento di finalità di tipo strutturale quali quelle introdotte al nuovo articolo 50 del TUEL. Particolarmente attuale è altresì il rischio, anche alla luce delle tendenze sopradescritte, di un nuovo proliferare di ordinanze sindacali “creative”.

Un primo effetto del d. l. n. 14/2017 si è già visto proprio nell’ambito della vicenda dei “centurioni”, descritta ai paragrafi precedenti. Il Giudice amministrativo ha infatti recentemente rigettato la richiesta di sospensione cautelare dell’ennesima ordinanza[45] con cui il Sindaco aveva interdetto lo svolgimento dell’attività di “centurione” sul territorio comunale, rilevando come la motivazione del provvedimento traesse fondamento, questa volta, “nel novellato art. 50, comma 5 TUEL il quale, come sopra ricordato, assegna al Sindaco il potere di varare ordinanze contingibili e urgenti «in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana»”[46].

In ogni caso, e a prescindere dal destino delle nuove disposizioni introdotte dal “Decreto Minniti” (che non sembrano rispondere in modo soddisfacente alle criticità descritte ai paragrafi precedenti e ormai note da anni), che saranno certamente oggetto del vaglio dell’autorità giudiziaria (e, verosimilmente, della Corte) nei mesi a venire, sarebbe certamente auspicabile che le amministrazioni comunali concentrassero le (già scarse) risorse a loro disposizione non tanto nell’adozione di ordinanze in un certo senso “politicizzate”, sconfinanti in ambiti di competenza a esse non attribuite, bensì nel fare un pieno e corretto uso dello strumento extra ordinem nell’ambito delle competenze a esse effettivamente attribuite. E infatti, come si è visto, è proprio nella gestione delle “piccole” emergenze che spesso si verificano nell’amministrazione quotidiana dell’ente comunale che l’ordinanza sindacale contingibile e urgente trova la sua dimensione naturale e dunque maggiormente proficua, e che consente una sua piena valorizzazione. I tentativi di governare fenomeni strutturali per il tramite di uno strumento sprovvisto di natura normativa, ovvero di innovare l’ordinamento con riferimento a fenomeni caratterizzati da una dimensione extra-comunale, sono condannati a infrangersi sui limiti che ormai da decenni sono stati individuati per le ordinanze extra ordinem, e che vengono invariabilmente fatti valere dalla giurisprudenza amministrativa consolidata in materia. Proprio detti limiti rappresenteranno, con ogni probabilità, un freno a una eventuale nuova proliferazione delle ordinanze sindacali, con riferimento alle nuove materie individuate dalla novella del 2017.


 


[1] Dottorando di ricerca in Autonomie, Servizi pubblici e Diritti presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”.

 

[2] Non è possibile in questa sede ricostruire compiutamente il dibattito sulla necessità come fonte del diritto. Si vedano, ex multis, almeno: S. Romano, Saggio di una teoria sulle leggi di approvazione, in Il Filangieri, n. 23, 1898; A. Traversa, Lo stato di necessità nel diritto pubblico, Napoli, Pierro, 1916; T. Perassi, Necessità e stato di necessità nella teoria dommatica della produzione giuridica, in Rivista di diritto pubblico, 1917; C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, vol. I, Padova, Cedam, 1975; P. G. Grasso, Necessità (stato di) (diritto pubblico), in Enciclopedia del diritto, XXVII, Milano, Giuffrè, 1977; F. S. Severi, Un problema antico: la necessità come fonte, in Le Regioni, fasc. 6, 1989.

 

[3] Si veda in questo senso P. G. Grasso, Necessità (stato di) (diritto pubblico), cit.

 

[4] Si vedano: T. Perassi, Necessità e stato di necessità nella teoria dommatica della produzione giuridica, cit.; F. Bartolomei, Ordinanza (diritto amministrativo), in Enciclopedia del Diritto, XXX, Milano, Giuffrè, 1980.

 

[5] Per un’ampia ricostruzione della storia delle ordinanze di necessità e urgenza nell’ordinamento costituzionale italiano si vedano: A. Morrone, Le ordinanze di necessità e urgenza, tra storia e diritto, in A. Vignudelli (a cura di), Istituzioni e dinamiche del diritto. I confini mobili della separazione dei poteri, Milano, Giuffrè, 2009, 133 ss.; G. Razzano, Le ordinanze di necessità e urgenza nell’attuale ordinamento costituzionale, in AA. VV. (a cura di), Scritti in onore di Michele Scudiero, Napoli, Jovene, 2008, 1935 ss. Per la ricostruzione dell’evoluzione dei poteri sindacali in materia di pubblica sicurezza si veda invece E. C. Raffiotta, Sulle funzioni del Sindaco in materia di “sicurezza urbana”: tra istanze locali e competenze statali, in Forum di Quaderni costituzionali rassegna, n. 10, 2013.

 

[6] Si veda sul tema E. De Marco, Comune, in Enciclopedia del Diritto, agg. IV, Milano, Giuffrè, 2000.

 

[7] Si veda F. Bartolomei, Ordinanza (diritto amministrativo), cit.

 

[8] Si vedano sul tema: A. Morrone, Le ordinanze di necessità e urgenza, tra storia e diritto, cit., 133 ss.; M. Bertolissi (a cura di), L’ordinamento degli enti locali, Bologna, Il Mulino, 2002; L. Vandelli, Ordinamento delle autonomie locali. Commento alla legge 8 maggio 1990, n. 142, Rimini, Maggioli, 1990, 214 ss.; M. Gnes, L’annullamento prefettizio delle ordinanze del Sindaco quale ufficiale del governo, in Giornale di diritto amministrativo, n. 1, 2009, 44 ss.

 

[9] Sulla sentenza in esame si vedano: V. Crisafulli, Il “ritorno” dell’art. 2 della legge di pubblica sicurezza dinanzi alla Corte costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1961, 886 ss., C. Lavagna, Sull’illegittimità dell’art. 2 leggi di P.S. come testo legislativo, in Giurisprudenza costituzionale, 1961, 898 ss.

 

[10] Si vedano: P. Lombardi, Il potere sindacale di emettere provvedimenti contingibili ed urgenti: presupposti e caratteristiche essenziali alla luce degli orientamenti della giurisprudenza, in Foro amministrativo, vol. 2, n. 1, 2003; M. Cardilli, Il potere di ordinanza del Sindaco ex articolo 54 del Decreto Legislativo n. 267/2000 nelle disposizioni modificative del c.d. “pacchetto sicurezza”, in Amministrativ@mente, n. 2, 2009.

 

[11] Sul tema si vedano: L. Vandelli, I poteri del Sindaco in materia di ordine e sicurezza pubblica nel nuovo art. 54 del TUEL., in Atti della giornata di studio “Nuovi orizzonti della sicurezza urbana – dopo la legge 24 luglio 2008, n. 125 e il decreto del Ministro dell’Interno”, Bologna, Bononia University Press, 2009, 51 ss; F. Cortese, La sicurezza urbana e il potere di ordinanza del Sindaco tra competenze statali e competenze regionali: come districare l’intreccio?, in Le Regioni, fasc. 1-2, 2010, 123 ss.

 

[12] Si vedano sul tema: A. Pajno (a cura di), La sicurezza urbana, Rimini, Maggioli, 2010; T. F. Giupponi, La sicurezza urbana e i suoi incerti confini, tra ordinanze sindacali e “ronde”, in Istituzioni del federalismo, n. 4, 2011; L. Mezzetti, Ordine pubblico, sicurezza e polizia locale: il ruolo delle autonomie territoriali, in Percorsi costituzionali, 2008; L. Vandelli, Ordinanze pubbliche per la sicurezza: uno strumento utile, ma ancora da affinare, in Amministrazione civile, nn. 4-5, 2008.

 

[13] Si veda sul tema T. F. Giupponi, La sicurezza urbana e i suoi incerti confini, tra ordinanze sindacali e “ronde”, cit., 723 ss.

 

[14] Si veda L. Busatta, Le ordinanze fiorentine contro i lavavetri, in Le Regioni, nn. 1-2, 2009.

 

[15] Si veda M. Mazzarella, E. Stradella, Le ordinanze sindacali per la sicurezza urbana in materia di prostituzione, in Le Regioni, nn. 1-2, 2010.

 

[16] Si veda A. Lorenzetti, Il divieto di indossare “burqa” e “burqini”. Che genere di ordinanze?, in Le Regioni, nn. 1-2, 2009.

 

[17]Si veda F. Parmigiani, Il divieto di bivacco e di stazionamento nelle ordinanze adottate dai Sindaci ex art. 54 TUEL, in Le Regioni, nn. 1-2, 2009.

 

[18] Si veda M. Magrassi, Le ordinanze “anti-kebab”, in Le Regioni, nn. 1‐2, 2010.

 

[19] Cfr.: TAR Lazio, sez. II, sentenza n. 12222/2008; TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza n.682/2009.

 

[20] Sulla sentenza in esame si vedano: V. Cerulli Irelli, Sindaco legislatore?, nota a Corte Cost. 7 aprile 2011 n. 115, in Giurisprudenza costituzionale, n. 2. 2011, 1600 ss.; P. Cerbo, Principio di legalità e “nuove ed inedite” fattispecie di illecito create dai Sindaci, in Le Regioni, nn. 1-2, 2012; S. Parisi, Dimenticare l’obiezione di Zagrebelsky? Brevi note su legalità sostanziale e riserva relativa nella sent. n. 115/2011, in Annali dell’Università degli studi del Molise, n 12, 2010; M Carrer, Le ordinanze dei Sindaci e la scorciatoia della Corte, in Forum di Quaderni costituzionali, 2012.

 

[21] Si veda ad esempio Cons. di Stato, sentenza n. 3077/2012.

 

[22] Dati estratti dal sito della giustizia amministrativa.

 

[23] Cfr. TAR Lazio, sez. II, ordinanza n. 2012/2017.

 

[24] Cfr. TAR Lazio, sez. II, sentenza n. 5572/2017.

 

[25] Cfr. TAR. Lazio, sez. II, decreto monocratico n. 8302 del 28 dicembre 2016.

 

[26] Tra cui, ad esempio, i Comuni di San Donato Milanese, Vizzolo Predabissi e Dresano.

 

[27] Si veda ad esempio l’ordinanza n. 23 del 15 dicembre 2016 del Sindaco del Comune di San Donato Milanese.

 

[28] Cfr. Prefettura di Milano, parere del 20 dicembre 2016, Fasc. Prot. n. 12B2/2013-040160 Gab.

 

[29] Cfr. Cons. di Stato, sentenza n. 2697/2015.

 

[30] Cfr. TAR Campania, sez. V, sentenza n. 2902/2017.

 

[31] Su questo provvedimento e per una ricostruzione della storia delle ordinanze “anti-velo” nell’ordinamento italiano sia consentito il rinvio a G. Cavaggion, Gli enti locali e le limitazioni del diritto alla libertà religiosa: il divieto di indossare il velo integrale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 28, 2016.

 

[32] Cfr. TAR Lazio, sez. II bis, sentenza n. 3168/2017.

 

[33] Cfr. TAR Valle D’Aosta, sentenza n. 35/2010.

 

[34] Cfr. TAR Lazio, sez. II ter, sentenza n. 10344/2016.

 

[35] Cfr. TAR Lombardia, sez. I, sentenza n. 2042/2016.

 

[36] Cfr.: TAR Sicilia, sez. I, sentenza n. 1280/2017; TAR Sicilia, sez. I, sentenza n. 125/2017.

 

[37] Cfr. TAR Basilicata, sez. I, sentenza n. 300/2016.

 

[38] Cfr. TAR Lazio, sez. II, sentenza n. 7473/2016.

 

[39] Cfr. TAR Lazio, sez. II, sentenza n. 7957/2016.

 

[40] Si veda E. C. Raffiotta, Sulle funzioni del Sindaco in materia di “sicurezza urbana”: tra istanze locali e competenze statali, cit., 9 ss.

 

[41] Si veda E. De Marco, Comune, cit.

 

[42] Si veda R. Mazzola, Laicità e spazi urbani. Il fenomeno religioso tra governo municipale e giustizia amministrativa, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, marzo 2010, 4.

 

[43] Si veda sul tema T. F. Giupponi, Sicurezza urbana 2.0: luci e ombre del decreto Minniti, in Forum di Quaderni costituzionali, 15 maggio 2017.

 

[44] Si veda in questo senso G. Di Cosimo, Decreto Minniti, il daspo urbano e la libertà personale, in LaCostituzione.info, 20 marzo 2017.

 

[45] Cfr. ordinanza n. 109 del 14 luglio 2017 del Sindaco del Comune di Roma.

 

[46] Cfr. TAR Lazio, sez. II, ordinanza n. 3855/2017.