L’esperienza degli ordinamenti europei: un “ritorno” alle gestioni pubbliche/municipali?

Hellmut Wollmann[1]

 

(Abstract)

The article addresses the delivery of public and social services in European countries. It pursues a “developmental” (“over time”) approach  in discussing the institutional changes which the provision of services has undergone from the 19th century marked in (elementary) service provision by “municipal socialism” and subsequently public sector-based delivery in the advanced welfare state climaxing in the 1970s to the “neo-liberal” (New Public Management/NPM-driven) “marketization” and “privatization” of rendering public and social services. In then focusing on the  most recent (“post-NPM”) development since the mid-1990s the article explores the question as to whether (and why) a trend towards a “remunicipalization” and “comeback” of the public/municipal sector in service provision can be observed.

 

1. Definizioni e principi[2] [3].

Nel testo seguente sarà analizzato lo sviluppo delle forme istituzionali della gestione dei servizi pubblici in alcuni paesi europei.

Occorre innanzitutto cercare una terminologia comune: Servizi Pubblici, in italiano, corrisponde, nella lingua inglese a public utilities, in francese  a services publics ed in tedesco a Daseinsvorsorge. Il termine tedesco è quello più difficile da tradurre, poiché indica, più o meno: “provvedimento per il (ben)essere”. A livello comunitario, nelle parole della Commissione Europea, la terminologia utilizzata è più complessa, ma anche più specifica, ovvero: servizi d’interesse economico generale (services of general economic interest).  In tal senso, i servizi pubblici, includono in particolare i servizi c.d. infrastrutturali o a rete,  includendo quindi il servizio idrico, lo smaltimento dei rifiuti, i servizi “energetici” ( come elettricità e gas) ed i trasporti pubblici.

In questo ambito, piuttosto vasto, lo sviluppo istituzionale può essere analizzato ed interpretato secondo due logiche distinte: una logica organizzativa ed una logica operativa. 

Rispetto alla  logica organizzativa possono individuarsi diverse tipologia di organizzazione del servizio (Per definizioni vedi anche Wollmann 2016a).

Organizzazione pubblica: con la quale si identifica la gestione dal settore da parte dello stato, ovvero di altri enti pubblici, come i Comuni. Tale gestione può essere svolta direttamente dall’amministrazione e dai suoi dipendenti (identificandosi, in questo caso, con la definizione  inglese di in house, o in francese di en régie), oppure  indirettamente, attraverso enti o aziende che, pure restando nella proprietà pubblica, hanno una forma giuridica ed organizzativa (in alcuni casi anche finanziaria) autonoma e separata rispetto alle pubbliche amministrazioni propriamente intese.

La separazione, o gestione indiretta, implica una trasformazione del gestore del servizio pubblico e può avvenire attraverso varie modalità:

Privatizzazione formale: La gestione ed organizzazione “separata” o indiretta dei servizi pubblici, si può ottenere attraverso distinte trasformazioni giuridiche, ovvero attraverso la c.d. privatizzazione formale oppure organizzativa o attraverso la c.d. corporatizzazione (corporatization) (vedi Grossi et al. 2010). Per lo più tali organizzazioni possiedono personalità giuridica autonoma, potendo configurarsi, per esempio, come impresa o azienda autonoma[4], nella forma di S.p.A o di S.r.l. (in italiano: società per azioni oppure con responsabilità limitata). Anche in Germania esistono esempi di questo tipo, come nel caso delle c.d. Stadtwerke , cui corrispondo le c.d. aziende municipalizzate in Italia. Nel caso in cui, nel capitale di tali aziende, vengano coinvolti soggetti privati, come azionisti, di regola, in minoranza, le stesse vengono definite gemischtwirtschaftliche Unternehmen in Germania, mixed companies in Inghilterra, sociétés d’économie mixte locales (SEML) in Francia oppure di Public Private Partnerships (PPP) nella terminologia anglosassone utilizzata anche a livello europeo.

Privatizzazione materiale: Nel caso in cui la separazione avvenga attraverso la privatizzazione materiale (o asset), a differenza del modello prima descritto, sarà l’intero patrimonio pubblico (sia esso statale o municipale) ad essere trasferito, o venduto, interamente o parzialmente ad acquirenti o investitori privati.

Privatizzazione funzionale: Nel caso in cui  la gestione del servizio pubblico venga trasferita ad un fornitore esterno, sia del settore privato, sia del “terzo settore” (non-profit nel Regno Unito, d’utilità pubblica in Italia, gemeinnützig in Germania, à but non-lucratif  in Francia). Tale privatizzazione funzionale si realizza per outsourcing, contrattazione, appalto o delega (gestion déléguée in Francia). In tal caso, però, la funzione di servizio pubblico resta soggettivamente ancorata nel soggetto pubblico titolare.

 

È però anche possibile il processo inverso rispetto a quelli sopra-descritti, che potremmo definire di “rimunicipalizzazione” , ovvero il “ritorno” alla gestione pubblica, sia nel caso in cui la proprietà torni ad essere pubblica sia nel caso in cui la funzione venga riportata in mano pubblica, attraverso un processo uguale e contrario a quello di  outsourcing, definito anche di insourcing.

 

Quanto alla seconda prospettiva di indagine, nell’ambito della logica operativa possono distinguersi due percorsi: uno economico e l’altro politico (vedi Wollmann 2014: 50, Wollmann 2016a). Potendo utilizzare delle categorie ideali, secondo la teoria di Max Weber, la logica economica impone la realizzazione di un solo obiettivo, quello economico appunto,  essendo focalizzata alla sola efficienza economica, ignorando ed esternalizzando, ove possibile i costi sociali, ecologici etc. La logica economica, così intesa, è tipica  della realtà imprenditoriale privata.

 

Al contrario, la logica politica è diretta ad adempiere una pluralità di obiettivi i quali comprendono innanzitutto l’interesse generale, che appartiene non al singolo bensì alla comunità locale, focalizzando quindi obiettivi di benessere sociale, ambientale, sanitario ma non solamente quello economico. La tutela dell’interesse generale, tipico della logica politica, è alla base della stessa legittimazione del mandato dell’organo elettivo dell’ente locale, da cui non si può prescindere.

Tentando un’analisi storica delle due logiche, potremmo analizzare se, come e quando le stesse siano state realizzate, in maniera combinata o alternata.  Questa analisi potrà essere finalizzata a capire, soprattutto, se, come e quando i servizi pubblici hanno iniziato a tornare in mano pubblica.

 

2.  Sviluppo dell’istituzionalizzazione della gestione di servizi pubblici.

Per mettere la questione a fuoco rispetto alla rimunicipalizzatione in una prospettiva storica, sembra utile ripercorrere brevemente lo sviluppo storico, ovvero le fasi della. istituzionalizzazione della gestione dei servizi pubblici.

In tale ambito è possibile individuare varie fasi (vedi  Millward 2005,  Clifton et al. 2011,Wollmann/Marcou 2010, Wollmann 2014, 2016b).

– Durante il XIX Secolo, sia in Inghilterra, prima nazione europea in termini di  industrializzazione e urbanizzazione, che in Germania, le forme embrionali ed elementari di  servizi pubblici, come acqua, rifiuti, gas, elettricità e trasporto pubblico furono organizzati e gestiti da imprenditori privati.

– Nella seconda metà dello stesso secolo, a causa della scarsa qualità dei servizi forniti dai privati e a causa anche del loro fallimento dal punto di vista economico, i servizi pubblici furono posti sotto la gestione e responsabilità dei municipi, accrescendo in misura significativa il ruolo istituzionale degli enti locali. Il fenomeno, noto in Inghilterra come socialismo municipale, e voluto fortemente dal movimento dei  Fabians, fu ritenuto un passo necessario ed essenziale per lo sviluppo di una nuova politica, diffondendosi presto anche in altri paesi europei.

– Dall’inizio del XX secolo, con il rafforzamento dello Stato del Benessere (Welfare State) nella sua accezione moderna, il ruolo dei governi centrali è diventato sempre più importante, anche rispetto alla gestione di servizi pubblici. Inizialmente, l’accentramento dei poteri si manifestò con l’elaborazione di una regolazione nazionale dei servizi. Dopo il 1945, invece, in parte anche la gestione dei servizi fu richiamata dal livello locale e affidata allo Stato stesso: il settore dell’energia elettrica, ad esempio,  fu nazionalizzato in Francia, ed affidato ad un’impresa statale, la EdF (Electricité de France), la stessa cosa accadde nel Regno Unito e, pochi anni più tardi, nel 1962,  in Italia, con la creazione di ENEL (vedi Wollmann et al. 2010: 172). Il monopolio pubblico (sia statale che municipale) nella gestione dei servizi pubblici era giustificato e sostenuto dall’ideologia social democratica, ovvero dalla convinzione che lo Stato ed i dipendenti pubblici fossero i soggetti più adatti alla gestione del bene comune, tanto quanto dei servizi pubblici, certamente connessi a quel bene. Tale ideologia era perfettamente incarnata dal Welfare State dell’Inghilterra dopo 1945.

– Ma proprio in Inghilterra cominciò, negli anni Ottanta, sotto l’impulso del governo conservatore guidato da Margaret Thatcher, il declino del precedente modello, sotto i colpi del movimento ideologico neo-liberale che tendeva ad identificare il welfare state come modello organizzativo fallimentare (welfare state failure, public sector failure). Il fallimento del Welfare State era causato, secondo il partito conservatore e liberale anglosassone, dall’inefficienza della gestione pubblica dei servizi. L’ideologia neo-liberale mirava a sostituire lo Stato di Benessere presuntivamente sovra-espanso con uno Stato “snello” (lean State). Tale ridimensionamento doveva essere condotto con una massiccia riduzione del personale e dell’organigramma statale, attraverso  privatizzazioni materiali, processi di  outsourcing e di trasferimento di funzioni e beni dallo Stato al mercato (marketization). Il meccanismo prescelto fu quello della c.d. compulsory competitive tendering, ovvero imponendo per legge l’obbligo di bandire gare per l’affidamento, ai privati e al mercato, dei servizi pubblici, nella convinzione della maggior efficienza economica degli stessi rispetto allo Stato. La politica  neo-liberale conquistò presto la scena internazionale e fu rafforzata, negli anni Novanta, anche dal diritto comunitario, dato che l’Unione Europea pose come base della creazione del mercato unico europeo la concorrenza e la c.d. liberalizzazione del mercato. Uno degli obiettivi principali dell’Unione Europea è stato quello di introdurre il principio della concorrenza anche nel mercato dei c.d. servizi di interesse economico generale.

– La politica neo-liberale ed il diritto comunitario della concorrenza e del mercato sono i fattori che maggiormente hanno influito sulla trasformazione della gestione dei servizi pubblici nei paesi europei. Questa radicale inversione di tendenza si è manifestata più chiaramente proprio in Inghilterra, unico ordinamento giunto alla privatizzazione materiale completa dei settori elettrico ed idrico,  con la privatizzazione funzionale (outsourcing) degli altri servizi pubblici. Anche negli altri ordinamenti europei, il mercato ed i privati acquisirono più importanza e maggiori poteri, in misura inversamente proporzionale rispetto alla riduzione di poteri e funzioni degli enti locali e delle aziende pubbliche. (per un’ analisi dettagliata rispetto al servizio d’elettricità vedi Wollmann et al. 2010). 

 

Da questa breve ricostruzione storica, è facile notare come la gestione dei servizi pubblici sia passata dalle mani dei privati, al settore pubblico, prima localmente e poi a livello statale, tornando poi nelle mani dei privati. L’andatura di questo settore assomiglia quindi ad un “pendolo” che oscilla dal settore privato al settore pubblico ed infine torna indietro al privato (rispetto all’immagine del pendolo vedi Wollmann/Marcou 2010, Wollmann 2014 e con un tono di prudenza Wollmann 2016b).

 

3. La recente oscillazione del pendolo: il ritorno al pubblico?

Da qualche anno, il pendolo sembra aver ripreso ad oscillare: ci sono infatti indizi che suggeriscono una riduzione dell’intervento dei privati e del mercato nella  prestazione dei servizi pubblici, in favore di un aumento del settore pubblico/municipale.  Di seguito tenteremo allora di analizzare questo fenomeno di riappropriazione pubblica dei servizi, sia attraverso l’acquisizione, da parte dei Comuni e degli enti locali delle aziende anteriormente vendute, che attraverso l’avocazione (re-insourcing) delle funzioni e servizi affidati all’esterno. Dunque il “pendolo” sta oscillando indietro?

 

Questo movimento deve essere indagato negli stessi paesi  in cui è stato osservata l’oscillazione precedente, ovvero nel Regno Unito,  Francia, Germania ed anche in Italia.  Per individuare correttamente il grado e la direzione dei cambiamenti in atto, è utile considerare anche le  rispettive condizioni di partenza dei singoli ordinamenti che coincidono con la fase di predominanza del settore privato negli anni ottanta e novanta. In particolare analizzeremo le tendenze in tre settori: elettrico, idrico e rifiuti.

 

Regno Unito.

Come già sopra ricordato,  il Regno Unito è stato il paese europeo dove l’impatto del messaggio e della politica neo-liberale si è rivelato il più radicale. Dopo il 1945, il Regno Unito rappresentava il modello più avanzato ed evoluto, in Europa, del Welfare State,  con un monopolio quasi totale  del settore pubblico/municipale nella prestazione dei servizi pubblici. Allo stesso modo, è stato  il Regno Unito il primo ordinamento europeo a trasformare radicalmente il proprio assetto con un uso massiccio di  privatizzazioni, sia materiali (come nel settore energetico e idrico), che funzionali attraverso i processi di competitive tenderingoutsourcing, contracting out, in favore di fornitori esterni, per lo più privati. Il compulsory competitive tendering è stato lo strumento attraverso il quale la maggioranza dei rilevanti servizi pubblici sono stati trasferiti a attori non-pubblici, dando così al Regno Unito una configurazione giuridica eccezionale nel panorama europeo.

 

Eppure, recentemente, le local authorities,  private delle loro funzioni e della gestione dei servizi pubblici, prima, nel dopoguerra, in forza della nazionalizzazione e poi della successiva privatizzazione, hanno cominciato a riappropriarsi di alcune attività, specialmente nel settore energetico, addirittura sotto la spinta della coalizione conservatrice-liberale, salita al governo nel maggio 2010. Dovendo realizzare l’aumento della produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile del 15 percento entro il 2020, il Governo britannico ha esplicitamente incoraggiato le local authorities ad attivarsi autonomamente. Fino ad oggi, però, l’attività locale si è fermata alla sola fase di progettazione, con risultati peraltro limitati (per dettagli vedi Wollmann 2014: 61 ss.).

Per quanto riguarda gli altri servizi pubblici che erano stati (materialmente oppure funzionalmente) privatizzati negli anni Ottanta, la tendenza che si registra è comunque quella di recupero, da parte delle local authorities, attraverso l’in-sourcing: secondo una recente inchiesta, infatti, il 60 percento delle local authorities, nei settori dello smaltimento e della raccolta dei rifiuti e dei servizi sociali, ha già provveduto all’in-sourcing oppure la sta preparando o la progettando (vedi APSE 2011).In altri settori, come in quello del trasporto pubblico, la formula prescelta per la re-municipalizzazione è quella della Public Private Partnership (vedi Hall 2012).

 

Germania.

In Germania, sempre il settore elettrico era, da molto tempo, caratterizzato da una dualità di fornitori (per dettagli vedi Wollmann et al. 2010: 177 ss, Wollmann 2014: 53). Da un lato la parte del leone del mercato energetico la faceva un gruppo di imprese che, operando come compagnie quotate in borsa, avevano un capitale misto. Dall’altro lato, c’erano aziende municipali (cosi dette Stadtwerke) che tipicamente gestivano una pluralità di servizi cosi combinando acqua, scarichi, rifiuti, trasporto pubblico.

Durante gli anni novanta, sulla scia del forte impatto della politica della Unione Europea che imponeva la liberalizzazione e deregolazione dei servizi pubblici, il mercato energetico in Germania ha paradossalmente vissuto un processo di concentrazione che ha condotto alla  creazione di un oligopolio a favore di sole “quattro grandi” compagnia energetiche. In un mercato dominato da giganti, le piccole aziende municipali (Stadtwerke) sembravano in via di scomparire  (Stadtwerkesterben) (vedi Wollmann 2014: 57).

Tuttavia, anche in Germania, recentemente si osserva un ritorno (“comeback”) delle Stadtwerke (vedi Wollmann et al. 2010, Wollmann 2014: 177 ss., Bönker et al. 2016) che si sono messe a ricomprare imprese,  sia riacquistando capitali e partecipazioni precedentemente venduti alle compagnie private, sia addirittura creando nuove imprese e  recuperando, fino ad estenderlo, il loro ruolo nella produzione, trasmissione e distribuzione di energia.

 

Anche il settore idrico, che tradizionalmente era rimasto nelle mani degli enti locali e delle Stadtwerke, ha subito, negli anni Ottanta e Novanta, una trasformazione a seguito della vendita totale o parziale delle aziende municipali ai privati, più precisamente ad imprese che già dominavano il mercato. nazionale ed internazionale, come Veolia (imprese francese) a o RWE, colosso tedesco.  Anche in questo settore, però, la tendenza sembra essersi invertita, dato che sono molti i casi in cui gli enti di governo locale decidono di riprendersi la gestione del settore idrico (vedi Citroni 2010, Lieberherr et al. 2016).

Nel settore di rifiuti, durante gli stessi anni,  il coinvolgimento di imprese private è costantemente aumentato, soprattutto nel settore, economicamente molto vantaggioso, dello smaltimento e riciclaggio. Tuttavia, anche qui, si osserva una crescente attività di recupero dei municipi (vedi Dreyfus et al. 2010, Libbe 2012)

 

Francia.

In Francia, nel 1946 il settore elettrico fu totalmente nazionalizzato ed affidato ad un’ impresa pubblica e statale: la Electricité de France, EdF, ma furono fatte salve anche alcune aziende energetiche municipali. Nel periodo degli anni Ottanta/Novanta, la EdF venne privatizzata formalmente e trasformata in S.p.A quotata in borsa, lasciando però l’80% delle azioni in mano statale (vedi Kuhlmann/ Wollmann 2014: 181). Nonostante la trasformazione giuridica, il mercato elettrico ha continuato ad essere dominato dalla EdF, mentre le aziende energetiche municipali continuavano a giocare un ruolo marginale.

Solo recentemente, le imprese municipali hanno iniziato ad estendere il proprio ruolo nel mercato, investendo soprattutto in progetti di energia rinnovabile.

Il settore idrico francese è stato a lungo caratterizzato dalla c.d. géstion déléguée: la funzione restava pubblica, ma la gestione e l’esercizio del servizio venivano affidati, attraverso concessioni, a soggetti esterni, da qui la definizione di “privatizzazione alla francese” (vedi Citroni 2010: 208). Tale pratica aveva creato di fatto un oligopolio dei maggiori beneficiari delle concessioni, formato da tre grandi gruppi soltanto: Veolia, Suez e SAUR. Tali imprese finirono per dominare l’intero mercato nazionale  (e anche internazionale), gestendo, negli anni Ottanta e Novanta, il servizio idrico di tutta la Francia, compresa l’area di città come Parigi o Grenoble.

Ma proprio da Parigi e Grenoble è iniziato il ritorno alla gestione locale, attraverso la ri-acquisizione della gestione del settore (vedi Bordonneau et al. 2010, Hall 2012).

Similmente, nel campo di rifiuti, si registra una tendenza identica, dato che i municipi si stanno riappropriando della gestione che avevano trasferito nella mani di tre gruppi privati (vedi Citroni 2010, Lieberherr 2016).

 

Italia.

In Italia il settore elettrico fu “nazionalizzato” nel 1962 ed affidato interamente a ENEL, pur mantenendo le piccole aziende energetiche locali (municipalizzate). Nel corso degli anni Novanta, ENEL fu, prima formalmente privatizzata e trasformata in una S.p.A con azioni quotate, e poi materialmente privatizzata attraverso la vendita dell’80% delle azioni sul mercato ma lasciando il 20 percento ad  investitori pubblici (vedi Citroni 2010).

Anche in Italia, negli ultimi anni, si registra però una crescita delle imprese energetiche municipali nella produzione, trasmissione e distribuzione di energia elettrica (vedi Kuhlmann/Wollmann 2014: 182 ss.). Un esempio lampante è stata la fusione, nel 2008, delle imprese municipali di Milano e Brescia e la contestuale creazione di una nuova impresa, “A2A”, che è stata poi quotata in borsa. La tendenza non è destinata a fermarsi, anzi, sulla base dell’esito del referendum del 2011 che ha sancito definitivamente la rinuncia alla produzione di energia nucleare, le  imprese municipali, che molto hanno investito sulle energie rinnovabili, acquisiranno sempre più importanza.

 

Riguardo al settore idrico, la gestione è da sempre caratterizzata da un alto grado di frammentazione, legato alla struttura locale e territoriale delle aziende municipali. Nel 1994, la c.d. Legge Galli ha tentato una ri-organizzazione del sistema, imponendo procedure di evidenza pubblica per l’appalto della gestione del sistema idrico, favorendo l’ingresso di investitori privati di grandi dimensioni, come i grands groupes francesi e le big players tedesche, e imponendo di fatto la privatizzazione sia  materiale sia funzionale. .

Ma nel 2011, il referendum nazionale di giugno ha imposto l’abrogazione delle norme che permettevano la privatizzazione del settore. La volontà popolare sembra quindi riaprire le porte alla gestione locale dell’acqua e/o alla riappropriazione della stessa da parte degli enti locali (vedi Citroni et al. 2016).  

 

4. Riassunto e conclusioni.

Prima di formulare qualche conclusione e (prudente) generalizzazione, è necessario ponderare i dati finora accessibili e disponibili.

Primo, la selezione dei paesi (ovvero Regno Unito, Francia, Germania ed Italia) e anche dei campi di servizi pubblici (idrico, elettrico, rifiuti), sulla quale  la nostra argomentazione si è basata riduce il campo dell’indagine stessa.

Secondo, i dati a nostra disposizione sono pochi e sporadici, non potendo dunque essere un indice valido di generalizzazione sistemica. 

Con queste premesse,  vorrei comunque sottolineare e concludere che da qualche anno si sta delineando e sviluppando una tendenza al ritorno del pubblico, statale e/o locale, dei servizi pubblici.

 

Certo, da un lato, il processo di privatizzazione sia materiale che funzionale precedente rimane consolidato ed ha rafforzato i poteri economici privati, che certo non sembrano intenzionati a perdere terreno

Però, d’altra parte, non si può non cogliere l’inversione di tendenza, il movimento del  “pendolo” sembra riportarci “indietro”, verso una ri-emergenza e ri-ascesa  (comeback) del settore pubblico, ed in particolare  del settore municipale, nella gestione dei servizi pubblici (vedi Wollmann/Marcou 2010,   Kuhlmann/Wollmann 2014: 199 ff., Wollmann 2014, vedi con un tono di prudenza Wollmann 2016b).

 

4.1. Quali sono i fattori che hanno favorito tale rimunicipalizzazione?

La convinzione che il settore pubblico/municipale abbia una capacità di gestione superiore o almeno uguale a quella del settore privato.

Primo, bisogna sottolineare che nella percezione e nell’esperienza pratica di molti attori politici ed amministrativi locali, la concezione neo-liberale è messa adesso in discussione, e non si da più per scontata la convinzione della superiorità del settore privato nel garantire una buona qualità dei servizi ad un prezzo accessibile.

Il fallimento dell’impostazione neo-liberale è coeva al fallimento, percepito globalmente, del mercato (private sector failure, market failure), come drammaticamente evidenziato dal tracollo del Gruppo Lehman Brothers.

Dunque, gli attori politici e amministrativi locali sono maggiormente invogliati a dimostrare la maggiore efficienza della gestione pubblica rispetto a quella privata. 

In questo contesto, è utile accennare ai risultati di alcune ricerche internazionali che hanno comparato la prestazione del settore privato e del settore pubblico.

Per esempio, un’analisi condotta per conto della Banca Mondiale sulla gestione dell’acqua in molti paesi,  giunge alla conclusione che “non c’è una differenza statisticamente significativa fra i fornitori pubblici e privati riguardo la loro efficienza economica” (World Bank 2004). Risultati simili provengono da una ricerca condotta nel Regno Unito su vari campi di servizi pubblici: nelle conclusioni si legge che: “ci sono dei segnali molto deboli che la privatizzazione abbia davvero contribuito ad un miglioramento significativo nella performance. Anzi, le grandi aspettative riposte nella privatizzazione e enfatizzate nei discorsi dei politici sono rimaste senza risultati concreti” (Estache et al. 2005).

 

In un’altra ricerca comparativa focalizzata sulla gestione di acqua e rifiuti, si conclude che  “non si evidenziano economie di scala nella gestione del settore idrico, indipendentemente dal fatto che la gestione sia pubblica o privata.  Il problema non è formale, bensì sostanziale, legato cioè all’effettiva gestione, non alla titolarità della funzione.” (Bel/Werner 2008).

 

La preferenza “etica” e di valori  accordata dai cittadini/utenti alla gestione pubblica.

La recente crescita della preferenza per il settore pubblico come fornitore  dei  servizi si riflette anche nell’apprezzamento dei cittadini/clienti, e cioè nei valori condivisi nella c.d. cultura politica.

Questo si manifesta anche nella moltitudine di referendum locali  in cui la privatizzazione di un assetto o azienda locale, è stata rifiutata con larghe maggioranze (vedi  in Germania i casi di Kuhlmann/Wollmann 2014: 202, 205). Il referendum nazionale del giugno 2011 in Italia ha, per esempio, largamente ribadito il rifiuto alla privatizzazione del settore idrico, e rappresenta un chiaro esempio del cambio di percezione e valutazione dei cittadini verso il  servizio pubblico (vedi Wollmann 2014: 68, Kuhlmann/Wollmann 2014: 205, Citroni et al. 2016).

 

Guida e controllo  del governo locale sulla gestione dei servizi pubblici.

Nel gestire i servizi pubblici gli enti locali e le aziende locali sono comunque  tenuti a rispettare esigenze distinte.

Da un lato, sono esposti alla concorrenza del mercato e devono adattarsi  alla sua logica economica, avendo come obiettivo l’ efficienza economica.

Infatti, costretti a giocare con le regole del mercato, i municipi e le loro aziende (Stadtwerke, municipalizzate) sembrano avere imparato a “giocare” , ad esempio reclutando e addestrando personale sufficientemente qualificato,  anche con competenze imprenditoriali.

Dall’altra parte i municipi, anzitutto il consiglio, quale organo elettivo e rappresentativo, , devono e possono imporre anche obiettivi politici, quindi realizzare obiettivi sociali ed ecologici a beneficio della comunità locale che rappresenta e che governa. Tale obiettivo può essere raggiunto anche con il sistema di finanziamento trasversale, cioè, sostenendo un servizio locale in deficit o meno redditizio, utilizzando il maggior profitto di un altro servizio.

Al contrario, una impresa privata che gestisce un servizio pubblico, è orientata solo alla logica puramente economica, magari esternalizzando i costi sociali ed ecologici.

La gestione pubblica, dunque, deve e può combinare le due logiche: quella economica e quella sociale, ecologica etc. (vedi Wollmann 2014:68, su tale orientazione “ibrida”, hybrid orientation, vedi Montin 2016, Wollmann 2016b).

 

Riduzione  della pressione della  Unione di Europa sulla gestione di servizi pubblici.

Se prima l’Unione Europea ha spinto fortemente per la liberalizzazione  e privatizzazione dei  “servizi di interesse economico generale” (services of general economic interest), nel Trattato di Lisbona del dicembre 2009, questa spinta si è molto ridotta. Anzi, nel protocollo (26) aggiunto il ruolo delle autorità nazionali, regionali e, nota bene, locali è stato molto accentuato, riconoscendo alle stesse[5]   “il ruolo essenziale e l’ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali (sic! H.W.)di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile alle esigenze degli utenti; la diversità tra i vari servizi di interesse economico generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse; un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utente”.

Dunque l’autonomia delle autorità locali  nel determinare le modalità della prestazione di servizi è stata significativamente allargata dal diritto costituzionale  della Unione Europea.

 

Obiettivi specifici delle politiche settoriali.

Come ben dimostra l’esempio della politica nazionale (ed europea) relativa alla protezione dell’ambiente e del clima, l’obiettivo condiviso dello sviluppo sostenibile può e deve  fortemente influire anche  sulle decisioni delle autorità locali di gestione e organizzazione dei servizi pubblici.

 

La scadenza dei contratti come “finestra di opportunità”

Laddove i servizi pubblici locali sono stati gestiti tramite concessioni o deleghe, (outsourcing, délégation), si apre una  finestra di opportunità , essendo la gestione degli stessi legata ad atti amministrativi di durata, certo, ma con una scadenza. La fine naturale di tali regimi giuridici permetterebbe la rinegoziazione degli stessi oppure la possibilità di riappropriarsi della gestione dei servizi stessi da parte delle autorità locali (vedi Bönker et al. 2016).

 

4.2. Fattori che impediscono o rallentano la rimunicipalizzazione.

Problemi e costi del recupero della gestione dei  servizi.

Nel recuperare la gestione dei servizi, le autorità locali si trovano di fronte a  gravi problemi organizzativi dato che,  probabilmente, sono, nel breve periodo, appena in grado di disporre ed utilizzare risorse e personale in grado di far fronte alla la gestione e l’organizzazione dei servizi. Oltre ai problemi organizzativi, le autorità locali avranno anche, presumibilmente,  problemi finanziari, posto che dovranno sopportare anche le spese di indennizzo a favore dei precedenti gestori per gli investimenti fatti nell’infrastrutture a sostegno dei servizi stessi.

 

Resistenza dei gestori privati ad abbandonare il mercato.

Nel tentativo di ri-municipalizzare un servizio o un’azienda precedentemente ceduta ai privati, le autorità locali si scontrano con l’interesse uguale e contrario dei privati a mantenere la gestione ed erogazione del servizio. Nonostante possano sfruttare la  “finestra” che si apre alla scadenza dei provvedimenti di concessione o delega, le autorità locali dovranno scontrarsi con attori privati di rilevante peso economico e finanziario. Il potere di resistenza dei privati potrebbe configurarsi, ad esempio, nella richiesta di un prezzo eccessivamente elevato per abbandonare il settore.

 

4.3. Una nuova ondata di privatizzazione formandosi  nella scia della attuale crisi economica e finanziaria?

Nella scia della crisi attuale economica e finanziaria che ha colpito l’Europa, si assiste ad una forte divergenza tra i Paesi del sud e nord Europa proprio sul tema della rimunicipalizzazione.  Nei paesi  nord europei, per esempio in Germania, i municipi come le altre autorità pubbliche sono molto avvantaggiati perché riescono ad  ottenere crediti, prestiti o finanziamenti dal sistema bancario ad un tasso d’interesse molto basso, quasi vicino allo zero. Molte autorità locali hanno approfittato di queste condizioni vantaggiose per finanziarie la ri-municipalizzazione dei servizi locali.

 

Al contrario, nei paesi dell’Europa del Sud, come nella Grecia, l’indirizzo politico dei governi centrali, sulla pressione della Unione Europea e gli altri creditori internazionali, si mostra orientato a dismettere il patrimonio pubblico e in questo quadro addirittura premere gli enti locali a  privatizzare, cioè vendere le loro aziende e assetti  per ridurre il debito pubblico oppure municipale (vedi Wollmann 2016b).

 

Bibliografia.

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[1] Professore Emerito di Scienza dell’Amministrazione presso la Humboldt-Universität di Berlino.

 

[2] L’articolo è basato su una versione aggiornata di su un testo originariamente presentato al seminario L’eterna transizione della disciplina dei servizi pubblici: un mercato possibile? all’Università Milano-Bicocca il 25 ottobre 2012.

 

[3] Ringrazio la prof.ssa Anna Marzanati che ha  rivisto il testo scritto da me in italiano. Io resto – ovviamente – l’unico responsabile del testo (compresi i suoi errori).

 

[4] N.d.R. L’ordinamento giuridico italiano definisce le aziende speciali “enti strumentali degli enti locali dotati di personalità giuridica” (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 114), ritenute dunque enti pubblici, talora enti pubblici economici (ex multis: R. Cavallo Perin, Art. 114, in Commentario breve al testo unico delle autonomie locali, a cura di R. Cavallo Perin e A. Romano, Cedam, Padova, 2006, 672 e ss.).