L’onere d’immediata impugnazione della clausola sociale escludente

Matteo Timo[1]

(Abstract)

Il Tar Liguria propone, alla luce della più recente giurisprudenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, una ricostruzione della legittimazione a ricorrere avverso le clausole “immediatamente escludenti” dei bandi di gara. Con precisione, la pronuncia annotata riconosce che una clausola sociale ex art. 50 D.Lgs. 50/2016 possa manifestare un effetto escludente, allorché imponga requisiti conservativi dei posti di lavoro eccessivamente onerosi per gli offerenti.

 

1. Premessa.

Con la sentenza in rassegna[2], il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria si è pronunciato sul gravame proposto avverso gli atti di due procedure di gara indette dalla Regione Liguria per la definizione di un accordo quadro in materia di trasporto e accompagnamento con vettura di persone disabili.

Le questioni dedotte in giudizio possono essere ricondotte a due centri focali: innanzitutto, la corretta definizione della valenza escludente o meno di una “clausola sociale” che sia stata apposta alla lex specialis di gara, con la conseguente necessità di comprendere se sia necessaria un’impugnazione immediata della medesima; secondariamente, il vaglio della legittimità delle disposizioni in concreto recate dalla summenzionata clausola, indipendentemente dall’effetto escludente dalla medesima generato.

A discapito dell’obiettivo finale perseguito dall’amministrazione regionale – e riguardante l’erogazione di una prestazione socio-assistenziale a favore di persone affette da una ridotta capacità motoria – la questione sottoposta al vaglio del giudice amministrativo si pone nell’ottica dell’attività contrattuale delle autorità pubbliche e presenta interessanti risvolti di diritto processuale amministrativo.

Per un verso, la materia è retta da una specifica disposizione del Codice dei contratti pubblici[3] (di seguito anche “c.c.p.”), l’art. 50, che – nella versione vigente a seguito della novella di cui al “correttivo del 2017”[4] – impone alla stazione appaltante di corredare gli atti di gara relativi a “contratti ad alta intensità di manodopera”[5] di una c.d. “clausola sociale”, tesa a porre condizioni di garanzia per la stabilità occupazionale del personale addetto al servizio bandito.

Simile previsione – che legittimamente è apposta a bandi, avvisi e inviti per l’aggiudicazione di servizi di manodopera muniti delle richiamate caratteristiche – può comportare, al pari di altre clausole di gara, ricadute immediate sull’operatore economico, che determinano l’impossibilità di presentare un’offerta e, dunque, di partecipare alla selezione.

In siffatti termini, la questione si pone in ragione dell’imprescindibile tutela che il sistema di giustizia amministrativa deve approntare nei confronti dell’operatore che verta nell’impossibilità di concorrere, in quanto destinatario di una disposizione del bando che ne escluda in radice la partecipazione. Tale situazione si manifesta al ricorrere delle c.d. “clausole immediatamente escludenti”, delle quali la giurisprudenza amministrativa ha fornito negli ultimi anni un ragguardevole coordinamento con le regole processuali che governano la legittimazione a ricorrere: si riscontra, in altre parole, un consolidato orientamento pretorio del giudice amministrativo volto a imporre l’impugnazione immediata delle clausole escludenti, ancor prima che la selezione sia conclusa, con censura per motivi aggiunti dei successivi atti di gara.

Il Tar Liguria, nella pronuncia che si annota, espone una pregevole e utile ricostruzione del menzionato orientamento giurisprudenziale al fine di estenderne l’applicazione anche alle clausole di cui all’art. 50 c.c.p.

 

2. La questione oggetto di giudizio.

Con ricorso notificato in data 26 aprile 2018, una cooperativa sociale – in proprio e quale mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) costituito con ulteriori tre società a loro volta litisconsorti – impugnava un bando della stazione unica appaltante della Città metropolitana di Genova del marzo 2018, “avente ad oggetto procedura aperta per la conclusione di un accordo quadro per il servizio di trasporto e accompagnamento con vettura di persone disabili”[6], nello specifico munite della certificazione di handicap prescritta dall’art. 3 L. 5 febbraio 1992, n. 104.

Le ricorrenti censuravano la procedura selettiva, lamentando l’illegittimità della clausola sociale desumibile dal bando di gara e dal capitolato speciale d’oneri: siffatta clausola, come emerge dalla ricostruzione operata dal giudice amministrativo, imponeva che l’appaltatore assumesse – nell’interezza, senza soluzione di continuità e alle stesse condizioni economico-normative del Ccnl già applicato – il personale alle dipendenze delle aziende che originariamente gestivano il servizio.

A sostegno della pretesa azionata erano posti due motivi di ricorso, il primo dei quali concernente la violazione dell’art. 50 c.c.p.[7], nella misura in cui la stazione appaltante sarebbe incorsa in eccesso di potere e, precisamente, nella figura sintomatica dell’ingiustizia grave e manifesta. Ad avviso delle società ricorrenti sarebbe, infatti, contraria al diritto interno e a quello dell’Unione europea la previsione di una clausola sociale che imponga all’operatore vittorioso l’obbligo di assunzione generalizzata del personale in servizio presso il precedente gestore.

Sotto altro profilo, era prospettato un vizio di eccesso di potere, quale travisamento dei fatti e illogicità intrinseca ed estrinseca, nonché violazione dell’art. 21-octies della L. 241/1990[8], poiché il bando avrebbe configurato il servizio quale mero contratto di trasporto dall’abitazione del disabile al luogo educativo o di lavoro, senza tenere in adeguata considerazione i costi affrontati nei tragitti intermedi.

A fronte del ricorso, la Città metropolitana sospendeva la procedura aperta, fissando un nuovo termine per la presentazione delle domande. In seguito, la stazione appaltante dichiarava “deserta la gara” e autorizzava una procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando, ma alle stesse condizioni e regole di partecipazione dell’originario bando.

Tali provvedimenti sono stati tutti oggetto d’impugnazione per motivi aggiunti ad opera delle società ricorrenti, le quali hanno riproposto le censure già mosse avverso la procedura aperta.

Dal suo canto l’amministrazione resistente, tra l’altro, eccepiva l’inammissibilità dei gravami, motivando che le ricorrenti versavano in carenza di legittimazione a ricorrere, giacché esse non avevano preso parte né alla procedura aperta, né a quella negoziata.

 

3. La decisione del Tar Liguria.

La sentenza in commento addiviene a un accoglimento del primo motivo di ricorso, previa dichiarazione d’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità: all’accoglimento del primo motivo è poi conseguito l’assorbimento del secondo.

Pertanto, il Tribunale amministrativo ha incentrato la propria attenzione eminentemente sull’eccezione d’inammissibilità per pretesa assenza di legittimazione a ricorrere: dall’analisi della pronuncia emerge come il Collegio abbia, con un’unica trattazione, avvalorato la natura escludente della clausola sociale e abbia dichiarato l’illegittimità dei contenuti della medesima.

In particolare, il Tar Liguria, muovendo dalla recente presa di posizione dell’Adunanza plenaria n. 4/2018[9], ha richiamato la distinzione fra clausole non munite di portata escludente e, quindi, impugnabili congiuntamente al successivo provvedimento lesivo da parte dell’operatore che abbia partecipato alla gara, e “clausole immediatamente escludenti”, necessitanti un’immediata censura da parte del soggetto escluso e, quindi, leso.

Seguendo l’insegnamento della plenaria, i giudici liguri hanno evidenziato come l’effettività della tutela da accordarsi all’operatore estromesso dipenda da un’interpretazione estensiva delle clausole immediatamente escludenti, sino a ricomprendervi una vasta casistica giurisprudenziale, che spazia dalle clausole impositive di oneri “manifestamente incomprensibili”[10] alle “condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso”[11].

Ciò appurato, il Tribunale amministrativo ha ritenuto che, nella procedura oggetto di giudizio, la clausola sociale di cui al bando e al capitolato speciale sia foriera di regole di gara riconducibili al citato orientamento giurisprudenziale, giacché essa, riportando le parole dei giudici amministrativi liguri, integra “una vera e propria ‘condizione’ per la realizzazione dell’appalto” e riveste “una portata immediatamente escludente”.

Riconosciuta la natura escludente, la Sezione II addiviene all’esame, in dettaglio, del contenuto della clausola sociale e ne sancisce l’illegittimità in relazione all’art. 50 c.c.p., in prospettiva alla consolidata e ricorrente interpretazione che ne ha fornito il giudice amministrativo.

Con precisione, il Tribunale rammenta che, nella previsione “di specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale”, di cui al citato art. 50 c.c.p., la locuzione “promuovere” deve essere intensa nel senso che mai la stessa può limitare la libertà d’impresa e di iniziativa economica, a presidio della quale è posto l’art. 41 della Costituzione[12].

In aggiunta, la pronuncia ribadisce che l’inserimento negli atti di gara di regole che siano volte alla preservazione delle posizioni lavorative in essere presso il gestore uscente non deve tradursi in una violazione del sistema pro-concorrenziale imposto all’Italia dall’appartenenza all’Unione europea. Siffatta violazione, ad avviso dei giudici, ricorre tutte le volte che la clausola sociale si configuri alla stregua di requisito rigido e automatico, che scoraggi sin da principio la partecipazione alla gara.

In effetti, nella controversia oggetto di giudizio la clausola in parola si struttura quale “obbligazione a contrarre”[13], impositiva, in modo netto, dell’assunzione generalizzata della totalità dei dipendenti del precedente gestore. Essa, altresì, non lascia alcuna possibilità di valutazione in capo all’offerente, in quanto esige che il subentro nell’azienda del nuovo gestore sia regolato sulla base delle condizioni contrattuali già in essere[14].

È di tutta evidenza, pertanto, la lesione alle dinamiche della concorrenza, giacché l’aspirante gestore, non potendo elaborare un realistico piano aziendale – anche alla luce delle risorse umane di cui già dispone –, sarà indotto a rinunciare a prendere parte alla gara.

Il Tar Liguria evidenzia un ulteriore aspetto. Chiarisce come la medesima clausola costituisca “falsa applicazione” dell’art. 50 c.c.p., in quanto essa pretenderebbe che una disposizione del codice dei contratti – dettata a tutela della continuità dei posti lavorativi – si traduca in un’assoluta garanzia degli stessi, al di fuori di ogni logica di mercato.

Pur essendo vero, infatti, che il vigente art. 50 c.c.p. – a differenza della versione pubblicata in Gazzetta ufficiale[15], nonché del previgente art. 69 D.Lgs. 163/2006[16] – impone l’apposizione di una clausola sociale, è altresì vero che alla stessa non deve essere attribuita la portata di un trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c. In quest’ultimo caso, infatti, l’imprenditore acquirente subentra in tutti i rapporti in essere presso l’azienda dell’alienante, ivi compresi i contratti di lavoro. Nel caso de quo, all’opposto, non si tratta di trasferimento d’azienda, ma di aggiudicazione di un servizio ad altro operatore, il quale, presumibilmente, dispone di un assetto aziendale.

L’imposizione di un onere così gravoso trasforma, pertanto, la clausola sociale in rigida condizione di partecipazione e le conferisce valore di disposizione immediatamente escludente – nonché illegittima – della lex specialis. Siffatta natura giuridica incide in misura non irrilevante sui meccanismi processuali di tutela, conferendo legittimazione per un ricorso immediato in deroga all’ordinario modello basato sull’impugnativa dell’atto conclusivo del procedimento amministrativo.

 

4. L’impugnativa delle clausole sociali ed escludenti dei bandi di gara.

La sentenza in commento, per un verso, amplia il novero delle ipotesi in cui è riscontrabile una clausola immediatamente escludente e, per un altro verso, offre l’occasione per un esame della giurisprudenza amministrativa in materia di legitimatio ad causam.

Circa il primo aspetto, non pare necessario dilungarsi in considerazioni ulteriori rispetto a quelle formulate nel paragrafo precedente: il Tar Liguria, riscontrata una difformità fra le procedure di gara indette dalla Città metropolitana di Genova e l’art. 50 c.c.p., sancisce che pure una clausola sociale può essere di tenore tale da manifestare un effetto immediatamente lesivo della concorrenza.

La qualificazione nei suddetti termini della clausola sociale – in ragione della sua portata escludente – ne muta il regime processuale, facendo sorgere una legittimazione a ricorrere in capo all’escluso e l’onere d’immediata impugnazione degli atti di gara.

La configurabilità di una tutela subitanea nei confronti di procedure concorsuali non ancora definite al momento del deposito del ricorso appare abbastanza sondata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ancorché non paia del tutto sopita, al solo considerare che la stessa Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nell’arco temporale successivo al codice del processo amministrativo[17] (di seguito anche “c.p.a.”), è intervenuta sul tema due volte: dapprima con la pronuncia n. 4 del 2011[18] e, di recente, con la menzionata sentenza 4/2018.

Intento della giurisprudenza richiamata – nonché di altra delle Sezioni semplici e dei Tribunali amministrativi[19] – è stato quello di implementare l’ampiezza della legittimazione a ricorrere, con conseguente aumento di ricorsi ritenuti ammissibili in quanto muniti delle prescritte condizioni dell’azione.

In effetti, il processo amministrativo, nel distinguere all’interno delle condizioni dell’azione fra interesse a ricorrere e legittimazione a ricorrere, individua nella seconda la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata[20] rispetto a quella degli altri consociati[21], sia essa d’interesse legittimo o di diritto soggettivo (questo al solo ricorrere delle ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo).

La legitimatio ad causam viene, pertanto, ascritta a quel soggetto che si veda lesa una prerogativa da un atto della pubblica amministrazione, nella misura in cui tale atto neghi l’ottenimento di un vantaggio ovvero comporti la privazione di un beneficio previamente ottenuto. Ne consegue che la legittimazione ad agire si configura ordinariamente nella posizione del soggetto destinatario del provvedimento, quale atto amministrativo per l’appunto idoneo a inciderne la sfera giuridica.

Il binomio “provvedimento lesivo – legittimazione a ricorrere” è stato, nella tradizione giuridica, associato a un altro rapporto precursore dell’evoluzione pretoria in materia di clausole escludenti, ossia quello costituito da “partecipazione al procedimento-emersione di una posizione giuridica azionabile”.

In ordine a quest’ultima relazione, la dottrina[22] ha parlato di partecipazione al procedimento amministrativo alla stregua di un “veicolo verso la legittimazione ad agire in controversie inerenti procedimento e, in particolare, a ricorrere contro i provvedimenti che ne costituiscono il risultato”. In effetti, la partecipazione procedimentale – che trova oggi un saldo appiglio nella legge 241/1990[23] – instaura un rapporto di diritto pubblico “procedimentale”[24] fra l’amministrazione procedente e l’interveniente, di modo che questo possa vantare interessi tutelati dalla legge sin dal momento partecipativo[25].

I criteri così descritti hanno assunto valore di regola generale e appaiono consolidati nella giurisprudenza amministrativa, tanto da essere tralaticiamente richiamati negli anni, di modo che un ricorso è da ritenersi ammissibile nella misura in cui è stato proposto da un soggetto che è leso dal provvedimento finale e che, se del caso, ha preso parte al previo procedimento. La regola è stata altresì applicata, nella sua ordinarietà, alla materia dei contratti pubblici, tanto che la plenaria del 2018 è giunta ad affermare il principio di diritto secondo cui i “soggetti legittimati a impugnare le clausole del bando di gara non aventi portata escludente sono soltanto gli operatori economici che hanno partecipato o, almeno, hanno manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura di gara; ai fini della legittimità dell’opposizione, inoltre, suddette clausole devono essere necessariamente impugnate insieme al provvedimento lesivo”[26].

Proprio in materia di attività contrattuale della pubblica amministrazione si è registrata l’esigenza di un ripensamento dell’approccio tradizionale, in ragione del fatto che la struttura stessa delle procedure selettive vede, come ha affermato l’Adunanza plenaria del 2011, il profilarsi di “alcune importanti ipotesi ulteriori di legittimazione al ricorso, slegate dalla partecipazione ad una determinata procedura”[27].

In effetti, nelle procedure selettive la lesione di un interesse legittimo ad opera del provvedimento conclusivo è solo una delle evenienze pregiudizievoli per l’operatore economico, il quale può venire menomato nelle sue prerogative anche qualora non abbia partecipato alla gara, ad esempio perché la lex specilias ha impedito illegittimamente la presentazione dell’offerta. Già la plenaria del 2011 aveva enumerato la seguente casistica di legittimazione a ricorrere disgiunta dalla partecipazione: “la legittimazione del soggetto che contrasta, in radice, la scelta della stazione appaltante di indire la procedura; la legittimazione dell’operatore economico ‘di settore’, che intende contestare un ‘affidamento diretto’ o senza gara; la legittimazione dell’operatore che manifesta l’intenzione di impugnare una clausola del bando ‘escludente’, in relazione alla illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione’[28].

La stessa pronuncia aveva altresì precisato che la legittimazione a ricorrere avverso le clausole escludenti scaturisce dalla “certezza del pregiudizio determinato dal bando [e] rende superflua la domanda di partecipazione e l’adozione di un atto esplicito di esclusione”[29].

L’arresto del 2011 è stato recepito dalle successive statuizioni, tanto che la recente Adunanza plenaria del 2018, dopo aver ribadito la regola generale dell’impugnativa esperita dal partecipante, ha specificato che: “L’operatore del settore che non ha presentato domanda di partecipazione alla gara non è legittimato a contestare le clausole di un bando di gara che non rivestano nei suoi confronti portata escludente, precludendogli con certezza la possibilità di partecipazione”[30].

In ordine all’effetto immediatamente lesivo delle clausole escludenti si avverte, quindi, un consolidamento della giurisprudenza amministrativa, recepito e applicato dal Tar Liguria alla clausola sociale, laddove ammette che l’esito pregiudizievole della stessa legittimi il ricorso alla giustizia amministrativa non condizionato dalla partecipazione procedimentale.

In conclusione, è opportuno spendere qualche parola su un aspetto che non emerge dalla lettura della sentenza in rassegna, dato che probabilmente il giudice amministrativo ne ha appurato l’esistenza in modo implicito. Si vuole, in altre parole, rammentare che l’impugnativa immediata degli atti di gara deve essere sorretta – ai fini dell’ammissibilità del ricorso – dalla sussistenza di entrambe le condizioni dell’azione.

In conseguenza, il fruttuoso esperimento del ricorso richiede che la domanda sia supportata, sotto il profilo della legittimazione, dalla natura escludente della clausola gravata e, in prospettiva dell’interesse a ricorrere, dalla dimostrazione di un interesse diretto e attuale, sul modello di quanto previsto dall’art. 100 c.p.c., applicabile al processo amministrativo ai sensi dell’art. 39 c.p.a.

Su questi aspetti si è avuta una recente presa di posizione della Corte di Giustizia dell’Unione europea[31], su rinvio pregiudiziale proprio della Sezione II del Tar Liguria[32]. La Corte di Lussemburgo – chiamata a pronunciarsi sulla conformità delle condizioni dell’azione desumibili dall’art. 100 c.p.c. (ex art. 39 c.p.a.) in relazione alla normativa di cui alla “direttiva ricorsi”[33] e alle direttive sui contratti pubblici del 2004[34] – sancisce l’adeguatezza dell’orientamento giurisprudenziale da ultimo espresso dall’Adunanza plenaria 4/2018, tuttavia precisa che il diritto comunitario non osta a che il ricorrente sia chiamato a dimostrare di essere stato leso o rischi di essere leso dalla clausola impugnata (sopra ogni cosa, in relazione alla disciplina europea degli appalti).

Ne consegue, ad avviso della Corte di Giustizia, che non viola il diritto dell’Unione europea la disciplina italiana secondo cui sono carenti le condizioni dell’azione – e, pertanto, il relativo ricorso dovrebbe esaurirsi con una pronuncia di rito d’inammissibilità – allorché il ricorrente non abbia presentato un’offerta poiché le prescrizioni di gara rendevano “assai improbabile” un esito vittorioso[35]. In questo caso, come anche osservato dalla Corte costituzionale nella stessa controversia portata all’attenzione dei giudici dell’Unione europea, la clausola non produrrebbe un effetto esclusivo, bensì sarebbe tale da lasciar presagire un esito negativo, il quale si concretizzerà solo con l’atto conclusivo[36].

Nel caso oggetto della pronuncia di primo grado qui in commento, il Tar – pur non richiamando la giurisprudenza comunitaria – ha comunque appurato che il contenuto della clausola sociale non è interpretabile conformemente a diritto. Ne consegue che la suddetta clausola non solo impone un obbligo eccessivamente gravoso in capo al ricorrente, tale da fargli presumere il rigetto dell’offerta, bensì pone il medesimo soggetto nella condizione di rinunciare ab origine alla partecipazione.

 

5. Osservazioni conclusive.

Alla luce della disamina che è stata proposta, è possibile affermare che il Tar Liguria abbia opportunamente fatto applicazione della giurisprudenza amministrativa e comunitaria in materia di disposizioni escludenti della lex specialis di gara.

Ad un’analisi complessiva la pronuncia annotata appare consapevole della posizione assunta dalla plenaria negli anni ed infine ribadita nel 2018: pregio della sentenza è di aver constatato come la disposizione del nuovo codice degli appalti, impositiva di un obbligo di salvaguardia delle posizioni lavorative, non possa tradursi in un’indiscriminata protezione delle stesse.

Ciò non solo arrecherebbe una violazione delle regole concorrenziali che governano la materia in virtù delle tre direttive dell’Unione europea sull’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni[37], bensì comporterebbe ricadute dirette sullo svolgimento delle procedure di gara, nella misura in cui l’operatore economico sia impedito nella formulazione dell’offerta.

Una tutela eccessiva dei prestatori di lavoro – tale ossia da esigere che sia indiscriminatamente conservata la totalità dei posti – si configura come una barriera all’accesso alla contrattazione pubblica, in ragione del fatto che impedisce all’aspirante proponente di formulare un’offerta che sia congrua con il mercato, con il servizio da aggiudicare e con la sua struttura aziendale, comportando, nella sostanza, un acquisto dell’azienda del precedente gestore, piuttosto che un subentro nella sola gestione.

Appare corretto, pertanto, affermare che la clausola sociale de qua sia, alla luce dell’insegnamento della plenaria, escludente e, in ragione della giurisprudenza della Corte di Giustizia, non solo comportante una mera prospettiva di non aggiudicazione, ma una vera e propria impossibilità di partecipare alla gara.

Come osservato nei paragrafi precedenti, la dottrina[38] si è diffusamente soffermata sulla natura del bando di gara quale atto non in grado d’innovare l’ordinamento giuridico poiché carente della natura normativa e tale, all’opposto, da perseguire solo interessi “puntuali della P.A.”[39]. Al riconoscimento di siffatta natura segue un particolare regime impugnatorio innanzi al giudice amministrativo, di modo che non possano essere seguiti i principi generali usualmente impiegati al fine di reputare ammissibile il ricorso.

Si è avuto modo di chiarire che la descritta peculiarità dei bandi di gara incide su disparati aspetti propri tanto del processo amministrativo quanto del diritto amministrativo procedimentale.

In particolare, l’effetto lesivo sprigionato da un bando di gara impone di valutare se esso derivi con immediatezza dalla lex specialis, ovvero se sia il frutto dell’applicazione puntuale della stessa e, pertanto, sia mediato dall’adozione di un successivo provvedimento amministrativo: l’alternativa descritta comporta ripercussioni sull’atto impugnabile; nel primo caso rappresentato dal bando stesso, nel secondo da un autonomo provvedimento.

Non solo, giacché la riuscita in termini di “ammissibilità” del ricorso esperito non dipende esclusivamente dalla corretta identificazione dell’atto lesivo in quanto tale, ma richiede anche una valutazione dell’effettiva esistenza dei requisiti posti alla base delle condizioni dell’azione, nella misura della titolarità di una posizione giuridica soggettiva qualificata e differenziata e di un interesse personale e attuale a un bene della vita.

In tal senso si è potuto constatare che all’apposizione di una clausola sociale del tenore di quella oggetto della pronuncia annotata consegue un subitaneo pregiudizio a danno dell’operatore economico, che si vede spogliato della possibilità di presentare un’offerta. Al ricorrere di questa ipotesi viene eliso il legame sussistente fra partecipazione procedimentale – in questo caso nella veste di partecipazione alla gara – e legitimatio ad causam, ritenendosi che l’impossibilità stessa di partecipare sia sufficiente a configurare una situazione giuridica soggettiva autonoma da quella della pluralità dei consociati.

In questa prospettiva, la clausola sociale difforme dall’interpretazione datane dalla giurisprudenza ed eccessivamente protettiva dei rapporti di lavoro in essere amplia il novero delle ipotesi in cui l’aspirante offerente si vede legittimato a un immediato ricorso al giudice amministrativo.


 


[1] PhD – Assegnista di ricerca, Università di Genova.

 

[2] Tar Liguria, Sez. II, 14 gennaio 2019, n. 22.

 

[3] D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

 

[4] D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56.

 

[5] Vale a dirsi i contratti di appalto o di concessione (di lavori e di servizi), diversi da quelli concernenti prestazioni intellettuali, nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto.

 

[6] Sentenza in rassegna nel “fatto e diritto”.

 

[7] Pecchioli N. (2017), Commento all’art. 50, in Ferrai F.G. – Morbidelli G., Codice dei contratti pubblici. Il D.L.gs 18 aprile 2016, n. 50, commentato articolo per articolo, Piacenza, La Tribuna, pp. 321 ss.

 

[8] L. 7 agosto 1990, n. 241.

 

[9] Adunanza plenaria 26 aprile 2018, n. 4.

 

[10] La pronuncia in commento richiama Cons. Stato, Sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671.

 

[11] Il rinvio è a Cons. Stato, Sez. III, 23 gennaio 2015, n. 293.

 

[12] Conformemente a Cons. Stato, Sez. III, 18 settembre 2018, n. 5444, nonché a Tar Toscana, Sez. III, 13 febbraio 2017, n. 231.

 

[13] Così la sentenza in rassegna.

 

[14] In senso conforme, “L’apposizione di una clausola sociale agli atti di una pubblica gara ai sensi della disposizione del nuovo Codice dei contratti pubblici (art. 50) applicabile pro tempore, è costituzionalmente e comunitariamente legittima solo se non comporta un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento di tutto il personale utilizzato dall’impresa uscente, in violazione dei principi costituzionali e comunitari di libertà d’iniziativa economica e di concorrenza oltreché di buon andamento, e consente invece una ponderazione con il fabbisogno di personale per l’esecuzione del nuovo contratto e con le autonome scelte organizzative ed imprenditoriali del nuovo appaltatore” (Cons. Stato, Sez. III, 8 giugno 2018, n. 3471, in Redazione Giuffrè amm., 2018).

 

[15] La versione originaria dell’art. 50 c.c.p. statuiva che “i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti possono inserire, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali”. La modifica è intervenuta ad opera del c.d. “correttivo 2017” al codice degli appalti, ossia il D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56.

 

[16] Anche il previgente art. 69 del codice del 2006 prevedeva la mera possibilità d’inserimento di clausola sociale: Cerbo P. (2010), La scelta del contraente negli appalti pubblici fra concorrenza e tutela della “dignità umana”, in Foro amm. Tar, 5, pp. 1975 ss., e Biagini A. (2015), Articolo 69, in Baccarini S. – Chinè G. – Proietti R. (a cura di), Codice dell’appalto pubblico, II ed., Milano, Giuffrè, pp. 876 ss.

 

[17] D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

 

[18] Cons. Stato, Adunanza plenaria, 7 aprile 2011, n. 4, annotata, ex multis, da Follieri F. (2011), Un ripensamento dell’ordine di esame dei ricorsi principale ed incidentale, in Dir. proc. amm., 3, pp. 1151 ss.; Tropea G. (2011),I rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale di nuovo dinanzi alla Plenaria. Un revirement atteso dopo un’interessante (e per alcuni versi discutibile) ordinanza di rimessione, in Giur. It., 7.

 

[19] Si veda oltre nelle note.

 

[20] Sui citati requisiti si rinvia a Montefusco R. (1985), Rilevanza dei requisiti di differenziazione e qualificazione nell’individuazione delle posizioni di interesse legittimo (l’interesse legittimo tra interesse a ricorrere ed interesse illegittimo), in Dir. proc. amm., pp. 408 ss. Più di recente ed in relazione alla tematica delle procedure di gara: Carbone A. (2014), Modelli processuali differenziati, legittimazione a ricorrere e nuove tendenze del processo amministrativo nel contenzioso sugli appalti pubblici, ivi, 2, pp. 423 ss.; Vaiano D. (2004), L’onere dell’immediata impugnazione del bando e della successiva partecipazione alla gara tra legittimazione ad agire ed interesse a ricorrere, ivi, 3, pp. 693 ss.

 

[21] Su questi temi si ricorda anche lo studio di Perfetti L.R. (2009), Legittimazione e interesse a ricorrere nel processo amministrativo: il problema delle pretese partecipative, in Dir. proc. amm., 3, pp. 688 ss.

 

[22] Così Vipiana P.M., Le condizioni dell’azione nel processo amministrativo, in Mignone C. – Vipiana P.M. (2013), Manuale di giustizia amministrativa, II ed., Padova, Cedam, p. 145. Più in generale, Travi A. (2018), Lezioni di giustizia amministrativa, XII ed., Torino, Giappichelli, pp. 193 ss.

 

[23] Ex plurimis, si ricordano gli studi di Giglioni F. – Lariccia S. (2000), Partecipazione dei cittadini all’attività amministrativa, in Enc. dir., Aggiornamento IV, Milano, Giuffrè, pp. 943 ss.; Della Cananea G. (2007), Il diritto di essere sentiti e la partecipazione, in Cerulli Irelli V. (a cura di), Il procedimento amministrativo, Napoli, Jovene; Bombardelli M. (2016), La partecipazione procedimentale, in Bartolini A. – Pioggia A. (a cura di), Cittadinanze amministrative, volume edito nella raccolta di studi a cura di Ferrara L. – Sorace D., A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana, Vol. VIII, Firenze, Firenze University Press.

 

[24] Ex multis, Picozza E. (2018), Introduzione al diritto amministrativo, II ed., Milano, Cedam, p. 298.

 

[25] Alcune voci in dottrina hanno parlato specificamente di “interesse legittimo procedimentale”, quale posizione soggettiva autonoma e scaturente dal mero rapporto procedimentale: su questi aspetti si veda la ricostruzione di Vipiana P.M. (2017), L’attività amministrativa ed i regimi amministrativi delle attività private, Milano, Cedam, p. 68. In precedenza, Giannini M.S. (1993), Diritto amministrativo, Vol. II, Milano, Giuffrè, III ed., pp. 77 ss.; Virga P. (1992), Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, II ed., Milano, Giuffrè, pp. 188 ss. Più di recente, Scoca F.G. (2017), L’interesse legittimo: storia e teoria, Torino, Giappichelli.

 

[26] Adunanza plenaria 4/2018, massima riportata in Redazione Giuffrè 2018. Principio, invero, già desumibile da Cons. Stato, Adunanza plenaria, 29 gennaio 2003, n. 1. Si veda anche Mari G. (2003), Commento all’Adunanza plenaria del 29 gennaio 2003, n. 1, in Riv. giur. ed., 4, pp. 1046 ss.

 

[27] Adunanza plenaria 4/2011, disponibile in www.giustizia-amministrativa.it.

 

[28] Su questi aspetti si richiamano anche Cons. Stato, Sez. III, 10 giugno 2016, n. 2507; Sez. V, 30 dicembre 2015, n. 5862; Sez. V, 12 novembre 2015, n. 5181. Di recente poi, Tar Lazio, Roma, Sez. III-quater, 6 dicembre 2018, n. 11828, ha riassunto le ipotesi che costituiscono eccezione alla regola dell’impugnazione del bando unitamente agli atti che ne fanno applicazione.

 

[29] Adunanza plenaria 4/2011, cit.

 

[30] Massima edita in Foro amm., 2018, 4, p. 586.

 

[31] Corte Giust. Ue, Sez. III, 28 novembre 2018, C-328/17, Amt Azienda Trasporti e Mobilità S.p.A., disponibile con nota di studio in www.giustizia-amministrativa.it.

 

[32] Nella stessa controversia era sopraggiunta anche una sentenza della Corte costituzionale nella quale il giudice delle leggi aveva avallato il diritto vivente, sostenendo che è ammissibile il ricorso del non offerente in “ipotesi in cui si contesti che la gara sia mancata o, specularmente, che sia stata indetta o, ancora, si impugnino clausole del bando immediatamente escludenti, o, infine, clausole che impongano oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati o che rendano impossibile la stessa formulazione dell’offerta” (Corte cost. 22 novembre 2016, n. 245).

 

[33] Direttiva 2007/66/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007: in proposito, Sandulli M.A. (2013), I principi costituzionali e comunitari in materia di giurisdizione amministrativa, in Sandulli M.A. (a cura di), Il nuovo processo amministrativo, Vol I, Milano, Giuffrè, pp. 34 ss.

 

[34] Come noto, le direttive in materia di contratti pubblici previgenti a quelle del 2014: direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce.

 

[35] Sul punto la seguente nota giurisprudenziale: “È conforme al diritto europeo la normativa italiana che ‘non consente agli operatori economici di proporre un ricorso contro le decisioni dell’amministrazione aggiudicatrice relative a una procedura d’appalto alla quale essi hanno deciso di non partecipare poiché la normativa applicabile a tale procedura rendeva molto improbabile che fosse loro aggiudicato l’appalto in questione’. A confermare la linea interpretativa già intrapresa dai giudici amministrativi italiani è la Corte di giustizia dell’Unione europea che si è pronunciata sul caso di una gara avviata dall’Agenzia regionale per il trasporto pubblico locale della Liguria del 2015, contro la quale era stato proposto ricorso da alcune società che non avevano potuto partecipare alla gara stessa non avendo a disposizione la struttura necessaria a garantire il servizio. In sostanza, per i giudici di Lussemburgo legittimazione a impugnare gli atti di gara spetta soltanto alle imprese che partecipano al bando, salvo le ipotesi di presenza nel bando ‘di clausole immediatamente escludenti o di clausole che impongono oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati o che rendono impossibile la stessa formulazione dell’offerta’” (in Guida al diritto, 2019, 2, p. 30.).

 

[36] Corte cost., 245/2016, cit., la quale afferma che il caso sottopostele non rientra tra le ipotesi eccezionali di legittimazione a ricorrere disgiunta dalla partecipazione alla gara poiché “emerge dalla stessa motivazione dell’ordinanza di rimessione, laddove si afferma che le clausole impugnate inciderebbero sulle chanches di aggiudicazione delle ricorrenti che ‘si ridurrebbero fin quasi ad azzerarsi’, mentre, in presenza di una gara dimensionata su base provinciale e suddivisa in lotti, esse ‘avrebbero moltissime probabilità di aggiudicarsi il servizio, non foss’altro per effetto del vantaggio di essere state le precedenti gestrici dello stesso’. Da tale motivazione non si ricava alcun impedimento certo e attuale alla partecipazione alla gara, bensì la prospettazione di una lesione solo eventuale, denunziabile da parte di chi abbia partecipato alla procedura ed esclusivamente all’esito della stessa, in caso di mancata aggiudicazione”.

 

[37] Direttiva 2014/23/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione; Direttiva 2014/24/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici e che abroga la Direttiva 2004/18/Ce; Direttiva 2014/25/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/Ce.

 

[38] A integrazione della letteratura precedentemente menzionata in merito alle condizione dell’azione, è possibile ricordare, ex multis, anche Mirate S. (2018), La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, Milano, Franco Angeli; Saitta N. (2012), Sistema di giustizia amministrativa, IV ed., Milano, Giuffrè, pp. 67 ss.; Follieri E. (2014), I presupposti e le condizioni dell’azione, in Scoca F.G. (a cura di), Giustizia amministrativa, VI ed., Torino, Giappichelli, pp. 283 ss.; Picozza E. (2016), Manuale di diritto processuale amministrativo, Milano, Giuffrè, pp. 37 ss.

 

[39] In tal senso, De Paolis S. (2013), Le condizioni dell’azione davanti al giudice amministrativo, in Sandulli M.A. (a cura di), Il nuovo processo amministrativo, cit., p. 361.