La disciplina dell’End of Waste dalle origini allo Sblocca Autorizzazioni

Edoardo Manassero1

 

Sommario: 1. L’origine della disciplina del c.d. fine vita di un rifiuto. – 2. Lo spartiacque in tema di cessazione della qualifica di rifiuto: il recepimento della Direttiva 2008/98/ce attraverso il D.Lgs. 205/2010. – 3. L’interpretazione della normativa europea e nazionale EoW fornita dal Ministero dell’ambiente. – 4. I successivi sviluppi giurisprudenziali nazionali relativi all’interpretazione della normativa EoW. – 5. Gli sviluppi della giurisprudenza europea: la sentenza della CGUE n. 60/18. – 6. Il mancato recepimento dell’indirizzo europeo: la Legge c.d. “sblocca cantieri”. – 7. La tanto attesa nuova disciplina EoW: la Legge c.d. “sblocca autorizzazioni”. – 8. Conclusioni.

 

1. L’origine della disciplina del c.d. fine vita di un rifiuto.

Nell’ordinamento italiano la nozione di rifiuto ha avuto numerose evoluzioni sino all’attuale formulazione, contenuta nell’articolo 183, comma 1, lett. a), D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 (c.d. T.U. ambientale), che lo definisce come “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”.

In altre parole, rientra nella definizione di rifiuto qualunque tipologia di sostanza di cui il soggetto intende, per ragioni differenti, disfarsi2. 

Tuttavia esistono ipotesi in cui, pur essendovi la sopracitata volontà di disfarsene, una sostanza, giuridicamente, non rientra comunque nella categoria dei rifiuti oppure perde tale qualifica. 

Tale ultima condizione ha una sua specifica disciplina: la c.d. cessazione della qualifica di rifiuto. 

Suddetta disciplina è stata al centro di analisi e dibattiti parlamentari, giurisprudenziali e dottrinali da tempo immemore dei quali si proverà a dare conto in quanto la stessa è considerata da autorevole dottrina3, insieme alla normativa sul sottoprodotto4 , il punto di partenza del modello della c.d. circular economy o economia circolare. 

Brevemente, la circular economy è per l’appunto un modello di sviluppo fortemente auspicato a livello europeo tanto da essere posto come obiettivo nei considerando delle direttive in materia di ambiente. Su tutte la direttiva in tema di rifiuti 851/2018/CE – recante “Modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti” (che meglio si analizzerà in seguito) – che chiarisce, già nel primo considerando, la necessità se non l’obbligo di creare un modello di crescita sostenibile a tutela dell’ambiente, basato sull’economia circolare, a partire dalla gestione dei rifiuti5. 

In particolare, in materia di gestione dei rifiuti, l’economia circolare, secondo illustre dottrina6, “si contraddistingue per un migliore utilizzo delle risorse che sospinge l’intero sistema economico verso un approccio circolare (rifiuto come risorsa) invece che lineare, basato sull’uso di prodotti piuttosto che sul loro consumo. Il relativo modello si caratterizza per la valorizzazione dei residui del consumo, l’estensione del ciclo di vita dei prodotti, la condivisione delle risorse, l’impiego di materie prime da riciclo e l’uso di energie da fonti rinnovabili”. 

Tornando alla tematica della cessazione della qualifica di rifiuto, occorre effettuare un previo inquadramento di massima della materia, definendo tale cessazione come un processo di recupero su un rifiuto – eseguito nel rispetto di determinati criteri – al termine del quale esso perde tale qualifica per acquisire quella di prodotto. 

L’inquadramento di massima ora proposto è frutto di un’evoluzione normativa che, sin dagli anni Ottanta, si è posta l’obiettivo sia di circoscrivere e identificare la sostanza che perde la qualifica di rifiuto sia di definirle modalità e le procedure per le propedeutiche operazioni di recupero. 

A proposito di evoluzione cronologica, nel presente scritto – pur nella consapevolezza che anche la materia dell’End of Waste si fonda su un sistema di fonti multilevel che in primis si basa sulle direttive e sui regolamenti europei, a cui seguono gli atti aventi forza di legge nazionali, i decreti ministeriali e in ultimo le circolari – si è preferito compiere un’analisi di tipo temporale piuttosto che gerarchica delle fonti, al fine di meglio comprendere come si è giunti all’emanazione della normativa attualmente in vigore. 

Ciò posto, la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto ha avuto un inizio con il D.L. 09.09.1988, n. 397, convertito in L. 09.11.1988, n. 475, il quale primariamente ha identificato la sostanza con il termine “materia prima secondaria”. 

Più specificamente, veniva affermato che le materie prime secondarie derivavano da “processi produttivi e che sono suscettibili, eventualmente previ idonei trattamenti, di essere utilizzati come materie prime in altri processi produttivi della stessa o di altra natura” (articolo 2, comma 1, D.L. 397/1988 cit.)7. 

La cessazione di qualifica di rifiuto è stata altresì regolata dal D.M. 26.01.19908 (su cui era anche intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza 30.10.1990, n. 5129), seguito dal D.M. 05.09.1994, il quale più specificamente escludeva dalla disciplina dei rifiuti tutta una serie di materiali e sostanze. 

Si è infine giunti al T.U. ambientale, che superava il D.Lgs. 05.02.1997, n. 2210 , ove era stato inserito un articolo dedicato, il 181-bis11, che individuava, tramite una serie di criteri, il fine vita del rifiuto nella materia prima secondaria (M.P.S.) sia che questa derivasse da un’attività di recupero riconosciuta da appositi decreti (D.M. 05.02.199812; D.M. 12.06.2002, n. 161; D.M. 17.11.2005, n. 269), sia che questa derivasse da un processo individuato tramite singole procedure autorizzative ordinarie13. 

 

2. Lo spartiacque in tema di cessazione della qualifica di rifiuto: il recepimento della Direttiva 2008/98/ce attraverso il D.Lgs. 205/2010.

Fatto questo breve excursus storico, si analizzerà ora, seguendo per l’appunto un criterio cronologico, la successiva disciplina sulla cessazione della qualifica di rifiuto, contenuta a livello europeo nell’articolo 6 della Direttiva 2008/98/CE del 19.11.2008. Normativa che rappresenta, come meglio si vedrà in seguito, il punto di partenza della regolamentazione attualmente vigente in materia di EoW. 

L’articolo 6 sopracitato al paragrafo 1, conteneva (e contiene) i quattro criteri generali per cui un rifiuto, sottoposto a un’operazione di recupero, cessa di essere tale: “a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzata/o per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”.

Il successivo paragrafo 214 disponeva che tali criteri dovessero essere trasposti in regolamenti ad hoc per singole categorie di rifiuti (vd. infra). 

Particolarmente rilevante era poi il paragrafo 415, il quale prevedeva la possibilità, in via residuale rispetto al livello comunitario, che ogni singolo Stato membro – dandone informazione alla Commissione europea – potesse stabilire “caso per caso” se un determinato rifiuto, a seguito di operazione di recupero, perdesse tale qualifica. 

A livello nazionale il contenuto dell’articolo in questione è stato recepito dal D.Lgs. 03.12.2010, n. 205 che ha modificato alcuni aspetti del T.U. ambientale, introducendo, tra gli altri, l’articolo 184 ter16, abrogando l’articolo 181-bis sopramenzionato17. 

L’articolo 184-ter prevedeva, ai commi 1 e 2, che un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, da svolgere nel rispetto di criteri specifici conformi alla disciplina comunitaria, partendo però da quei criteri generali di matrice europea contenuti nell’articolo 6, paragrafo 1 della direttiva: 

  • la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici. Si deve dunque trattare di prodotti comunemente impiegati e che svolgono funzioni conosciute e definite;
  • esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto. Il fatto che esista un mercato dimostra che difficilmente il materiale derivante dal recupero sarà abbandonato. Va rilevato che differentemente dall’abrogato articolo 181-bis “la materia derivante dall’attività di recupero non deve necessariamente avere un valore economico intrinseco, essendo sufficiente che esista un mercato o una domanda di tale sostanza od oggetto(Cass. Pen., sez. III, 17.06.2011, n. 24427) 18;
  • la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti. In sostanza il materiale deve avere le caratteristiche richieste in concrete condizioni di utilizzo o di consumo, conformemente tanto alle norme di legge quanto alle norme tecniche relative al bene specifico;
  • l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. Il materiale non deve (naturalmente) essere lesivo dell’ambiente e della salute. 

Secondo il comma 3, qualora non fossero stati emanati ulteriori regolamenti comunitari contenenti altri criteri, a livello nazionale, veniva data la possibilità, con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente, di dettarne di nuovi e, nelle more dell’adozione degli stessi, continuavano ad applicarsi le disposizioni relative a norme già in essere in materia di recupero. Tra le altre si annoverano: 

  • D.M. 05.02.1998, in materia di rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero;
  • D.M. 12.06.2002, n. 161, in materia di rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate;
  • D.M. 17.11.2005, n. 269, in materia di rifiuti pericolosi provenienti dalle navi;
  • D.M. 14.02.2013, n. 22, in materia di Combustibile Solido Secondario;
  • Regolamento 333/2011/UE, in materia di Rottami metallici;
  • Regolamento 1179/2012/UE, in materia di Rottami di vetro;
  • Regolamento 715/2013/UE, in materia di Rottami di rame. 

Ciò che emerge, esaminando il combinato disposto delle due norme (europea e nazionale), è dunque un quadro secondo cui in assenza di specifici regolamenti europei che disciplinavano singolarmente quali sostanze – successivamente ad un’operazione di recupero – perdevano le caratteristiche di rifiuto, a livello nazionale era (ed è) possibile predisporre ulteriori criteri19. 

Cosa si intende per livello nazionale? 

Inizialmente, la giurisprudenza20, aveva fornito risposta a tale quesito confermando che solo ed esclusivamente i decreti ministeriali in vigore (nelle more dell’adozione di ulteriori decreti) erano in grado di stabilire i criteri secondo cui una sostanza perde la qualifica di rifiuto e diviene prodotto. 

A tal proposito la Cassazione Penale, sez. III, con sentenza 15.04.2014, n. 16423, affermava che un’operazione di recupero garantisce normativamente la perdita della qualifica di rifiuto di una sostanza esclusivamente sulla base dell’iter autorizzativo e operativo contenuto nei decreti ministeriali e/o regolamenti sopracitati21. 

 

3. L’interpretazione della normativa europea e nazionale EoW fornita dal Ministero dell’ambiente.

Successivamente èemersa una diversa interpretazione – rispetto alla Cassazione penale indicata al paragrafo precedente del presente scritto – dell’articolo 6 Direttiva 2008/98/CE in combinato disposto con l’articolo 184-ter, T.U. ambientale. 

Al fine di poter esaminare tale interpretazione, occorre fare menzione anche degli articoli 208 e ss. del T.U. Ambientale, in quanto un’attività di recupero deve naturalmente avvenire nell’ambito di impianti autorizzati. 

In particolare, l’articolo 208 disciplina il procedimento di rilascio di autorizzazioni per gli impianti di recupero (e smaltimento) di rifiuti di tipo ordinario, da parte dell’organo competente qual è la Regione. 

L’articolo 214 riguarda invece una procedura di tipo semplificato per il rilascio di autorizzazioni per gli impianti di recupero. 

Suddetti articoli venivano espressamente citati nella nota n. 10045 del 01.07.2016 del Ministero dell’ambiente che aveva quale scopo fornire chiarimenti in merito all’applicabilità dell’articolo 184-ter, fornendo un’interpretazione più estensiva22. 

Il Ministero sosteneva che i criteri per la perdita della qualifica dei rifiuti venivano dettati in via gerarchica dai regolamenti comunitari, dai decreti attuativi e nazionali e in ultima istanza, in caso di assenza dei precedenti e nell’attesa di emanazione degli stessi, dalle Regioni (o Enti da esse delegati) nella fase autorizzativa ordinaria dei singoli impianti aventi quale scopo un’attività di recupero. 

A tal proposito nella nota si affermava infatti letteralmente che “il comma 2 dell’articolo 184-ter in commento ha previsto le seguenti modalità alternative di definizione dei criteri EoW: mediante regolamento comunitario, laddove emanato; mediante uno o più decreti ministeriali, laddove emanati; nelle more dell’adozione dei provvedimenti di cui alle precedenti lettere a) e b) il Legislatore ha, altresì, disposto che, per quanto riguarda il recupero agevolato, continuano ad essere di riferimento i criteri definiti dal Dm 5 febbraio 1998, dal Dm 12 giugno 2002 n. 161 e dal Dm 17 novembre 2005 n. 269, come si evince anche dal comma 4, dell’articolo 214, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 invece, per quanto riguarda il recupero non agevolato, ha dettato una specifica norma di chiusura con l’art. 214, comma 7, ove stabilisce che l’autorizzazione all’esercizio in impianti di operazioni di recupero di rifiuti non individuati ai sensi del presente articolo resta comunque sottoposta alle disposizioni di cui agli artt. 208, 209 e 211”. “[…] le Regioni – o gli enti da queste individuati – possono, in sede di rilascio dell’autorizzazione prevista agli articoli 208, 209 e 211, e quindi anche in regime di autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), definire criteri EoW previo riscontro della sussistenza delle condizioni indicate al comma 1 dell’articolo 184-ter, rispetto a rifiuti che non sono stati oggetto di regolamentazione dei succitati regolamenti comunitari o decreti ministeriali. L’impostazione operata dal Legislatore italiano è conforme al quadro europeo […]”. 

In altre parole, si è voluto delineare il seguente quadro che ha avuto riscontri favorevoli23 e sfavorevoli24 da parte della dottrina: 

  • in fase di autorizzazione ordinaria (ex articolo 208 e ss.) veniva fornita una sorta di “delega” agli Enti autorizzatori (si ribadisce sino all’entrata in vigore della regolamentazione comunitaria e nazionale) a definire, per ogni singolo processo, i criteri EoW;

  • in fase di autorizzazione semplificata i criteri EoW venivano stabiliti dai D.M. e dai Regolamenti in vigore, come indicato nell’articolo 184-ter.

 

4. I successivi sviluppi giurisprudenziali nazionali relativi all’interpretazione della normativa EoW.

In un secondo tempola giurisprudenza amministrativa è sembrata recepire le indicazioni contenute nella Circolare ministeriale. 

In particolar modo il T.A.R. Lombardia, con sentenza 26.10.2016, n. 1958, ha ritenuto che un Ente, in sede di autorizzazione ambientale, abbia il potere di valutare nel singolo caso i requisiti necessari per l’autorizzazione al recupero, sempre nel rispetto dei principi e criteri contenuti nell’articolo 184-ter, al fine di garantire la corretta applicazione dell’articolo 178 del T.U. Ambientale25. 

Di diverso avviso è stata però, nell’anno 2018, la IV° Sezione del Consiglio di Stato, che con sentenza 28.02.2018, n. 1229, è intervenuta nel merito di un provvedimento dirigenziale della Regione Veneto che non aveva accolto un’istanza di modifica di un’autorizzazione concessa ad un’Azienda impegnata in un’attività di recupero. Secondo la Regione, non erano in vigore decreti in grado di stabilire i criteri della cessazione della qualifica di rifiuto per le sostanze lavorate dall’Azienda medesima. 

Il provvedimento di diniego di modifica, impugnato innanzi al T.A.R. Veneto26, è stato annullato dai Giudici di primo grado che hanno ritenuto, al contrario, essere nel potere dell’Ente autorizzatore stabilire quali criteri qualifichino la perdita della qualifica di rifiuto in ogni singolo caso. 

Come anticipato, tale decisione è stata poi ribaltata dal Consiglio di Stato che ha sostanzialmente motivato la scelta in due passaggi: 

  • la Direttiva 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE UE, in tema di determinazione della cessazione della qualifica di rifiuto, non riconosce il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro. Questo potere è stato attribuito dal legislatore statale al Ministero dell’Ambiente, fornendo una lettura del “caso per caso”, non già riferito al singolo materiale da esaminare ed (eventualmente) declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come “tipologia” di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria”;
  • il potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto spetta, ai sensi della Direttiva 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE, allo “Stato”, che assume anche obbligo di interlocuzione con la Commissione, e non alle Regioni. Laddove si consentisse ad ogni singola Regione, di definire, in assenza di normativa UE, cosa è da intendersi o meno come rifiuto, ne risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni”. 

In estrema sintesi, secondo il Consiglio di Stato, la Direttiva 2008/98/CE non riconosce il potere di valutazione “caso per caso”, in relazione alla cessazione della qualifica di rifiuto, ad Enti e/o organizzazioni interne allo Stato (tra queste venivano ricomprese anche le Regioni – o gli Enti da esse delegati – che non hanno il potere di definire cosa è da intendersi o meno come rifiuto in fase autorizzativa) sia perché in contrasto con il diritto europeo – che prevedeva il “caso per caso” inteso come valutazione della generale tipologia di materiale da declassificare – sia perché in contrasto con la ripartizione competenze tra Stato e Regioni, prevista dalla Costituzione.

Su questa sentenza si sono espressi numerosi autori27, che sono giunti a conclusioni differenti, con una prevalenza di valutazioni non concordi col contenuto della pronuncia. 

Ma andiamo con ordine. Unaparte degli autori sopramenzionati28 ha ritenuto la sentenza conforme al diritto europeo ed italiano in tema di diritto ambientale, affermando che è corretto rimarcare che la potestà legislativa di settore è in capo allo Stato centrale29. 

Di conseguenza, sempre secondo medesima dottrina30, è sì necessario garantire l’espansione del concetto di circular economy, ma tale espansione non può essere portata avanti ad ogni costo sino a creare un contrasto con il disposto costituzionale. 

Altra dottrina31 ha invecefornito una chiave di lettura differente, tale da poter rendere legittima la possibilità per un Ente autorizzatorio di stabilire i criteri EoW pur non violando le regole europee e costituzionali. 

In particolare, la disamina parte dal contenuto del comma 4 dell’articolo 6 della Direttiva, in cui si affermava e si afferma che gli Stati membri possono decidere “caso per caso” se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale. 

Posto che suddetta Direttiva è da considerarsi self executing32 e dunque direttamente applicabile nel nostro ordinamento, il suo contenuto è stato approfondito e chiarito dalla Guidance on the interpretation of key provisions of Directive 2008/98/EC on waste, nella parte in cui conferisce allo Stato membro il potere di stabilire i criteri EoW, senza entrare nel merito della potestà legislativa e non negando espressamente la competenza agli Enti 33. 

Ma vi è di più, non solo non viene negata espressamente la competenza di suddetti Enti, ma si va oltre asserendo che “qualsiasi livello all’interno dello Stato membro è incaricato di sviluppare criteri EoW all’interno della struttura amministrativa nazionale34. 

In altre parole, la Guidance indica la possibilità per gli Enti autorizzatori di stabilire i criteri di fine vita dei rifiuti caso per caso. 

A questa disamina una parte della dottrina35 – che non ha esitato a definire la pronuncia del Consiglio di Stato addirittura “sciagurata” – ha aggiunto che non appare essere corretta la decisione del Consiglio anche nella parte in cui si sostiene che qualora le Regioni (o Ente delegato) facessero una valutazione “caso per caso” del momento in cui un rifiuto cessa di essere tale, vi sarebbe una violazione del dettato costituzionale, per ciò che concerne il riparto di competenze tra Stato e Regione. 

Secondo alcuni autori36 infatti non vi sarebbe alcun vizio di incompetenza legislativa tra Stato e Regione in quanto la Corte Costituzionale in passato si era già espressa sul tema, asserendo che “alla funzione autorizzatoria delle regioni in materia di trattamento dei rifiuti […] deve riconoscersi rango costituzionale, giacché l’art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006, che attribuisce alle regioni tale funzione, applica il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, primo comma, Cost., specificamente ribadito per la materia ambientale dall’art. 3-quinquies, comma 3, del codice dell’ambiente(Corte Cost., 12.04.2017 n. 75). 

 

5. Gli sviluppi della giurisprudenza europea: la sentenza della CGUE n. 60/18.

Dal punto di vista temporale, nel 2018, anche la Corte di giustizia europea, con sentenza sez. II, 28.03.2019, n. 60/18, è intervenuta in tema di cessazione della qualifica di rifiuto in maniera particolarmente rilevante con ripercussioni a livello italiano. 

La pronuncia traeva origine da un giudizio incardinato in Estonia in relazione alla qualifica post attività di trattamento per il rifiuto dei fanghi da depurazione. 

Più specificamente a seguito della proposizione della questione pregiudiziale interpretativa sempre dell’articolo 6, paragrafo 437, della Direttiva 2008/98/CE, era emerso che gli Stati membri, in mancanza di criteri specifici comunitari, “possono adottare una norma o una regolamentazione tecnica relativa ai rifiuti di una determinata categoria o a un determinato tipo di rifiuto”. Tuttavia possono ancheprevedere la possibilità di decisioni relative a casi individuali, in particolare sulla base delle domande presentate dai detentori38.

Tale sentenza “anticipa”39 la modifica al paragrafo 4 dell’articolo 6 della Direttiva 2008/98/CE per il tramite della Direttiva 2018/851/UE40, ove si prevede più chiaramente la possibilità di valutazione da parte di Enti autorizzatori, nei singoli casi, dei criteri per la perdita della qualifica di rifiuto. 

Nel suddetto articolo si asserisce che “Laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione o a livello nazionale ai sensi, rispettivamente, del paragrafo 2 o del paragrafo 3, gli Stati membri possono decidere caso per caso o adottare misure appropriate al fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere tali in base alle condizioni di cui al paragrafo 1, rispecchiando, ove necessario, i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e), e tenendo conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente e sulla salute umana”. 

Secondo la dottrina41, per il tramite della modifica introdotta dalla Direttiva sopracitata viene chiarita finalmente la fattibilitàdi affidare alle Regioni, in mancanza di decreti nazionali e di regolamenti europei, la possibilità di autorizzare, caso per caso, attività di riciclo completo, con la cessazione della qualifica di rifiuto del prodotto ottenuto”.

 

6. Il mancato recepimento dell’indirizzo europeo: la Legge c.d. “sblocca cantieri”.

Parallelamente, a livello italiano, il comma 3 dell’articolo 184-ter, T.U. ambientale veniva modificato per il tramite dell’articolo 1, comma 19, D.L. 18.04.2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla L. 14.06.2019, n. 5542; il c.d. “Sblocca cantieri” che tuttavia non aveva fatto propria la variazione alla Direttiva 2008/98/CE di cui sopra. 

Il nuovo comma – che a parere dello scrivente appare come un tentativo di mediazione rispetto alle due posizioni analizzate (si v. paragrafi 4 e 5) – disponeva in buona sostanza che: 

  • i criteri EoW esistenti – contenuti nel D.M. 05.02.1998, nel D.M. 161/2002 e nel D.M. 269/2005 – oltre a continuare ad applicarsi nelle procedure di rilascio delle autorizzazioni all’attività di recupero semplificate potessero essere applicati anche a quelle ordinarie (vd. infra);
  • rimanendo fermi i D.M. esistenti citati in precedenza, il Ministero dell’ambiente potesse (solo) discrezionalmente emanare un decreto, non avente natura regolamentare, contenente linee guida per “l’uniforme applicazione” dei criteri EoW, con particolare attenzione alle attività di verifica e controllo sui rifiuti in entrata e sul prodotto in uscita dal processo (già descritti nei D.M.), tenendo conto “dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti nell’ambiente e sulla salute”;
  • le Regioni/Province potessero solo intervenire sulle quantità. 

Tale modifica normativa non ha trovato concorde la dottrina che ha così commentato “invece di procedere, come appariva logico ed opportuno, al recepimento all’interno del nostro ordinamento giuridico dell’art. 6 della direttiva rifiuti (così come modificato dalla direttiva 2018/851/UE), si è preferito estendere alle autorizzazioni ordinarie e alle AIA i criteri e vincoli previsti per le autorizzazioni semplificate43. 

Tale condizione è rimasta immutata sino all’attuale modifica legislativa, fortemente auspicata in primis da uno dei padri della disciplina della materia dei rifiuti, ossia l’ex Ministro dell’ambiente, Edoardo Ronchi che così si è espresso: “Per superare questa situazione ed eliminare il pasticcio combinato al Senato basterebbe, come insieme ad un vasto schieramento andiamo sostenendo da mesi, recepire con urgenza l’art. 6 della nuova Direttiva 2018/85144. 

 

7. La tanto attesa nuova disciplina EoW: la Legge c.d. “sblocca autorizzazioni”.

Come anticipato nel paragrafo precedente, la legge c.d. “Sblocca cantieri” è stata celermente superata – anche a seguito delle numerose critiche sopracitate per il mancato recepimento della direttiva 2008/851/UE45 – dalla L. 02.11.2019, n. 128, provvedimento di conversione del D.L. 03.10.2019, n. 101, recante “Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali”, anche definito “Sblocca autorizzazioni”. 

Più precisamente, l’articolo 14-bis del suddetto D.L. convertito ha integrato l’articolo 184-ter del c.d. T.U. ambientale, il quale (finalmente) prevede che – nelle more dell’emanazione di regolamenti UE o di decreti ministeriali, contenenti criteri sulle modalità di recupero delle singole tipologie di rifiuti – le autorizzazioni per le attività di recupero ordinarie possano comunque essere o rilasciate o rinnovate “caso per caso” dalle Autorità competenti (es. Regioni) nel rispetto dell’articolo 6, paragrafo 1 della Direttiva 2008/98/CE (art. 184-ter, comma 3), ma anche delle prescrizioni definite nell’ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori, che dovranno includere i seguenti punti: 

  • materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell’operazione di recupero;
  • processi e tecniche di trattamento consentiti;
  • criteri di qualità per i materiali, di cui è cessata la qualifica di rifiuto, ottenuti dall’operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario;
  • requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l’automonitoraggio e l’accreditamento, se del caso;
  • un requisito relativo alla dichiarazione di conformità. 

Suddette prescrizioni, così come i criteri di cui dell’articolo 6, paragrafo 1 della Direttiva 2008/98/CE, sono meglio identificati e dettagliati nelle Linee Guida n. 23, datate 06.02.2020, emanate dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente c.d. S.N.P.A., le quali – oltre a dare un apporto per ciò che concerne l’attività di controllo che meglio si indicherà in seguito – forniscono supporto “tecnico” alle Autorità competenti per la fase istruttoria di rilascio dell’autorizzazione all’attività di recupero46. 

In sintesi dunque ciò che più rileva – a differenza di quanto era stato considerato dai Giudici del Consiglio di Stato nella sentenza commentata in precedenza (vd. infra) – è la non necessità di attendere l’emanazione di provvedimenti nazionali o comunitari per svolgere un’attività ordinaria di recupero rifiuti giuridicamente intesa. 

Questo purché gli Enti autorizzatori rispettino i principi dettati dalla normativa europea di settore e i cinque criteri ora riportati e forniti dal nuovo testo dell’articolo 184-ter, comma 3. 

Invece per quanto attiene le procedure autorizzative semplificate, pare di comprendere, da quanto indicato sempre nel comma 3 del novellato art. 184-ter, che continuino ad applicarsi le disposizioni di cui ai D.M. 05.02.1998, D.M. 12.06.2002, n. 161 e D.M. 17.11.2005, n. 269, senza richiami all’ipotesi autorizzatoria “caso per caso”, sino all’adozione dei criteri specifici. 

La Legge ha poi previsto ulteriori modifiche tramite l’introduzione di nuovi commi (da 3-bis a 3-septies) in tema di controllo delle autorizzazioni rilasciate e rinnovate secondo le regole di cui sopra. 

Entrando più nel dettaglio, l’iterche si configura successivamente al rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’operazione di recupero, ai sensi del comma 3, prevede il coinvolgimento anche di altri organi su impulso dell’Ente autorizzatorio47. 

In primis l’ISPRA48, a cui viene comunicato, nel termine di dieci giorni dal rilascio, l’autorizzazione o il rinnovo di un’operazione di recupero (comma 3-bis)49. Quest’ultimo svolgerà successivamente dei controlli a campione50, in contraddittorio con il soggetto interessato, in relazione alla conformità delle modalità operative e gestionali degli impianti (comma 3-ter). In caso di non conformità riscontrata, l’ISPRA predisporrà apposita relazione. 

Come anticipato, in merito all’attività di controllo, le Linee Guida n. 23/202051, sono state redatte allo scopo di garantire l’armonizzazione, l’efficacia e l’omogeneità dei controlli stessi sugli impianti di recupero sul territorio nazionale e, per questo fine, tali Linee Guida forniscono alcuni criteri per l’attività di monitoraggio che interessano: 

  • la metodologia per la scelta del campione degli impianti da sottoporre a controllo;
  • la preparazione dell’ispezione e l’esecuzione dell’ispezione;
  • i controlli sui rifiuti in ingresso;
  • i controlli sul processo di recupero;
  • i controlli sui sistemi di gestione che dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto;
  • i controlli sulle operazioni di recupero/riciclaggio;
  • i controlli sui prodotti in uscita;
  • i controlli di ogni singolo lotto sul rispetto dei criteri per la cessazione della qualifica di rifiuti;
  • le modalità di trasmissione degli esiti della verifica. 

Tornando a quanto previsto dall’art. 184-ter, l’ISPRA dovrà concludere il procedimento di controllo nel termine di sessanta giorni, decorrenti dall’inizio della verifica, al termine del quale si comunicheranno (sia in caso di conformità che di non conformità), entro quindici giorni, gli esiti della verifica al Ministero dell’ambiente (comma 3-ter). 

Nei sessanta giorni successivi il MATTM adotterà le proprie conclusioni trasmettendole all’Ente autorizzatorio (motivando anche l’eventuale mancato recepimento degli esiti dell’istruttoria contenuti nella relazione di cui al comma 3-ter)52. 

L’Ente autorizzatorio avvierà in caso un procedimento finalizzato all’adeguamento degli impianti da parte del soggetto interessato, con possibile ricorso a Commissari ad acta per l’adozione del provvedimento di adeguamento sopracitato (comma 3-quinquies), ordinando, nell’ipotesi di mancato adeguamento, la revoca dell’autorizzazione con contestuale comunicazione della conclusione del procedimento al Ministero medesimo (comma 3-quater). 

A parere di chi scrive, tale iter di controllo successivo, segue il filone intrapreso dal diritto amministrativo nel rispetto del principio cardine di economicità, efficacia e trasparenza dell’azione amministrativa, consistente nel velocizzare l’iter di conclusione dei procedimenti e garantire al privato di iniziare lo svolgimento dell’attività in tempi più rapidi possibile. 

A titolo esemplificativo, si veda il diritto dell’edilizia, materia per certi versi affine al diritto dell’ambiente. 

Si pensi più specificamente all’istituto della SCIA53 che, benché con modalità differenti e in casi prestabiliti, permette all’istante l’inizio immediato dell’attività edile, imponendo però all’Ente autorizzatorio di fare un controllo, sulla bontà della richiesta presentata, per così dire postumo alla presentazione e concomitante rispetto allo svolgimento dell’attività. 

Si ritiene altresì doveroso fare anche menzione di due ulteriori commi dell’articolo 184-ter, che introducono una serie di oneri documentali utili a una generale corretta gestione dei rifiuti:  

  • la relazione da parte dell’ISPRA sulle verifiche e i controlli effettuati nel corso dell’anno ai sensi del comma 3-ter (comma 3-sexies);
  • il registro nazionale delle autorizzazioni rilasciate e delle procedure semplificate concluse, da tenersi presso il MATTM (comma 3-septies).  

Le modalità di organizzazione e funzionamento del registro (denominato REcer) sono contenute nel D.M. del Ministero dell’ambiente, 21.04.2020, entrato in vigore in data 05.06.2020. Più specificamente tale decreto indica lo scopo del REcer ossia rendere disponibili alle P.A., che ne facciano richiesta, i dati delle autorizzazioni per svolgere i propri compiti istituzionali, tra cui, nel caso di specie, anche le istruttorie per il rilascio di autorizzazioni e l’attività di controllo a campione, come sopra analizzate, i cui esiti verranno riportati nel Registro medesimo. Il REcer utilizza una piattaforma telematica, è formato da due sezioni, una per i procedimenti ordinari e una per i procedimenti semplificati, ed è interoperabile con il Catasto rifiuti e il Registro elettronico nazionale per la tracciabilità dei rifiuti. A oggi tuttavia il REcer non risulta essere ancora operativo. 

In conclusione, appare rilevante e condivisibile quanto ulteriormente previsto dal sopracitato articolo 14-bis, comma 7, D.L. 101/2019 (non trasposto nell’articolo 184-ter). 

Quest’ultimo stabilisce ciò che si verificherà, a tutte quelle autorizzazioni ordinarie al recupero di rifiuti rilasciate “caso per caso”, nel momento in cui verranno emanati i decreti attuativi di cui al comma 2 dell’articolo 184-ter54. 

In particolare, è previsto che a decorrere dall’entrata in vigore di tali D.M., il titolare dovrà presentare un’istanza di aggiornamento a pena di sospensione dell’autorizzazione. 

Il medesimo art. 14-bis, D.L. 101/2019, al comma 8, chiarisce definitivamente il “destino” delle autorizzazioni ordinarie che, alla data di entrata in vigore di suddetto D.L., sono in essere o per cui è in corso una procedura di rinnovo o ancora risultano scadute, ma per le quali è presentata un’istanza di rinnovo entro centoventi giorni dalla predetta data di entrata in vigore. Ebbene, tutte queste autorizzazioni vengono (fortunatamente e coerentemente) fatte salve. 

 

8. Conclusioni. 

In conclusione di questo breve excursus sulla normativa in materia di EoW, è possibile trarre le seguenti questioni di sintesi. 

La problematica del fine vita del rifiuto è stata, come si è detto, oggetto di dibattito per più di vent’anni e un definitivo (si spera) punto è stato posto dalla nuova normativa che, a parere dello scrivente, non può che essere la naturale conclusione della “disputa”. 

Questo in quanto la cessazione della qualifica di rifiuto deve essere, in questo periodo storico, il pilastro in grado di sostenere il c.d. sviluppo sostenibile55 e limitare l’impatto antropico sull’ambiente. 

Sin dalla Direttiva 2008/98/CE – e del conseguente recepimento a livello nazionale – vi sarebbe comunque stata la possibilità di disciplinare e autorizzare “caso per caso” processi in grado di trasformare, attraverso il recupero, una sostanza da rifiuto a prodotto. 

Tuttavia soprattutto a livello giurisprudenziale si è preferito limitare il potere di disciplinare i processi di recupero, in grado di garantire il fine vita di un rifiuto, ai soli decreti ministeriali e/o regolamenti europei. 

Ciò è stato possibile esclusivamente attraverso un’analisi del dettato normativo strettamente letterale, senza però prendere come presupposto proprio quella Direttiva del 200856 che ha come unico obiettivo la prevenzione, propedeutica a dare forma alla circular economy. 

Quella circular economy che, è bene sottolineare, soprattutto nel settore della gestione dei rifiuti, garantisce (attraverso una drastica riduzione degli stessi) non soltanto una tutela ambientale, ma potrebbe, se ben attuata, assicurare uno sviluppo economico e sociale, attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro, in quanto si andrebbe a estendere sensibilmente l’industria del riciclo.57 

Partendo proprio dal concetto di economia circolare,la lettura normativa sarebbe stata maggiormente flessibile, come indicato a suo tempo dal Ministero dell’ambiente con la nota n. 10045/2016, il quale aveva fornito un’interpretazione del combinato disposto degli articoli 184-ter, 208 e ss. del T.U. ambientale conforme all’ipotesi di “delega” del potere agli Enti autorizzatori (sino all’entrata in vigore della regolamentazione comunitaria e nazionale) di definire per ogni singolo processo i criteri EoW. 

In conclusione, quanto alla nuova normativa ora in vigore, oltre agli elementi giuridici sopracitati, si ritiene condivisibile la scelta di coinvolgere anche altri organi quali ISPRA, ARPA e Ministero dell’ambiente, per il controllo delle autorizzazioni rilasciate e rinnovate. 

Tuttavia, allo stato, l’attività di controllo e vigilanza di ogni singolo caso, che vede coinvolti gli Organi di cui sopra, appare alquanto macchinosa e quindi potenzialmente lesiva del soggetto richiedente dato che questi potrebbe in alcuni casi sospendere e ritardare l’inizio dell’attività con evidenti perdite economiche. 

A ciò si aggiunga che un sistema di controllo a campione limita quella certezza del diritto sempre propedeutica a una corretta tutela dell’ambiente. 

Ad ogni buon conto nonostante queste criticità ora segnalate, non si può non considerare questo dettato normativo sicuramente positivo ed orientato, finalmente, verso quei principi che l’Unione Europea ha posto all’articolo 191 TFUE, a fondamento della disciplina della materia ambientale,ossia quelli di precauzione, azione preventiva, correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente e “chi inquina paga”. 

 

1 Avvocato e Cultore di Diritto Costituzionale nell’Università degli Studi di Torino. 

 

2 Per un approfondimento sull’evoluzione della definizione di rifiuto si v. P. Ficco, Gestire i rifiuti, Ed. Ambiente, Milano,2009, pp. 22 e ss.; F. Giampietro, La nozione di rifiuto e l’articolo 14 del D.L. 178/2002 dopo la sentenza della Corte di Giustizia 11 novembre 2004, 2004,in www.giuristiambientali.it; M.G. Boccia, Guida alla lettura della nuova Direttiva Quadro per la gestione dei rifiuti nell’Unione Europea, in Ambiente&Sviluppo, 2009, n. 1, pp. 38 e ss.; A. Postiglione, La nozione di rifiuto un problema aperto in sede nazionale e comunitaria, 2006, in www.giuristiambientali.it; A. Borzi, Rifiuto: definizione e classificazione, in Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, a cura di R. Ferrara e M.A. Sandulli, Giuffrè, Milano, 2014, pp. 625 e ss. 

 

3I rifiuti debbono costituire “il punto logico di partenza”, e non di arrivo comunque, di ogni discorso sull’economia circolare sensato e concreto” secondo R. Ferrara, Brown economy, green economy, blue economy: l’economia circolare e il diritto dell’ambiente, in Il Piemonte delle Autonomie, 2018, n. 3, pp. 5 e 8. 

 

4 Il sottoprodotto risulta essere una categoria giuridica differente dall’EoW – disciplinata a livello comunitario e italiano – in quanto la sostanza, in presenza di determinati criteri introdotti in primis dalla nota sentenza Palin/Granit, Corte di Giustizia Europea, 18.04.2002, C9/00 (in particolare l’utilizzo certo e senza trasformazione preliminare del materiale nel processo di produzione e il conseguimento di un vantaggio economico da parte del detentore nella riutilizzazione) non costituisce un rifiuto in quanto il produttore non se ne deve disfare, ma utilizzarlo in maniera diretta e immediata senza operazioni preliminari. Tali criteri sono poi stati implementati a livello normativo comunitario dalla Direttiva 2008/98/CE e dal T.U. ambientale oltre ai decreti attuativi. 

 

5 La gestione dei rifiuti nell’Unione dovrebbe essere migliorata e trasformata in una gestione sostenibile dei materiali per salvaguardare, tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente, proteggere la salute umana, garantire un utilizzo accorto, efficiente e razionale delle risorse naturali, promuovere i principi dell’economia circolare, intensificare l’uso delle energie rinnovabili, incrementare l’efficienza energetica, ridurre la dipendenza dell’Unione dalle risorse importate, fornire nuove opportunità economiche e contribuire alla competitività nel lungo termine. Al fine di creare un’autentica economia circolare, è necessario adottare misure aggiuntive sulla produzione e il consumo sostenibili, concentrandosi sull’intero ciclo di vita dei prodotti in modo da preservare le risorse e fungere da «anello mancante». L’uso più efficiente delle risorse garantirebbe anche un considerevole risparmio netto alle imprese, alle autorità pubbliche e ai consumatori dell’Unione, riducendo nel contempo le emissioni totali annue dei gas a effetto serra. 

 

6 M. Cocconi, La regolazione dell’economia circolare. Sostenibilità e nuovi paradigmi di sviluppo, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2020, p. 1, premessa. 

 

7 Storicamente e in tale contesto, non può non essere fatta menzione delle procedure comunitarie per il recupero di sostanze e dunque della cessazione di qualifica di rifiuto, nelle Direttive 75/442/CEE e 2006/12/CE, in cui tuttavia non vi è definizione di cessazione della qualifica di rifiuto, come affermato nella Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa ai rifiuti e ai sottoprodotti, 21.02.2007, n. 59. 

 

8 P. Giampietro, Il rifiuto, la materia prima secondaria e la volontà del detentore tra d.m. 26 gennaio 1990 e Corte di Giustizia delle Comunità europee, in Foro it., 1990, IV, pp. 502 e ss.; G. Amendola, Materie prime secondarie: un decreto da rifare, in Foro it., 1990, V, pp. 210 e ss. 

 

9 La Corte si era pronunciata, tra il resto, in relazione a un conflitto di competenze tra lo Stato e le Regioni per la regolamentazione degli adempimenti degli operatori ed i controlli circa il trattamento ed il commercio delle materie prime secondarie. 

 

10 Per un approfondimento sulla disciplina contenuta nel D.Lgs. 22/1997, A. Crosetti, R. Ferrara, F.Fracchia, N. Olivetti Rason, Diritto dell’ambiente, Laterza, Bari, 2005, pp. 320 e ss. 

 

11Non rientrano nella definizione di cui all’articolo 183, comma 1, lettera a), le materie, le sostanze e i prodotti secondari definiti dal decreto ministeriale di cui al comma 2, nel rispetto dei seguenti criteri, requisiti e condizioni:

  • siano prodotti da un’operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti;
  • siano individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre;
  • siano individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producono, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse;
  • siano precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l’immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l’utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all’ambiente e alla salute derivanti dall’utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto secondario;
  • abbiano un effettivo valore economico di scambio sul mercato. 

12 In relazione al rilevante D.M. 05.02.1998, P. Giampietro, Il conferimento della carta da macero dalle piattaforme alle cartiere, materia prima secondaria o (ancora) rifiuto?, 2008, in www.ambientediritto.it. 

 

13 I tre D.M. sopracitati contengono esclusivamente procedure semplificate per il recupero, le problematiche si pongono in relazione a procedure ordinarie per il recupero per cui non vi sono ancora decreti. 

 

14 Le misure intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, completandola, che riguardano l’adozione dei criteri di cui al paragrafo 1 e specificano il tipo di rifiuti ai quali si applicano tali criteri, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 39, paragrafo 2. 

 

15 Se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile. Essi notificano tali decisioni alla Commissione in conformità della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, ove quest’ultima lo imponga. 

 

16 Attraverso la Direttiva 2008/98/CE, per la prima volta viene inserito il termine end of waste in un testo normativo. 

 

17 La Direttiva Europea 2008/98/CE è stata trasposta per il tramite dell’art. 12, comma 1, D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205. Nella fase antecedente alla trasposizione, la dottrina aveva auspicato un testo nazionale più chiaro e perentorio sia nella definizione che nella “catalogazione” (si v. P. Giampietro, Dal rifiuto alla “materia prima secondaria” nell’art. 6, della direttiva 2008/98/CE (End of waste status e problemi di trasposizione nell’ordinamento italiano), 2010, in www.lexambiente.it. 

 

18 A. Borzi, op. cit., p. 651. 

 

19 Per un approfondimento si v. M.G. Boccia, La Corte di Giustizia si pronuncia sull’End of waste (nota a Corte Ue 7/3/2013, in causa C-358/11), in Ambiente&Sviluppo, 2013, n. 6, pp. 514 e ss. 

 

20 In senso opposto, G. Barozzi Reggiani, Ambiente, rifiuti, principio di legalità: obiettivo End of Waste, in www.federalismi.it, pp. 9 e ss. 

 

21 Per un approfondimento sul tema dell’applicazione dei decreti esistenti si v. S. Maglia e G. Guagnini, La Corte di Cassazione in materia EoW conferma l’applicazione dei decreti ministeriali esistenti, 2014, in www.tuttoambiente.it. 

 

22 La nota è stata emanata a seguito dell’introduzione dell’art. 216, comma 8-sexies, avvenuta con l’art. 13, comma 4, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, che recita “Gli enti e le imprese che effettuano, ai sensi delle disposizioni del decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, dei regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269, e dell’articolo 9-bis del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210, operazioni di recupero di materia prima secondaria da specifiche tipologie di rifiuti alle quali sono applicabili i regolamenti di cui al comma 8-quater del presente articolo, adeguano le proprie attività alle disposizioni di cui al medesimo comma 8-quater o all’articolo 208 del presente decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore dei predetti regolamenti di cui al comma 8-quater. Fino alla scadenza di tale termine è autorizzata la continuazione dell’attività in essere nel rispetto delle citate disposizioni del decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, dei regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio n. 161 del 2002 e n. 269 del 2005 e dell’articolo 9-bis del decreto-legge n. 172 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 210 del 2008. Restano in ogni caso ferme le quantità massime stabilite dalle norme di cui al secondo periodo. 

 

23 In senso favorevole S. Maglia, Quali sono i trattamenti in base ai quali un rifiuto cessa di essere tale?, 2012, in www.tuttoambiente.it. 

 

24 P. Scartoni, La nota del Ministero prot. n. 10045 del 1 luglio 2016 sulla cessazione della qualifica di rifiuto: certezze e dubbi, 2016, in www.ambientelegale.it, nel quale si contesta la Circolare sotto un altro profilo, infatti quest’ultima prevedeva che “nel caso non si ottenga entro sei mesi decorrenti dall’entrata in vigore dei citati regolamenti comunitari il rilascio di una nuova autorizzazione, le opere condotte nell’impianto non determinano la cessazione della qualifica di rifiuti e i materiali da questi trattati dovranno essere sottoposti ad ulteriori trattamenti presso impianti autorizzati per ottenere tale status”. Secondo la dottrina parlare di fatto di rilascio di una nuova autorizzazione contrasta con altre ipotesi autorizzatorie in cui è sufficiente richiedere un semplice rinnovo. 

 

25 T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 26.10.2016, n. 1958. 

 

26 T.A.R. Veneto, sez. III, 28.12.2016, n. 1422. 

 

27 P. Verri, Il Regime autorizzatorio end of waste tra dato normativo e legittime tensioni verso la circular economy, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2019, n. 1, p. 189; S. Maglia, End of waste: le nuove regole dal 3 novembre (L.128/19), in www.tuttoambiente.it.; G. Barozzi Reggiani, op.cit., p. 18 e ss. 

 

28 P. Verri, op. cit., p. 189. 

 

29 Sulle competenze legislative statali e regionali in materia ambientale, si v. B. Caravita e A. Morone, Ambiente e Costituzione in Diritto dell’ambiente, a cura di B. Caravita, L. Cassetti e A. Morone, Il Mulino, Bologna, 2016, pp. 17 e ss. 

 

30 P. Verri, op. cit., p. 189. 

 

31 S. Maglia, End of waste: le nuove regole dal 3 novembre (L.128/19), cit.; S. Maglia, S. Suardi, Il recupero di rifiuti dopo la sentenza 1229/18 del Consiglio di Stato: fine dell’EoW o della corretta gestione dei rifiuti?, 2018, in www.tuttoambiente.it; G. Barozzi Reggiani, op.cit., pp. 18 e ss. 

 

32 La direttiva self – executing è una direttiva sufficientemente dettagliata nei propri contenuti, che, quindi, non necessita di alcun provvedimento di attuazione da parte dello Stato membro: ha il potere di incidere direttamente nella sfera giuridica del singolo cittadino. 

 

33 G.Barozzi Reggiani, op. cit., pp. 18 e ss. 

 

34In cases where EOW criteria have not been set at EU level (Article 6(4) WFD), Member States may decide at national level whether certain waste has ceased to be waste. This can relate to classes of materials recovered from waste or to single-case decisions. In their decisions, Member States (this means any level within the Member State entrusted with the task of developing such criteria under the national administrative structure) are bound by the applicable directives and must take account of CJEU case law”. 

 

35 S. Maglia, S. Suardi, op.cit.e S. Maglia, End of waste: le nuove regole dal 3 novembre (L. 128/19), 2019, cit. 

 

36 S. Maglia, S. Suardi, op.cit. 

 

37 Relativo, si ribadisce, alla valutazione caso per caso della cessazione della qualifica di rifiuto. 

 

38 Per una disamina parzialmente difforme della sentenza, si v. V. Bracchi, Facciamo il punto sull’End of Waste, 2019, in www.ambientelegale.it. 

 

39 La sentenza pur essendo successiva alla modifica introdotta dalla Direttiva 2018/98/UE non tiene conto del suo contenuto in quanto non applicabile temporalmente alla questione trattata dalla Corte di giustizia europea. 

 

40 Particolarmente rilevante il testo della Direttiva tratta per la prima volta della definizione di “economia circolare”. 

 

41 E. Ronchi, End of waste: lo Sblocca cantieri blocca lo sviluppo del riciclo dei rifiuti,2019, in www.tuttoambiente.it. 

 

42 Nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi, quanto alle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti, le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e ai regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269. Le autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III-bis della parte seconda del presente decreto per il recupero dei rifiuti sono concesse dalle autorità competenti sulla base dei criteri indicati nell’allegato 1, suballegato 1, al citato decreto 5 febbraio 1998, nell’allegato 1, suballegato 1, al citato regolamento di cui al decreto 12 giugno 2002, n. 161, e nell’allegato 1 al citato regolamento di cui al decreto 17 novembre 2005, n. 269, per i parametri ivi indicati relativi a tipologia, provenienza e caratteristiche dei rifiuti, attività di recupero e caratteristiche di quanto ottenuto da tale attività. Tali autorizzazioni individuano le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione dei princìpi di cui all’articolo 178 del presente decreto per quanto riguarda le quantità di rifiuti ammissibili nell’impianto e da sottoporre alle operazioni di recupero. Con decreto non avente natura regolamentare del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare possono essere emanate linee guida per l’uniforme applicazione della presente disposizione sul territorio nazionale, con particolare riferimento alle verifiche sui rifiuti in ingresso nell’impianto in cui si svolgono tali operazioni e ai controlli da effettuare sugli oggetti e sulle sostanze che ne costituiscono il risultato, e tenendo comunque conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente e sulla salute umana. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al precedente periodo, i titolari delle autorizzazioni rilasciate successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione presentano alle autorità competenti apposita istanza di aggiornamento ai criteri generali definiti dalle linee guida. 

 

43 D. Carissimi “Decreto sblocca cantieri e nuovo EoW: si alla riforma, ma i problemi restano!”, 2019, in www.ambientelegale.it .

 

44 E. Ronchi, op.cit. 

 

45 In realtà un effettivo recepimento della normativa europea non vi è ancora stato in quanto sul punto è intervenuta la L. 04.10.2019, n. 117 di delegazione europea in cui si vincola il Governo a emanare decreti legislativi di recepimento di numerose direttive europee. Ciò dovrà essere fatto anche per quanto riguarda la Direttiva 851/2018/UE. 

 

46 Per un approfondimento sulle Linee Guida SNPA, si v. A. Kiniger, End of waste: pubblicate le linee guida Snpa, in Ambiente&Sicurezza, 2020, n. 5, pp. 28 e ss. 

 

47 Il fine ultimo è sempre quello di garantire un’elevata tutela dell’ambiente. 

 

48 In alternativa l’ISPRA può delegare l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente territorialmente competente. 

 

49 In tema di comunicazione, il comma 9 dell’art. 14 bis, D.L. 101/2019 dispone che “Gli obblighi di comunicazione di cui al comma 3-bis dell’articolo 184-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 si applicano anche alle autorizzazioni già rilasciate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Le autorità competenti effettuano i prescritti adempimenti, nei confronti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), nel termine di centoventi giorni dalla predetta data di entrata in vigore”. 

 

50 Fortemente contrario a questa attività di controllo a campione, S. Maglia, End of waste: le nuove regole dal 3 novembre (L.128/19), cit., secondo cui “leggendo queste disposizioni si rileva una indubbia ed eccessiva burocratizzazione punitiva, che parte – addirittura – da un controllo “a campione”. Che senso ha? Non sarebbe meglio un controllo “a tutti”, ma con tempi e modalità certe? Si pensi per esempio ad un’azienda che finalmente ottiene un’autorizzazione per un’attività al recupero di rifiuti la quale, a campione, potrebbe dover attendere oltre un anno prima di poter lavorare con certezza e “serenità”, mentre magari un suo concorrente “non a campione” se ne sta bel tranquillo. E si pensi ai dubbi che possono nascere nei confronti dell’ARPA locale che “a campione” sceglie un’azienda anziché un’altra”. 

 

51 La dottrina ha già avuto modo di commentare il contenuto delle Linee guida SNPA, si v. V. Bracchi, Autorizzazioni End of Waste: le nuove regole SNPA sui criteri condivisi per il “caso per caso“, 2020, in www.ambientelegale.it.; A. Kiniger, op. cit. 

 

52 Analizzando letteralmente la norma, ci si chiede se la relazione dell’ISPRA debba comunque essere presentata anche in caso di esito positivo dell’istruttoria. Tale criticità verosimilmente verrà chiarita nella pratica. 

 

53 Ex multis F. D’Alessandri, SCIA, CILA ed edilizia libera: gli orientamenti della giurisprudenza, 2018, in Il Quotidiano Giuridico. 

 

54 P. Pipere, Autorizzazioni End of Waste. Istanza di conferma entro il 2 marzo 2020?, 2020, in www.tuttoambiente.it. 

 

55 Pur essendo difficile identificare una definizione di sviluppo sostenibile, la dottrina ha rinvenuto nel c.d. Rapporto Brundtland, un passaggio utilizzabile per definire suddetto principio: “Sostenibile è lo sviluppo capace di soddisfare le necessità del presente senza compromettere le opportunità delle generazioni future” (M. Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2007, p. 44). 

 

56 Direttiva 2008/98/CE. 

 

57 Sulle problematiche relative allo sviluppo della circular economy, si v. R. Ferrara, op. cit. e E. Scotti, Poteri pubblici, sviluppo sostenibile ed economia circolare in Il diritto dell’economia, 2019, n. 1, pp. 493 e ss.