La legge regionale sulle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche: temi e problemi

 

 Luca Geninatti Satè1

Sommario: – 1. Il contesto normativo. – 2. La legge regionale piemontese. – 3. Il ricorso del Governo alla Corte costituzionale.

1. Il contesto normativo.

La legge regionale piemontese 29 ottobre 2020, n. 26 (di seguito, anche la “Legge 26”) ha disciplinato le modalità e le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (c.d. “decreto Bersani”).

Quest’ultimo decreto, come modificato dal l. n. 135/2018, conv. in l. n. 12/2019, ha infatti alle Regioni (a) il compito di provvedere alla assegnazione di tali concessioni e (b) l’obbligo di disciplinare con legge le modalità e le procedure di assegnazione, nonché una serie di regole applicabili alle concessioni.

La norma statale è stata adottata all’esito di una complessa vicenda normativa concernente l’intero sistema italiano riguardante le concessioni idroelettriche2, avviatosi nel contesto della procedura di infrazione comunitaria n. 2002/2282, che riguardava le norme, originariamente contenute nel decreto Bersani, che accordavano un trattamento preferenziale ai concessionari uscenti alla scadenza delle concessioni idroelettriche e concedeva agli stessi proroghe automatiche.

Tale procedura era stata chiusa con l’adozione della l. 23 dicembre 2005, n. 266, che disponeva tra l’altro l’indizione di procedure di selezione per l’aggiudicazione di concessioni idroelettriche, unitamente ad una misura transitoria una tantum che prevedeva proroghe di dieci anni delle concessioni in corso al fine di assicurare un lasso di tempo sufficiente per l’indizione e il completamento delle pertinenti procedure di selezione.

Le disposizioni pertinenti della legge 23 dicembre 2005, n. 266, sono però state dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale (14 gennaio 2008, n. 1)3, che ha ritenuto la legge irragionevole e in contraddizione con le finalità dichiarate di liberalizzazione e integrazione del mercato europeo.

È stato quindi successivamente adottato il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha concesso proroghe di durata compresa tra 5 e 12 anni per le concessioni idroelettriche, con la previsione di una clausola di cedevolezza in forza delle quale le predette norme avrebbero trovato applicazione «fino all’adozione di diverse disposizioni legislative da parte delle regioni, per quanto di loro Articolo 15, commi 6-ter e 6-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 16 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2010, n. 122. 23 competenza».

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la Commissione europea e, infine, la Corte costituzionale hanno tuttavia reso pronunciamenti sfavorevoli rispetto a questa disciplina.

L’AGCM ha ritenuto ingiustificate le proroghe previste e ha rilevato profili distorsivi della concorrenza nella disposizione che prevedeva la costituzione di società miste tra ente provinciale e concessionario uscente4.

La Commissione europea ha chiesto spiegazioni al Governo italiano in ordine alle disposizioni introdotte nel 2010, ravvisando nuovamente degli elementi di contrasto con la libertà di stabilimento riconosciuta dagli articoli 43-48 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea (TFUE)5.

La Corte costituzionale, con la sentenza 13 luglio 2011, n. 305, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni del 2010 riferite al sistema della “doppia proroga”6.

Nel 2012 la disciplina statale in materia è stata ulteriormente modificata ad opera dell’articolo 37, commi 4-8, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, stabilendosi che per le concessioni in scadenza dopo il 31 dicembre 2017 le regioni e le province autonome avrebbero dovuto, con cinque anni di anticipo, indire una gara ad evidenza pubblica per l’attribuzione a titolo oneroso della concessione per una durata minima di 20 anni e massima di 30 anni, rapportato all’entità degli investimenti ritenuti necessari, fermi restando i criteri di scelta già vigenti e, introducendo un profilo di novità, avendo riguardo all’offerta economica per l’acquisizione dell’uso della risorsa idrica.

Nel caso di concessioni per le quali non fosse tecnicamente applicabile il periodo di cinque anni, la norma del 2012 prevedeva l’indizione della gara, da parte delle regioni e delle province autonome, entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto interministeriale che avrebbe dovuto determinare tanto i requisiti organizzativi e finanziari minimi, i parametri e i termini delle concessioni, quanto i parametri tecnico-economici per la determinazione del corrispettivo e dell’importo spettanti al concessionario uscente.

Questo decreto interministeriale non è però mai stato adottato e la relativa “bozza” aveva ricevuto parere negativo dell’AGCM7.

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 12 del decreto Bersani ha quindi disposto che le regioni, ove non ritengano sussistere un prevalente interesse pubblico ad un diverso uso delle acque, incompatibile con il mantenimento dell’uso a fine idroelettrico, possono assegnare le concessioni di grandi derivazioni idroelettriche: a) ad operatori economici individuati attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato è scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; c) mediante forme di partenariato ai sensi degli articoli 179 e seguenti del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

L’affidamento a società partecipate deve comunque avvenire nel rispetto delle disposizioni del testo unico di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175.

Letta nell’insieme, la norma consente dunque di affidare le concessioni di grandi derivazioni idroelettriche, in alternativa rispetto allo svolgimento di gare con procedure ad evidenza pubblica o al partenariato pubblico-privato, a “società a capitale misto pubblico privato”.

La disposizione precisa inoltre (i) da un lato, che in tali società il socio privato dev’essere scelto mediante lo svolgimento di gare ad evidenza pubblica e (ii) dall’altro, che l’affidamento a queste società deve conformarsi alle regole stabilite dal d.lg. n. 175/2016.

Fra le questioni sollevate dalla disciplina nazionale spicca l’individuazione dell’esatta nozione di “società a capitale misto pubblico privato”.

In particolare, si pongono i temi (i) della necessaria identificazione della disciplina applicabile nell’art. 17 del d.lg. n. 175/2016 (ii) della possibilità di affidamento delle concessioni a una società mista già esistente), (iii) della disciplina applicabile la costituzione delle società a capitale misto pubblico privato e il ruolo del socio privato, (iv) della possibilità di contemplare società miste indirettamente partecipate.

La norma nazionale comporta anche la necessità di individuare con precisione a quali fattispecie essa si riferisca allorché menziona il “partenariato pubblico privato”, implicando quindi (i) l’identificazione della nozione di “partenariato” ai sensi degli artt. 179 e ss. del Decreto n. 50/2016, (ii) le caratteristiche generali del “contratto di partenariato”, (iii) l’applicabilità al “contratto di partenariato” del procedimento su iniziativa del promotore disciplinato dall’art. 183 del Codice dei Contratti pubblici.

Com’è noto – infatti – con il Codice dei Contratti pubblici è stato espressamente codificato il principio per cui agli istituti del partenariato pubblico privato si applicano le regole stabilite per le concessioni, e non quelle previste per gli appalti.

Tuttavia, l’art. 179 del Codice non contiene la nozione di “partenariato”, né costituisce una norma costitutiva, nel senso che non stabilisce in che cosa consista tale nozione, né quali istituti esso comprenda8.

Pertanto, il significato giuridico del rinvio operato dall’art. 12, comma 1-bis del d.lg. n. 79/1999 agli artt. 179 e ss. del d.lg. n. 50/2016 va inteso principalmente nel senso di far identificare il “partenariato” menzionato dal Decreto Bersani con le varie “forme di partenariato” incluse del Titolo I della Parte IV del Codice dei Contratti pubblici.

In altri termini, quindi, la nozione di “partenariato” cui rinvia l’art. 12, comma 1-bis pare doversi intendere come l’insieme delle “forme di partenariato” ricomprese nel Titolo I della Parte IV del d.lg. n. 50/2016, conclusione da cui dipende anche la conseguente applicabilità di istituti quali – per esempio – l’iniziativa del promotore disciplinata dall’art. 183, comma 15 del medesimo decreto, nonché – più in generale – l’identificazione delle possibili opzioni che possono essere considerate ai fini del rinnovo delle proprie concessioni di grande derivazione idroelettrica.

 

2. La legge regionale piemontese.

La l.r. n. 26/2020 disciplina, in primo luogo, le modalità di assegnazione delle concessioni, stabilendo che alla scadenza delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico e nei casi di decadenza o rinuncia, ove non sussista un prevalente interesse pubblico motivato ad un diverso uso delle acque, incompatibile con il mantenimento dell’uso a fine idroelettrico, le concessioni sono affidate:

a) ad operatori economici individuati attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;

b) a società a capitale misto pubblico-privato, nelle quali il socio privato è scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica.

Non viene quindi prevista la possibilità che le concessioni siano affidate mediante forme di partenariato pubblico-privato, il che – come si è visto – esclude conseguentemente l’applicabilità dell’iniziativa del promotore.

La legge prevede inoltre che “in via ordinaria” si ricorra alla procedura ad evidenza pubblica.

Ove invece si opti per la società mista (il che richiederà specifica motivazione, in quanto alternativa alla modalità “ordinaria”), da fondarsi sulle “specificità territoriali, tecniche ed economiche delle concessioni da affidare”, la Giunta regionale è autorizzata a costituire una o più società per azioni o società a responsabilità limitata a partecipazione mista pubblico-privata alle quali affidare la gestione di grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico.

Poiché, come si è evidenziato, in questi casi deve comunque trovare applicazione la disciplina dettata dal d.lg. n. 175/2016, tale affidamento dovrà avvenire attraverso una c.d. “gara a doppio oggetto”, concernente quindi, al contempo, la sottoscrizione della partecipazione societaria da parte del socio privato e l’affidamento della concessione (che dovrà costituire oggetto esclusivo dell’attività della società mista).

Ai sensi della medesima norma statale, la durata della partecipazione privata alla società non potrà essere superiore alla durata dell’appalto o della concessione e troveranno applicazione le regole in materia di contenuto degli statuti e dei patti parasociali previsti dall’art. 17, comma 4 del d.lg. n. 175/2016.

La Legge 26 disciplina poi l’assegnazione delle concessioni, attribuendo alla Giunta il potere di normare, con proprio regolamento, “le modalità e i termini per lo svolgimento delle procedure, nonché i contenuti minimi del bando di gara”.

La legge regionale precisa che “il bando di gara può avere ad oggetto più concessioni insistenti sul medesimo bacino idrografico quando la gestione unitaria risultano per l’amministrazione concedente opportuna sotto il profilo socio-economico e produttivo, della tutela ambientale, della valorizzazione territoriale, nonché conveniente sotto il profilo dell’economia dei mezzi amministrativi. In tal caso, la procedura di aggiudicazione è avviata almeno cinque anni prima della prima scadenza delle concessioni messe a gara e la nuova concessione decorre dalla data di scadenza di quella con la scadenza posteriore”.

In ordine ai requisiti di partecipazione, la legge regionale rinvia alla disciplina del Codice dei Contratti pubblici per quanto concerne i requisiti generali, mentre stabilisce quali requisiti di capacità organizzativa, tecnica e finanziaria (i) l’attestazione di avvenuta gestione, per un periodo di almeno cinque anni, di impianti idroelettrici aventi una potenza nominale media pari ad almeno 3.000 kilowatt, (ii) la referenza di due istituti di credito o società di servizi iscritti nell’elenco generale degli intermediari finanziari che attestano che il partecipante ha la possibilità di accedere al credito per un importo almeno pari a quello del progetto proposto nella procedura di assegnazione, nonché un’ulteriore serie di requisiti organizzativi, tecnici, finanziari e di idoneità professionale che saranno stabiliti con regolamento di Giunta, nel rispetto di quanto stabilito dall’articolo 83 del d.lg. n. 50/2016 e in modo proporzionato all’oggetto e alle caratteristiche della concessione, nonchè al livello di complessità degli interventi necessari in termini di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico e di incremento della potenza di generazione e della producibilità.

Quanto ai criteri di valutazione e aggiudicazione, la Legge 26 rinvia ulteriormente a un regolamento della Giunta, individuando alcuni “criteri minimi” (esplicitamente posti in ordine decrescente), quali: a) l’offerta migliorativa di produzione energetica e della potenza installata; b) gli interventi di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza, finalizzati alla tutela dei corpi idrici e del territorio e alla mitigazione degli impatti; c) le modalità di uso plurimo sostenibile delle acque; d) l’offerta economica per l’acquisizione della concessione e l’utilizzo delle opere; e) le misure di compensazione territoriale e ambientale; f) gli interventi, anche tecnologicamente innovativi, finalizzati alla conservazione della capacità utile di invaso e diretti a conseguire la maggior efficienza nell’uso della risorsa idrica.

Sulla durata della concessione, l’art. 12 della Legge 26 prevede che essa venga determinata dall’amministrazione concedente nel bando di gara, per un periodo compreso tra venti e quaranta anni, in rapporto alle caratteristiche degli impianti e delle opere di derivazione e all’entità degli investimenti ritenuti necessari per la realizzazione degli interventi di miglioramento energetico e di risanamento ambientale; questa durata di 1 può essere incrementata fino ad un massimo di dieci anni in relazione alla complessità della proposta progettuale presentata e all’importo dell’investimento previsto.

Con riguardo, infine, alle infrastrutture, la Legge 26 prevede:

  • che le opere c.d. “bagnate” (ossia, ai sensi dell’art. 25, comma 1, del r.d. n. 1775/1933) “tutte le opere di raccolta, di regolazione e di derivazione, principali e accessorie, i canali adduttori dell’acqua, le condotte forzate ed i canali di scarico”, passino in proprietà alla Regione Alla scadenza della concessione e nei casi di decadenza o rinuncia, senza compenso, ai sensi dell’articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 79/1999; in caso di esecuzione da parte del concessionario uscente, a proprie spese e nel periodo di validità della concessione, di investimenti su tali opere, purché previsti dall’atto di concessione o comunque autorizzati dall’autorità concedente, alla riassegnazione della concessione il concessionario subentrante corrisponderà al concessionario uscente, per la parte di bene non ammortizzato, un indennizzo pari al valore non ammortizzato;
  • che in ordine alle opere c.d. “asciutte” (ossia, ai sensi del comma 2 dell’art. 25, r.d. n. 1775/1933, “ogni altro edificio, macchinario, impianto di utilizzazione, di trasformazione e di distribuzione inerente alla concessione”), sarà la lex specialis di gara  a indicare il prezzo dovuto dall’assegnatario, all’atto del subentro, in base a criteri che saranno stabiliti con regolamento della Giunta regionale; tali opere potranno peraltro essere acquisite in proprietà dalla Regione con corresponsione di un prezzo da quantificare al netto dei beni ammortizzati.

 

3. Il ricorso del Governo alla Corte costituzionale.

Con ricorso depositato in cancelleria il 5 gennaio 20219, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha impugnato l’art. 2, comma 4, l’art. 4, comma 1, l’art. 7, l’art. 8, comma 1, e gli artt. 9, 11, 13, 14, 15, 16, 19, 20, 21, 22 e 23 della Legge 26.

Ad avviso del Governo ricorrente, gli articoli 2, comma 4, 4, comma 1, 7, comma 1, 9, comma 1, e 22 violerebbero anzitutto l’art. 117, comma 1 e comma 21, lettera e), della Costituzione in ragione della esclusione dalla disciplina della legge regionale delle nuove concessioni di grandi derivazioni.

In effetti, il comma 4 dell’art. 2 prevede che “le disposizioni di cui alla presente legge non si applicano alle domande di nuova concessione di grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico”; correlativamente, il comma 1 del successivo art. 4, nell’elencare le procedure ad evidenza pubblica per la selezione degli operatori economici prevede che esse si applicano solo nei casi di scadenza, decadenza o rinuncia, escludendo quindi le istanze di nuova concessine in mancanza di precedente titolo.

Secondo il Governo, l’art. 12 del decreto Bersani imporrebbe invece che le procedure per l’assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni, che le regioni sono incaricate di disciplinare, riguardino tutte le concessioni, quelle da affidare e quelle da riaffidare.

Di qui la ritenuta violazione dell’art. 12 del decreto Bersani, norma che – secondo il Governo – essendo volta nella sua generalità ed onnicomprensività alla tutela della concorrenza, afferisce alla potestà legislativa esclusiva statale e non sarebbe dunque “derogabile” da parte delle regioni.

Sul punto, pur in presenza di un attestato orientamento della giurisprudenza costituzionale nel senso della riconducibilità del decreto Bersani alle norme in materia di tutela della concorrenza (come chiarito, p.e., da Corte cost., sent. n. 114/2012), va rilevato che l’esclusione delle nuove concessioni dall’ambito di applicazione della Legge 26 non comporta necessariamente una violazione dell’art. 12, ma determina al più una lacuna normativa che, oltre a poter essere colmata dal legislatore regionale attraverso un intervento successivo, non appare qualificabile come lacuna incostituzionale (o, addirittura, nemmeno come lacuna giuridico in senso tecnico10), in quanto non configurabile come norma costituzionalmente necessaria11.

Peraltro, anche a voler censurare la violazione dell’art. 12 del decreto Bersani nella parte in cui l’esclusione delle nuove concessioni determinerebbe il mancato rispetto del termine prescritto dal decreto stesso per l’adozione della legge regionale, tale violazione non appare qualificabile come una “deroga” all’art. 12 medesimo, ma – appunto – come una sua violazione, la quale, configurandosi come inadempimento da parte del legislatore regionale a un termine fissato da una norma statale, non sembra tuttavia potersi ricondurre a una violazione dell’art. 117 Cost..

Rileva il Governo che la legge piemontese, laddove delimita l’applicazione delle procedure di assegnazione alle sole concessioni revocate, decadute o rinunciate, eluderebbe l’obbligo comunitario di affidare con procedura competitiva le concessioni di primo affidamento, violando l’art. 12 della Direttiva Servizi quale parametro interposto dell’obbligo imposto alle regioni dall’art. 117, comma 1, della Costituzione di rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. 

Anche in questo caso, tuttavia, la mancata inclusione delle nuove concessioni nell’ambito applicativo della Legge 26 non significa, di per sé, che la disciplina per l’assegnazione di tali concessioni (al momento non adottata dalla Regione Piemonte) contrasti con le prescrizioni dell’Unione Europea.

Il ricorso alla Corte costituzionale assume, inoltre, l’illegittimità degli articoli 7, 9, 11, 13, 14, 15, 16, 19, 20 e 23, per violazione dell’art. 117, comma 3, della Costituzione nella parte in cui tali norme contengono rinvii a una disciplina destinata a venire introdotta da regolamenti di Giunta, laddove – secondo il Governo – l’art. 12 del decreto Bersani, assegnando alla potestà normativa regionale la disciplina delle modalità e delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico, seppure nel rispetto dei principi e dei parametri indicati dalla stessa legge statale, conterrebbe una riserva di legge regionale.

La censura statale riapre questioni ampiamente discusse in sede dogmatica, pur muovendo da un’apparente distorsione originaria: la sovrapposizione della norma statale identificativa di una competenza alla norma costituzionale fondativa di una riserva di legge.

Non sembra infatti sostenibile che il legislatore statale possa determinare una riserva di legge regionale (assoluta o relativa), sia perché la possibilità di escludere l’impiego di fonti alternative alla legge va riconosciuta come prerogativa delle norme costituzionali, sia perché il riparto di competenze fra Stato e Regioni preclude alla norma statale di regolare quale fonte regionale possa o no contenere la disciplina di una particolare materia.

Questa distorsione originaria è suscettibile di attenuare il rilievo materiale della questione sollevata dal Governo, la quale – si può ricordare per interesse accademico – richiama in realtà il problema dell’estensione che la norma legislativa (statale o regionale) deve possedere rispetto alla predeterminazione degli ambiti di disciplina attribuiti alla fonte regolamentare – un problema che attiene, più che alla riserva di legge, alla portata precettiva del principio di legalità12.

Merita d’altra parte ricordare, sul più generale tema dell’esistenza di una generale riserva di legge (e dunque sulla sussistenza di un limite all’esercizio del potere regolamentare rimovibile solo ove il legislatore espressamente lo stabilisca), che “contro l’accoglimento in generale, come principio informatore di tutte le relazioni tra legge e regolamento, della versione sostanziale del principio di legalità, milita tuttavia un argomento decisivo. Essa comporterebbe l’esistenza di una generale riserva di legge, nel senso che a questa fonte sarebbe riservata la disciplina (…) di tutte le materie che costituiscono possibili oggetti di regolamentazione giuridica. Ma la costituzione prevede questo (cioè la necessità di tale regolamentazione legislativa) solo in certi casi determinati espressamente13; pertanto, ritenendo esistente un generale principio di legalità sostanziale “si renderebbe inspiegabile la presenza, in casi determinati, di specifiche riserve di legge14; perciò, non potendo il decreto Bersani – in quanto norma legislativa e non costituzionale – fondare una riserva di legge, ci si trova fuori dalle ipotesi specifiche ora menzionate, con la conseguenza che “appare perfettamente ammissibile un potere regolamentare basato su leggi puramente attributive della relativa competenza15.

Deduce poi il Governo ricorrente l’asserita illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, della legge regionale, per violazione dell’art. 117, commi 1 e 2, lettera e) della Costituzione, ciò in quanto la disposizione regionale prevede “l’esclusione incondizionata e non limitata nel tempo dalle procedure di affidamento delle concessioni di grande derivazione idroelettriche degli operatori economici che siano incorsi in un provvedimento di revoca o di decadenza”. Tale norma – secondo il Governo – “non trova riscontro in alcuna previsione legislativa vigente, nè nazionale nè europea, in quanto ingiustificatamente restrittiva del principio di massima partecipazione alle procedure di grande derivazione, e del presupposto principio di tutela della concorrenza”.

Sul punto, se per un verso la disciplina dei requisiti di partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica afferisce alla tutela della concorrenza (come chiarito, fin dall’inizio, dalla Corte costituzionale, p.e. nella sent. n. 401/200716), va comunque rilevato che l’art. 12 del decreto Bersani attribuisce alla legge regionale il compito di identificare, inter alia, i “criteri di ammissione” alle procedure, con ciò generando un intreccio fra la disciplina generale dei criteri di ammissibilità alle procedure ad evidenza pubblica (regolati dal d.lg. n. 50/2016) e le norme speciali previste (eccezionalmente dalla legge regionale) per l’assegnazione delle concessioni di grande derivazione.

L’inappropriata attribuzione da parte del legislatore statale a quello regionale di una disciplina che, costituzionalmente, dovrebbe ascriversi alla potestà legislativa esclusiva del primo ha quindi generato l’intreccio fra criterio di competenza (in attuazione del quale le Regioni non potrebbero regolare i criteri di partecipazione a una procedura ad evidenza pubblica) e quello di specialità (in funzione del quale, in forza dell’art. 12 del decreto Bersani, in materia di concessioni di grandi derivazioni spetta effettivamente, ed derogatoriamente, alle Regioni la regolamentazione dei medesimi criteri.

Il punto che la Corte dovrà affrontare è se quindi il criterio di specialità possa fondare una deroga anche al riparto di competenze, questione che – nella fattispecie – pare doversi risolvere negativamente non foss’altro perché la fonte della specialità è rappresentata dall’art. 12 del decreto Bersani, non potendo quindi ammettersi che una norma statale deroghi al riparto di competenze legislative fissato costituzionalmente.

Infine, il Governo ha dedotto l’illegittimità costituzionale dell’art. 21 della Legge 26, per violazione dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, nella parte in cui si disciplina il canone concessorio da versarsi nelle casse regionali, canone composto da una parte fissa e da una parte variabile. Secondo il Governo, il processo di definizione del canone concessorio sarebbe difforme dalla previsione della legge statale perchè l’unico contributo che la Giunta deve acquisire nella fissazione della parte fissa e variabile del canone è il parere della commissione consiliare competente, senza alcuna menzione del parere ARERA, invece previsto dal decreto Bersani e ritenuto dal Governo espressione di un principio fondamentale imposto dalla norma statale alla potestà legislativa concorrente delle regioni, per ragioni di uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale.

1 Professore associato di Istituzioni di Diritto Pubblico nell’Università del Piemonte Orientale.

2 In argomento, M.A. Sandulli, Le concessioni per le grandi derivazioni di acqua a scopo 3 idroelettrico: evoluzione normativa e questioni aperte sull’uso di una risorsa strategica, in Federalismi.it, 2013, n. 24.

3 Su cui v. S. Manica, Concessioni idroelettriche e tutela della concorrenza nella sentenza della Corte costituzionale 14 gennaio 2008, n. 1, in Federalismi.it, 2008, n. 8.

4 Autorità garante della concorrenza e del mercato, parere n. AS730 17 del 23 luglio 2010.

5 Procedura di infrazione n. 2011/2026; spec. Commissione europea, lettera 18 di costituzione in mora C(2011) 1450 del 14 marzo 2011.

6 Sul tema, v. N. Bassi, L’incertezza eretta a 11 sistema: una storia a episodi dell’evoluzione della disciplina italiana in tema di rilascio delle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico (1933-2014), in M. De Focatiis, A. Maestroni (a cura di), Dialoghi sul diritto dell’energia, I, Torino, 2014.

7 Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), parere n. 22 AS1089 del 2 ottobre 2013.

8 Si rinvia amplius, sul tema, a L. Geninatti Satè, Partenariato pubblico privato, in Codice dei Contratti Pubblici commentato (a cura di L.R. Perfetti), Milano, 2017.

9 In G.U., 1a Serie Speciale – Corte Costituzionale, 3 febbraio 2021, n. 5.

10 V., sul tema, N. Bobbio, voce Lacune del diritto, in «Noviss. dig. it.», Torino, 1963.

11 In argomento, V. Marcenò, La Corte costituzionale e le omissioni incostituzionali del legislatore: verso nuove tecniche decisorie, in «Giur. cost.», 2000. 

12 In argomento, ex multis, S. Fois, voce Legalità (principio di), in “Enciclopedia del diritto”, Milano 1975; L. Carlassare, Regolamenti dell’esecutivo e principio di legalità, Padova, 1966; sul tema, v. anche A. Baraggia, Legalità sostanziale e (attuale) sostanza della legalità, in “Le Regioni”, 2009.

13 G. Zagrebelsky, Manuale di diritto costituzionale, I – Il sistema delle fonti del diritto, Torino 1987; in termini analoghi, p.e., E. Cheli, Ruolo dell’esecutivo e sviluppi recenti del potere regolamentare, in “Quaderni costituzionali”, 1990, laddove si afferma che la presenza, in Costituzione, di specifiche riserve di legge (relative) sarebbe del tutto ultronea se “tutta l’azione amministrativa (e, nell’ambito di questa, tutta l’attività regolamentare) dovesse sottostare al rispetto di un principio di “legalità sostanziale” (che verrebbe in definitiva a identificarsi con una generale “riserva di legge” di tipo relativo)”.

14 G. Zagrebelsky, Manuale di diritto costituzionale, I – Il sistema delle fonti del diritto, cit..

15 Ibidem.

16 Su cui v. R. De Nictolis, La Corte Costituzionale si pronuncia sul Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in “Urb. e App.”, 2008; R. Bin, Alla ricerca della materia perduta, in Le Regioni, 2008.