La querelle sull’esposizione della bandiera francese: per un uso prudente dei simboli del potere

Giacomo Delledonne[1]

 

(Abstract)

This short note develops a critical analysis of a spontaneous reaction to the diplomatic crisis between Italy and France. Some mayors, mostly in North-western Italy, have ordered to display the French flag over their town halls. The note looks into the symbolic force of national flags and the appropriate way to use or not to use them.

 

La recente crisi diplomatica fra Italia e Francia[2], culminata nel richiamo dell’ambasciatore francese per consultazioni, si è accompagnata a reazioni di vario segno. Oltre al Presidente della Repubblica e ai leader nazionali dei principali partiti, si devono segnalare le iniziative spontanee provenienti dalle autonomie locali, specialmente nel Nordovest e su entrambi i lati del confine italo-francese. Stando ai resoconti giornalistici, la bandiera francese è stata esposta oppure proiettata sulla facciata delle case comunali di Cuneo, Finale Ligure (SV) e Imperia. Similmente, il rettore dell’Università degli studi di Torino ha disposto l’esposizione del tricolore francese sulla facciata del Rettorato, «simbolo di vicinanza e rinnovato spirito europeo»[3]. Anche il sindaco di Cuneo ha motivato la sua decisione presentandola come un «gesto di amicizia verso i cugini della Francia e i valori europei»[4]. Oltreconfine, i sindaci di Barcelonnette (nelle Alpi dell’Alta Provenza) e delle località frontaliere di La Brigue, Saorge e Breil-sur-Roya (nelle Alpi Marittime) hanno ordinato l’esposizione della bandiera italiana sulla facciata dei loro municipi.

Le motivazioni che stanno alla base di queste iniziative sono intuibili: assicurare un massimo di visibilità alla decisione di esprimere una solidarietà diffusa nei confronti della Francia, indipendentemente dalle scelte del Governo nazionale e spesso in aperta polemica con esso. Non basta: la bandiera è capace di veicolare significati in maniera immediata e, per così dire, “in blocco”. Anche al di là della polemica contingente fra i Governi pro tempore dei due paesi, si mira a esprimere una vicinanza “naturale” nei confronti di uno Stato confinante, anch’esso membro dell’Unione europea[5]. Appaiono chiare, in questo senso, le differenze fra le potenzialità espressive della bandiera e quelle di un atto d’indirizzo approvato da un Consiglio comunale, spesso a conclusione di una faticosa mediazione[6]. Per la prossimità fra i due paesi, infine, le iniziative dei sindaci e del rettore di Torino possono invocare precedenti illustri: l’esempio più noto è quello del gruppo di allievi della Normale pisana che si dice abbiano intonato la Marsigliese la sera del 10 giugno 1940[7]. I simboli – fra i quali le bandiere occupano evidentemente una posizione di primo piano[8] – sono portatori di significati che è possibile apprezzare in chiave diacronica, e che in questo caso rinviano al lungo passato comune di Francia e Italia.

Quanto detto finora deve però tenere conto di un dato di primaria importanza: le prese di posizione di cui si è dato conto promanano non da soggetti privati, ma dagli organi di vertice di enti pubblici. Riprendendo una condivisibile ricostruzione dottrinale, inoltre, la bandiera francese non può certo essere riguardata come un simbolo “della coscienza”, ma piuttosto “del potere”. Mentre questi ultimi sono «segni la cui esposizione in locali o su atti pubblici o in occasione di cerimonie ufficiali sia prescritta da atti imperativi dei pubblici poteri e da consuetudini vigenti nella società»[9], gli altri costituiscono una categoria residuale, il cui tratto distintivo è l’assenza di un riconoscimento-appropriazione ufficiale. La necessità di prendere in considerazione questi due elementi suggerisce, a nostro avviso, di valutare criticamente le forme con cui i sindaci hanno scelto di riaffermare l’amicizia italo-francese.

In primo luogo, infatti, l’uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell’Unione europea – «in attuazione dell’articolo 12 della Costituzione e in conseguenza dell’appartenenza dell’Italia all’Unione europea» – è stato disciplinato analiticamente dal legislatore statale, con la possibilità di una disciplina regionale integrativa in tema di esposizione delle bandiere presso le sedi dei consigli regionali, provinciali e comunali in occasione delle loro riunioni (art. 2 della legge 5 febbraio 1998, n. 22)[10]. Per quanto riguarda le bandiere di altri Stati, l’ar.t 8 del successivo d.P.R. 7 aprile 2000, n. 121 – che si applica alle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici di carattere nazionale – ne ammette l’esposizione «solo nei casi di convegni, incontri e manifestazioni internazionali, o di visite ufficiali di personalità straniere, o per analoghe ragioni cerimoniali». Naturalmente, queste indicazioni devono essere raffrontate coi principi affermati dalla Corte costituzionale in una sentenza che dichiarò incostituzionali le disposizioni del 1929 che prevedevano sanzioni penali per chi avesse esposto in pubblico bandiere di altri Stati senza l’autorizzazione delle autorità locali: secondo il giudice delle leggi, «non soltanto le minoranze etniche ma anche gruppi intermedi (ad es. associazioni politiche, sindacali, culturali, ecc.) e soggetti pubblici e privati possono riconoscersi nelle idealità perseguite da Stati ed avere, pertanto, interesse ad adottare le relative bandiere come segno distintivo della propria individualità politico-sociale»[11].

Non si tratta di affermare alcun tipo di esclusivismo nazionale, del resto scarsamente conciliabile col quadro costituzionale, ma di considerare con prudenza scelte impegnative e che, anche al di là delle intenzioni dei loro ispiratori, presentano un indiscutibile carattere polemico. in linea coi postulati del garantismo liberale, nell’architettura pluralistica dell’ordinamento repubblicano le autonomie territoriali rappresentano un importante contropotere[12]; e questo loro ruolo risulta ulteriormente esaltato dal carattere “aperto” dello Stato costituzionale. Ciononostante, tra i vari modi in cui è astrattamente possibile prendere posizione nella controversia fra i Governi d’Italia e Francia, l’esposizione del tricolore francese dà luogo a diversi interrogativi. Come si è detto, si tratta incontestabilmente di un simbolo del potere[13], per di più individuato dal legislatore penale come meritevole di protezione (art. 299 c.p.). Questi dati suggeriscono, a nostro avviso, un comportamento improntato a cautela da parte degli organi degli enti locali. La necessità di un’ampia condivisione sulle manifestazioni di solidarietà nei confronti di uno Stato confinante – solidarietà, lo si è detta, con un oggetto composito e parzialmente indeterminato – induce a valutare con favore, accanto alle scelte dell’organo di vertice dell’ente, la dialettica tra le forze politiche rappresentate in seno al Consiglio comunale. Accanto alla (insidiosa) immediatezza e allusività di simboli come la bandiera nazionale, un atto d’indirizzo – inevitabilmente caratterizzato da una minore visibilità – avrebbe il pregio di esplicitare discorsivamente la presenza di una molteplicità di poste in gioco.

Conclusivamente, un ultimo punto merita di essere segnalato. Le cronache istituzionali degli anni scorsi sono state caratterizzate da accese controversie in cui alcuni sindaci si sono segnalati per il loro attivismo, all’insegna di un approccio di tipo sostanzialistico al tema dell’applicazione della legge nello Stato costituzionale. Ne costituiscono importanti esempi la trascrizione del matrimonio fra persone dello stesso sesso contratto all’estero[14] e l’applicazione di alcune previsioni del c.d. decreto sicurezza[15]. La vicenda, assai meno drammatica, dell’esposizione delle bandiere può essere accomunata a queste ultime perché è rivelatrice di un atteggiamento antiformalistico che commenti critici hanno definito «frutto e sintomo, oltre che causa di un disfacimento delle istituzioni fondamentali della Repubblica»[16]; un atteggiamento, in ultima analisi, che rischia di incorrere proprio in alcuni dei vizi che gli amministratori locali coinvolti hanno rimproverato alla propaganda antifrancese del Governo in carica.

 


 


[1] Assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato presso l’Istituto di diritto, politica e sviluppo (Dirpolis) della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Indirizzo di posta elettronica: giacomo.delledonne@santannapisa.it.

 

[2] In questa crisi, a sua volta, si combinano e si confondono dissidi su questioni sostanziali – la questione migratoria e la riforma dell’Unione europea – e divergenze prettamente politiche: se il Governo francese identifica in quello italiano l’avversario o l’idolo polemico per eccellenza – la linea di frattura tra «progressisti» e «nazionalisti» più volte evocata dal Presidente Macron – sul versante italiano si deve segnalare l’esibita vicinanza di esponenti di spicco della maggioranza governativa all’opposizione “di sistema” di Marine Le Pen e, soprattutto, al movimento dei gilets jaunes.

 

[3] Bandiera francese all’Università di Torino, il rettore: «Vorrei vederne mille alle finestre», in La Stampa, 9 febbraio 2019.

 

[4] Il caso del Tricolore francese al Municipio di Cuneo. Lite sui social, il sindaco Borgna spiega: «Difendo l’Europa», in La Stampa, 8 febbraio 2019.

[5] Cfr. ancora Il caso del Tricolore francese al Municipio di Cuneo, cit.

 

[6] Su questo punto rimane centrale la dottrina smendiana dell’integrazione, secondo cui le bandiere realizzano una «integrazione tramite partecipazione a contenuti di valore materiali», di una «totalità … in certo qual modo condensata in un momento, rappresentata da esso» (Smend R. [1988], Costituzione e diritto costituzionale, traduzione di F. Fiore e J. Luther, Milano, Giuffrè, p. 102).

 

[7] Cfr. la testimonianza di A. Corasaniti, in Henry B., Menozzi D., Pezzino P. (a cura di) (2008), Le vie della libertà. Maestri e discepoli nel “laboratorio pisano” tra il 1938 e il 1943, Roma, Carocci, p. 271.

 

[8] Come messo in luce da Luciani M. (2018), Costituzione italiana: articolo 12, Roma Carocci, pp. 47 ss. La Corte costituzionale, dal canto suo, ha osservato che la bandiera, in quanto «strumento di identificazione della Nazione nel suo Stato», «costituisce … l’espressione in simbolo dello Stato nazionale. La bandiera è, peraltro, l’unico dei simboli della Repubblica del quale la Costituzione si occupa» (sentenza n. 183/2018, punto 2.1 del diritto).

 

[9] Così Morelli A. (2006), Simboli, religioni e valori negli ordinamenti democratici, in E. Dieni, A. Ferrari, V. Pacillo (a cura di), I simboli religiosi tra diritto e culture, Milano, Giuffrè, 2006, p. 88; v. inoltre Pacillo V. (2004), Diritto, potere e simbolo religioso nella tradizione giuridica occidentale: brevi note a margine, su www.olir.it.

[10] Cfr. ancora la sentenza n. 183/2018 della Corte costituzionale, punto 2.2 del diritto.

 

[11] Corte costituzionale, sentenza n. 189/1987, punto 3 del diritto (corsivo aggiunto).

 

[12] Sul punto cfr. Ninatti S. (2015), Democrazia e cittadinanza nelle autonomie territoriali, in B. Pezzini, S. Troilo (a cura di), Il valore delle autonomie. Territorio, potere e democrazia, Napoli, Editoriale Scientifica, spec. pp. 147 ss.; e recentemente, con riguardo alle vicende del d.l. 4 ottobre 2018, n. 113 (c.d. decreto sicurezza), Rauti A. (2019), Il D.L. n. 113 del 2018 e la logica dei contropoteri territoriali, in Diritti regionali, n. 1/2019, su www.dirittiregionali.it.

 

[13] Si vedano, fra l’altro, l’art. 2 della Costituzione del 1958 e la formulazione assai incisiva dell’art. 67 della Charte del 1830: «La France reprend ses couleurs. À l’avenir, il ne sera plus porté d’autre cocarde que la cocarde tricolore». 

 

[14] Su cui v. Mazzarese T. (2016), Una realtà che si sta faticosamente affermando. Diritti e (coppie) omosessuali nel diritto interno e internazionale, in Riv. fil. dir., p. 277; Puma G. (2016), Trascrizione degli atti di matrimonio omosessuale celebrato all’estero alla luce della CEDU, in Dir. pubbl. comp. eur., pp. 395 ss. (che invita a collocare la controversia sullo sfondo dei principi desumibili dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo).

 

[15] Per cui v. i rilievi critici di Cavino M. (2019), Da Riace a Palermo: non tocca ai sindaci giudicare la costituzionalità delle leggi, in laCostituzione.info, 3 gennaio 2019, su www.lacostituzione.info.

 

[16] Zagrebelsky V. (2014), Ci vuole una nuova legge non il ribellismo dei sindaci, in La Stampa, 9 ottobre 2014.