La riforma regionale dei canoni idrici nel quadro della specialità del Verbano-Cusio-Ossola

Matteo Rossin1

Sommario: 1. Introduzione: il punto controverso della c.d. proposta di legge Preioni. – 2. Gli intrecci con la questione dell’autonomia del VCO. – 3. La disciplina delle concessioni idroelettriche: una ricostruzione del quadro normativo. Le criticità della riforma introdotta dal D.L. n. 135 del 2018 sull’assegnazione delle concessioni e la definizione dei canoni idrici. – 4. Lo stato di attuazione del D.L. n. 135 del 2018 nell’ordinamento della Regione Piemonte. I nodi problematici della proposta di legge Preioni sull’assegnazione dei canoni idrici al VCO. – 5. Alcune considerazioni conclusive.

 

1. Introduzione: il punto controverso della c.d. proposta di legge Preioni.

Il presente scritto si propone di analizzare la proposta di legge regionale n. 59, a primo firmatario Alberto Preioni (Capogruppo della Lega al Consiglio regionale del Piemonte), presentata in I Commissione il 13 gennaio 2020 e recante il riconoscimento della specificità montana della Provincia del Verbano-Cusio-Ossola (VCO), nonché il trasferimento ad essa dei proventi dei canoni per l’utilizzo del demanio idrico. La proposta, oltre a conferire nuove funzioni amministrative, prevede, infatti, di destinare al VCO un totale di 17 milioni di euro di risorse, attraverso il trasferimento diretto del 60% (circa dieci milioni) dell’ammontare dei canoni idrici relativi alle grandi derivazioni che appartengono al territorio della Provincia medesima e l’impiego, da parte della Regione, del restante 40%, (circa sette milioni) per progetti di sviluppo del territorio del VCO. La proposta mira, pertanto, a ottenere o, meglio, trattenere sul territorio (tanto direttamente, quanto indirettamente) la totalità dei proventi derivanti dai canoni idrici, che, a partire dal 2012, sono invece introitati integralmente dalla Regione Piemonte.

Le questioni che tale proposta di legge pone all’attenzione di operatori ed interpreti del diritto sono molteplici. Lasciando alla seguente trattazione l’analisi dei singoli profili, preme subito puntualizzare quello che è, senza ombra di dubbio, l’alfa e l’omega della proposta di legge: il tema delle risorse finanziarie trasferite alle Province.

Sotto questo punto di vista, i canoni idrici rappresentano un introito di notevole entità per le casse provinciali, specialmente di quelle comunità, come quella del VCO, sul cui territorio insistono grandi invasi e dighe e che, di conseguenza, vedono prodotta in loco una grande quantità di energia idroelettrica. Dal loro ristorno dipende, infatti, una buona parte delle risorse finanziarie necessarie per garantire l’esercizio delle funzioni amministrative loro conferite o delegate, soprattutto in un momento storico come quello che stiamo attraversando, in cui è tornato in discussione il ruolo della Provincia come ente esponenziale di interessi territoriali, mentre i tagli alle risorse finanziarie trasferite rischiano di mettere in ginocchio i governi locali.

 

2. Gli intrecci con la questione dell’autonomia del VCO.

La proposta di legge si inserisce in un filone di vicende storico-politiche, alcune più recenti altre più lontane nel tempo, che muovono attorno ad un perno individuabile nel desiderio di autonomia del VCO. Un capitolo di questa storia si è consumato nel 1992 con la istituzione della Provincia, che, tuttavia, non ha del tutto sopito i malumori dei valligiani verso un’unione con il territorio piemontese ritenuta perlopiù ‘forzata’.

Lo status quo è, in tal senso, il precipitato di fatti storici, primo tra tutti la circostanza che il territorio dell’attuale Provincia è stato storicamente lombardo, almeno dal 1381. A far corso da questa data il Verbano-Cusio-Ossola entrò a far parte del Ducato di Milano, iniziando a subire quegli influssi culturali che ancor oggi trovano traccia evidente, tra l’altro, nei dialetti della zona, derivati dalla lingua lombarda. Tale appartenenza si è cementata nel tempo, senza soluzione di continuità, fino al 1743, quando, con il Trattato di Worms, le terre della Provincia furono cedute dagli Asburgo ai Savoia2.

Questo retroterra riaffiora non solo nel dato culturale ma, altresì, a livello economico-sociale, nell’appartenenza del VCO alla Regio Insubrica, associazione di diritto privato costituita nel 1995 dal Canton Ticino e dalle Province di Como, Varese – e appunto del VCO3 – allo scopo di promuovere la cooperazione e l’integrazione transfrontaliera nella regione italo-svizzera dei laghi prealpini, caratterizzata da condizioni idrografiche, morfologiche ed economiche assai simili.

L’importanza di siffatto momento associativo è, peraltro, riconfermata dalla stessa proposta di legge Preioni, la quale, nell’alveo della c.d. Legge Delrio (L. n. 56 del 2014), prevede, nella parte dedicata alle iniziative transfrontaliere e alle attività di rilievo internazionale, che la Regione garantisca la partecipazione della VCO ai programmi di cooperazione transfrontaliera Italia-Svizzera e la sostenga (previa intesa con la Provincia medesima) nelle relazioni istituzionali con le altre Province e le Regioni diverse dal Piemonte (in particolare con quelle confinanti).

L’aspetto identitario è una chiave di interpretazione fondamentale per comprendere le più recenti vicende socio-politiche, che conducono alla iniziativa referendaria del 2017, volta all’incorporazione della Provincia nella Regione Lombardia, ai sensi dell’art. 132, secondo comma, Cost. Al di là di prese di posizione di merito4, dalle quali è scaturita un’annosa querelle tra esponenti locali e istituzioni regionali, l’istanza referendaria era foriera di risvolti pratici di notevole impatto, ad iniziare, per quanto qui d’interesse, dai benefici economici derivanti dalla ritenzione dei canoni idrici. Non a caso, da un lato, il focus principale su cui si è incentrato il dibattito referendario è stato rappresentato dal trasferimento alla Provincia della totalità dei canoni pagati alla Regione dai produttori di energia idroelettrica in territorio provinciale5 e, dall’altro, il termine di confronto utilizzato dai sostenitori del referendum è stata la Provincia di Sondrio che, insieme a quella di Belluno e al VCO, condivide il riconoscimento di specificità montana.

A livello di legislazione statale l’iniziativa referendaria ha trovato un addentellato normativo nella Legge Delrio che, riconoscendo la specificità delle Province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri, ha indotto, come è stato evidenziato6, gli anzidetti Enti provinciali ad interrogarsi – seppur in momenti diversi – sulla possibilità di avanzare nei confronti delle Regioni di appartenenza richieste di maggiore autonomia. In tale direzione si è mossa la Regione Lombardia che, da tempo, riconosce alla Provincia di Sondrio il diritto di trattenere sul territorio la totalità dei proventi derivanti dai canoni idrici, obiettivo che ha animato il momento referendario e caratterizza oggi, in parte, anche la proposta di legge Preioni7.

La ragione si rinviene nel differente regime di distribuzione dei canoni idrici adottato dalle due Regioni. Mentre nell’ordinamento regionale piemontese la legislazione8 non pone vincoli al potere della Regione di assegnare i proventi derivanti dai canoni idrici (con il solo obbligo di acquisire il previo parere degli Enti locali, comunque non vincolante), all’opposto la legislazione lombarda9 pone un vincolo preciso, nel momento in cui stabilisce che ogni anno a ciascuna Provincia debba essere assegnata una quota degli introiti derivanti dai canoni idrici, e, al contempo, prevede apposite modalità per il trasferimento di tali risorse alla Provincia di Sondrio. In altri termini, posto che l’assenza di vincoli si è tradotta in Piemonte nella mancata assegnazione al VCO dei predetti proventi (dal 2012 al 2018 nulla è stato trasferito a tale titolo), il distacco di quest’ultima dal Piemonte, con incorporazione nella Lombardia, avrebbe prodotto significativi vantaggi dal punto di vista delle disponibilità finanziarie.

Se la vicenda referendaria si è conclusa con esito negativo, per mancato raggiungimento del quorum previsto dalla L. n. 352 del 197010 (con la conseguenza che la proposta non potrà essere rinnovata se non decorsi cinque anni), la diatriba VCO-Regione vertente sulla restituzione dei canoni idrici è in seguito sfociata in una controversia giudiziaria. Nel giugno del 2018 la Provincia ha, infatti, presentato ricorso dinanzi alla II Sezione del TAR Piemonte (ricorso n. 599/2018 R.G.), impugnando la delibera di Giunta n. 26-6722 del 6 aprile 2018, nella parte in cui non stanziava alcuna risorsa nel capitolo di spesa intitolato ‘quota dei canoni per l’uso dell’acqua pubblica da trasferire alla Provincia del Verbano-Cusio-Ossola (art. 4, comma 38, Legge n. 350 del 2003)’, pretendendo il versamento delle entrate per canoni demaniali idrici incassate nel periodo 2012-2018 (una somma di circa 102 milioni di euro).

La ricorrente ha successivamente rinunciato all’azione giudiziaria per l’intervenuta conclusione di un accordo transattivo con la Regione11, che ha fissato in 9 milioni di euro la cifra oggetto di restituzione12, con rinunzia da parte della Provincia ad ogni ulteriore pretesa avuto riguardo alle annualità 2012-2018. A questo importo si sono aggiunti, per l’anno 2019, ulteriori 4 milioni a titolo di contributo a sostegno della specificità montana (ai sensi della legge regionale n. 23 del 2015)13.

Alla luce di quanto detto si può evincere come la tematica qui trattata, oltre ad affondare le radici in un preciso retroterra storico-politico caratterizzato da istanze autonomistiche e dalla specificità territoriale del VCO, rimane una ‘questione aperta’, della quale la proposta di legge Preioni rappresenta solo l’ultimo capitolo. Prima di affrontare i punti critici emergenti dall’articolato è d’uopo esaminare il contesto normativo entro cui essa si muove, segnato dalla importante riforma introdotta con il D.L. n. 135 del 2018 (convertito con modificazioni dalla L. n. 12 del 2019).

 

3. La disciplina delle concessioni idroelettriche: una ricostruzione del quadro normativo. Le criticità della riforma introdotta dal D.L. 135/2018 sull’assegnazione delle concessioni e la definizione dei canoni idrici.

In primo luogo, occorre affrontare una questione definitoria. Quando si discorre di canoni idrici ci si riferisce ai proventi economici derivanti dalle c.d. concessioni idroelettriche, atti amministrativi14 che attribuiscono ai produttori di energia idroelettrica l’utilizzo di un bene, le acque del c.d. demanio idrico, la cui titolarità è, ai sensi della disciplina codicistica, dello Stato15.

I beni demaniali, come noto, sono di proprietà pubblica, posto che il bene, riservato originariamente al pubblico potere, permane pubblico anche in seguito alla concessione16; al concessionario è attribuito solo il diritto esclusivo d’uso del bene stesso, oltre ad obblighi di tutela, vigilanza e controllo anche verso i terzi che, sul versante civilistico, si traducono persino nell’esercizio dell’azione possessoria prevista dall’art. 1045 c.c.

Parte della disciplina è, ancora oggi, dettata dal Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici approvato con Regio Decreto n. 1755 del 1933. Tale provvedimento enuncia, anzitutto, il principio informatore della materia: è fatto divieto di derivare o utilizzare acqua pubblica senza l’autorizzazione dell’autorità competente, che garantisce la concessione a un privato per motivi di pubblico interesse. Stabilisce, inoltre, che sono grandi derivazioni quelle che, per produzione di forza motrice, eccedono la potenza nominale media annua di 3000 Kw e che, per costituzione di scorte idriche a fini di sollevamento a scopo di riqualificazione di energia, superano i 100 litri al minuto secondo17.

La condizione dominicale originaria non risolve, tuttavia, la distribuzione di competenze, che si caratterizza per un intreccio di poteri statali e regionali.

Fino alla fine degli anni Novanta la gestione del demanio idrico è stata prerogativa statale. È solo nell’ambito delle riforme del c.d. federalismo a Costituzione invariata che il legislatore statale, con il D. Lgs. n. 112 del 1998 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti locali, in attuazione del capo I della L. n. 59 del 1997) ha conferito alle Regioni competenti per territorio l’intera gestione del demanio idrico (art. 86), specificando che detta gestione comprende, tra le altre, le funzioni amministrative relative alla determinazione dei canoni di concessione e all’introito dei relativi proventi (art. 88).

Questo intervento è stato succeduto dalla riforma del Titolo V della Costituzione che ha profondamente inciso sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, definendo, per quanto qui d’interesse, i confini di tre ambiti materiali incidenti sulla regolamentazione delle concessioni idroelettriche. Ai sensi dell’articolo 117, co. 2 Cost., allo Stato compete, in via esclusiva, la potestà legislativa nelle materie «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (l’art. 144 del D. Lgs. n. 152 del 2006 inquadra in tale ambito la disciplina degli usi delle acque) e «tutela della concorrenza», mentre la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» è attribuita alla potestà legislativa concorrente, a norma del terzo comma della medesima disposizione (entro la quale si può ricondurre la disciplina legislativa dei canoni idroelettrici).

A livello di legislazione ordinaria si sono registrati due importanti interventi.

In attuazione della direttiva 96/92/CE (recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) il D. Lgs. n. 79 del 1999 ha riformato il procedimento di rilascio delle concessioni, nella direzione di realizzare una completa liberalizzazione del settore idroelettrico, abbandonando l’idea dell’inerenza demaniale. Da un lato è stata introdotta per le concessioni ENEL, prima di durata illimitata, una scadenza (fissata al 31 dicembre 2009), dall’altro si è stabilito che, nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica, ogni soggetto, purché in possesso di adeguati requisiti organizzativi e finanziari, possa chiedere il rilascio della medesima concessione, presentando un programma di aumento dell’energia prodotta o della potenza installata e un programma di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza.

Il processo di liberalizzazione del mercato dell’energia è proseguito, in ambito europeo, con le direttive 2001/77/CE e 2003/54/CE, recepite nell’ordinamento interno dal D. Lgs. n. 387 del 2003 e dalle correlate linee guida, adottate, peraltro, dopo l’entrata in vigore della successiva direttiva 2009/28/CE, che ha accentuato la necessità di iter autorizzativi relativi agli impianti di produzione e alle connesse infrastrutture semplificati, accelerati e meno gravosi. Del tutto in contrasto con le finalità espresse dalla normativa europea, il Legislatore ha ritardato a lungo la liberalizzazione del settore, sino all’adozione del D.L. n. 83 del 2012 (convertito in L. n. 134 del 2012) che ha rappresentato una cesura con il passato: con questo provvedimento è stato, infatti, previsto che le concessioni in scadenza debbano essere rinnovate mediante gara ad evidenza pubblica, la cui indizione spetta a Regioni e Province autonome, per l’attribuzione a titolo oneroso di una concessione di durata dai 20 ai 30 anni.

Nel corso dell’attuale Legislatura, il legislatore statale, con il D. L. n. 135 del 2018 (convertito in L. n. 12 del 2019), ha nuovamente rivisto la disciplina delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche, aumentando gli ambiti di disciplina attribuiti ai legislatori regionali.

Viene stabilita, anzitutto, la regionalizzazione della proprietà delle opere idroelettriche alla scadenza delle concessioni (o nei casi di decadenza o rinuncia alle stesse); si tratta del trasferimento alle Regioni – una volta scadute le concessioni in essere – delle c.d. opere bagnate (le dighe ad esempio), a titolo gratuito, e delle c.d. opere asciutte (i beni materiali), a titolo oneroso. Alle Regioni è stato, inoltre, attribuito il potere di legiferare sulle modalità e sulle procedure di assegnazione delle concessioni, che dovranno aver luogo entro i due anni18 dall’entrata in vigore della legge regionale (in ipotesi di inerzia regionale è previsto l’intervento sostitutivo dello Stato). Esse, laddove non ritengano sussistere un prevalente interesse pubblico ad un diverso uso delle acque, possono procedere all’assegnazione delle concessioni ad operatori economici individuati mediante lo svolgimento di gare con procedura ad evidenza pubblica o a società a capitale misto – nelle quali il socio privato deve comunque essere scelto mediante gare con procedure ad evidenza pubblica – o attraverso forme di partenariato pubblico-privato19.

Le leggi regionali, infine, dovranno disciplinare taluni contenuti delle procedure di assegnazione legislativamente predefiniti, quali le modalità per il loro svolgimento, i criteri di ammissione e di assegnazione e i requisiti di capacità finanziaria, organizzativa e tecnica adeguata all’oggetto della concessione richiesti ai partecipanti, nonché la durata delle nuove concessioni20.

Il legislatore statale si è poi preoccupato di dettare una disciplina intertemporale differenziata a seconda della scadenza del provvedimento concessorio. Per le concessioni con termine di scadenza anteriore al 31 dicembre 2023 (ivi incluse quelle già scadute) spetta alle Regioni la fissazione dimodalità, condizioni e quantificazioni dei corrispettivi a carico del concessionariouscente per laprosecuzione, per conto delle Regioni stesse, dell’esercizio delle derivazioni oltre la scadenza e per il tempo necessario al completamento delle procedure di assegnazione. Nell’ambito delle misure adottate per fronteggiare lo stato d’emergenza dichiarato a seguito della diffusione epidemiologica COVID-19, il D.L. n. 18 del 2020 (convertito con modificazioni in L. n. 27 del 2020) ha prorogato detto termine fino al 31 luglio del 2024.

La riforma non ha, tuttavia, risolto i problemi di compatibilità della normativa interna con l’ordinamento europeo, già sollevati dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione 2011/202621, per contrasto della normativa allora vigente, contenuta nel già citato D.L. n. 83 del 2012, con la normativa europea in materia di prestazioni di servizi.

Per chiarire i termini della questione occorre ricordare che per il diritto dell’UE la gestione degli impianti di produzione di energia idroelettrica costituisce un servizio prestato dietro corresponsione di un prezzo, ai sensi della cd. Direttiva Bolkestein (direttiva sui servizi 2006/123/CE) e, livello di diritto convenzionale, del combinato disposto degli artt. 49 TFUE (libertà di stabilimento) e 57 TFUE (libera circolazione dei servizi). Tale servizio è, inoltre, incluso nel vocabolario comune per gli appalti pubblici modificato, da ultimo, dal regolamento 213/2008 CE.

In quella sede la Commissione aveva ritenuto che l’art. 37 del predetto decreto, nel prevedere una sostanziale proroga automatica – da una durata minima di 2 anni ad una massima estensibile fino al 31 dicembre del 2017 – delle concessioni idriche già scadute alla data della sua entrata in vigore, contrastasse con l’art. 12 della Direttiva Bolkestein, il quale non solo ribadisce l’obbligo di attribuire per pubblica gara i contratti pubblici denominati ‘concessioni’ ma aggiunge, altresì, che l’affidatario della concessione scaduta non debba conseguire alcun privilegio a seguito della risoluzione del contratto medesimo. Il principio europeo della indefettibilità della pubblica gara comporta, in sostanza, che i contratti della pubblica amministrazione non possano essere automaticamente prorogati.

La disciplina contenuta nel D.L. 135 del 2018, riproponendo un regime di proroghe, non ha quindi modificato il tenore della normativa censurata, che, difatti, è stata oggetto di lettera complementare di messa in mora inviata all’Italia dalla Commissione europea all’indomani della conversione in legge del decreto (8 marzo 2019). Nelle more della nuova procedura di infrazione, il Governo ha costituito un tavolo di coordinamento tra Regioni, Ministero dello sviluppo economico e Dipartimento per le politiche europee, allo scopo di sanare l’attuale condizione di inadempienza22.

Altro oggetto di importante riforma ad opera del D.L. 135/2018 sono gli obblighi dei concessionari, con particolare riguardo alla determinazione e assegnazione dei canoni idroelettrici.

Tale materia è stata caratterizzata da una legislazione frammentaria succedutasi nel tempo23, posta a cavallo tra legislazione esclusiva e legislazione concorrente, in parte razionalizzata dall’intervento della giurisprudenza costituzionale, nonché dall’inerzia statale nell’adozione del decreto ministeriale previsto dall’art. 37, co. 7, del D.L. n. 83 del 2012 (la fonte, come detto, che regolava la materia prima dell’introduzione del D.L.135 del 2018). Il legislatore statale, al fine di garantire uniformità di disciplina sul territorio nazionale delle attività di produzione di energia idroelettrica e parità di trattamento tra gli operatori economici, aveva stabilito che i criteri generali per la definizione dei valori massimi dei canoni idrici venissero determinati, previa intesa con le Regioni in sede di Conferenza Stato-Regioni, mediante decreto ministeriale. Nella perdurante assenza di tale atto attuativo l’intervento del Giudice delle leggi, oltre a risolvere problemi, più generali, concernenti il sistema delle fonti (il rapporto tra fonti statali e regionali), ha stabilito, per quanto interessa ai nostri fini, alcuni importanti principi in materia di canoni idroelettrici.

L’operato del Giudice costituzionale si è collocato, come è stato evidenziato24, entro le coordinate tipiche dell’ordinamento regionale italiano, i cui tratti principali si possono sintetizzare nei termini che seguono: un profilo normativo – la determinazione dei canoni idrici – ricondotto dalla Corte ad una materia di competenza concorrente, in assenza di una legge cornice25; la difficoltà, prima per il legislatore regionale poi per la giurisprudenza costituzionale, di ricavare i principi fondamentali da un contesto legislativo disorganico26; l’intervento statale mediante l’esercizio di una competenza trasversale, la tutela della concorrenza, con la necessità di delimitarne i campi d’azione; l’applicazione di parametri normativi indeterminati (principio di leale collaborazione) o difficilmente determinabili (principio-dettaglio) e canoni esegetici altrettanto discutibili (la definizione di norma di principio, il criterio della prevalenza) per la risoluzione delle controversie.

Nell’ambito di un siffatto quadro ordinamentale, la Consulta ha, per prima cosa, riconosciuto di spettanza regionale la quantificazione della misura dei canoni idroelettrici, in quanto profilo da ricondurre nella materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»27 (al medesimo ambito di competenza la stessa aveva, peraltro, già ascritto la disciplina delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico28); in secondo luogo, essa ha puntualizzato che coesiste una competenza statale limitata, a tutela della concorrenza, relativa alla definizione dei criteri generali per la determinazione dei valori massimi dei canoni idroelettrici29; infine, nella perdurante assenza del D.M. previsto dalla disciplina previgente, la Consulta, per scongiurare una paralisi della competenza regionale in materia di canoni idroelettrici, aveva statuito che le Regioni potessero determinarne la misura, purché nel rispetto dei principî fondamentali statali riconducibili alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»30.

Questi ultimi sono stati progressivamente individuati in via pretoria nei principi di onerosità della concessione, di proporzionalità del canone rispetto all’entità dello sfruttamento della risorsa pubblica e all’utilità in capo al concessionario31, di economicità e ragionevolezza32, della potenza nominale media di concessione come criterio per la determinazione della misura del canone33.

Ciononostante, la definizione degli ambiti di competenza Stato-Regioni trasferita dalla sede legislativa a quella contenziosa non poteva che continuare a proporre un quadro frammentato ed incerto, solo in parte bilanciato dalla funzione razionalizzatrice della Corte costituzionale.

Nel tentativo di colmare le lacune, il Legislatore ha introdotto, con ilD.L. n. 135/2018 (art. 11-quater), una disciplina specifica, stabilendo, in primo luogo, che i concessionari sono tenuti a corrispondere semestralmente alle Regioni un canone, determinato da leggi regionali, previo parere dell’ARERA (l’Autorità di regolazione in materia di energia e ambiente) e articolato in una componente fissa, legata alla potenza nominale media di concessione, e in una componente variabile, calcolata come percentuale dei ricavi normalizzati34.

L’ARERA, in sede di adozione delle indicazioni propedeutiche al rilascio del parere alle Regioni35 sugli schemi di legge relativi alla determinazione dei canoni, ha precisato la portata della nuova funzione attribuitale. L’attività consultiva sarà esercitata sia ex ante, con l’enunciazione di linee guida (contenenti i criteri generali di valutazione degli schemi di legge regionale sottoposti al suo vaglio), che ex post, attraverso l’espressione del parere – non vincolante – limitato alla definizione della componente variabile.

I profili di maggiore criticità scaturiscono dalla predeterminazione, a livello di legislazione statale, della misura dei canoni idrici. Il decreto n. 135 del 2018 stabilisce che i canoni devono essere destinati, per almeno il 60%, alle Province e Città metropolitane il cui territorio è interessato dalle derivazioni e, quanto alle concessioni scadute, prevede che, fino alla nuova assegnazione, il concessionario sia tenuto a corrispondere alla Regione un canone aggiuntivo (rispetto al canone demaniale) per l’esercizio degli impianti nelle more dell’assegnazione. Canone anch’esso destinato, per un importo non inferiore al 60%, a Province e Città metropolitane sul cui territorio insistono le derivazioni.

La scelta del legislatore statale di prestabilire una quota minima di canoni da destinare a queste ultime pare censurabile sotto il profilo della lesione della sfera di competenza regionale.

Come si è evidenziato pocanzi, la giurisprudenza costituzionale, nel chiarire il riparto di competenze legislative, ha statuito che la determinazione e quantificazione dei canoni sia sicuramente da ricondurre alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», in relazione alla quale le Regioni hanno come unico vincolo quello di rispettare i citati principi fondamentali statali, vale a dire: l’onerosità della concessione, la proporzionalità del canone rispetto all’entità dello sfruttamento della risorsa pubblica e all’utilità in capo al concessionario, l’economicità e la ragionevolezza, la potenza nominale media di concessione come criterio per la determinazione della misura del canone. Nel rispetto di siffatto ordine di principi, spetta alle Regioni la disciplina dei profili attinenti alla disciplina dei canoni, tra i quali rientra certamente la loro ripartizione all’interno dell’ordinamento regionale.

Per ciò che concerne la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza, la Consulta ha più volte ribadito che essa, quale materia trasversale, può sì intersecare qualsivoglia titolo di competenza legislativa regionale ma «nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi»36 cui è preposta. La Corte, applicando tale principio alla materia dei canoni idroelettrici, ne aveva, peraltro, già limitato l’estensione ai criteri generali per la determinazione dei valori massimi dei canoni previsti dal più volte citato art. 37 del D. L. 83 del 2012, disposizione abrogata dal D.L. 135 del 2018.

La riforma prevede ora che il Ministero dello sviluppo economico sia chiamato a determinare, con proprio decreto, non più il valore massimo ma il valore minimo della componente fissa del canone semestrale definito dalle singole leggi regionali e del canone aggiuntivo che il concessionario scaduto deve corrispondere alla Regione per l’esercizio degli impianti nelle more dell’assegnazione (art. 11-quater, co.1-septies). Nel rispetto di tale valore, i legislatori regionali rimangono liberi di stabilire, in definitiva, determinazione e misura del canone.

Per quanto sin qui detto, la fissazione da parte del legislatore statale di un criterio di predeterminazione nella distribuzione dei canoni tra le Province e le Città metropolitane, non potendo essere ricondotto nell’alveo della «tutela della concorrenza», pare invadere la sfera di competenza che, nell’ambito della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», è riservata al potere legislativo regionale.

 

4. Lo stato di attuazione del D.L. 135 del 2018 nell’ordinamento della Regione Piemonte. I nodi problematici della proposta di legge Preioni sull’assegnazione dei canoni idrici al VCO.

In attuazione di quanto previsto dall’articolo 11-quater del D.L. n. 135 del 2018, il D.D.L. 3 marzo n. 87 intende dettare la disciplina regionale in materia di assegnazione delle grandi derivazioni ad uso idroelettrico, con l’obiettivo, espresso nell’articolato, di valorizzare il patrimonio idrico piemontese nell’ottica dello sviluppo sostenibile della comunità.

In primo luogo, il provvedimento, modificando l’art. 55 della legge regionale attuativa del D. Lgs. n. 112 del 1998 (L.R. n. 44 del 2000), ha inserito tra le funzioni amministrative di competenza regionale in materia di tutela delle acque l’assegnazione, nel caso di scadenza decadenza o rinuncia, delle grandi derivazioni ad uso energetico di cui all’articolo 11-quater del D.L. 135 del 2018, prevedendo che ciò avvenga «in esito all’istruttoria della Città metropolitana o della Provincia competente».

Tale ultimo inciso desta, invero, qualche perplessità sia alla luce della disciplina statale, che attribuisce univocamente alla Regione la competenza in ordine all’assegnazione delle concessioni idroelettriche, sia, come ha sottolineato il CAL nel parere reso sul D.D.L., nell’assenza, a disciplina vigente, dell’assegnazione di fondi specifici o diritti istruttori o canoni idrici a Province e Città metropolitana37.

Riguardo alle modalità di assegnazione delle concessioni idroelettriche una volta giunte a scadenza, il D.D.L., muovendosi nel ventaglio delle tipologie individuate dal legislatore statale, si è indirizzato verso l’affidamento ad operatori economici privati individuati attraverso l’espletamento di gare con procedura ad evidenza pubblica o a società a capitale misto pubblico privato, con scelta del socio privato mediante l’espletamento di gara. Al fine dell’avvio di tali procedure è previsto che la Regione invii al concessionario uscente apposita richiesta del rapporto di fine concessione relativo ai beni, agli impianti, alle opere e ai rapporti giuridici afferenti all’esercizio della concessione, i cui contenuti dovranno essere determinati da un regolamento della Giunta regionale38. Per ciò che concerne specificamente il termine di avvio, il D.D.L. prevede che la Regione debba avviare le procedure necessarie per l’indizione della gara almeno cinque anni prima della scadenza di una concessione39 e previa verifica della sussistenza di un prevalente interesse pubblico ad un diverso uso delle acque in tutto o in parte incompatibile con il mantenimento dell’uso a fine idroelettrico (art. 3 del D.D.L. che ripete, per questo aspetto, la formulazione contenuta nell’art. 11-quater il D.L. n. 135 del 2018).

Tale ultima disposizione deve essere letta in combinato disposto con il comma 1-quater dell’art. 11-quater D.L. 135, che regolamenta il caso di mancato rispetto del termine di avvio da parte delle Regioni. Da una parte, esso demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottarsi previa intesa con la Conferenza unificata entro il 31 dicembre 2021, l’individuazione delle modalità e procedure di assegnazione applicabili in caso di inerzia regionale; dall’altra, nel prevedere la sostituzione alla Regione del Ministero delle infrastrutture nell’assegnazione delle concessioni, dispone che il 10 % dell’importo dei canoni concessori (in deroga a quanto stabilito dal D. Lgs. n. 112 del 199840) resti in tal caso acquisita al patrimonio statale41.

Più marginale è l’intervento del D.D.L. sulla definizione dei canoni idrici. L’intera materia viene difatti demandata alla Giunta regionale, che, con proprio regolamento, dovrà determinare l’importo unitario della componente fissa, la percentuale della componente variabile, la modalità di quantificazione dei ricavi normalizzati nonché le modalità di aggiornamento, versamento, introito, controllo e riscossione del canone42.

Sebbene nulla sia disposto circa la ripartizione dei canoni tra le Province e la Città metropolitana, importanti indicazioni sono fornite dalla lettura del parere del CAL. In particolare, sono due le osservazioni che meritano di essere sottolineate. In primis esso rileva la centralità di un momento concertativo tra gli enti territoriali coinvolti, individuandolo in un tavolo tecnico-politico, per approfondimenti relativi all’adozione dei regolamenti attuativi, che si occupi, tra l’altro, degli aspetti relativi «agli utilizzi dei canoni di concessione e al rapporto tra Regione, province, Città metropolitana, unioni montane e comuni, alle tempistiche delle gare, alle ricadute del provvedimento sui territori montani e alle compensazioni territoriali»43. In secondo luogo, nella consapevolezza che si tratti di risorse finanziarie di fondamentale importanza per l’esercizio delle funzioni loro conferite e «al fine di evitare l’insorgere di situazioni di disparità di trattamento», il CAL ritiene necessario istituire un fondo suddiviso tra la Città metropolitana e le Province, con riparto da definire nel predetto tavolo di confronto.

È in tale ambito che si innesta la c.d. proposta di legge Preioni, la quale, non senza alcune criticità, ha il principale fine, come detto, di assegnare al VCO la totalità dei canoni derivanti dallo sfruttamento delle grandi derivazioni di acqua presenti sul territorio provinciale.

Prima di affrontare questo aspetto, preme dar brevemente conto dell’altro punto oggetto della proposta, la specificità montana, il cui riconoscimento non è, a dire il vero, in discussione, posto che la materia trova già compiuta disciplina nella vigente legislazione regionale44. Trattasi, nello specifico, della legge regionale n. 8 del 2015, recante ‘Riconoscimento della specificità della Provincia del Verbano-Cusio-Ossola’ e della successiva (e complementare) legge regionale n. 23 del 2015, che, in attuazione della legge n. 56 del 2014 (cd. Legge Delrio), ha disposto il riordino delle funzioni amministrative conferite alle Province, dedicando, tra l’altro, apposite disposizioni alla specificità del VCO. Tale complesso normativo è diretta attuazione del dettato statutario, che all’art. 8, oltre a riconoscere la specificità dei territori montani, impone alla Regione di prevedere politiche di intervento a loro favore; e, a livello di legislazione statale, si pone nell’alveo della Legge Delrio, laddove essa all’art. 1. co. 3 riconosce alle Province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri particolari condizioni di autonomia connesse alla specificità del loro territorio.

Per il vero, il profilo più discutibile per il tema del quale stiamo trattando è rappresentato dalla scelta della proposta di disciplinare in unico testo legislativo la specificità montana e il trasferimento uti singuli dei canoni idrici, anche in considerazione delle particolari vicissitudini che hanno caratterizzato negli ultimi anni la vicenda dei canoni idrici in Piemonte. L’endiadi specificità montana-canoni idrici prefigura, per di più, un problema di compatibilità con la normativa statale contenuta nel D.L. 135. Quest’ultima, nel prevedere la destinazione dei canoni per almeno il 60% alle Province e Città metropolitane il cui territorio è interessato dalle grandi derivazioni idroelettriche, detta un criterio di ripartizione generale (tra tutti gli enti che soddisfino tale condizione) a prescindere dal riconoscimento in capo a taluni di ‘ente con specificità montana’. Inoltre, la locuzione ‘territorio interessato’ dovrebbe indurre i legislatori regionali a valutare la circostanza che il bacino idrografico di pertinenza spesso non coincide con i confini geografici e le connesse competenze amministrative conferite agli Enti locali; un aspetto, questo, non considerato dalla proposta.

Ulteriori considerazioni vanno fatte sulla quota residua rispetto a quella destinata ex art. 11-quater D.L. 135ai territori interessati da grandi derivazioni – un ammontare che potrà variare fino ad un massimo del 40% del totale dei canoni idrici riscossi su base regionale – in relazione alla quale il legislatore statale non fissa vincoli, riconoscendo così agli ordinamenti regionali massimi spazi di scelta in ordine alla loro assegnazione. L’interpretazione letterale della disposizione non lascia dubbi circa la destinazione di tali risorse a quegli enti ‘non interessati’ dalle grandi derivazioni, ragione per cui dal riparto andrebbe esclusa la Provincia del VCO, proprio «al fine di evitare l’insorgere di situazioni di disparità di trattamento». In un’ottica di equa assegnazione delle risorse occorrerebbe, inoltre, prevedere che la distribuzione del 40% sia effettuata sulla base di parametri oggettivi, che tengano in considerazione, ad esempio, la specificità territoriale di ciascun ente e la popolazione ivi stanziata.

A questi aspetti critici va aggiunto quanto stabilito, nella seduta del 5 febbraio 2020, dal CAL, che ha condizionato il parere reso sulla proposta di legge all’approntamento di meccanismi che prevedano una perequazione territoriale e, più in generale, ad un riequilibrio per quei territori dove insiste un minor numero di impianti per la produzione di energia idroelettrica.

In definitiva, l’attuale formulazione della proposta, oltre a presentare dubbi di compatibilità con la normativa di riforma delle concessioni idroelettriche potrebbe creare squilibri nella ripartizione delle risorse assegnate alle Province (con ricadute, in ultima analisi, sul principio di uguaglianza), un profilo che, a ben vedere, costituisce il vero baricentro del dibattito politico-istituzionale sviluppatosi intorno ad essa. Dalla lettura delle osservazioni depositate dalle associazioni degli enti territoriali (ANCI, ANPCI, UNCEM) emerge, difatti, come il minimo comune denominatore delle osservazioni critiche al testo sia rappresentato dall’esigenza di far fronte, attraverso l’assegnazione dei proventi derivati dai canoni idrici, ai problemi di bilancio che, pur in misura differente, ogni Provincia e la Regione medesima si trovano a fronteggiare45. A questo proposito l’ANCI ha rimarcato la necessità di un’analisi volta a evidenziare «quale conseguenza dei canoni al VCO, come incideranno i tagli a livello regionale e come saranno compatibili con il bilancio (regionale) già sofferente»46e, nella medesima direzione, si è espresso anche il CAL, ritenendo opportuna una riflessione «sulle conseguenze derivanti dai trasferimenti sul bilancio regionale, nonché sulle funzioni eventualmente trasferite»47.

 

5. Alcune considerazioni conclusive.

Alla luce di quanto detto, si possono tratte alcune considerazioni di merito e di metodo.

La proposta, nel riconoscere ‘forme particolari di autonomia’ alla Provincia del VCO le conferisce ‘funzioni ulteriori’ (art. 2) – ulteriori rispetto a quelle fondamentali di cui alla Legge Delrio48 – in materia di pianificazione delle attività estrattive, prevenzione gestione e controllo dei rischi idro-geologici e programmazione dei servizi educativi di istruzione e formazione49, prevedendo la destinazione integrale dei canoni idrici per far fronte al loro esercizio. A venire in gioco è, quindi, l’integrale finanziamento delle funzioni attribuite alla Provincia, un principio fondamentale nell’architettura autonomista impressa dal Costituente, tanto da un punto di vista ‘interno’, in quanto il complesso delle entrate di cui l’ente dispone deve essere tale da consentire una gestione in autonomia delle funzioni attribuitegli, quanto sul versante ‘esterno’, dal momento che non possono essere conferite all’ente funzioni cui non sia in grado di far fronte economicamente.

Nondimeno, se da un lato la proposta richiama il tema dell’autonomia finanziaria, dall’altro, necessita di essere trattata e discussa alla luce dell’evoluzione del contesto ordinamentale in cui si colloca. In altri termini, non sembra possibile affrontare la questione dell’assegnazione dei canoni idrici al VCO, senza contestualizzarla nell’ambito del complessivo processo di attuazione della riforma in materia di concessioni di grandi derivazioni idroelettriche. Un processo che, come visto, ha dei tratti ancora incerti, a partire dalla normativa di riferimento contenuta nell’art. 11-quater D.L. 135 del 2018, che, mentre scriviamo, è stata dichiarata incostituzionale (Corte cost. 21 luglio 2020, n. 155), per violazione del riparto di competenze stabilito dall’art. 117, terzo comma, Cost., nonché degli artt. 118 e 119 Cost.50, nella parte in cui prevede la destinazione di almeno il 60% dei canoni ordinari e aggiuntivi alle Province e alle Città metropolitane il cui territorio è interessato dalle derivazioni (commi 1-quinquies e 1-septies).

Sul versante regionale, ulteriori criticità potrebbero derivare dagli sviluppi del ricorso in via d’azione proposto dal Governo avverso la legge della Regione Lombardia n. 5 del 2020 (ricorso n. 51/2020), posto che le norme censurate dalla Presidenza del Consiglio sono state riprodotte nel D.D.L. piemontese. Si tratta di una serie di disposizioni concernenti le modalità e le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico51 che violerebbero diversi parametri costituzionali: gli artt. 9 e 117, co. 2, lett. l) e s) – che attribuiscono allo Stato la competenza legislativa in materia di ordinamento civile e tutela del paesaggio, l’art. 117, co. 2, con riguardo alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», nonché gli artt. 42 e 43, i quali impongono alla legge di riconoscere un indennizzo ai privati che subiscano limitazioni nella disponibilità di beni di loro proprietà o necessari per lo svolgimento di un’attività d’impresa.

Per ciò che concerne la proposta Preioni, il punto che preme sottolineare a chiusura, e sintesi, di questo contributo, è il seguente: la questione di merito, relativa all’assegnazione dei canoni al VCO (dalla quale dipende il profilo strettamente connesso del conferimento delle ‘ulteriori funzioni’)52 deve essere affrontata con soluzioni di metodo.

Una prima indicazione proviene dal CAL che, nel deliberato del 5 febbraio scorso, aveva già sollevato la necessità di anteporre all’approvazione di quest’ultima un attento approfondimento sul tema dell’autonomia differenziata, che tenga in considerazione le istanze di tutte le realtà territoriali e del ruolo degli Enti locali, attraverso l’istituzione di un tavolo di lavoro regionale sul tema.

La necessità di una sede di concertazione e sintesi tra gli interessi in gioco è stata ripresa, come visto, anche nel successivo parere del 10 marzo sul D.D.L. 87, sul tema degli utilizzi dei canoni derivanti dalle concessioni. In questa occasione si potrebbero stabilire criteri condivisi di riparto ponderati su parametri oggettivi, come la popolazione e la specificità territoriale di ciascun ente, e meccanismi di compensazione per i territori che presentano un minor numero di impianti per la produzione di energia idroelettrica.

 

1 Dottorando di ricerca in Autonomie, Servizi, Diritti nell’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”.

 

2 Il territorio, acquisito durante il regno di Vittorio Amedeo II, rimase sotto la casata Savoia anche durante la dominazione napoleonica, fino all’unificazione del Regno d’Italia. Per un approfondimento storico si consiglia la lettura di E. Rizzi, Storia dell’Ossola, Grossi, 2014.

 

3 Nel 2007 si sono unite anche la Province di Lecco e Novara. Tale associazione trova un suo fondamento giuridico a livello europeo nella Convenzione-quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività e autorità territoriali, adottata a Madrid nel 1980 nell’ambito del Consiglio d’Europa. Essa tende ad incoraggiare ed agevolare la conclusione di Accordi tra Regioni e Comuni, al di qua ed al di là delle frontiere, interessanti lo sviluppo regionale, la protezione dell’ambiente, il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi pubblici, inclusa la creazione di associazioni o consorzi di comunità transfrontaliere. Testo consultabile sul sito istituzionale del Consiglio d’Europa, all’indirizzo www.coe.int/

 

4 Parlo della scelta di distaccare o meno il VCO dalla sua odierna collocazione geo-politica, sulla base di argomentazioni più o meno identitarie, delle quali si è voluto solo fare qualche cenno, utile per comprendere come la tematica del presente contributo affondi le radici in un retroterra socio-culturale.

 

5 È sufficiente passare in rassegna cronache e dichiarazioni di rappresentanti locali per comprendere come il problema dell’autonomia fosse legato a doppio filo con la questione del trasferimento dei proventi dei canoni idrici.

 

6 Si veda M. Cavino, Il referendum per il distacco dal Piemonte della Provincia del VCO, in Le Regioni, fascc.5-6, pag. 1214, contributo nel quale l’Autore esamina l’iniziativa referendaria, sotto tre diversi, ma interconnessi, profili costituiti: dalle ragioni che ne hanno fondato la proposizione, dai vincoli al Governo, Parlamento e Consigli regionali e dalle possibili implicazioni sull’ordinamento regionale e nazionale.

 

7 Nei medesimi termini è intervenuta la Regione Veneto che, con la L.R. n. 3 del 2006, ha trasferito alla Provincia di Belluno le funzioni di gestione del demanio idrico e dell’introito dei canoni ricavati all’utilizzazione del demanio stesso (art. 3).

 

8 L.R. n. 44 del 2000, art. 55, lett. f).

 

9 L.R. n. 10 del 2009, art. 6.

 

10 Ricordiamo che il quorum stabilito dall’art. 45 è rappresentato dalla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei Comuni nei quali è stato indetto il referendum (alla consultazione si è presentato al voto appena il 33% degli aventi diritto). Di conseguenza, la stessa proposta non potrà essere ripresentata se non dopo il decorso di cinque anni, ai sensi del secondo comma del medesimo articolo.

 

11 L’iter amministrativo si è concluso con l’approvazione da parte della Giunta regionale della delibera avente per oggetto ‘Bilancio di previsione finanziario 2019 – 21. “prelievo dal “Fondo contenzioso “, dell’importo di euro 9 milioni, per la transazione della vertenza giudiziaria Regione Piemonte/Provincia del VCO, ai sensi dell’art. 8 della LR 09.2019 e contestuale prelievo dal Fondo di Riserva di cassa di cui al capitolo di spesa 197396/2019 (art. 48 del D. Lgs. 118/2011)’.

 

12 Nello specifico, la Regione Piemonte si è impegnata a corrispondere alla Provincia del VCO la somma forfetaria di 9 milioni di euro, che si aggiunge per gli anni dal 2015 al 2017 al contributo erogato ex art. 24, co. 4, L.R. n. 23 del 2015 (vedi nota successiva), così da traguardare i trasferimenti previsti per ognuno degli anni in considerazione (quindi 2015-2016-2017) all’importo stanziato per l’anno 2018 (4 milioni), nonché a quello previsto per l’annualità 2019 e seguenti (4 milioni) dall’art. 10 della L.R. n. 9 del 2019.

 

13 L’art. 10 della legge regionale n. 9 del 2019 ha previsto la stabilizzazione del contributo ex art. 24, co. 4, L.R. n. 23 del 2015 a favore della Provincia del Verbano Cusio Ossola nell’importo, appunto, di 4 milioni annui.

 

14 La concessione è caratterizzata da un contenuto discrezionale di duplice natura: un primo aspetto costitutivo, di impronta unilaterale ed autoritativa, correlato dalla messa a disposizione del bene dal pubblico potere all’operatore privato, mentre il secondo aspetto si lega alla previsione di un fascio di diritti ed obblighi reciproci, che le parti assumono l’una nei confronti dell’altra, inquadrabile entro una fattispecie negoziale bilaterale. Per tale motivo si parla generalmente di concessione-contratto. Per la ricostruzione della natura giuridica dell’atto in questione si rimanda alla lettura di Corte di Cassazione, Sez. Un., 24 maggio 2007, n. 12065.

 

15 Il Codice civile, come noto, disciplina il c.d. demanio idrico all’art. 822, co.1, stabilendo che appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia. I beni indicati in questo comma appartengono al demanio necessario (detto anche naturale), in quanto beni che per la loro naturale attitudine a soddisfare interessi pubblici non possono che essere di proprietà dello Stato. Tale disposizione è stata ripresa dal Codice dell’ambiente (D. Lgs. n. 152/2006), il quale prevede, art. 144, che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengano al demanio dello Stato.

 

16 Come evidenziato dalla migliore dottrina, M.S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1977, pagg. 24 ss.

 

17 Art. 6 del T.U., non modificato, per questo aspetto, dall’intervento di riordino in materia di concessione di acque pubbliche operato dall’art. 1 del D. Lgs. n. 275 del 1993.

 

18 Occorre ricordare che il termine ultimo per l’adozione, a livello regionale, di tale disciplina è stato recentemente prorogato dall’articolo 125-bis del D.L. n. 18 del 2020 (convertito con modificazioni nella legge n. 27 del 2020), dal 31 marzo 2020 al 31 ottobre 2020, in relazione allo stato d’emergenza dichiarato a seguito della diffusione epidemiologica COVID-19. Per le Regioni interessate dalle elezioni regionali del 2020, detta norma proroga ulteriormente il termine del 31 ottobre 2020 di 7 mesi, decorrenti dalla data di insediamento del nuovo Consiglio regionale.

 

19 La disciplina di riforma della materia è contenuta nell’art. 11-quater del Decreto in oggetto.

 

20 Le leggi regionali dovranno, in particolare, prevedere i seguenti requisiti minimi: ai fini della dimostrazione di adeguata capacità organizzativa e tecnica del concessionario, l’attestazione da parte dei partecipanti di avvenuta gestione, per un periodo di almeno 5 anni, di impianti idroelettrici aventi una potenza nominale media pari ad almeno 3 MW; ai fini della dimostrazione di adeguata capacità economica, la referenza di due istituiti di credito o società di servizi iscritte nell’elenco generale degli intermediari finanziari che attestino che il partecipante ha la possibilità di accedere al credito per un importo almeno pari a quello del progetto proposto nella procedura di assegnazione; i termini di durata delle nuove concessioni, compresi tra 20 e 40 anni, con la possibilità di incremento degli stessi fino ad un massimo di 10 anni, in relazione alla complessità dello proposta progettuale presentata e all’importo dell’investimento gli obblighi o le limitazioni gestionali, subordinatamente ai quali sono ammissibili i progetti di sfruttamento e utilizzo delle opere e delle acque, compresa la possibilità di utilizzare l’acqua invasata per scopi idroelettrici per fronteggiare situazioni di crisi idrica o per la laminazione delle piene; i miglioramenti minimi in termini energetici, di potenza di generazione e di producibilità da raggiungere nel complesso delle opere di derivazione, adduzione, regolazione e condotta dell’acqua e degli impianti di generazione, trasformazione e connessione elettrica con riferimento agli obiettivi strategici nazionali in materia di sicurezza energetica e fonti energetiche rinnovabili; i livelli minimi in termini di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza, in coerenza con gli strumenti di pianificazione a scala di distretto idrografico in attuazione della direttiva 2000/60/UE, determinando obbligatoriamente una quota degli introiti derivanti dall’assegnazione, da destinare al finanziamento delle misure dei Piani di gestione distrettuali o dei piani di tutela finalizzate alla tutela e al ripristino ambientale dei corpi idrici interessati dalla derivazione; le misure di compensazione ambientale e territoriale, anche a carattere finanziario, da destinarsi ai territori dei Comuni interessati dalla presenza delle opere e della derivazione compresi tra i punti di presa e di restituzione delle acque, garantendo l’equilibrio economico finanziario del progetto di concessione; le modalità di valutazione, da parte dell’amministrazione competente, dei progetti presentati in esito alle procedure di assegnazione, che avverrà nell’ambito di un procedimento unico ai fini della selezione delle proposte progettuali presentate, che tiene luogo della verifica o valutazione di impatto ambientale, della valutazione di incidenza nei confronti dei siti di importanza comunitaria interessati, nonché dell’autorizzazione paesaggistica, nonché di ogni altro atto di assenso, concessione, permesso, licenza o autorizzazione, comunque denominato, previsto dalla normativa nazionale, regionale o locale.

 

21 La procedura di infrazione è stata consultata sul sito della Camera dei Deputati all’indirizzo https://www.camera.it/leg17/168 (XVII Legislatura – Disegni Di Legge e Relazioni – Documenti – Doc. LXXIII, n. 5, pag. 145).

 

22 Si veda la risposta all’interrogazione a risposta scritta Sut, 5-03627, consultabile sul sito della Camera dei Deputati all’indirizzo www.camera.it (XVIII legislatura – atti di controllo e di indirizzo- Seduta n. 307 del 19 febbraio 2020).

 

23 Diamo qui conto, in sintesi, dei più importanti interventi in materia, alcuni dei quali sono già stati citati in precedenza. Il T.U. delle acque stabilisce, all’art. 35, il principio in base al quale le utenze di acqua pubblica sono sottoposte al pagamento di un canone annuo, ancorato, per quel che qui rileva, a ogni kilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta. L’art. 18 della L. n. 36 del 1994 (Disposizioni in materia di risorse idriche), ha stabilito che i canoni relativi alle utenze di acqua pubblica costituiscono il corrispettivo per gli usi delle acque prelevate e ne ha fissato l’importo in relazione ai diversi usi. Per quel che concerne le concessioni di derivazione ad uso idroelettrico, ne aveva determinato il canone, per ogni kilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta (circa 20000 lire). Con il D. Lgs. n. 112 del 1998 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti locali, in attuazione del capo I della L. n. 59 del 1997), è stata conferita alle Regioni competenti per territorio l’intera gestione del demanio idrico (art. 86), specificando che detta gestione comprendeva, tra le altre, le funzioni amministrative relative alla determinazione dei canoni di concessione e all’introito dei relativi proventi (art. 88). Nel conferire tali funzioni, il citato decreto aveva peraltro fatto temporaneamente salva la competenza dello Stato in materia di grandi derivazioni, prevedendo che, fino all’entrata in vigore delle norme di recepimento della direttiva 96/92/CE (recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) le concessioni fossero rilasciate dallo Stato d’intesa con la Regione interessata ovvero, in caso di mancata intesa, nel termine di sessanta giorni. Successivamente, con il D. Lgs. n. 79 del 1999 è stata data attuazione alla predetta direttiva e si è pertanto realizzata la condizione cui la sopracitata disposizione subordinava il trasferimento delle competenze alle Regioni. L’art. 12, co. 11 prevedeva, inoltre, che con altro decreto legislativo sarebbero state stabilite le modalità per la fissazione dei canoni demaniali di concessione. Come abbiamo detto pocanzi, con la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione è stata attribuita alle Regioni ordinarie, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, la competenza legislativa concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Infine, è intervenuto l’art. 37, co. 7, del D.L. n. 83 del 2012.

 

24 C. Mainardis, Canoni idroelettrici e riparto di competenze: l’inerzia statale non (sempre) paralizza l’attività regionale, in Le regioni, fascc. 1-2/2017, gennaio-aprile, pag. 2, al quale si rimanda per una puntuale analisi dello status quo ante.

 

25 In tal senso si legga la fondamentale Corte cost. 7 luglio 2016, n. 158. La Corte ha, tuttavia, precisato in questa sede che le Regioni avessero l’onere, nel rispetto del principio di leale collaborazione, di adeguarsi ai criteri generali, una volta che essi fossero stabiliti dal D.M.; come peraltro riconosceva pienamente la stessa Regione Piemonte nell’atto di costituzione in giudizio.

 

26 Si rimanda alla Nota 21.

 

27 Si vedano la già citata Corte cost. 26 marzo 2014, n. 64 e la successiva Corte cost.16 aprile 2014, n. 85.

 

28 Le due principali pronunce sul punto rimangono Corte cost. 18 gennaio 2008, n.1 e Corte cost. 13 luglio 2011, n. 205.

 

29 Tale principio, affermato dalla Consulta in Corte cost. 16 aprile 2014, n. 85, è stato ribadito a più riprese dalla successiva giurisprudenza costituzionale. In tal senso si veda Corte cost. 3 marzo 2016, n. 185, proprio in riferimento ad una disposizione legislativa della Regione Piemonte in materia di canoni idrici (l’art. 7 della legge Regione Piemonte n. 22 del 2014 recante disposizioni urgenti in materia fiscale e tributaria) e Corte cost. 10 gennaio 2017, n. 59.

 

30 Corte cost. 7 luglio 2016, n. 158.

 

31 Corte cost.16 aprile 2014, n. 85.

 

32 Nel regime antecedente l’introduzione del nuovo decreto, tali principi erano stati desunti dal Giudice dalle leggi dall’art. 37 co. 7. del D.L. n. 83 del 2012, pur, come già evidenziato, nella sua perdurante inattuazione. Tale disposizione, al fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale delle attività di generazione idroelettrica e parità di trattamento tra gli operatori economici, demandava ad un decreto del Ministero dello sviluppo l’individuazione di criteri generali per la determinazione, secondo principi di economicità e ragionevolezza, da parte delle Regioni, di valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico.

 

33 Sempre nelle more dei nuovi criteri generali di cui all’art. 37 co. 7 citato la Corte costituzionale (C. Cost. 10 gennaio 2017, n. 59) ha desunto tale criterio dagli artt. artt. 6 e 35 del T.U. sulle acque e impianti elettrici.

 

34 Sulla base del rapporto fra la produzione dell’impianto, al netto dell’energia fornita alla regione, ed il prezzo zonale dell’energia elettrica.

 

35 Deliberazione ARERA n. 490 del 26 novembre 2019.

 

36 Ricordiamo qui le fondamentali sentenze Corte cost. n. 272 del 2004 e Corte cost. n. 452 del 2007.

 

37 In ordine a tali preoccupazioni il CAL ha proposto lo stralcio dell’inciso in questione. Il parere del CAL rilasciato nella seduta del 10 marzo scorso può essere consultato così come quello reso sulla proposta di legge Preioni, cui si farà cenno, sul sito del Consiglio regionale del Piemonte all’indirizzo www.cr.piemonte.it/web/assemblea/organi-istituzionali/consiglio-autonomie-locali/attivita.

 

38 Tale atto segna il punto centrale dell’avvio della procedura di gara, tanto è vero che l’art. 6, co. 5 ne sanziona la mancata presentazione con l’esclusione dalla partecipazione alla relativa procedura di gara.

 

39 Disposizione che si applica anche ai casi di decadenza, rinuncia e revoca del provvedimento concessorio.

 

40 Con particolare riguardo a quanto dispone l’art. 89, co. 1, lett. I), che ha attribuito alle Regioni la gestione del demanio idrico, ivi comprese tutte le funzioni amministrative relative alle derivazioni di acqua pubblica, alla ricerca, estrazione e utilizzazione delle acque sotterranee, alla tutela del sistema idrico sotterraneo nonché – punto che qui interessa maggiormente – alla determinazione dei canoni di concessione e all’introito dei relativi proventi.

 

41 Ciòin applicazione della L. n. 131 del 2003, c.d. Legge La Loggia, a norma della quale il Ministero delle infrastrutture esercita in tal caso un potere sostitutivo; disposizione (art. 8) che è stata replicata nel decreto in commento.

 

42 L’unica disposizione sul punto riguarda l’indicizzazione della componente fissa del canone che varia proporzionalmente alle variazioni, non inferiori al 5 %, dell’indice ISTAT relativo al prezzo industriale per la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia elettrica (art. 21).

 

43 Letteralmente dal testo del parere del CAL sul D.D.L. 87.

 

44 Il complesso normativo derivante dagli interventi statali e regionali si pone nell’alveo dell’art. 44 Cost, il quale, come noto, attraverso una riserva di legge, prevede la tutela delle zone montane, allo scopo di fronteggiare la tendenziale situazione di disagio che le caratterizza.

 

45 Per chiarire meglio la portata del problema, occorre soffermarsi sugli importi stanziati dalla Regione nel bilancio di previsione 2018-2020. I 17 milioni che la proposta Preioni vorrebbe destinare al VCO sono ad oggi iscritti alla voce ‘missione 18 – programma 01’, che presenta una capienza di circa 22 milioni. Detto trasferimento andrebbe ad assorbire la quasi totalità delle risorse che – ed è qui il punto conflittuale – sono assegnate a tutte le Province piemontesi (13 milioni per spese di personale e di funzionamento), ai Comuni associati (circa 2 milioni) e alla Città metropolitana di Torino (per ulteriori 2 milioni di euro). È quindi di tutta evidenza che, se la proposta di legge venisse approvata sulla base di questi importi e senza nuovi stanziamenti da parte della Regione, vi sarebbe una drastica riduzione delle risorse destinate alle altre Province.

 

46 Le memorie depositate dall’Anci, dalle altre associazioni di categoria e dalle Province sono consultabili sulla banca dati del Consiglio regionale.

 

47 Letteralmente dal parere del CAL reso nella seduta del 5 febbraio.

 

48 Ricordiamo che l’art. 1, co. 85 della Legge Delrio prevede che gli enti con funzioni di area vasta esercitino le seguenti funzioni fondamentali: pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza; pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; gestione dell’edilizia scolastica; controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale. Il successivo comma 86 conferisce ulteriori funzioni fondamentali alle Province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri. Si tratta della cura dello sviluppo strategico del territorio e gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo, nonché della cura delle relazioni istituzionali con Province, Province autonome, Regioni, Regioni a statuto speciale ed enti territoriali di altri Stati, con esse confinanti e il cui territorio abbia caratteristiche montane, anche stipulando accordi e convenzioni con gli enti predetti.

 

49 Alle quali vanno aggiunte le ‘disposizioni particolari’ che leggi regionali di settore prevedono, in ragione della specificità della Provincia del VCO, nei seguenti ambiti di materia: governo del territorio; risorse energetiche; miniere, acque minerali e termali, cave e torbiere; viabilità e trasporti; foreste, caccia e pesca, agricoltura e alpicoltura; sostegno e promozione delle attività economiche; valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, promozione ed organizzazione di attività culturali; istruzione e formazione professionale; usi civici; turismo ed industria alberghiera; aree sciabili attrezzate e professioni sportive inerenti alla montagna (art. 2).

 

50 Oltre ai profili inerenti alla lesione della sfera di competenza regionale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», sui quali ci si è soffermati nel Par. 3, la Corte, accogliendo il ricorso in via diretta depositato dalla Regione Toscana il 17 aprile 2019, ha ritenuto, altresì, la violazione degli artt. 118 e 119 Cost., posto che «dall’applicazione delle norme impugnate risulterebbero più che dimezzati gli introiti derivanti dalle concessioni in esame», ciò che rende «credibile il pregiudizio per il pieno e corretto esercizio delle funzioni amministrative regionali in materia».

 

51 Si tratta, nello specifico: dell’art. 2 in materia di regime delle opere e dei beni; dell’art. 4, co. 2, che, nel caso di grandi derivazioni che prelevano acqua da corpi idrici che fungono da confine con altra Regione o che interessano anche il territorio di altre Regioni, attribuisce alla Giunta regionale la stipulazione di intese con la Regione o Provincia autonoma confinante per definire i rapporti necessari a procedere all’assegnazione della concessione per l’utilizzo delle acque e delle opere acquisite nelle rispettive proprietà; dell’art. 10 relativo alle procedure di assegnazione delle concessioni; dell’art. 11, sull’indizione delle procedure di assegnazione; dell’art. 12, co. 4, che attribuisce alla Giunta regionale la definizione dei requisiti di ammissione alle procedure di assegnazione; dell’art. 13, che stabilisce i contenuti del bando; dell’art. 15, co. 1, nella parte in cui prevede che spetti alla Giunta regionale la fissazione di specifici obblighi e limitazioni gestionali ai quali possono essere soggetti i progetti di utilizzo delle opere e delle acque; infine, dell’art. 17, co. 1 che attribuisce alla Giunta il potere di definire gli obiettivi minimi da conseguire mediante interventi di conservazione, miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza, finalizzati alla tutela dei corpi idrici e alla mitigazione degli impatti sull’ambiente. Disposizioni replicate dal D.D.L. 87 presentato dalla Giunta regionale del Piemonte lo scorso 3 marzo.

 

52 Per ciò che concerne il conferimento delle ‘ulteriori funzioni’ pare quantomeno opportuno prevedere un passaggio della proposta nel ricostituito Osservatorio regionale in materia di riordino delle funzioni dei compiti amministrativi degli enti locali.