La “sanatoria giurisprudenziale” degli abusi edilizi

Pierluigi Monetto1

Sommario: 1. Il caso – 2. Le origini della cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale” – 3. “Sanatoria giurisprudenziale” e Testo Unico dell’Edilizia – 4. Sintesi degli argomenti contrari e favorevoli alla “sanatoria giurisprudenziale” – 5. La natura della “sanatoria giurisprudenziale” – 6. Conclusioni.

 

(ABSTRACT)

Il contributo, prendendo spunto dalla pronuncia della Consiglio di Stato, sezione V, 11 giugno 2013, n. 3220, affronta la questione dell’ammissibilità – nel vigente quadro normativo disciplinante i poteri pubblici in materia urbanistica ed edilizia – della forma di regolarizzazione successiva atipica degli illeciti edilizi nota come “sanatoria giurisprudenziale”.

L’esame della citata sentenza fornisce l’occasione per analizzare l’evoluzione della giurisprudenza sul punto, sino alle ultime pronunce, anche successive a quella annotata.

Nelle più recenti decisioni del Consiglio di Stato prevale l’indirizzo contrario alla “sanatoria giurisprudenziale”, fondato principalmente sull’assunto per cui qualsivoglia forma di regolarizzazione atipica degli abusi edilizi sarebbe esclusa dalla formulazione testuale contenuta nell’art. 36 del DPR 380/2001 (e, in precedenza, nell’art. 13 della L. 47/1985). Secondo tale orientamento, la sanatoria, lungi dal rappresentare un principio generale dell’azione amministrativa, costituirebbe un istituto di carattere eccezionale, soggetto a esegesi restrittiva; inoltre, i principi di proporzionalità e buon andamento della P.A. dovrebbero cedere di fronte a quello di legalità, che non consentirebbe la legittimazione di situazioni antigiuridiche al di fuori dei casi tassativamente contemplati.

In realtà tale tesi – ai fini amministrativi – non convince: appare difficile superare l’obiezione dell’irragionevolezza di un ordine con il quale la P.A. imponga, oggi, la demolizione di un manufatto avente caratteristiche tali da poter legittimare, immediatamente dopo la rimozione, il rilascio di un permesso di costruire per quello stesso (identico) immobile. D’altronde, la stessa giurisprudenza penale della Corte di Cassazione non nega cittadinanza all’istituto della “sanatoria atipica”, rilevando come la stessa possa avere esclusivamente effetti sul piano amministrativo, pur non essendo idonea – a differenza dell’accertamento di conformità disciplinato dall’art. 36 del DPR 380/2001 – a estinguere i reati contravvenzionali ex art. 44 del DPR 380/2001.

 

1. Il caso.

Il Comune di San Mauro Pascoli respingeva un’istanza di accertamento di conformità edilizia in quanto la richiesta del privato aveva ad oggetto opere conformi alla disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della richiesta di sanatoria, ma non conformi alla disciplina vigente all’epoca della commissione dell’abuso: mancava, cioè, la “doppia conformità” richiesta dall’art. 36 del DPR 380/2001 (in precedenza, dall’art. 13 della L. 47/1985).

In seguito a ricorso giurisdizionale, tanto il Tribunale amministrativo regionale quanto il Consiglio di Stato confermavano la legittimità del provvedimento comunale di diniego, affermando che l’art. 36 del DPR 380/2001 consente la “sanatoria” dei soli abusi edilizi conformi agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della realizzazione dell’opera sia al momento della presentazione della domanda di accertamento di conformità: secondo i giudici di primo e secondo grado, la citata disposizione di legge non ammette la sanatoria delle opere conformi soltanto alla disciplina vigente al momento in cui il Comune è chiamato a pronunciarsi sull’istanza (ma non alla disciplina vigente al momento della commissione degli abusi).

In particolare, il giudice d’appello ha così statuito: «Ai sensi dell’art. 36 del DPR 6 giugno 2001 n. 380, in caso d’interventi realizzati in assenza di permesso di costruire il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria alla condizione che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della sua realizzazione sia della presentazione della domanda. L’art. 36 del DPR 380/2001 conferma l’insussistenza dell’istituto d’origine pretoria denominato “sanatoria giurisprudenziale”.

Conseguentemente, da tale norma non è ricavabile alcun diritto a ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi esclusivamente alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria».

La sentenza in esame, quindi, aderisce all’orientamento giurisprudenziale (che negli ultimi anni appare decisamente maggioritario) contrario alla cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale”, cioè all’istituto di origine pretoria che ammette – anche in assenza della “doppia conformità” richiesta dall’art. 36 del DPR 380/2001 – la legittimazione postuma delle opere edilizie eseguite senza titolo abilitativo o in difformità dal medesimo, purché esse siano conformi alla disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento il cui la P.A. è chiamata a rilasciare il permesso in sanatoria.

La decisione offre dunque lo spunto per esaminare il tema dell’ammissibilità, nel vigente quadro normativo disciplinante i poteri pubblici in materia di urbanistica ed edilizia, della forma di regolarizzazione successiva atipica degli illeciti edilizi nota come “sanatoria giurisprudenziale”.

 

2. Le origini della cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale”.

2.1. L’ordinamento giuridico conosce, attualmente, due ipotesi di sanatoria degli abusi edilizi: una sanatoria di carattere straordinario (comunemente definita “condono edilizio”, introdotta per la prima volta dagli artt. 31 e ss. della L. 47/1985 e, successivamente, dalla L. 724/1994 e dalla L. 326/2003) e una sanatoria ordinaria (“a regime”), definita “accertamento di conformità”, introdotta dall’art. 13 della L. 47/1985 e oggi prevista dall’art. 36 del DPR 380/2001.

Condizione della sanatoria ordinaria, desumibile dal testo dell’art. 36 del DPR 380/2001 (e, in precedenza, da quello dell’art. 13 della L. 47/1985) è che l’opera realizzata in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, sia conforme tanto alle norme vigenti al momento della sua realizzazione quanto a quelle vigenti alla presentazione della domanda di regolarizzazione. Il rilascio del permesso in sanatoria – subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia – produce effetti amministrativi (costituiti dalla piena regolarizzazione della costruzione originariamente illegittima) ed effetti penali (rappresentati dall’estinzione dei reati contravvenzionali relativi, come previsto dall’art 45, c. 3, del DPR 380/2001).

La sanatoria per accertamento di conformità (con la sua condizione di “doppia conformità”) ha dunque la funzione di legittimare ex post i soli abusi meramente formali, vale a dire gli interventi che, sin dal momento della loro esecuzione, sarebbero stati ammissibili sotto l’aspetto urbanistico, ma che sono stati effettuati senza il previo rilascio del titolo abilitativo: la sanatoria “a regime” è quindi volta a regolarizzare quelle costruzioni per le quali, sussistendo ogni altro requisito sostanziale di legge o regolamento, manchi soltanto il titolo rappresentativo dell’assenso dell’Amministrazione2.

2.2. Nella normativa precedente alla L. 47/1985 (che nell’art. 13 ha introdotto l’istituto in esame), una sorta di sanatoria edilizia era stata per la prima volta espressamente prevista dall’art. 15 della L. 10/1977 per il caso di annullamento della concessione e d’esecuzione di varianti non previamente autorizzate3.

Era invece controverso se, al di fuori di tale ipotesi, la realizzazione di un’opera priva del titolo abilitativo ma sostanzialmente non contrastante con le norme e le prescrizioni urbanistiche, fosse sanabile con atto successivo. La tesi prevalente era quella di ammettere la sanatoria di ogni opera sostanzialmente conforme alle norme e prescrizioni urbanistiche vigenti al momento della richiesta di sanatoria e, pertanto, affetta soltanto dal vizio formale dell’assenza di concessione, ma priva di oggettivo contrasto con gli strumenti di pianificazione: si riteneva non giustificabile, infatti, che opere sprovviste di licenza o autorizzazione, ma originariamente conformi alla disciplina urbanistica (oppure divenute conformi in seguito, in ragione di strumenti di pianificazione sopravvenuti), fossero colpite dall’ordine di demolizione e, una volta abbattute, potessero esser ricostruite tali e quali4.

In particolare, già nel regime anteriore alla L. 10/1977 (che ha introdotto l’obbligo di concessione edilizia onerosa, in sostituzione della precedente licenza edilizia), il Consiglio di Stato aveva affermato la generale possibilità di sanare gli abusi edilizi che fossero conformi alla disciplina urbanistica vigente all’epoca della concessione in sanatoria5. E successivamente alla menzionata L. 10/1977 (ma precedentemente alla L. 47/1985, che per prima ha introdotto nella legislazione l’istituto della sanatoria-accertamento di conformità) il supremo consesso amministrativo ha più volte ribadito il proprio convincimento6.

2.3. Come già osservato, l’art. 13 della L. 47/1985 ha poi introdotto una disciplina positiva che contempla la possibilità di sanatoria soltanto nei casi di opere conformi tanto alla disciplina vigente al tempo della loro realizzazione, quanto alla disciplina vigente al momento di presentazione della domanda di regolarizzazione: apparentemente, quindi, il Legislatore ha ristretto il raggio d’azione della sanatoria edilizia precedentemente praticata. Secondo un orientamento più rigoroso, la disposizione – pretendendo la cosiddetta “doppia conformità” – avrebbe inteso escludere la possibilità di conseguire la sanatoria in presenza di opere “attualmente” conformi agli strumenti urbanistici, ma non tali rispetto alla disciplina dell’epoca di realizzazione7. Tuttavia, la lettura pura e semplice del citato art. 13 è immediatamente apparsa a molti difficilmente accettabile: infatti, si è subito elevata la convinzione che di tale norma si dovesse dare un’interpretazione ragionata. Soprattutto, nel dibattito si sono fatte strada argomentazioni di carattere pratico ed economico, secondo le quali sarebbe stato illogico e in contrasto con il principio di economicità dell’azione amministrativa negare la concessione in sanatoria in presenza di manufatti realizzati abusivamente, ma che, al momento dell’esame della richiesta di sanatoria, risultavano conformi agli strumenti urbanistici: il diniego di sanatoria avrebbe comportato la preventiva demolizione di un’opera e la possibilità – subito dopo – di ricostruirne una identica8. È così divenuto prevalente l’orientamento favorevole alla sopravvivenza, anche dopo l’entrata in vigore della L. 47/1985, della cosiddetta “sanatoria di ordine generale” (cioè della sanatoria delle opere conformi agli strumenti urbanistici vigenti al momento nella P.A., anche se non conformi a quelli in vigore all’epoca della loro realizzazione) 9. Nell’ambito di tale orientamento, appare molto significativo, anche a distanza di parecchi anni, il pronunciamento della V sezione del supremo consesso amministrativo n. 238/1995: «La concessione in sanatoria è istituto dedotto dai principi generali attinenti al buon andamento e all’economia dell’azione amministrativa, e consiste nell’obbligo di rilasciare la concessione quando sia regolarmente richiesta e conforme alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, anche se l’opera alla quale si riferisce sia già stata realizzata abusivamente; pertanto, tale generale istituto resta fermo anche successivamente alla previsione espressa della concessione in sanatoria di cui all’art. 13 della L. 28 febbraio 1985 n. 47»10.

Per l’opposto orientamento, la peculiare disciplina introdotta dall’art. 13 della L. 47/1985 (confermata dall’art. 36 del DPR 380/2001) impedirebbe di continuare ad applicare la “sanatoria di ordine generale” che la giurisprudenza aveva “creato” nella vigenza della cosiddetta Legge Bucalossi (L. 10/1977), della cosiddetta Legge Ponte (L. 765/1967) e della L.U.F. (L. 1150/1942). L’istituto della sanatoria per accertamento di conformità (derogatorio al principio per il quale i lavori realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure ripristinatorie e sanzionatorie) sarebbe stato introdotto nell’ambito di una revisione complessiva del regime sanzionatorio in materia di abusi edilizi, nel senso di una maggiore severità e con l’intento di consentire la sanatoria degli abusi meramente formali. L’art. 13 della L. 47/1985 non sarebbe quindi suscettibile di applicazione analogica, né dell’interpretazione riduttiva secondo la quale, in contrasto con il tenore letterale della disposizione di legge, basterebbe la conformità delle opere con lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui sia la P.A. debba pronunciarsi sull’istanza11.

2.4. Tutti gli interpreti (sia quelli favorevoli alla “sanatoria giurisprudenziale” sia quelli contrari) sono sempre stati concordi nel ritenere che la sanatoria atipica – a differenza dell’accertamento di conformità ex art. 13 della L. 47/1985 – non avesse efficacia estintiva del reato edilizio: la cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale” vale soltanto a regolarizzare dal punto di vista amministrativo l’intervenuta costruzione (ciò che eminentemente interessa e rileva per la P.A. a tutela del pubblico interesse), ma non elimina le conseguenze penali che sono di stretta competenza dell’autorità giudiziaria12. Peraltro, nell’affermare l’irrilevanza penale dell’istituto in esame, la Suprema Corte di Cassazione ha in più occasioni legittimato la prassi della cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale”, evidenziando che tale regolarizzazione atipica «discende dai principi generali attinenti al buon andamento ed all’economia dell’azione amministrativa» e può dunque trovare spazio nell’ordinamento, benché soltanto sul piano amministrativo.13.

 

3 “Sanatoria giurisprudenziale” e Testo Unico dell’Edilizia.

3.1. Come già rilevato, il DPR 380/2001 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) ha sostanzialmente riproposto, all’art. 36, il testo dell’art. 13 della L. 47/198514.

Nel parere reso sulla proposta di Testo Unico,15 l’Adunanza generale del Consiglio di Stato aveva auspicato la “codificazione” dell’istituto della “sanatoria giurisprudenziale”, evidenziando come nella prassi venisse ritenuto ampiamente superabile il dato letterale che apparentemente imponeva la “doppia conformità” (contenuto nell’art. 13 della L. 47/1985), «ritenendosi illogico ordinare la demolizione di un quid che, allo stato attuale, risulta conforme alla disciplina urbanistica vigente e che, pertanto, potrebbe legittimamente ottenere, a demolizione avvenuta, una nuova concessione»16. In considerazione dell’esistenza di orientamenti contrastanti, tuttavia, il Governo ha ritenuto di non codificare tale previsione, rilevando che il mandato conferito precludeva la possibilità di innovare la disciplina, se non ai limitati fini della riconduzione a unità organica del materiale normativo sparso e in presenza di un “diritto vivente” assolutamente pacifico e consolidato17.

La riproposizione tale e quale del testo previgente ha comportato – nella giurisprudenza amministrativa – una sorta di “presa d’atto” della mancata adesione, da parte del Legislatore delegato, all’auspicio espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva. E così, è stato affermato che «L’art. 36 del T.U. Edilizia non ha recepito, nonostante l’auspicio in tal senso espresso nel parere del 29 marzo 2001 dell’Adunanza generale del Consiglio di Stato, l’orientamento giurisprudenziale affermatosi nel vigore dell’art. 13 della L. 47/1985, il quale consentiva il rilascio della concessione in sanatoria per gli interventi edilizi che fossero conformi alla sola pianificazione in vigore al momento della domanda di sanatoria (cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale”); ne consegue che il permesso di costruire in sanatoria, in quanto provvedimento tipico oggetto di una disciplina puntuale ed esaustiva nell’art. 36 Testo Unico dell’Edilizia, è insuscettibile di ampliamento in via interpretativa, e il suo rilascio postula la conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia a quella in vigore alla data della presentazione della domanda»18. Successive pronunce dei Tribunali amministrativi hanno quindi ripudiato l’istituto in esame19.

L’orientamento favorevole alla “sanatoria atipica”, tuttavia, non è definitivamente venuto meno e diversi giudici di primo grado hanno continuato ad affermare l’ammissibilità della sanatoria di creazione giurisprudenziale20: tale posizione favorevole, fra l’altro, è stata assunta anche da Tribunali amministrativi che in precedenza avevano professato la tesi contraria21. Parimenti, dell’istituto ha continuato a occuparsi la giurisprudenza penale, escludendo che allo stesso possa conseguire l’estinzione dei reati, ma confermandone la legittimità sul piano squisitamente amministrativo22.

3.2. Il Consiglio di Stato ha espresso posizioni non univoche. Accanto a pronunce che – valorizzando il dato testuale della norma e la mancata adesione del Legislatore al sopra descritto auspicio espresso dal supremo consesso in sede consultiva – hanno nettamente escluso la sopravvivenza dell’istituto di origine pretoria23, altre hanno ribadito che la previsione di un accertamento di conformità “tipico” istituito e disciplinato dall’art. 13 della L. 47/1985 (e successivamente dall’art. 36 del T.U. Edilizia), con la richiesta della cosiddetta “doppia conformità”, non osti al permanere di una possibile regolarizzazione, meramente amministrativa, delle costruzioni abusive conformi alla pianificazione vigente, ancorché in contrasto con le previsioni operanti all’epoca della condotta costruttiva24.

I più recenti arresti del supremo consesso amministrativo (fra cui quello in commento) affermano l’inesistenza della “sanatoria giurisprudenziale”, rilevando come la tesi favorevole al riconoscimento dell’istituto (e, quindi, all’introduzione di un atipico atto con effetti provvedimentali, al di fuori di una puntuale previsione normativa) si porrebbe in contrasto con il principio di legalità dell’azione amministrativa e con il carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, oltre che con il dato testuale della norma (tanto dell’attuale art. 36 del DPR 380/2001, quanto del previgente art. 13 della L. 47/1985)25 e osservando, altresì, che il sopravvenire di una nuova disciplina urbanistica non potrebbe spiegare effetto sanante sulle opere abusivamente realizzate26. Si è posta l’attenzione, altresì, sul fatto che l’art. 36 del DPR 380/2001 perseguirebbe l’esigenza di evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post ciò che risulta illecito, oltre a costituire una regola dissuasiva dell’intenzione di commettere un abuso27. Il dato letterale della norma e il principio di legalità costituiscono la base anche delle più recenti decisioni di primo grado che negano cittadinanza all’istituto in esame, nelle quali tuttavia si evidenzia pure la funzione deterrente del regime sanzionatorio edilizio che potrebbe risultare frustrata dall’applicazione generalizzata della sanatoria di origine pretoria28.

Recentemente, sul tema è incidentalmente intervenuta anche la Corte costituzionale: nel negare la legittimità costituzionale di una legge regionale disciplinante la rilevanza della normativa sismica nei procedimenti di sanatoria, la Corte ha affermato che la “doppia conformità” prevista dall’art. 36 del DPR 380/2001 costituirebbe principio fondamentale dell’ordinamento statale29. Peraltro, le affermazioni della Consulta non appaiono decisive ai fini di stabilire se nel nostro ordinamento vi sia spazio, accanto all’accertamento di conformità tipizzato nell’art. 36 del DPR 380/2001, per la “sanatoria giurisprudenziale”: l’indubbia circostanza che soltanto il Legislatore statale possa prevedere i casi in cui sia ammesso il rilascio di un titolo edilizio in sanatoria avente anche rilevanza estintiva del reato già commesso (artt. 45, c. 3, del DPR 380/2001) non esclude che possano esistere forme di regolarizzazione atipica prive d’efficacia estintiva del reato e non inquadrabili nel paradigma delineato dagli artt. 36 e 45 del DPR 380/200130. Inoltre, la legge regionale cassata introduceva la possibilità di ottenere il permesso in sanatoria per opere conformi alla normativa tecnico-sismica operante soltanto al momento della loro realizzazione, e non a quella vigente al momento dell’istanza per ottenere l’accertamento di conformità: l’ipotesi era quindi opposta a quelle prese in considerazione dalla “sanatoria giurisprudenziale”.

 

4. Sintesi degli argomenti contrari e favorevoli alla “sanatoria giurisprudenziale”31

4.1. La sentenza del Consiglio di Stato in commento – al pari della maggioranza della dottrina e della giurisprudenza contrarie all’esistenza di forme di regolarizzazione postuma sui generis – nega cittadinanza all’istituto per la ragione che esso darebbe luogo a un atto atipico con effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione normativa. Il che non potrebbe ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, caratterizzato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, secondo il principio di nominatività. L’art. 13 della L. 47/1985 e l’art. 36 del DPR 380/2001 (non avente, in parte qua, carattere innovativo) avrebbero predisposto una disciplina puntuale ed esaustiva della sanatoria in materia edilizia, tale da non ammettere spazi residui che consentano la sopravvivenza della cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale”: il permesso in sanatoria sarebbe un provvedimento tipico, ammesso esclusivamente entro i limiti delineati dal Legislatore, senza che sia possibile, da parte della P.A., l’esercizio di un potere che vada oltre detti limiti; quindi la norma dettata dall’art. 36 del DPR 380 del 2001 non sarebbe estensibile fuori dai presupposti (la cosiddetta “doppia conformità”) da essa delineati.

Argomentazioni ulteriori (non esposte nella sentenza in esame) che vengono addotte a sfavore dell’istituto sono le seguenti:

– il DPR 380/2001, continuando a postulare l’accertamento di duplice conformità nei termini già divisati dall’art. 13 della L. 47/1985, non ha codificato l’ipotesi di sanatoria di cui si discute, benché la possibilità di riconoscere a livello normativo tale istituto giurisprudenziale (sia pur entro certi limiti) fosse stata espressamente prospettata dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato nel parere all’uopo reso in data 29 marzo 2001; dovrebbe conseguentemente ritenersi che il provvedimento di sanatoria in esito ad accertamento di conformità possa essere rilasciato solo al ricorrere del duplice presupposto richiamato all’art. 36 del DPR 380 del 2001 in materia edilizia32;

– la previsione normativa che impone la “doppia conformità” impedirebbe il rischio di eventuali pratiche di salvataggio in sede locale di forme di abusivismo edilizio mediante modifiche a posteriori dello strumento urbanistico, magari tramite variazioni ad personam del piano regolatore, indotte dalla vicinanza degli organi comunali agli interessi dei privati che operano sul territorio33;

– l’accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 380/2001 sarebbe istituto di natura speciale e derogatoria, insuscettibile d’applicazione analogica34;

– il sopravvenire di una nuova disciplina urbanistica, non avendo effetto retroattivo, non potrebbe ex se dispiegare effetto sanante su abusi già perpetrati35;

– dare spazio all’istituto della “sanatoria giurisprudenziale” significherebbe premiare gli autori di abusi edilizi sostanziali, in violazione del principio d’imparzialità dell’azione amministrativa, attenuando la forza deterrente dell’apparato sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo del territorio36.

4.2. A favore dell’istituto si afferma, anzitutto, che l’art. 36 del DPR 380/2001 e l’art. 13 della L. 47/1985 (richiedenti, per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione, che le stesse siano conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell’opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria) sarebbero disposizioni contro l’inerzia dell’Amministrazione, e significherebbero che, ove sussista la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non possa essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda. Tale regola non precluderebbe, comunque, il diritto a ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria37.

Soprattutto, però, l’orientamento che riconosce la sanatoria giurisprudenziale si basa sull’argomento secondo cui non avrebbe senso dar corso alla demolizione di un’opera che, un istante dopo, potrebbe essere nuovamente autorizzata con identiche caratteristiche38. La demolizione comporterebbe un’inutile distruzione di ricchezza, mentre discende dai principi generali attinenti al buon andamento e all’economicità dell’azione amministrativa l’esigenza di conservazione dei valori giuridici ed economico-sociali39. Si invoca anche la necessità che l’interpretazione e l’applicazione delle norme di carattere amministrativo sia ispirata dai criteri di economicità ed efficacia, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario, come oggi sancito dall’art. 1, c. 1, della L. 241/1990 s.m.i.: in virtù dei richiamati canoni del diritto comunitario, l’azione amministrativa è retta anche dal principio di proporzionalità, in forza del quale il perseguimento del pubblico interesse deve comporTare il minor sacrificio possibile dell’interesse privato.

4.3. Secondo un condivisibile orientamento, nemmeno l’esercizio del potere sanzionatorio edilizio si sottrarrebbe all’applicazione del principio di proporzionalità40.

Senza dilungarsi eccessivamente sul tema, è opportuno a questo punto ricordare che (specialmente in materia edilizia) l’ordinamento conosce sanzioni amministrative cosiddette “afflittive”, accanto a sanzioni cosiddette “ripristinatorie”.

Le prime (dette anche “retributive”) sono dirette a punire il trasgressore, soprattutto con fini di prevenzione speciale e generale, per una condotta illecita: ad esempio, in campo edilizio, hanno certamente natura meramente “afflittiva” le sanzioni di cui all’art. 6, c. 7, all’art. 24, c. 3, e all’art. 42, c. 2 del DPR 380/2001, che puniscono un ritardo, una condotta omissiva, una dimenticanza41. Si ritiene, altresì, che abbia natura “afflittiva” la misura pecuniaria prevista dall’art. 167, c. 5, del D. lgs. 42/2004 per la realizzazione di opere prive di autorizzazione paesaggistica, ma sostanzialmente compatibili con il paesaggio: in questo caso la norma sanziona il comportamento del trasgressore che ha posto in essere trasformazioni dello stato dei luoghi (di per sé non contrastanti con i valori paesaggistici) in assenza della prescritta autorizzazione42.

Le seconde (“ripristinatorie”, o anche “riparatorie”), pur consistendo nell’inflizione di un male in risposta alla violazione di un precetto giuridico, mirano principalmente a restaurare lo stato di fatto o di diritto preesistente all’illecito: certamente appartengono a questa categoria i vari ordini di demolizione previsti dagli artt. 31 e ss. del DPR 380/2001, ma anche le misure pecuniarie sostitutive della demolizione previste per gli abusi edilizi dagli artt. 33 e 34 del DPR 380/2001 per le ipotesi in cui il ripristino non sia possibile (l’opera contrasta con la disciplina urbanistica, tuttavia la demolizione non è possibile per ragioni tecniche: tali sanzioni “sostitutive” hanno comunque natura “ripristinatoria” e non meramente “afflittiva”, tant’è che talvolta si parla di “demolizione per equivalente”)43. Tornando all’esempio che precede circa le sanzioni paesaggistiche, se l’opera realizzata in assenza di autorizzazione paesaggistica è incompatibile con il paesaggio l’unica misura ammessa dall’art. 167 del D. lgs. 42/2004 è l’ordine di demolizione, che ha in tal caso natura di sanzione “ripristinatoria”: il fine è quello di restaurare – di fatto – l’ordine giuridico violato.

Le sanzioni ripristinatorie si possono dal canto loro iscrivere solo in un’ampia e discussa nozione di sanzione amministrativa, intendendo quest’ultima quale generica reazione della P.A. alla violazione di un precetto: in tali fattispecie il momento sanzionatorio è orientato, attraverso la riparazione in forma specifica, a reintegrare l’interesse pubblico e l’ordine giuridico violato44. L’esercizio del potere pubblico è volto in primis a reintegrare in via immediata e diretta la lesione arrecata all’interesse pubblico dalla perpetrata violazione: il provvedimento amministrativo è fonte, per il suo destinatario, di conseguenze pregiudizievoli o afflittive, ma queste non sono mai lo scopo o la causa dell’esercizio del potere, bensì la conseguenza indiretta di un atto che ha come obiettivo principale la cura di un interesse pubblico determinato. Si ritiene che questi atti non siano propriamente delle sanzioni, ma comuni provvedimenti amministrativi, e che l’effetto afflittivo che il privato subisce sia soltanto la conseguenza indiretta della realizzazione dell’interesse pubblico che viene, attraverso il provvedimento, ripristinato (si pensi all’ordine di demolizione di un immobile abusivo, ma anche alle misure interdittive adottate nei confronti di chi, ad esempio, non ha più i requisiti per svolgere una determinata attività)45.

Considerata la natura di questi provvedimenti sanzionatori-ripristinatori, l’Amministrazione che li adotta è chiamata a effettuare una ponderazione tra interessi, ossia tra l’interesse pubblico al raggiungimento dello scopo (ripristino della situazione violata) e l’interesse del privato a subire il pregiudizio minore possibile46.

D’altra parte, nella materia edilizia si afferma da tempo che – pur essendo l’ingiunzione di demolizione, in linea di massima, un atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell’opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso – il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, che abbiano ingenerato una posizione di affidamento nel privato, impongono un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse (evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità) idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato47. Coerentemente, si è ritenuto che l’ordine di demolizione dell’opera edilizia abusivamente realizzata (in quanto provvedimento di carattere non sanzionatorio ma ripristinatorio) soggiacia ai principi generali dell’azione amministrativa e non a quelli, speciali, dei provvedimenti sanzionatori amministrativi: conseguentemente, in particolari situazioni, la possibilità di esercitare il potere amministrativo di ripristino non deve essere valutata esclusivamente alla stregua della permanenza dell’illecito, ma sulla base dei principi di proporzionalità e buon andamento. Il che, ad esempio, porta a escludere che un intervento edilizio realizzato molti anni prima possa formare oggetto di un’ingiunzione di demolizione per una generica esigenza di ripristino edilizio e urbanistico48.

A maggior ragione, come attenta giurisprudenza ha rilevato, deve ritenersi che urti con i principi di proporzionalità e buon andamento l’ordine di demolizione di opere che – pur contrastanti con la disciplina urbanistico-edilizia dell’epoca di realizzazione – siano conformi all’attuale strumentazione urbanistica e non concretino alcuna permanenza sostanziale dell’illecito49. Non pare, quindi, che ripudiare l’istituto della “sanatoria giurisprudenziale” possa realmente avere un effetto dissuasivo dell’intenzione di commettere un abuso (effetto che si avrebbe perché chi costruisce sine titulo saprebbe comunque, sin dall’inizio, che dovrà disporre la demolizione quand’anche sopraggiungesse una modifica favorevole dello strumento urbanistico)50: come sopra evidenziato, l’ordine di demolizione di un manufatto divenuto conforme alla disciplina urbanistico-edilizia – e quindi ricostruibile subito dopo esser stato rimosso – si porrebbe in contrasto con i principi di proporzionalità e buon andamento dell’azione amministrativa e potrebbe conseguentemente esser ritenuto affetto da illegittimità.

 

5. La natura della “sanatoria giurisprudenziale”.

5.1. Le più chiare argomentazioni tratteggianti la natura dell’istituto in esame appaiono, ancora oggi, quelle sintetizzate nell’importante decisione del Consiglio di Stato n. 238/199551:

– la “sanatoria giurisprudenziale” (appartenente al novero delle autorizzazioni postume, cioè delle regolarizzazioni “a posteriori” di attività e situazioni di fatto che di regola necessitano di assenso preventivo da parte della P.A.) sarebbe istituto dedotto dai principi generali attinenti al buon andamento e all’economia dell’azione amministrativa, e consisterebbe nell’obbligo di rilasciare la concessione ogni qual volta le opere edilizie, sprovviste di titolo e già realizzate abusivamente, siano conformi alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio («il buon senso, prima ancora dei ricordati principi, impedisce di subordinare l’autorizzazione di un’opera alla previa demolizione di quella, identica, già realizzata abusivamente»)52;

– unica condizioneper il rilascio della concessione in sanatoria, intesa come istituto generale della concessione a posteriori, sarebbe la conformità dell’opera alla disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio della concessione stessa;

– l’art. 13 della L. 47/1985 (rispetto al quale l’art. 36 del DPR 380/2001 non è innovativo, come si afferma anche nella sentenza in commento) non avrebbe ristretto il campo della sanabilità delle opere conformi alla disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio della sanatoria, ma costituirebbe soltanto una norma di salvaguardia contro l’inerzia amministrativa, volta a rendere inopponibili al richiedente i mutamenti di disciplina successivi alla presentazione della domanda di sanatoria;

– accanto all’istituto della sanatoria “tipica” prevista oggi dall’art. 36 del DPR 380/2001 (connotata anche da efficacia estintiva dei reati contravvenzionali di cui all’art. 44 del DPR 380/2001, come espressamente previsto dal successivo art. 45, c. 3), resterebbe comunque fermo il più generale istituto della sanatoria delle opere conformi agli strumenti urbanistici vigenti al momento in cui l’amministrazione provvede sulla domanda di autorizzazione, idoneo a spiegare effetti soltanto sul piano amministrativo;

– funzione della sanatoria d’ordine generale sarebbe consentire la conservazione delle opere realizzate senza titolo, «non essendovi ragione, dopo la legge 47 del 1985 come in precedenza, di far demolire opere di cui viene chiesta la concessione, per poi farle ricostruire conformemente alla domanda»53.

5.2. Verosimilmente, il punto nodale della questione è quello a cui da ultimo s’è fatto cenno: la funzione della sanatoria di ordine generale non è quella – propria della sanatoria “tipica” ex art. 36 del DPR 380/2001 – di colmare la lacuna consistente nell’omessa acquisizione preventiva del titolo concessorio, bensì quella di autorizzare la conservazione di opere esistenti; opere che – pur già realizzate e originariamente contrastanti con la disciplina urbanistica – sono attualmente conformi alla pianificazione comunale.

L’accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 380/2001 concerne il caso in cui un soggetto abbia realizzato opere conformi alla disciplina urbanistica senza, peraltro, aver ottenuto tempestiva concessione: quel che viene regolarizzato è l’omessa acquisizione del titolo concessorio e al destinatario del provvedimento viene attribuita una condizione giuridica del tutto equiparabile a quella del soggetto che abbia previamente richiesto permesso.

La “sanatoria giurisprudenziale”, invece, prende atto di una situazione edificatoria attualmente conforme alla disciplina urbanistica vigente e ne legittima la conservazione.

Potrebbe dirsi che l’accertamento di conformità autorizzi, “ora per allora”, la costruzione del manufatto. L’accertamento in sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001 riguarda la conformità delle opere agli strumenti urbanistici già all’epoca della loro costruzione: esso presuppone l’intrinseca “giustizia sostanziale” delle opere stesse (conformi agli strumenti urbanistici già nel momento della loro edificazione) e viene concessa, appunto, a motivo dell’accertata inesistenza – sin dall’inizio – di qualsivoglia danno urbanistico. E l’originaria “liceità sostanziale” della condotta conduce anche all’estinzione del reato urbanistico: l’accertamento di conformità tipico si risolve in un accertamento dell’inesistenza ex tunc dell’antigiuridicità sostanziale del fatto di reato54.

La “sanatoria giurisprudenziale”, invece, legittima hic et nunc la conservazione di opere sulla base di una valutazione di attuale conformità con la pianificazione comunale. La “sanatoria atipica” è istituto ontologicamente diverso dalla sanatoria tipica per accertamento di conformità: istituto che preesisteva all’introduzione nell’ordinamento di tale peculiare forma di regolarizzazione (avvenuta con la L. 47/1985) e che «resta fermo» anche dopo che tale introduzione è avvenuta, «non essendovi ragione, dopo la legge 47/1985 come in precedenza, di far demolire opere, di cui viene chiesta la concessione, per poi farle ricostruire conformemente alla domanda»55.

Mentre l’accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 380/2001 verifica e attesta l’originaria liceità della condotta che ha portato alla costruzione dell’opera edilizia, la “sanatoria giurisprudenziale” attesta che determinate opere (costituenti il risultato di un’attività originariamente illecita) sono attualmente connotate da legittimità sostanziale, essendo compatibili con la pianificazione comunale vigente al momento in cui tale sanatoria viene pronunciata. In altri termini, l’accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 380/2001 sana l’attività costruttiva posta in essere dal privato senza previo ottenimento del titolo autorizzatorio (collocando l’autore di tale attività in una situazione giuridica del tutto equiparabile a quella del titolare di un’ordinaria concessione, anche sul piano delle conseguenze penali). La “sanatoria giurisprudenziale” ha invece a oggetto il prodotto dell’attività illecita, cioè l’opera in sé, della quale la P.A. legittima la conservazione sul presupposto dell’attuale conformità alle previsioni urbanistiche56.

5.3. Il fondamento della “sanatoria giurisprudenziale”, quindi, non sarebbe da ravvisare nei poteri comunali di vigilanza e di controllo sull’attività edilizia, bensì nei poteri di pianificazione e di disciplina e governo dell’uso del territorio: pur in presenza di un’opera costruita senza titolo e originariamente in contrasto con la disciplina urbanistica, il Comune può sempre prendere atto della sostanziale e attuale conformità della stessa alle successive scelte pianificatorie concretizzatesi negli strumenti urbanistici vigenti e può conseguentemente rilasciare un “titolo abilitativo postumo”, al fine di permetterne la conservazione57.

D’altra parte, il primo compito del piano regolatore comunale, desumibile dall’art. 7 della L. 1150/1942, è quello di effettuare una ricognizione della situazione di fatto: della situazione preesistente l’Amministrazione non può non prendere atto, al fine di assicurarne la sopravvivenza e l’eventuale accrescimento (se tale situazione di fatto appare meritevole e coerente con le scelte che la P.A. intende compiere), oppure di limitarne i futuri sviluppi58. E nello stabilire indici, parametri, capacità edificatorie, destinazioni d’uso, etc., l’autorità che pianifica compie delle opzioni che incidono anche sul tessuto edificato preesistente: l’edificazione già in essere – ove rispondente a tali previsioni – viene implicitamente giudicata coerente con le scelte di programmazione e pianificazione urbanistica che stanno alla base dell’adozione e dell’approvazione di un nuovo strumento urbanistico o di una sua variante. Può accadere che, così operando, l’amministrazione “sani” dei manufatti non conformi alla precedente disciplina urbanistica. Tale “sanatoria”, però, è del tutto diversa da quella prevista dall’art. 36 del DPR 380/2001: la regolarizzazione avente origine nel piano regolatore o nelle relative varianti non costituisce esercizio dei poteri di autorizzazione e controllo dell’attività edilizia, bensì della potestà di pianificazione inerente al futuro assetto del territorio59.

5.4. Se, come si ritiene, la natura della “sanatoria giurisprudenziale” è radicalmente diversa da quella propria dell’accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 380/2001, l’argomentazione utilizzata dalla sentenza in commento per negare cittadinanza all’istituto in esame non appare persuasiva. Il principio di legalità, infatti, non risulta violato, perché il potere esercitato dall’amministrazione (che è riconducibile al potere di pianificazione) ha un suo specifico fondamento legislativo, così come non è privo di copertura normativa il generale potere di sanatoria ex post di ciò che è stato realizzato senza previo titolo autorizzatorio60: il rilascio di un provvedimento di regolarizzazione postuma rientra nella discrezionalità riconosciuta all’amministrazione per la migliore e più efficace cura degli interessi ad essa affidati61.

Quanto al principio di tipicità dei poteri e di nominatività degli atti amministrativi, è noto che la relativa nozione non deve essere intesa nel senso meramente formalistico di corrispondenza del potere esercitato a un nomen provvedimentale piuttosto che a un altro, bensì in termini di garanzia che a ogni intereresse pubblico vada correlato uno specifico potere in capo all’amministrazione: in termini, cioè, di giudizio di coerenza tra potere esercitato e risultato perseguito dal provvedimento. Quel che deve essere connotato da tipicità è la causa del potere esercitato e delle finalità d’interesse pubblico perseguite con l’atto amministrativo: la stessa autotutela dell’amministrazione, su atti e beni pubblici, sarebbe pregiudicata da un concetto di tipicità tanto angusto da richiedere l’espressa previsione di ogni singolo provvedimento per ciascuna occasione di esercizio del potere conferito62. E nel caso in cui il Comune – preso atto dell’attuale e sostanziale conformità delle opere alle scelte di pianificazione – rilasci un titolo abilitativo edilizio postumo, tale da consentire la conservazione dei manufatti non contrastanti con la disciplina urbanistica, il potere che viene esercitato e le finalità che vengono perseguite appaiono tipici e sorretti da base legislativa.

Inoltre, la possibilità di provvedimenti di regolarizzazione successiva atipica pare ascrivibile – oltre che al potere di autotutela – al più generale principio di conservazione degli atti giuridici, al quale si collegano i principi del raggiungimento dello scopo e dell’effetto utile (quest’ultimo di derivazione comunitaria). Essa sembra infine coerente con il principio di economia dei mezzi giuridici: legittimare un’opera abusiva conforme all’attuale strumentazione urbanistica è più logico (e meno oneroso per le risorse pubbliche e private) che ordinarne la demolizione e autorizzarne subito dopo la ricostruzione tal quale.63

La decisione in commento (che, apparentemente, sembra voler “chiudere la porta” all’istituto della “sanatoria giurisprudenziale”) non appare convincente, soprattutto, perché si limita a operare la lettura e l’ermeneusi dell’art. 36 del DPR 380/2001, senza considerare la possibilità che la sanatoria atipica non trovi fondamento in detta norma, bensì nei poteri pianificatori del Comune e nei principi di ordine generale (considerazione presente, invece, in numerosi precedenti pronunciamenti del supremo consesso amministrativo).

 

6. Conclusioni.

6.1. In conclusione, sussistono molteplici ragioni per una rivisitazione del più recente orientamento (sfavorevole) del Consiglio di Stato: è ragionevole ritenere, infatti, che sanzionare un abuso con la demolizione – pur quando il medesimo non presenti più alcuna “attualità” lesiva, essendo l’opera suscettibile addirittura d’esser costruita ex novo al momento della presentazione della domanda di sanatoria – costituisca un’azione amministrativa sostanzialmente sproporzionata64.

D’altronde, esistono altri casi nei quali viene data rilevanza – in un’ottica di legittimazione postuma – alla disciplina sopravvenuta. Ad esempio, anche in materia di distanze tra fabbricati (e, quindi, in fattispecie rilevante pure sul piano civilistico dei rapporti fra privati), si ritiene che ove sopravvenga una disciplina meno restrittiva non sia più invocabile la rimessione in pristino dell’edificio costruito in violazione delle norme sui distacchi, essendo venuta meno l’illegittimità della situazione di fatto determinatasi con la costruzione65. E pure in tema di applicazione dell’art. 38 del DPR 380/2001 per l’ipotesi di annullamento del permesso di costruire, si è affermato che la rimozione dei vizi del provvedimento annullato (che il primo comma della citata norma considera rimedio preferenziale) possa avvenire anche in forza di una disciplina urbanistica sopravvenuta66.

6.2. Come già evidenziato, si può ragionevolmente ritenere che la demolizione di un’opera che – pur originariamente illegittima – non si ponga più in contrasto la vigente pianificazione comunale sia incompatibile con la natura ripristinatoria (e non afflittiva) delle sanzioni previste dall’ordinamento per gli abusi edilizi: tali sanzioni (e in particolare l’ordine di demolizione) non sono infatti volte a punire una condotta, ma a eliminare una situazione antigiuridica e a ripristinare il corretto assetto del territorio67. Ingiungere la demolizione di opere non contrastanti con il piano regolatore significherebbe connotare l’ingiunzione medesima di un carattere afflittivo che non le è proprio: in assenza di contrasto con il vigente assetto urbanistico ed edilizio, la demolizione non avrebbe carattere puramente ripristinatorio (non avrebbe cioè, “causa urbanistica”), ma soltanto una funzione punitiva che l’ordinamento non le attribuisce68. Inoltre, il riconoscimento della possibilità di una forma di sanatoria atipica sarebbe soluzione di gran lunga preferibile (perché coerente con i principi di proporzionalità e buon andamento) rispetto a quella che comporti di mantenere determinati fabbricati in una sorta di “limbo”: non pare ragionevole che possano esistere edifici non regolarizzabili (per assenza della “doppia conformità”) e al tempo stesso non suscettibili d’esser colpiti dall’ordine di rimessione in pristino (giacché la demolizione di opere divenute conformi allo strumento urbanistico non risponderebbe ad alcun interesse pubblico e pertanto non sarebbe legittimamente ingiungibile). Peraltro, la condizione d’incertezza giuridico-urbanistica in cui verserebbero tali immobili potrebbe limitarne la commercialità, generando ulteriori incertezze, perplessità e gravi pregiudizi per i privati proprietari.

Viceversa, ammettere la possibilità di un atto di regolarizzazione successiva atipica (cioè, del permesso in sanatoria “di creazione giurisprudenziale”) sarebbe coerente con il generale principio di buona ed efficiente amministrazione, riconducibile all’art. 97 della Costituzione, oltre che con i principi comunitari, in particolare con quello di proporzionalità. Sul punto, può aggiungersi che fra i principi dell’ordinamento comunitario vi è quello in forza del quale «Ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale» (art. 17, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). La “sanatoria giurisprudenziale” evita la demolizione di opere edilizie nate abusivamente, ma non più contrastanti con la pianificazione comunale: perseguendo la conservazione dei manufatti (anziché il loro perimento), la “sanatoria atipica” salvaguarda anche il diritto di proprietà in una situazione (assenza attuale di contrasto con la disciplina urbanistica) in cui non pare agevole individuare un interesse pubblico tale da consentire la privazione del diritto reale. In effetti, negare la sanatoria giurisprudenziale avrebbe come conseguenza, fra l’altro, la necessità di sacrificare il diritto di proprietà in assenza di un danno concreto e attuale ai valori del governo del territorio69.

L’applicazione della “sanatoria giurisprudenziale”, inoltre, non darebbe luogo a una ingiustificata – e forse incostituzionale – identità di trattamento (rilascio di permesso di costruire in sanatoria con pagamento della relativa oblazione) per due situazioni sostanzialmente diverse (conformità urbanistica sia al momento della costruzione sia al momento della domanda di sanatoria, nel primo caso; conformità urbanistica solo al momento della domanda di sanatoria, al secondo). Permarrebbe, infatti, una decisiva e sostanziale differenza tra l’“accertamento di conformità” e la cosiddetta “sanatoria di ordine generale” (che legittima cioè un’opera a suo tempo realizzata in difformità dal Piano regolatore generale allora vigente): solo al primo, infatti, consegue l’estinzione dei reati contravvenzionali oggi previsti dall’art. 44 del DPR 380/2001. La cosiddetta sanatoria atipica vale soltanto a regolarizzare dal punto di vista amministrativo l’intervenuta costruzione (ciò che eminentemente interessa e rileva per la P.A., a tutela del pubblico interesse), ma non elimina le conseguenze penali che sono di stretta competenza dell’autorità giudiziaria. Non paiono dunque violati i principi costituzionali di legalità e di uguaglianza, poiché l’accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 380/2001 e la “sanatoria giurisprudenziale” sono istituti diversi, con effetti diversi, che trovano applicazione in fattispecie diverse.

6.3. L’esigenza di evitare il rischio che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post ciò che risulta illecito trova già adeguate risposte nell’ordinamento: conseguentemente, essa non può costituire il motivo decisivo per ripudiare la “sanatoria giurisprudenziale”. D’altra parte, è sempre possibile (ed è in qualche modo fisiologico) che in sede di formazione o revisione del Piano regolatore generale comunale alcune scelte derivino da richieste di soggetti privati, magari di operatori dell’edilizia che ambiscono al riconoscimento dell’edificabilità di propri terreni: si tratta, tuttavia, di una possibilità insita nel sistema e non eliminabile a priori.

Come anticipato, l’ordinamento appresta gli opportuni rimedi per paralizzare gli effetti di eventuali varianti urbanistiche che – rispondenti esclusivamente a pressioni e interessi privati – non fossero in alcun modo orientate alla cura di interessi pubblici. Infatti, secondo la più recente giurisprudenza le varianti puntuali e specifiche devono essere adeguatamente motivate.70 Non solo: anche le varianti generali devono fornire congrua indicazione delle diverse esigenze che la variante ha inteso affrontare, in un contesto di tendenziale coerenza tra le soluzioni innovative e il complessivo assetto del piano71. È ragionevole ritenere, quindi, che una variante che produca (anche) l’effetto di legittimare situazioni pregresse sia soggetta a un onere motivazionale particolarmente pregnante. E in ogni caso, una modifica al Piano regolatore generale comunale che non avesse alcuna finalità d’interesse pubblico (ma venisse approvata al solo scopo di regolarizzare specifici abusi edilizi) sarebbe illegittima, potrebbe essere impugnata e annullata e potrebbe addirittura comportare l’incriminazione dei soggetti che l’avessero promossa ed approvata “intenzionalmente” per procurare a terzi “ingiusti vantaggi” (art. 323 del Codice penale).

6.4. È evidente che la questione circa l’esistenza della “sanatoria giurisprudenziale” continua a essere tematica di vivo interesse e dalle rilevanti implicazioni pratiche. La possibilità di utilizzare uno strumento giuridico che consenta di non demolire immobili non contrastanti con le previsioni urbanistiche soddisferebbe un’esigenza concreta, ampiamente avvertita tanto dalle amministrazioni locali quanto dai cittadini: e ciò è ancor più evidente in un momento storico caratterizzato da crisi e ristrettezze economiche che colpiscono tanto i soggetti pubblici quanto quelli privati. Si aggiunga il fatto che – specie nel caso di regolarizzazione di abusi risalenti nel tempo – la disciplina che esprime le reali (e attuali) esigenze pianificatorie del Comune è quella del momento in cui l’amministrazione provvede sulla domanda di sanatoria e non quella dell’epoca di commissione dell’abuso: pertanto, l’interesse del Comune è che gli edifici siano conformi alla disciplina urbanistica di oggi, e non quella degli anni passati, verosimilmente anacronistica e non più rispondente alle esigenze del territorio, al punto da esser stata sostituita da una nuova pianificazione.

Sarebbe auspicabile, quindi, un intervento del Legislatore (come invocato dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema del DPR 380/2001), o quantomeno un pronunciamento dell’Adunanza plenaria, non potendosi ritenere che esista, allo stato, un orientamento univoco della giurisprudenza amministrativa.

1. Avvocato del Foro Cuneo-Mondovì.

 

2. Cfr. Mengoli (2009), Manuale di diritto urbanistico, Milano, pp. 1155 e ss; Sandulli M.A. (a cura di), Testo Unico dell’Edilizia, Milano, 2009, pp. 629 e ss.; in giurisprudenza, ex multis, Consiglio di Stato, sezione V, 29.05.2006, n. 3267, in Foro amministrativo CONSIGLIO DI STATO, 2006, 5, 1459.

 

3. Art. 15, c. 9 e c. 12, L. 10/1977: «In caso di annullamento della concessione, qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la riduzione in pristino, il sindaco applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’ufficio tecnico erariale. La valutazione dell’ufficio tecnico è notificata alla parte dal Comune e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa. … Le opere realizzate in parziale difformità dalla concessione debbono essere demolite a spese del concessionario. … Non si procede alla demolizione ovvero all’applicazione della sanzione di cui al comma precedente nel caso di realizzazione di varianti, purché esse non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e non modifichino la sagoma, le superfici utili e la destinazione d’uso delle costruzioni per le quali è stata rilasciata la concessione. Le varianti dovranno comunque essere approvate prima del rilascio del certificato di abitabilità».

 

4 .Cfr. Mengoli (2009), Manuale di diritto urbanistico, Milano, p. 1155.

 

5. Cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, 19 giugno1963, n. 468, menzionata in Consiglio di Stato nel quinquennio 1961-65, II, Roma, 1969; Consiglio di Stato, sezione V, 27 agosto 1966, n. 968, in Consiglio di Stato, 1966, I, 1455; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 17 maggio 1974, n. 5, in Foro amministrativo, 1975, III, 106; Consiglio di Stato, sezione V, 14 marzo 1972, n. 168, in Rivista giuridica edilizia, 1972, I, 512; Consiglio di Stato, sezione V, 5 novembre 1968, n. 1405, in Rivista giuridica edilizia, 1968, I, 1458, nella quale si afferma che «la possibilità di licenza in sanatoria è sempre ammessa»;Consiglio di Stato, sezione V, 14 novembre 1967, n. 1565, in Foro amministrativo, 1967, I, 1690.

 

6. Cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 23 marzo 1986, n. 193, in Rivista giuridica edilizia, 1986, I, 577; Consiglio di Stato, sezione V, 21 luglio 1988, n. 481, in Consiglio di Stato, 1988, I, 861; in sede consultiva Consiglio di Stato, sezione II, 6 dicembre 1989, n. 707, in Consiglio di Stato, 1991, I. 1291.

 

7. Cfr., ad esempio, Tar Lombardia, Milano, 2 maggio 1989, n. 193: «Per effetto della disposizione dell’art. 13 della legge 47 del 1985, con la quale sono state dettate nuove disposizioni in materia di sanatoria delle opere abusivamente realizzate, è da ritenersi superata e non più invocabile la cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale” originatasi in vigenza della precedente normativa di cui alla legge 10 del 1977»; in dottrina Caccin (1986), Le varie figure di sanatoria nella disciplina urbanistica: osservazioni critiche sullo spazio di efficacia di ciascuna, in Rivista giuridica edilizia, 1986, II, 126.

 

8. Già il Tar della Toscana, sezione II, 3 novembre 1989, n. 972, in Foro amministrativo,1990, 1551, aveva rilevato la necessità di evitare letture della norma in questione che «introdurrebbero elementi di irrazionalità nel sistema». Tale sentenza osservava come la nuova disposizione di legge ponesse un serio dubbio interpretativo: se la conformità dell’opera ai piani urbanistici operanti nel Comune dovesse sempre dar luogo a una doppia verifica in tempi diversi (ossia alla data di costruzione e a quella di presentazione della domanda di sanatoria) o soltanto qualora si fosse in presenza di strumenti urbanistici in itinere. E sposava la seconda ipotesi, sulla base di un elemento testuale e di una ragione logica: «da un lato, infatti, il legislatore dimostra di voler tenere ben distinte le due evenienze (esistenza di uno strumento approvato; coesistenza di un piano approvato e di altro adottato) attraverso una significativa modulazione terminologica (opera… conforme … e non in contrasto) che induce a ritenere si sia voluto riservare il doppio riscontro temporale alle opere edilizie capaci di compromettere nuove previsioni pianificatorie. Dall’altro non si vede quale tutela dell’interesse pubblico possa essere perseguita allorché un’opera illegittima alla data di costruzione non lo sia più alla data della domanda di sanatoria, cosicché una volta dispostane la demolizione possa esserne subito dopo autorizzata la riedificazione». Secondo il Tar della Toscana, quindi, sarebbe stata di norma sufficiente la conformità con i piani operanti al momento della concessione in sanatoria: il Legislatore, nell’apprestare la disciplina positiva della concessione edilizia in sanatoria avrebbe inteso, da un lato, salvaguardare l’interesse urbanistico e, dall’altro, accordare maggior tutela al privato stabilendo che l’esame delle istanze di sanatoria avesse luogo tenendo conto delle norme di piano vigenti all’epoca della domanda (restando ininfluenti, quindi, successive previsioni più restrittive eventualmente sopraggiunte fra il tempo della domanda e quello della pronuncia).

 

9. Cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 13 ottobre 1993, n. 1031, in Giustizia civile, 1994, I, 1145; conferenza Tar Lombardia, Brescia, 18 settembre 2002, n. 1176; Tar Calabria, Catanzaro, sezione II, 5 settembre 2001, n. 1262; Tar Umbria, Perugia, 29 gennaio 2000, n. 51; 21 aprile 2000, n. 341; 16 ottobre 2000, n. 800; 8 luglio 2002, n. 505.

 

10. La decisione è pubblicata in Consiglio di Stato, 1995, I, 2117; in Foro amministrativo, 1995, 249 (con nota di Terracciano, Costruire in assenza di concessione costituisce ancora un illecito amministrativo?); in Giustizia civile, 1995, I, 1981 (con nota di Bozza, In tema di concessione in sanatoria); in Rivista giuridica urbanistica, 1995, 73 (con nota di Vinti, La sanatoria degli abusi edilizi in assenza della cosiddetta doppia conformità. Contraddizioni del sistema e proposte). La motivazione della sentenza contiene enunciazioni di carattere generale da molti lette come fortemente innovative. Rileva in particolare il Consiglio di Stato: «La cosiddetta concessione in sanatoria delle opere edilizie, che più propriamente è un’autorizzazione postuma, è istituto dedotto dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza, dai principi generali attinenti al buon andamento e all’economia dell’azione amministrativa, e consiste nell’obbligo di rilasciare la concessione, quando sia regolarmente richiesta e conforme alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, anche se l’opera alla quale si riferisce sia già stata realizzata abusivamente: il buon senso, prima ancora dei ricordati principi, impedisce di subordinare l’autorizzazione di un’opera alla previa demolizione di quella, identica, già realizzata abusivamente. La condizione per il rilascio della concessione in sanatoria, intesa come istituto generale della concessione a posteriori, come si è accennato, è la conformità dell’opera alla disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio della concessione stessa. L’art. 13 (…) non ha ristretto il campo della sanabilità delle opere conformi alla disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio della sanatoria; (…)». Il testo conclude enunciando che «resta fermo, naturalmente, il più generale istituto della sanatoria delle opere conformi agli strumenti urbanistici vigenti al momento in cui l’amministrazione provvede sulla domanda di autorizzazione; non essendovi ragione, dopo la legge 47 del 1985 come in precedenza, di far demolire opere di cui viene chiesta la concessione, per poi farle ricostruire conformemente alla domanda». In seguito, il Consiglio di Stato ha ribadito la sopravvivenza della “sanatoria giurisprudenziale”: sezione V, 21 ottobre 2003, n. 6498; sezione V, 28 maggio 2004, n. 3431; sezione V, 19 aprile 2005, n. 1796 («Non vi è ragione, invero, di far demolire una costruzione realizzata abusivamente, ma conforme alla disciplina vigente, per poi dover consentire, non potendosi negare la concessione edilizia per opere conformi alla normativa urbanistica in vigore, la edificazione di una costruzione identica a quella di cui si è ordinata la demolizione»).

 

11. Cfr., ad es., Tar Toscana, sezione III, 15 aprile 2002, n. 724; Tar Toscana, sezione III, 14 giugno 2002, n. 1245; Tar Veneto, sezione II, 20 febbraio 2003, n. 1498; Tar Lombardia, Brescia, 23 giugno 2003, n. 873; Tar Friuli Venezia Giulia, Trieste, 23 agosto 2004, n. 542; Tar Piemonte, Torino, sezione I, 20 aprile 2005, n. 1094; il supremo consesso s’era espresso in termini negativi, ad esempio, in Consiglio di Stato, sezione V, 20 ottobre 1994, n. 1198, in Consiglio di Stato, 1994, I, 1363.

 

12. Cfr. Mengoli (2009), Manuale di diritto urbanistico, Milano, pag. 1163; Sandulli M.A. (a cura di), Testo Unico dell’Edilizia, Milano, 2009, pag. 631.

 

13. Cfr. Cassazione penale., sezione III, 9 febbraio 1998, n. 1492; conferenza Cassazione penale, sezione III, 4 maggio 2004; Cassazione penale, sezione III, 9 gennaio 2004, n. 1815; Cassazione penale, sezione III, 26 novembre 2003, n. 291 («La sussistenza della cosiddetta doppia conformità distingue la concessione in sanatoria di cui agli art. 13 e 22 L. 47 del 1985 da quella cosiddetta di origine giurisprudenziale, per la quale è sufficiente la rispondenza della costruzione allo strumento urbanistico solo al momento di presentazione della domanda. Quest’ultimo istituto, che discende dai principi generali attinenti al buon andamento e all’economia dell’azione amministrativa, non configura una causa estintiva, bensì consente esclusivamente in sede amministrativa e penale di rendere inapplicabili le sanzioni ed in particolare l’ordine di demolizione ex art. 7 comma ultimo della L. 47/1985»).

 

14. Le differenze fra le due disposizioni sono minime e dovute all’opera di riordino effettuata in sede di delega legislativa. Art. 13 della L. 47/1985: «Fino alla scadenza del termine di cui all’articolo 7, terzo comma per i casi di opere eseguite in assenza di concessione o in totale difformità o con variazioni essenziali, o dei termini stabiliti nell’ordinanza del sindaco di cui al primo comma dell’articolo 9, nonché, nei casi di parziale difformità, nel termine di cui al primo comma dell’articolo 12, ovvero nel caso di opere eseguite in assenza di autorizzazione ai sensi dell’articolo 10 e comunque fino alla irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso può ottenere la concessione o l’autorizzazione in sanatoria quando l’opera eseguita in assenza della concessione o l’autorizzazione è conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda». Art. 36 del DPR 380/2001: «In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia d’inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articolo 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda».

 

15. Il Testo Unico è nato sulla base della delega conferita al Governo dall’art. 7, commi 1 e 2, della L. 8 marzo 1999, n. 50 (come modificato dall’art. 1 della L. 21 novembre 2000, n. 340), nell’ambito dell’emanazione di testi unici intesi a riordinare le materie per le quali l’art. 20 della L. 15 marzo 1997 n. 59 disponeva la predisposizione di regolamenti di delegificazione per la disciplina delle materie e dei procedimenti relativi al rilascio delle concessioni edilizie e del certificato di agibilità.

 

16. Consiglio di Stato, Adunanza generale, sezione atti normativi, 29 marzo 2001, protocollo n. 52/2001. Nelle considerazioni svolte circa le prescrizioni contenute nell’art. 35 dello schema del Testo Unico (poi divenuto nella stesura definitiva l’art. 36) il Consiglio di Stato segnala che «In via generale va sottolineato come l’accertamento di conformità sia ancora riferito, come prevedeva l’originaria disposizione dell’art. 13 della l.r. 47/1985, alla sola concessione, mentre, dopo l’evoluzione normativa successiva alla legge n. 47, esso deve essere esteso anche alla denuncia d’inizio attività. Si rileva inoltre che, pur non potendosi, in astratto, contestare la necessità del duplice accertamento di conformità, nella prassi l’applicazione del principio viene disattesa, ritenendosi illogico ordinare la demolizione di un quid che, allo stato attuale, risulta conforme alla disciplina urbanistica vigente e che pertanto, potrebbe ottenere, a demolizione avvenuta, una nuova concessione».

 

17. Cfr. Relazione illustrativa del T.U. del Nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sul punto, cfr. Cortesi (2003), I termini del dibattito in corso in tema di “sanatoria giurisprudenziale”, in Urbanistica e appalti, 2003, 9, 1091.

 

18. Consiglio di Stato, sezione IV, 26 aprile 2006 n. 2306, in Rivista giuridica edilizia, 2006, 6, 1297.

 

19. Cfr., ad es., Tar Toscana, Firenze, sezione III, 13 maggio 2011, n. 837; Tar Puglia, Lecce, sezione III, 9 dicembre 2010, n. 2816; Tar Lombardia, Milano, sezione II, 9 giugno 2006, n. 1352.

 

20. «In sede di accertamento di doppia conformità di immobili non conformi alle norme urbanistico-edilizie vigenti al momento della costruzione, ma conformi a quelle vigenti al momento della presentazione dell’istanza, può ritenersi applicabile (ai fini di una valutazione della domanda in termini di fondatezza) la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale; tale istituto, pur non comportando l’estinzione del reato eventualmente consumato, né il venir meno dell’obbligo di pagare la relativa sanzione, risponde ad una chiara esigenza di economicità e di buon andamento dell’azione amministrativa, giudicandosi illogico demolire manufatti non più in contrasto con la disciplina edilizia, per poi doverne eventualmente assentire la ricostruzione nella stessa forma e consistenza» (Tar Sardegna, Cagliari, sezione II, 17 marzo 2010, n. 314); «Oltre alla concessione edilizia in sanatoria, di cui all’art. 13, della L. 47 del 1985 (sostituito ora dall’art. 36 del DPR 380 del 2001) che prevede la doppia conformità dell’opera agli strumenti urbanistici sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda, deve ritenersi consentita anche la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, in virtù della quale può sanarsi un’opera, anche se abusivamente realizzata, qualora ne risulti la conformità alla disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio del titolo abilitativo, rinvenendo tale orientamento la sua ratio nell’esigenza di non imporre la demolizione di un’opera prima di ottenere la concessione per realizzarla nuovamente» (Tar Abruzzo, Pescara, 11 maggio 2007, n. 534); «Gli artt. 13 e 17, della L. 28 febbraio 1985 n. 47, richiedenti per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l’opera sia conforme alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione delle opere, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, sono disposizioni contro l’inerzia dell’Amministrazione e significano che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda. Tale regola non preclude il diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria» (Tar Valle d’Aosta, sezione I, 14 giugno 2011, n. 42).

 

21. Cfr. Tar Piemonte, sezione I, 5 luglio 2010, n. 2988: «Ritiene il collegio di maggiormente condividere quella giurisprudenza, allo stato principalmente di merito che, pur a fronte della modifica normativa, ha ritenuto che le considerazioni sostanziali sottostanti all’indirizzo giurisprudenziale in questione non abbiano perso di significato. Sanzionare un abuso con la demolizione pur quando il medesimo non presenta più alcuna “attualità” lesiva, essendo l’opera astrattamente assentibile al momento della presentazione della domanda di sanatoria, pare in effetti sostanzialmente sproporzionato». Più recentemente, si veda Tar Piemonte, sezione I, 23 maggio 2013, n. 655. In precedenza, il Tribunale amministrativo piemontese si era espresso in termini negativi, pur avanzando dubbi circa la possibilità, una volta negata la sanatoria, di ingiungere la demolizione di manufatti conformi alle vigenti previsioni urbanistiche: cfr. Tar Piemonte, sezione I, 18 ottobre 2004, n. 2506; Tar Piemonte, sezione I, 20 aprile 2005, n. 1094.

 

22. Cfr. Cassazione penale, sezione III, 9 gennaio 2004, n. 1806; Cassazione penale, sezione III, 27 ottobre 2005, n. 40969; Cassazione penale, sezione III, 7 dicembre 2012, n. 47647; Cassazione penale, sezione III, 12 aprile 2013, n. 16769.

 

23. Cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, 26 aprile 2006 n. 2306, cit.; Consiglio di Stato, sezione IV, 17 settembre 2007, n. 4838, in Foro amministrativo Consiglio di Stato, 2007, 9, 2449; Consiglio di Stato, sezione IV, 2 novembre 2009, n. 6784, in Rivista giuridica edilizia, 2010, 3, 870.

 

24. Cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 21 ottobre 2003, n. 6498, in Rivista giuridica edilizia, 2004, I, 6498; Consiglio di Stato, sezioni VI, 7 maggio 2009, n. 2835, in Rivista giuridica. edilizia, 2009, 3, 735; Consiglio di Stato, sezione V, 29 maggio 2006, n. 3267, in Rivista giuridica edilizia, 2006, 6, 1266: «Quanto all’invocata “sanatoria giurisprudenziale”, è ben noto l’orientamento che fonda sui principi afferenti il buon andamento e l’economia dell’azione amministrativa l’obbligo di rilasciare l’assenso edilizio in sanatoria allorquando sia regolarmente richiesto in relazione a opere già realizzate abusivamente ma conformi alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio. Si tratta, tuttavia, del più generale istituto della concessione postuma – diverso dalla sanatoria per accertamento di conformità specificamente disciplinata dall’art. 13 della L. 28 febbraio 1985 n. 47 – al quale, ove, come nella specie, di esso il privato non si sia a suo tempo avvalso, non è consentito al giudice fare ricorso, sostanzialmente esercitando in tal modo un potere di cui l’Amministrazione ben può ancora far uso».

 

25. Così la sentenza in commento, par. 1.1.; conferenza Consiglio di Stato, sezione V, 6 luglio 2012, n. 3961, in Foro amministrativo Consiglio di Stato, 2012, 7-8, 1967.

 

26. Cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, 8 gennaio 2013, n. 32, in Foro amministrativo Consiglio di Stato,2013, 1, 150: «Il mero sopravvenire di una nuova destinazione urbanistica non può ex se dispiegare un effetto sanante sulle opere realizzate in forza del titolo edilizio annullato, posto che a ciò osta l’art. 13 della L. 28 febbraio 1985 n. 47, vigente all’epoca dei fatti di causa e ora riprodotto sul punto dall’art. 36, comma 1, del T.U. approvato con DPR 6 giugno 2001 n. 380 nel testo integrato per effetto dell’art. 1 del Decreto legislativo 27 dicembre 2002 n. 301, laddove segnatamente dispone che il titolo edilizio è rilasciato “in sanatoria allorquando la relativa opera risulta conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda”».

 

27. Cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 17 marzo 2014, n. 1324; Consiglio di Stato, sezione V, 27 maggio 2014, n. 2755.

 

28. Cfr. Tar Lazio, Roma, sezione II ter, 11 giugno 2013, n. 5832; Tar Campania, Napoli, sezione VII, 26 novembre 2012, n. 4976; Tar Campania, Napoli, sezione VIII, 22 maggio 2012, n. 2369.

 

29. Corte costituzionale, 29 maggio 2013, n. 101.

 

30. Cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 27 maggio 2014, n. 2755, cit: « … solo il legislatore statale (con preclusione non solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il legislatore regionale: Corte costituzionale 29 maggio 2013, n. 101) può prevedere i casi un cui può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva del reato già commesso)».

 

31. Per una esaustiva e schematica disamina delle argomentazioni a favore e contro la “sanatoria giurisprudenziale”, cfr. Ricci (2009), Accertamento di conformità e regolarizzazione edilizia successiva atipica (c.d. “sanatoria giurisprudenziale”), in Rivista giuridica edilizia, 2009, 3, 737.

 

32. Cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, 26 aprile 2006, n. 2306, cit.

 

33. Cfr. Cortesi (2003), I termini del dibattito in corso in tema di “sanatoria giurisprudenziale”, cit., p. 1096, ed ivi numerosi riferimenti.

 

34. Cfr. Tar Liguria, sezione I, 14 maggio 2003, n. 630, in Rivista giuridica edilizia, 2004, I, 1393.

 

35. Cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, 8 gennaio 2013, n. 32, cit.

 

36. Cfr. Tar Campania, Napoli, sezione VIII, 22 maggio 2012, n. 2369, cit.

 

37. Cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, 7 maggio 2009, n. 2835, cit.; conferenza Consiglio di Stato, sezione V, 21 ottobre 2003, n. 6498.

 

38. Cfr. Tar Umbria, 8 luglio 2002, n. 505, cit.

 

39. Cfr. Cassazione penale, sezione III, 9.febbraio 1998, n. 1392, cit. Anche il Consiglio di Stato, benché in una pronuncia di senso contrario dell’istituto in esame, ha recentemente evidenziato che «la ratio sottesa alla cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, di chiara natura pretoria, è da individuarsi nell’esigenza di non imporre la demolizione di un’opera abusiva che, in quanto conforme alla disciplina urbanistica in atto, dovrebbe essere successivamente autorizzata su semplice presentazione di istanza di rilascio in tal modo evitando uno spreco di attività inutili, sia per l’Amministrazione, che per il privato autore dell’abuso»: Consiglio di Stato, sezione V, 6 luglio 2012, n. 3961, cit.

 

40. Cfr. Tar Marche, Ancona, sezione I, 13 settembre 2012, n. 577; Tar Molise, Campobasso, sezione I, 20 novembre 2008, n. 956.

 

41. Cfr. Tar Toscana, Firenze, 3 aprile 2009, n. 562; conferenza Tar Lombardia, Milano, 12 dicembre 2000, n. 7719; Tar Abruzzo, L’Aquila, 10 aprile 2000, n. 159; Tar Puglia, Bari, 24 giugno 1999, n. 680; Tar Puglia, Bari, 9 ottobre 1996, n. 634; Tar Puglia, Lecce, 7 novembre 1991, n. 670.

 

42. Cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, 8 novembre 2000, n. 6007; Tar Campania, Napoli, sezione VIII, 1° settembre 2011, n. 4270.

 

43. Cfr. Consiglio di Stato, sezione II, 13 novembre 1996, n. 1026; Tar Liguria, sezione I, 12 marzo 2009, n. 306; Tar Piemonte, sezione I, 9 aprile 2003, n. 528. Proprio in relazione alla misura pecuniaria sostitutiva di cui all’art. 12 della L. 47/1985 (l’antecedente storico dell’art. 34 del DPR 380/2001) attenta giurisprudenza amministrativa si è così espressa «Appare dunque più coerente ritenere che sia la sanzione demolitoria che quella pecuniaria abbiano sì connotati comuni, ma nel senso dell’appartenenza a una medesima area funzionale di matrice ripristinatoria (sebbene esprimentesi nell’un caso in forma specifica e nell’altro per equivalente). Concorrono inoltre, nella proposta direzione interpretativa, gli stessi criteri indicati dal legislatore per la quantificazione della sanzione pecuniaria: criteri che, essendo correlati a dati inerenti al valore oggettivo delle opere eseguite in difformità (alternativamente, il costo di produzione o il valore venale), nettamente si differenziano da quelli personalistici contemplati dall’art. 11 della L. 689/1981. Non solo, ma ispirandosi i predetti criteri all’esigenza di rendere patrimonialmente indifferente, per il destinatario, la scelta sanzionatoria (privando quindi il suddetto di un valore economico equivalente a quello che avrebbe perduto nell’ipotesi di applicazione della sanzione demolitoria), non può non ricavarsene un’ulteriore indicazione a favore della assenza, nella sanzione pecuniaria, di connotati afflittivi, e la conseguente assimilabilità funzionale (in chiave ripristinatoria) delle due tipologie sanzionatorie». (Tar Calabria, Sezione II, 22 dicembre 2004, n. 2479).

 

44. Cagnazzo, Toschei, Tuccari (a cura di), Sanzioni amministrative in materia edilizia, Torino, Giappichelli, 2014, pp. 492-493.

 

45. Giovagnoli, Autorità indipendenti e tecniche di sindacato giurisdizionale, testo scritto della relazione tenuta al Convegno “Le Autorità amministrative indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello di vigilanza e regolazione dei mercati”, tenuto il 28 febbraio 2013, in www.giustizia-amministrativa.it.

 

46. Sau (2013), La proporzionalità nei sistemi amministrativi complessi. Il caso del Governo del territorio, Milano, Angeli, p. 77.

 

47. Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sezione V, 15 luglio 2013, n. 3847. Recentemente, riguardo al caso di un ordine di ripristino disposto oltre vent’anni dopo la commissione di un modesto abuso, è stato affermato che «la sanzione demolitoria risulta in contrasto con il principio di ragionevolezza e proporzione dell’azione amministrativa» e che l’atto impugnato «in difetto di una specifica motivazione circa l’interesse pubblico da tutelare nel caso in esame, va dichiarato illegittimo e conseguentemente annullato, fatte salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione» (Tar Campania, Napoli, sezione III, 8 novembre 2013, n. 4998).

 

48. Cfr. Tar Molise, Campobasso, sezione I, 20 novembre 2008, n. 956.

 

49. Cfr. Tar Liguria, sezione I, 14 maggioe 2003, n. 630; Tar Piemonte, sezione I, 18 ottobre 2004, n. 2506; Tar Piemonte, sezione I, 20 aprile 2005, n. 1094.

 

50. Argomentazione utilizzata da Consiglio di Stato, sezione V, 17 marzo 2014, n. 1324, a sostegno della tesi contraria all’istituto in esame.

 

51. Cfr., per i riferimenti, la precedente nota 10.

 

52. Così la richiamata decisione del Consiglio di Stato (n. 238/1995), in motivazione.

 

53. Idem.

 

54. Così Corte costituzionale 31 marzo 1988, n. 370.

 

55. Così Consiglio di Stato, sezione V, 13 febbraio 1995, n. 238, cit.. Anche recentemente, il supremo consesso amministrativo ha rilevato che «L’accertamento di conformità, istituito e disciplinato dall’art. 13 della L. 28 febbraio 1985 n. 47 (oggi art. 36 del Testo Unico sull’Edilizia) con la richiesta della cosiddetta “doppia conformità”, non osta al permanere d’una possibile regolarizzazione, meramente amministrativa, delle costruzioni abusive conformi alla pianificazione vigente, ancorché in contrasto con le previsioni operanti all’epoca della condotta costruttiva» (Consiglio di Stato, sezione V, 21 ottobre 2003, n. 6498).

 

56. Circa l’ontologica differenza tra i due istituti, cfr. Graziosi (2004), A proposito della ammissibilità della cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale” (e dei suoi intrecci con il condono edilizio), in Rivista giuridica edilizia, 2004, II, 161; cfr., altresì, Gaggero (2004), Regolarizzazione successiva atipica e accertamento di conformità, in Rivista giuridica edilizia, 2004, 4, 1397. Cfr., altresì, Cassazione penale, sezione III, 9 febbraio 1998, n. 1492; Cassazione penale, sezione III, 4 maggio 2004; Cassazione penale, sezione III, 9 gennaio 2004, n. 1815; Cassazione penale, sezione III, 26 novembre 2003, n. 291, citt..

 

57. Cfr. Graziosi (2004), A proposito della ammissibilità della cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale” (e dei suoi intrecci con il condono edilizio), cit.

 

58. Cfr. Tar Lombardia, Milano, sezione II, 8 maggio 2013, n. 1172; Tar Lombardia, Brescia, 28 gennaio 1998, n. 40. Sulla rilevanza, in sede di pianificazione, della cosiddetta “zonizzazione di fatto” preesistente, cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 5 settembre 1994, n. 961; Consiglio di Stato, sezione IV, 17 febbraio 1992, n. 201.

 

59. Cfr. Tar Veneto, sezione II, 6 aprile 2006, n. 881, in Foro amministrativo Tar, 2006, 4, 1256: «L’abusività di un edificio può ben essere sanata in sede di pianificazione urbanistica, rientrando tale peculiare aspetto nella scelta discrezionale dell’amministrazione; detta sanatoria è affatto diversa da quella prevista dalle normative statale e regionale, che si applica in via generale agli edifici abusivi e solitamente risulta collegata a specifici requisiti e oneri, in quanto una sanatoria avente origine in un piano regolatore risulta frutto di una scelta discrezionale comunale, legata al futuro assetto del territorio e a specifiche e puntuali scelte programmatorie (in motivazione è precisato quanto segue: “Non si tratta quindi di consentire una sanatoria non prevista dalla legge, quanto di ammettere che tra le scelte dell’amministrazione comunale in sede di pianificazione urbanistica possa rientrare anche quella di rendere legittima l’edificazione dove prima non lo fosse, implicitamente ma indirettamente sanando una situazione di fatto esistente. Altrimenti opinando, una pregressa situazione di abusività impedirebbe la libera scelta pianificatoria comunale, con un vincolo che non trova alcun riscontro nella normativa esistente o nella logica. Il Comune deve tener contro della situazione di fatto esistente, ma non ne può rimanere vincolato per il futuro, in nessun senso». In precedenza, il Consiglio di Stato aveva evidenziato come la “sanatoria” attuata mediante scelte di pianificazione che prendano atto di una situazione abusiva preesistente «si sposta, com’è necessario, dal piano meramente burocratico a quello effettivo del territorio, consentendo agli interventi originariamente abusivi d’inserirsi effettivamente nel territorio comunale, quale parte integrante del relativo disegno urbanistico» (Consiglio di Stato, sezione IV, 25 novembre 2003, n. 7775).

 

60. In tal senso, Morbidelli (2007), Il principio di legalità e i cosiddetti poteri impliciti, in Diritto amministrativo,2007, 4, 702.

 

61. Cfr. Consiglio di Stato, Adunanza generale, 11 aprile 2002, n. 4.

 

62. Cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, 9 ottobre 2000, n. 5373, in Rivista giuridica edilizia 2001, I, 67; conferenza Consiglio di Stato, sezione VI, 13 settembre 2010, n. 6554, in Foro amministrativo Consiglio di Stato, 2010, 9, 1908.

 

63. Cfr. Dell’Anno (2010), Sanabilità dell’illecito ambientale anche alla luce della giurisprudenza costituzionale sul condono edilizio, in Ambiente e sviluppo, 2010, n. 1, pp. 5 e ss., ed ivi ampi riferimenti.

 

64. Così Tar Piemonte, 2988/2010, cit..

 

65. Cfr. Cassazione civile, sezione II, 2 novembre 2010, n. 22288: «In tema di distanze legali nelle costruzioni, qualora sopravvenga una disciplina normativa meno restrittiva, l’edificio in contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della sua ultimazione, ma conforme alla nuova, non può più essere ritenuto illegittimo, cosicché il confinante non può pretendere l’abbattimento o, comunque, la riduzione alle dimensioni previste dalle norme vigenti al momento della sua costruzione. Tale effetto non deriva dalla retroattività delle nuove norme – di regola esclusa dall’art. 11 preleggi – ma dal fatto che, pur rimanendo sussistente l’illecito di chi abbia costruito in violazione di norme giuridiche allora vigenti e la sua responsabilità per i danni subiti dal confinante fino all’entrata in vigore della normativa meno restrittiva, viene però meno l’illegittimità della situazione di fatto determinatasi con la costruzione, essendo questa conforme alla normativa successiva e, quindi, del tutto identica a quella delle costruzioni realizzate dopo la sua entrata in vigore (v., in tal senso, Cassazione, sentenza n. 8512 del 2003; arg. anche ex Cassazione, sentenza n. 14446 del 2010)».

 

66. Tar Veneto, sezione II, 5 giugno 2014, n. 761.

 

67. Cfr., ex multis, Tar Liguria, sezione I, 26 novembre 2012, n. 1503; Tar Liguria Genova, sezione I, 12 marzo 2009, n. 306; Tar Piemonte, sezione I, 31 gennaio 2003, n. 167.

 

68. Cfr. Graziosi, op. cit.

 

69. Tale argomento, sta alla base di un recente pronunciamento del Tribunale amministrativo siciliano, con il quale è stata sottoposta alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione circa la compatibilità dell’art. 167 del D. lgs. 42/2004 (che, pur in assenza di danno paesaggistico, non ammette la sanatoria di opere che abbiano comportato creazione di superfici o volumi nuovi) con l’ordinamento comunitario: «Va sottoposta alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale se l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e il principio di proporzionalità come principio generale del diritto dell’Unione europea, ostino all’applicazione di una normativa nazionale che, come l’art. 167 comma 4 lett. a) del D. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, esclude la possibilità del rilascio di un’autorizzazione paesaggistica in sanatoria per tutti gli interventi umani comportanti l’incremento di superfici e volumi, indipendentemente dall’accertamento concreto della compatibilità di tali interventi con i valori di tutela paesaggistica dello specifico sito considerato» (Tar Sicilia Palermo, sezione I, 10 aprile 2013, n. 802). Con decisione resa in data 6 marzo 2014 (n. C-206-13) la Corte di Giustizia ha escluso la propria competenza, in quanto le disposizioni del D. lgs. 42/2004 non costituirebbero diretta attuazione del diritto dell’Unione.

 

70. Consiglio di Stato, sezione IV, 12 marzo 2009, n. 1431; Tar Puglia, Bari, sezione III, 25 febbraio 2012, n. 398; Tar Piemonte, sezione I, 15 ottobre 2010, n. 944.

 

71. Consiglio di Stato, sezione IV, 5 agosto 2005, n. 4166.