Lavoro agile e pubblica amministrazione: “nel mezzo delle difficoltà nascono le opportunità”? Cenni all’esperienza piemontese

 

 Barbara Gagliardi1

Si ringraziano per i dati forniti il dr. Michele Panté (Consiglio Regionale del Piemonte), la dr.ssa Francesca Ricciarelli (Giunta Regionale del Piemonte), la dr.ssa Adriana Scavello (Giunta Regionale del Piemonte), la dr.ssa Maria Antonietta Ritrovato (Città di Torino), il dr. Giovanni Rubino, la dr.ssa Silvia Zanchetta e l’Avv. Maria Angela Laurino (tutti in CSI Piemonte).

Sommario: 1. Dal telelavoro al lavoro agile. – 2. La disciplina del lavoro agile durante l’emergenza. – 3. Il lavoro agile a regime, tra rischi e opportunità.

1. Dal telelavoro al lavoro agile.

L’emergenza pandemica ha determinato, come noto, il ricorso della maggior parte delle pubbliche amministrazioni al lavoro da remoto, costringendo a prendere finalmente “sul serio” un istituto introdotto nel lavoro pubblico ormai da più di vent’anni, ma sinora utilizzato in modo del tutto marginale.

La prima modalità di lavoro a distanza sperimentata nel settore pubblico è il “telelavoro”, introdotto – invero con scarso successo – d’iniziativa del Ministro Bassanini a completamento della contrattualizzazione del lavoro pubblico (l. 16 giugno 1998, n. 191, art. 4), con una previsione che lasciava ampio spazio all’integrazione in sede di contrattazione collettiva2.

La disciplina sul telelavoro si caratterizza per un procedimento piuttosto articolato di attivazione e, come si vedrà, per una forte tutela del lavoratore che vi abbia aderito. Ai fini dell’attivazione di quella che è una modalità alternativa di esecuzione della prestazione occorre il preliminare intervento degli organi di governo dell’amministrazione, cui spetta l’individuazione, tra gli obiettivi definiti annualmente, di quelli realizzabili in telelavoro (d.P.R. 8 marzo 1999, n. 70, art. 3). Alla dirigenza e ai responsabili di servizio è attribuito il compito di approvare il «piano per l’utilizzo del telelavoro», di pubblicazione obbligatoria sul sito istituzionale dell’ente e utile all’individuazione delle modalità di realizzazione e delle eventuali attività escluse, ove la mancata adozione rileva ai fini della misurazione e valutazione della performance individuale (art. 9, c. 7°, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in l. 17 dicembre 2012, n. 221).

Al piano è correlata la definizione di un “progetto generale di telelavoro”, che deve stabilire obiettivi e attività interessate, tecnologie utilizzate e sistemi di supporto, modalità di effettuazione, tipologie professionali e numero dei dipendenti coinvolti, tempi e modalità di realizzazione, criteri di verifica e di aggiornamento, modificazioni organizzative eventualmente necessarie, nonché costi e benefici, diretti e indiretti (d.P.R. n. 70 del 1999, cit., art. 3)3.

Nel caso in cui emerga la necessità di operare una scelta tra più lavoratori interessati al telelavoro, l’accordo quadro stipulato con le organizzazioni sindacali nel 2000 individua come criteri di scelta prioritaria la condizione di disabilità del lavoratore, purché tale da rendere disagevole il raggiungimento del luogo di lavoro, le esigenze di cura di figli minori di 8 anni o di altri familiari o conviventi, o ancora la durata del tragitto casa-lavoro.

Per il telelavoratore si afferma il diritto alle medesime condizioni d’impiego e retribuzione riconosciute agli altri dipendenti, precisandosi altresì l’obbligo dell’amministrazione di farsi carico delle attrezzature informatiche necessarie e della relativa manutenzione, oltreché dei costi di consumo energetico e telefonico sostenuti dal lavoratore, cui debbono altresì essere garantite la sicurezza e salute sul luogo di lavoro, secondo una disciplina che – se paragonata con quella dello smart working, specie nella declinazione introdotta nella fase emergenziale – è senz’altro di peculiare tutela.

Al telelavoro si è più di recente affiancato – senza inizialmente sostituirlo – il lavoro agile previsto dalla c.d. “riforma Madia” (l. 7 agosto 2015, n. 124, art. 14) e quindi disciplinato con norme rivolte al settore privato e applicabili “in quanto compatibili” a quello pubblico (l. 22 maggio 2017, n. 81, art. 18, c. 3). Trattasi di modalità che differisce dal telelavoro – che invero si vuole destinato progressivamente a soppiantare4 – perché di più semplice attivazione, oltre che per l’assenza di «precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro»: è fatto salvo il solo limite di durata massima dell’orario giornaliero e settimanale e la collocazione della postazione di lavoro individuale in parte all’interno dei locali dell’ente e in parte all’esterno, ma senza una sede fissa (l. n. 81 del 2017, cit., art. 18, c. 1)5. Si può trattare così di lavoro “a domicilio”, ma anche di lavoro nei “telecentri” o spazi di “co-working”, anche condivisi tra più amministrazioni pubbliche per l’erogazione di servizi in comune, presso altre sedi del medesimo ente6, o in qualunque altro tipo di ubicazione (parchi cittadini, mezzi di trasporto), ivi compreso il lavoro “mobile” o “nomade”7, purché rimanga possibile il collegamento in rete. Analoga flessibilità si afferma per l’orario, anche se molti dei progetti avviati in via sperimentale dalle amministrazioni hanno limitato l’autonomia organizzativa dei lavoratori in tale ambito fissando più o meno estese fasce di reperibilità (o “compresenza”, o ancora “contattabilità”), ed escludendo altresì il lavoro notturno o festivo8.

Diversamente da quanto previsto in tema di telelavoro, il datore di lavoro non è obbligato a fornire le apparecchiature informatiche o a rimborsare i costi sostenuti per le utenze, secondo il c.d. paradigma “BYOD” (“bring your own device”). I maggior costi sopportati sono generalmente ritenuti ammissibili in ragione della volontarietà dell’adesione, secondo un ragionamento che per ovvi motivi ha vacillato nella fase emergenziale9. L’utilizzazione di dotazioni del lavoratore comporta peraltro delicate questioni in tema di tutela della sua sicurezza, salute e riservatezza, o sinanco della protezione dei dati di terzi eventualmente trattati nel disbrigo delle mansioni.

Concorrono a disciplinare l’istituto un coacervo di atti amministrativi, con forma – o spesso soltanto sostanza – di regolamento, la cui produzione è cresciuta a dismisura a partire da marzo 2020: in origine vi era una direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dir. Pres. Cons. Min. 1° giugno 2017, n. 3)10, più di recente sono state emanate una serie di direttive, circolari e infine decreti del Ministro per la pubblica amministrazione, da ultimo richiamati dalla stessa legge istitutiva per la definizione di «ulteriori e specifici indirizzi»11.

La valorizzazione dell’autonomia organizzativa individuale che è in tal modo perseguita – tale da collocare la fattispecie “ai limiti” della subordinazione12 vuol essere funzionale a una trasformazione delle modalità di lavoro “per obiettivi”, con valutazione dei risultati raggiunti piuttosto che della mera presenza fisica nell’arco di un orario predeterminato. Allo stesso tempo la riforma si prefigge espressamente di favorire la conciliazione dei tempi individuali di vita e lavoro, anche al fine di una maggior tutela delle cure parentali13, accompagnandosi all’affermazione dell’obbligo di stipulare convenzioni con asili nido e scuole per l’infanzia e di organizzare «servizi di supporto alla genitorialità» per i periodi di chiusura delle scuole (l. n. 124 del 2015, cit., art. 14, c. 2)14.

Secondo tale approccio – che si può osservare con simili accenti anche in altri ordinamenti15 e che trova riconoscimento nell’ordinamento dell’Unione europea – l’adozione delle modalità “agili” dovrebbe favorire il miglioramento degli standard di efficienza ed efficacia delle amministrazioni: grazie ai risparmi di spesa determinati dalla mancata utilizzazione dei locali e delle risorse a disposizione degli uffici, ma anche come effetto riflesso del miglioramento delle condizioni di benessere individuale, che ci si aspetta ingenerino una più forte motivazione e il calo dell’assenteismo, aumentando la capacità produttiva dei singoli16.

Come già era stabilito per il telelavoro, a livello individuale la transizione al lavoro agile è formalizzata con la stipulazione di un accordo (c.d. patto di agilità), per il quale si prevede la forma scritta «ai fini della regolarità amministrativa e della prova», e i cui contenuti necessari coincidono con la disciplina dell’esecuzione della prestazione, «anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro». Al medesimo atto si rinvia poi per l’individuazione degli strumenti utilizzati, dei tempi di riposo e delle misure utili a garantire il c.d. diritto alla disconnessione”, per lo più inteso come diritto di non rispondere a mail, telefonate o messaggi di qualunque tipo17, ma da intendersi altresì come correlato all’utilizzazione di strumenti digitali di controllo da remoto, anche basati su sistemi di data analytics, di cui i lavoratori potrebbero essere non sempre pienamente consapevoli18. L’accordo rileva infine per la tipizzazione degli illeciti disciplinari che possono essere commessi al di fuori dei locali dell’amministrazione, secondo una norma che non sembra comunque escludere il tradizionale esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione ai fini dell’individuazione dei comportamenti rilevanti in tale sede.

Il patto di agilità assume così una funzione di tutela del lavoratore, garantendone il consenso e una più completa informazione: non è dunque priva di rilievo la deroga all’obbligo di stipulazione posta dalla normativa emergenziale, per le amministrazioni pubbliche come per i datori di lavoro privati, dapprima con efficacia territorialmente circoscritta alle aree più interessate dalla pandemia19, poi per tutto il territorio nazionale20.

Diversamente da quanto previsto nel contesto delle riforme Bassanini, la disciplina sul lavoro agile non prevede alcun rinvio esplicito alla contrattazione collettiva: anche in sede di attuazione si è indicato quale strumento utile alla definizione del modello nelle singole amministrazioni un “atto interno” (in particolare un regolamento di organizzazione) da impiegarsi per inquadrare i successivi accordi individuali21.

La sistematica assenza di accordi collettivi è stata avvertita con particolare disagio durante la fase pandemica, aggravando la mancanza di quelli individuali a fronte delle rivendicazioni relative al riconoscimento di lavoro straordinario e congedi, all’attribuzione dei buoni pasto o indennità sostitutiva di mensa22, al regime di responsabilità per l’utilizzazione delle risorse informatiche, o ancora alla tutela della riservatezza dei dati e del diritto alla disconnessione. V’è da dire tuttavia che, in assenza di una norma speciale di rinvio alla contrattazione collettiva, trova spazio la distribuzione delle competenze definita dalla disciplina generale, sicché gli atti di organizzazione degli uffici sono assunti dalla dirigenza con le «capacità e i poteri del privato datore di lavoro», con obbligo di mera “informazione” alle organizzazioni sindacali, mentre il contratto collettivo resta competente per tutto ciò che riguarda il rapporto di lavoro e le relazioni con i sindacati23. Così da ultimo si è rinviata ai contratti collettivi nazionali la definizione di una «disciplina che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati, concili le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle pubbliche amministrazioni», sempre all’insegna del miglioramento delle prestazioni in uno con la conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Più specificamente ciò si traduce nell’attribuzione al contratto della tutela dei diritti dei lavoratori agili, tra cui i diritti sindacali, il diritto alla disconnessione, alla protezione dei dati, alla formazione specifica e così via24

Nonostante l’avvio di alcune interessanti sperimentazioni (anche in Piemonte25), l’obiettivo fissato dalla riforma Madia di raggiungere entro tre anni dall’entrata in vigore almeno il 10% dei lavoratori pubblici non è stato raggiunto, confermando un ritardo tale da collocare l’Italia all’ultimo posto tra i paesi europei per numero di dipendenti pubblici impiegati in modalità “smart”, con un gap che tocca precipuamente la pubblica amministrazione, ma cui non è estranea l’impresa (specie se medio-piccola)26.

2. La disciplina del lavoro agile durante l’emergenza.

Il lavoro agile attivato durante l’emergenza pandemica si distingue ulteriormente dal modello definito dalla riforma Madia per essere stato individuato, nei momenti di più acuta crisi, quale modalità ordinaria di svolgimento delle prestazioni, a protezione della salute dei lavoratori e di quella pubblica.

Le pubbliche amministrazioni sono state dapprima invitate a “potenziare il ricorso” al lavoro agile, dando priorità ai dipendenti maggiormente esposti al rischio di contagio in ragione di condizioni di salute pregresse, o perché si avvalgono di servizi pubblici di trasporto per raggiungere la sede di lavoro, o ancora a quanti debbano farsi carico di figli minori rimasti a casa a seguito della contrazione dei servizi per l’infanzia27; in un secondo momento lo smart working è divenuto di obbligatoria attivazione per tutte le amministrazioni pubbliche sul suolo nazionale, segnandosi un’importante differenza rispetto al lavoro nell’impresa. Le sole eccezioni hanno riguardato le attività da rendere “indifferibilmente” in presenza, anche in ragione della gestione dell’emergenza, ove per tutte le altre in alternativa al lavoro agile si è indicata esclusivamente l’utilizzazione di ferie, congedi, banca ore e altri analoghi istituti, o in casi estremi sinanco l’esenzione dal servizio (con conservazione del trattamento economico)28. Così sono stati esclusi dal lavoro da remoto le attività sanitarie, ma anche i lavoratori impegnati nella tutela della sicurezza pubblica e con funzioni di polizia amministrativa, i cantonieri, gli addetti a logistica e manutenzione e altri ancora.

Ovviamente, l’emergenza ha escluso la flessibilità nella scelta del luogo di lavoro, così come l’alternanza con la frequentazione dei locali aziendali, trasformando il lavoro agile essenzialmente in lavoro “da casa” o “a domicilio”, erogato per lo più con gli stessi orari e scansioni temporali di quello in presenza, con un “annacquamento” dei caratteri più “smart” dell’istituto, a beneficio di un malcelato ritorno al telelavoro, per di più configurato come una misura di tutela della salute pubblica, più che come uno strumento manageriale in senso proprio.

Benché lo svolgimento delle prestazioni da remoto sia affermato quale oggetto di un diritto – esercitabile sino alla cessazione dell’emergenza epidemica – per i soli lavoratori disabili o immunodepressi e per quanti abbiano nel proprio nucleo familiare una persona in tali condizioni29, o ancora per quanti siano particolarmente a rischio di contagio secondo le valutazioni dei “medici competenti” di obbligatoria individuazione nell’ambito di organizzazioni pubbliche e private30, resta fermo che tutti i dipendenti hanno potuto far valere l’obbligo del datore di lavoro di limitare la presenza del personale, con la sola eccezione di quanti siano impiegati nelle precitate attività indifferibili, o in attività comunque non esercitabili a distanza. In definitiva può dunque dirsi che i lavoratori disabili o immunodepressi godono del diritto a lavorare in modalità agile quali che siano le attività esercitate e dunque anche ove queste siano riconducibili alla gestione dell’emergenza o ad altri servizi “essenziali”.

Nelle fasi successive dell’emergenza si è fissata una percentuale minima di lavoratori da impiegare in smart working pari al 50% di quanti svolgano attività effettivamente suscettibili di essere svolte a distanza31, anche ricorrendo alla rotazione del personale32o assegnando attività progettuali ad hoc in aggiunta o alternativa a quelle ordinarie33, fatti salvi regimi più severi per le c.d. zone rosse34. Ciò a condizione di assicurare comunque “regolarità, continuità ed efficienza” dei servizi all’utenza, oltre che il rispetto dei termini procedimentali, secondo una specificazione che senz’altro riflette disfunzioni e ritardi cumulati dall’amministrazione durante la prima ondata35. A tal fine ad es. la Regione Piemonte ha escluso dal lavoro agile la dirigenza e i titolari di posizione organizzativa, ritenendo la presenza essenziale a fini di coordinamento, indirizzo e impulso delle attività36.

Le stesse norme recano un’estrema semplificazione del procedimento utile a collocare i lavoratori in smart working, secondo un’evidente logica emergenziale: come anticipato non solo si autorizza la deroga all’obbligo di stipulazione degli accordi individuali, ma anche agli obblighi di informazione da assolvere normalmente presso i Centri per l’impiego. Nella sola prima fase si è derogato altresì all’obbligo di garantire la sicurezza e il buon funzionamento degli strumenti tecnologici utilizzati dal lavoratore ove questi avesse fatto ricorso a dotazioni proprie, manifestando con tutta evidenza la drammaticità dell’emergenza37, specie in considerazione del fatto che tre amministrazioni su quattro hanno invitato i dipendenti a utilizzare i propri dispositivi e solo il 38% del totale ha procurato sistemi utili a garantire la sicurezza degli accessi da remoto38.

Le norme emergenziali sospendevano contestualmente le procedure concorsuali per il reclutamento del personale, la progressione in carriera o il conferimento di incarichi, con la sola eccezione di quelle effettuabili da remoto perché svolte sulla base della mera valutazione dei titoli dei candidati39 o comunque secondo modalità che consentano l’adozione di strumenti telematici, purché idonee a garantire pubblicità, identificazione dei candidati, sicurezza e tracciabilità delle comunicazioni (ad es. per gli orali)40.

3. L’esperienza piemontese e il lavoro agile a regime, tra rischi e opportunità.

Se a gennaio 2020 a livello nazionale la percentuale di dipendenti in smart working era del solo 1,7% (e ancora più contenuta era per le pubbliche amministrazioni locali, ove il dato si assestava al 1,1%), nel periodo di emergenza pandemica tale modalità di esecuzione della prestazione ha raggiunto circa la metà dei dipendenti pubblici, oscillando tra un massimo del 63,7% per il mese di maggio, e un minimo del 31,2% a inizio marzo 2020 (21% per la p.a. locale)41.

Il più contenuto ricorso al lavoro agile per la p.a. locale si deve alle difficoltà organizzative segnalate in particolare dagli enti di ridotte dimensioni, ove nel periodo compreso tra gennaio e metà settembre 2020 in quelli con un numero di dipendenti inferiore a cinquanta la quota di lavoro agile non ha mai superato il 31,5% delle giornate di lavoro (contro a una percentuale massima del 59,4% per gli enti con più di cento dipendenti). Le amministrazioni che avevano già sperimentato il lavoro agile sono ovviamente arrivate più preparate, riuscendo a coinvolgere un numero maggiore di persone rispetto a quelle che hanno dovuto cominciare da zero (70% dei lavoratori contro 55%)42.

Pur non essendo allo stato attuale disponibili dati aggiornati sul panorama complessivo delle amministrazioni pubbliche piemontesi, possono comunque segnalarsi alcune esperienze di interesse e dati di sintesi: circa 9.000 sono state le postazioni di lavoro “remotizzate” – o più spesso semplicemente i profili abilitati per l’accesso da remoto – per dipendenti e organi politici degli enti consorziati all’organizzazione in house incaricata dell’informatica piemontese (CSI Piemonte), di cui più di 7.000 distribuite tra Regione Piemonte e Città di Torino.

Più in particolare, il Consiglio Regionale del Piemonte, non solo è stato il primo in Italia a organizzare la propria attività da remoto (con un primo consiglio regionale “virtuale” già il 24.03.2020), ma ha usato tale modalità per circa l’87% dei dipendenti (240 su 275), con 6.000 giornate di lavoro agile complessive già totalizzate a fine novembre 2020. Per quanto riguarda invece i dipendenti della Giunta Regionale, il livello di coinvolgimento è forse meno significativo (2100 dipendenti in smart working circa su un totale di circa 3000, con 242.154 giornate di lavoro agile svolte da marzo a dicembre 2020), ma è senz’altro d’interesse il dato relativo al telelavoro, che già prima della pandemia riguardava circa il 10% dei lavoratori, impiegati da casa o presso sedi di altre amministrazioni dislocate sul territorio.

Il Comune di Torino – che partiva da circa l’8,3% dei dipendenti in smart working già prima della pandemia – raggiungeva circa il 39% del totale nella prima metà di marzo 2020 (3291 dipendenti su circa 8500), per totalizzare a dicembre 2020 a più del 71% dei lavoratori abilitati (5957 su un totale di 8306, con quasi il 30% delle giornate lavorate in smart working nel mese).

Atteso il sicuro successo dell’iniziativa per le amministrazioni del capoluogo, rimane da verificarne l’esito sul resto del territorio, nelle amministrazioni provinciali43 ma ancor più nei piccoli comuni che caratterizzano la peculiare conformazione del panorama amministrativo piemontese (con 248 comuni con meno di 5.000 ab., di cui 108 “piccolissimi”, con meno di 1.000 ab.), ove le difficoltà di adottare un modello che presuppone una massiva informatizzazione di attività e procedimenti si correlano a un endemico ritardo nell’implementazione delle nuove tecnologie44.

Il massiccio ricorso allo smart working ha comunque consentito di considerare superata la fase di sperimentazione inaugurata dalla riforma Madia, costringendo a tale scelta anche le amministrazioni che l’avevano inizialmente accantonata45. Ancor più la disciplina emergenziale rileva per l’affermazione dell’obiettivo di fare dello “smart working” una modalità stabile di svolgimento della prestazione, a prescindere dal contesto pandemico e dalle esigenze di distanziamento sociale che lo caratterizzano.

La percentuale di lavoratori da coinvolgere è stata così portata dal 10% iniziale a un ben più ambizioso 60% per ogni amministrazione, con un tetto minimo del 30% dei dipendenti in caso di mancata adozione del “Piano organizzativo del lavoro agile” (POLA) e purché vi siano sufficienti istanze in tal senso46.

Il suddetto piano in particolare è posto quale essenziale strumento di transizione, stabilendosene l’obbligatoria adozione entro il 31 gennaio di ogni anno, quale sezione del Piano della performance (di cui al d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 10, c. 1, lett. a), secondo un collegamento rafforzato con gli istituti di valutazione individuale (specie per la dirigenza) e collettiva, benché lo si fosse anticipato già con le norme precedenti, anche in tema di telelavoro47. Il POLA si va ad aggiungere ai molti strumenti di pianificazione e programmazione previsti dalla legislazione recente (oltre al già citato Piano della performance, si ricordino il Piano triennale di prevenzione della corruzione ormai unificato a quello per la trasparenza48, o ancora al Piano triennale per l’informatica, a quello dei fabbisogni di personale e quello, sempre triennale, sulla formazione), di cui condivide la metodologia basata su un “assessment” iniziale di risorse e professionalità a disposizione dell’amministrazione, oltreché che dei procedimenti e delle attività al fine di ottenere una mappatura capace di individuare quelle che siano effettuabili da remoto, cui segue la predisposizione di indicatori di risultato (es. benessere organizzativo, risparmi di spesa, qualità e quantità delle prestazioni) e il monitoraggio del relativo raggiungimento49.

Parallelamente, per facilitare e accompagnare l’attuazione delle riforme, è stato istituito presso il Dipartimento della Funzione pubblica l’ ”Osservatorio nazionale del lavoro agile”, composto da esperti e rappresentanti delle amministrazioni, sia in qualità di datori di lavoro, sia in quella di enti competenti all’erogazione di prestazioni strumentali alla piena realizzazione del lavoro agile (es. Inail, Inps, Sna, Istat, ecc.), con il compito di svolgere ricerche, formulare proposte e monitorare l’adozione dei POLA50.

Sul versante del reclutamento si è avviata la sperimentazione di software capaci di assicurare standard elevati di sicurezza e soprattutto di impedire comportamenti scorretti da parte dei candidati, bloccandone ad es. il pc perché non possano consultare siti web o utilizzare chat durante lo svolgimento delle prove o individuando anche da remoto chi non rispetta le regole attraverso modelli di intelligenza artificiale basati sull’analisi dei movimenti di viso e corpo (proctoring)51.

La diffusione di tale modalità di lavoro ha senz’altro consentito un aumento delle competenze digitali dei dipendenti, imponendo di confrontarsi con nuovi strumenti (ad es. per lo svolgimento di riunioni o con l’archiviazione dei documenti su cloud52) che hanno favorito un’accelerazione nella digitalizzazione dei procedimenti amministrativi e nell’erogazione on line di servizi all’utenza53. Benché manchino ancora dati completi e studi approfonditi sulla digitalizzazione indotta dall’emergenza, può osservarsi come in taluni casi tali sperimentazioni si siano innestate su processi di riforma già avviati da tempo54, mentre in altre ipotesi si siano tradotte nell’avvio di progetti più radicalmente innovativi55. In altri casi ancora l’amministrazione si è limitata all’attivazione di nuovi indirizzi di posta elettronica dedicati, non sempre adeguatamente presidiati.

Allo stesso tempo, la situazione emergenziale ha messo in evidenza il ritardo accumulato in tali processi, le lacune nella preparazione dei singoli56, spesso l’arretratezza delle risorse e infrastrutture a disposizione57 e sinanco la loro permeabilità ad attacchi esterni58. Non stupisce pertanto constatare come le linee guida utili alla predisposizione dei POLA raccomandino anzitutto, tra le “condizioni abilitanti”, l’adozione di accorgimenti apparentemente banali, specie ove si guardi a quella che è definita come “salute digitale”: si suggerisce l’acquisizione di sistemi di cloud per favorire l’accesso a dati e documenti anche dall’esterno, la disponibilità di software utili a consentire il lavoro per flussi, quella di strumenti di criptazione dati e di profilazione degli accessi o ancora l’implementazione di procedure automatizzate di “backup” e di “disaster recovery” a fini di “data loss prevention” o sinanco l’istituzione di un help desk informatico a supporto di dipendenti e utenti59. Strumenti, tutti, spesso già normalmente forniti da società e consorzi in house istituiti per l’erogazione di servizi e forniture informatiche alle pubbliche amministrazioni dei territori regionali60.

Specifiche discipline emergenziali sono state adottate per provvedere a tale fabbisogno, autorizzando la deroga delle norme del codice dei contratti per fornire le amministrazioni di beni e servizi necessari «al fine di agevolare la diffusione del lavoro agile (…) favorire la diffusione di servizi in rete (…) e agevolare l’accesso agli stessi da parte di cittadini e imprese»61, secondo previsioni che hanno effettivamente consentito – anche in Piemonte62 un’accelerazione senza precedenti negli acquisti di infrastrutture informatiche63 e nella predisposizione di postazioni di lavoro “a distanza”, specie per i lavoratori sprovvisti di un pc personale (o che hanno dovuto condividerlo con altri familiari in smart working o impegnati nella didattica a distanza)64. Non solo, le già rilevate difficoltà dei piccoli comuni (sotto ai 5.000 ab.) si sono tradotte nella destinazione di ingenti risorse volte a rafforzarne la capacità amministrativa secondo “logiche di smart working65.

La maggior parte delle amministrazioni è concorde nel riconoscere al lavoro agile un effetto di risparmio di spesa, derivante anzitutto dal minor uso delle utenze e dalla riduzione del consumo di carta (54% degli enti, arrivando fino all’80% per quelli con più di 500 dipendenti). Di converso sono più quelle che hanno riconosciuto un peggioramento dei servizi all’utenza rispetto a quante ne abbiano rilevato il miglioramento (20% contro il 7,3%) e altresì poco significativo è stato l’aumento di produttività (solo il 15% lo rileva, mentre l’11% ne ha registrato il calo)66.

Perché possa porsi effettivamente come leva di miglioramento organizzativo e di sviluppo delle performance occorre – secondo quella che è un’osservazione pressoché costante negli studi in materia67 – che l’adozione del lavoro agile sia accompagnata dal superamento del modello burocratico di organizzazione del lavoro e dall’implementazione di strumenti di valutazione incentrati sul raggiungimento dei risultati (e sulla previa fissazione di obiettivi) piuttosto che sul mero controllo della presenza in servizio, secondo un approccio che le riforme del settore promuovono ormai da tempo, per lavoratori agili e “non agili”68.

Oltre a porsi come leva per l’informatizzazione dei processi amministrativi, lo smart working ha aperto inedite prospettive di incremento del benessere individuale, ove località (già) turistiche hanno sponsorizzato la loro candidatura a luogo di lavoro con allettanti offerte (c.d. modalità “workation”)69; così in Piemonte molti si sono spostati verso le montagne. Al contempo si è favorito il decongestionamento delle città, la riduzione dell’inquinamento70 e il contenimento dei costi normalmente sostenuti per la mobilità ma anche per abitare (e lavorare) nelle grandi città71, con realizzazione di molte delle ambizioni che ispiravano il c.d. “telecommuting” avviato negli Stati Uniti nei primi anni ‘7072.

L’effetto è stato la crescita in numero dei c.d. “city quitters73, ove la scelta a favore del c.d. “post urbanesimo” è divenuta meno elitaria e radicale, facilitandosi in particolare il riavvicinamento ai piccoli centri, si è detto “a sostegno di cultura e valori locali” (“glocal working74), e spesso ai territori di origine di quanti negli anni se ne fossero allontanati per esigenze di formazione o di lavoro (si pensi ad es. al c.d. “south working75).

Allo stesso tempo, tuttavia, se non accompagnato da un’effettiva valorizzazione delle capacità di auto-organizzazione e dal già richiamato orientamento ai risultati, il lavoro agile rischia di creare (o ricreare) squilibri di genere, specie ove inteso precipuamente quale strumento di conciliazione dei tempi di vita e lavoro per quanti (e soprattutto quante) abbiano ad occuparsi di figli, familiari e altri conviventi76. La mancata frequentazione dei locali di lavoro e con essa la perdita della “pratica di comunità” rischia infatti di tradursi in una spinta all’emarginazione delle lavoratrici, cui solo una rigorosa tutela della parità di diritti e doveri può porre rimedio. Allo stesso tempo si è rilevato come le responsabilità familiari del lavoratore agile possano talora aumentare in ragione di una distorta percezione dello “stare a casa” da parte dei conviventi, con il perverso effetto di generare ulteriore conflitto tra lavoro e famiglia77.

Il lavoro agile, dunque, sembra davvero caratterizzarsi come uno strumento capace di offrire molteplici opportunità e vantaggi: perché idoneo a favorire, se non a “forzare”, la digitalizzazione di attività e procedimenti dell’amministrazione, consentendo il raggiungimento di maggiori livelli di efficacia e di efficienza, ma anche – in senso più esteso – a determinare il ripensamento della cultura burocratica e l’introduzione di nuovi modelli di esecuzione della prestazione lavorativa orientati al risultato e alla premialità di quanti si dimostrino maggiormente capaci di raggiungere gli obiettivi prefissati. Allo stesso tempo è un’occasione per la tutela ambientale e più in generale per il benessere individuale. Tuttavia, come tutte le opportunità di cambiamento radicale, rischia di essere colta secondo una lettura riduttiva, che può svilirne i benefici, o, nello scenario peggiore, condurre sinanco a effetti distorsivi capaci di tradursi nell’aumento di fratture sociali, anche in ragione di un insuperato “digital divide” tra territori e generazioni.

1 Prof.ssa associata di Diritto amministrativo – Dipartimento di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Torino.

2 La l. n. 191 del 1998, cit., art. 4, rinvia alla contrattazione collettiva per l’adeguamento della disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro dei dipendenti interessati «alle specifiche modalità della prestazione». La disciplina d’attuazione assegna in particolare al contratto collettivo l’individuazione delle «modalità per l’accesso al domicilio del dipendente addetto al telelavoro dei soggetti aventi competenza in materia di salute, sicurezza e manutenzione» (d.P.R. n. 70 del 1999, cit., art. 8, c. 2°). In attuazione di tali previsioni è stato stipulato l’accordo quadro generale sul telelavoro del 23 febbraio 2000, ripreso senza significative innovazioni dalla contrattazione di comparto.

3 Si richiede inoltre la definizione della formazione necessaria al fine di consentire l’attivazione del telelavoro, con individuazione delle metodologie didattiche, delle risorse, durata, ecc.

4 Circ. Min. Pubbl. Amm. 4 marzo 2020, n. 1.

5 Per la tesi secondo cui il lavoro agile sarebbe una species del telelavoro, da cui si distinguerebbe solo per alcuni elementi eventuali, ritenendosi in particolare che anche il telelavoro sia attivabile senza attribuire al lavoratore una postazione fissa e in alternanza: S. Cairoli, Prime questioni sulla fattispecie del lavoro in modalità agile alle dipendenze della pubblica amministrazione, cit., 101 ss.

6 Dir. Pres. Cons. Min. 1° giugno 2017, n. 3.

7 Per una rassegna delle varie tipologie: F. Toscano e S. Zappalà, Smart working in Italia: origine, diffusione e possibili esiti, in Psicologia sociale, 2020, 206-207.

8 Per un’analisi: D. Calderara, Il lavoro agile nella pubblica amministrazione: prime ipotesi applicative, in Lav. pubb. amm., 2018, 75 ss., ove si citano i progetti sperimentali avviati dai Comuni di Milano e Torino. Ove non sia variato né l’orario di lavoro né la collocazione oraria della prestazione non si tratta di vero e proprio lavoro agile, ma piuttosto di “telelavoro in forma alternata”: S. Cairoli, Prime questioni sulla fattispecie del lavoro in modalità agile alle dipendenze della pubblica amministrazione, in Lav. pubbl. amm., 2018, 90.

9 S. Cairoli, Prime questioni sulla fattispecie del lavoro in modalità agile alle dipendenze della pubblica amministrazione, cit., 93 ss.

10 Alla direttiva era attribuita l’individuazione di «linee guida contenenti regole inerenti all’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e lavoro dei dipendenti» (l. n. 124 del 2015, cit., art. 14, c. 3° nella versione vigente sino al 1° marzo 2020).

11 L. n. 124 del 2015, cit., art. 14, c. 3, come mod. dall’art. 263, c. 4 bis, lett. b), d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. dalla l. 17 luglio 2020, n. 77.

12 Si veda P. Albi, Il lavoro agile tra emergenza e transizione, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 430/2020, 10 ss.; B. Caruso, Tra lasciti e rovine della pandemia: più o meno smart working?, in Riv. it. dir. lav., 2020, 223 ss.

13 I datori di lavoro pubblici e privati «sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione della prestazione in modalità agile formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità o dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità» (l. n. 81 del 2017, cit., art. 18, c. 3 bis).

14 Nell’ordinamento UE il “lavoro agile” è sostenuto nella sua qualità di «approccio all’organizzazione del lavoro basato su una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, che non richiede necessariamente al lavoratore di essere presente sul posto di lavoro o in un altro luogo predeterminato e gli consente di gestire il proprio orario di lavoro, garantendo comunque il rispetto del limite massimo di ore lavorative giornaliere e settimanali stabilito dalla legge e dai contratti collettivi», di cui sottolinea il potenziale offerto «ai fini di un migliore equilibrio tra vita privata e vita professionale, in particolare per i genitori che si reinseriscono o si immettono nel mercato del lavoro dopo il congedo di maternità o parentale»: Parlamento europeo, Risoluzione del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale (2016/2017(INI)).

15 Vedi ad es. J. Marchand – P. Patarin, Le télétravail dans la fonction publique territoriale, in Actualité Juridique Fonctions Publiques (AJFP), 2016, 271 ss.

16 Si veda M. Brollo, Il lavoro agile nell’era digitale tra lavoro privato e pubblico, in Lav. pubbl. amm., 2017, 121; A. Occhino, Il lavoro agile nella contrattazione collettiva, in Lav. pubbl. amm., 2018, 84 ss.

17 Cfr. Parlamento europeo, Ris. 13 settembre 2016, cit., § 48: il Parlamento «si oppone alla transizione da una cultura della presenza fisica a una cultura della disponibilità permanente; invita la Commissione, gli Stati membri e le parti sociali, in sede di elaborazione delle politiche in materia di lavoro agile, a garantire che esse non impongano un onere supplementare ai lavoratori, bensì rafforzino un sano equilibrio tra vita privata e vita professionale e aumentino il benessere dei lavoratori (…)». Per una breve rassegna della definizione offerta al diritto di disconnessione nei regolamenti di alcuni enti locali: R. Zucaro, Pubblica amministrazione e smart working, dalla disciplina ordinaria alla deroga emergenziale, in Lav. pubbl. amm., 2020, 104-105.

18 Da ultimo Eurofound, Employee monitoring and surveillance: The challenges of digitalisation, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2020.

19 Si veda il d.P.C.M. 25 febbraio 2020, art. 2, la cui efficacia è circoscritta ai datori di lavoro aventi sede legale od operativa in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria e ai lavoratori ivi residenti e domiciliati che svolgano attività lavorativa in altre regioni.

20 D.P.C.M. 1° marzo 2020, art. 4, c. 1, lett. a; d.P.C.M. 4 marzo 2020, art. 1, lett. n

21 Dir. 2017, n. 3. Per l’analisi del ruolo che potrebbe essere comunque attribuito al contratto collettivo: S. Cairoli, Prime questioni sulla fattispecie del lavoro in modalità agile alle dipendenze della pubblica amministrazione, cit., 95 ss.; M. Brollo, Il lavoro agile nell’era digitale tra lavoro privato e pubblico, cit., 128 (con particolare riferimento al contratto decentrato); R. Zucaro, Pubblica amministrazione e smart working, dalla disciplina ordinaria alla deroga emergenziale, cit., 86-89.

22 Si veda Trib. Venezia, 8 luglio 2020, n. 3463, in www.aranagenzia.it; Circ. Min. Pubbl. Amm. 1° aprile 2020, n. 2, ove si esclude che i lavoratori in smart working abbiano un «automatico diritto al buono pasto», rinviando comunque le determinazioni in merito alle singole amministrazioni, «previo confronto con le organizzazioni sindacali».

23 Fatte salve le ulteriori forme di partecipazione previste dagli stessi contratti collettivi: d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 5, c. 2 e art. 40.

24 Si veda il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale stipulato tra Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro per la Pubblica Amministrazione e organizzazioni sindacali il 10.3.2021.

25 Si vedano ad es. la sperimentazione avviata dalla Città di Torino che dal 2018 ha consentito a tutto il personale dipendente di chiedere l’autorizzazione a lavorare da remoto sino a 3 gg. la settimana (in www.comune.torino.it/smartworking, consultato a gennaio 2021).

26 Al termine del 2018 il 58% delle grandi imprese e il 24% delle PMI aveva sperimentato progetti di smart working, contro al solo 9% delle Pubbliche Amministrazioni: Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, Smart working: continua la crescita delle grandi aziende, 2018, inwww.osservatori.net, citato da F. Toscano e S. Zappalà, Smart working in Italia:origine, diffusione e possibili esiti, cit., 208.

27 Vedi Dir. Min. Pubbl. Amm. 25 febbraio 2020, n. 1.

28 Così l’art. 87, c. 1, lett. a, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. in l. 24 aprile 2020, n. 27 (che ha cessato di produrre effetti alla data del 15 settembre 2020) e prima ancora il D.P.C.M. 11 marzo 2020, art. 1, n. 6; si veda altresì l’art. 1, c. 2, lett. s e lett. ff. d.l. 25 marzo 2020, n. 19, conv. in l. 22 maggio 2020, n. 35. Il ricorso generalizzato allo smart working era stato già indicato come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione dalla Dir. Min. Pubbl. Amm. 12 marzo 2020, n. 2.

29 Così l’art. 39, d.l. n. 18 del 2020, cit. Per l’affermazione secondo cui nelle imprese la scelta di ricorrere al lavoro agile è espressione di piena discrezionalità del datore di lavoro, ferma restandone la responsabilità per l’eventuale malattia contratta dal lavoratore sul luogo di lavoro: C. Alessi, M.L. Vallauri, Il lavoro agile alla prova del Covid-19, in Covid-19 e diritti dei lavoratori, a cura di O. Bonardi, U. Carabelli, M. D’Onghia, L. Zoppoli, Ediesse, Roma, 2020, 137 ss.

30 Più specificamente si tratta dei «lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio da virus SARS-CoV-2, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da comorbilità che possono caratterizzare una situazione di maggiore rischiosità» (art. 90, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. in l. 17 luglio 2020, n. 77). Per l’obbligo di istituire sistemi di sorveglianza sanitaria: art. 87, d.l. n. 34 del 2020, cit.

31 Art. 263, c. 4 bis, lett. a, d.l. n. 34 del 2020, cit.

32 Cfr. d.m. Min. Pubbl. Amm. 19 ottobre 2020, art. 3, c. 1, lett. e.

33 Cfr. d.m. Min. Pubbl. Amm. 19 ottobre 2020, art. 1, c. 3.

34 Si vedano il d.P.C.M. 3 novembre 2020, art. 3, c. 4, lett. i; d.P.C.M. 3 dicembre 2020, art. 3, c. 4, lett. l; d.P.C.M. 14 gennaio 2021, art. 3, c. 4, lett. i.

35 Si veda l’art. 263, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. in l. 17 luglio 2020, n. 77 e s.m.i. La norma è in particolare richiamata dai successivi d.P.C.M. 13 ottobre 2020, art. 3, c. 3; d.P.C.M. 24 ottobre 2020, art. 3, c. 3, ove pure si stabiliva la progressiva riapertura di tutti gli uffici pubblici

36 Delib. Giunta Reg. Piemonte 18 settembre 2020, n. 3-1951.

37 Si veda l’art. 87, c. 1, lett. b, e c. 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18. Gli obblighi informativi sono previsti dalla l. n. 81 del 2017, art. 23, ove si rinvia allart. 9 bis, d.l. 1° ottobre 1996, n. 510, conv. in l. 28 novembre 1996, n. 608. Da ultimo il regime di lavoro agile emergenziale è stato prorogato al 30 aprile 2021 (d.m. Min. Pubbl. Amm. 20 gennaio 2021).

38 Dati riportati dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, 3 novembre 2020, in osservatori.net.

39 Così da ultimo il d.P.C.M. 14 gennaio 2021, art. 1, c. 10, lett. Z.

40 Art. 247, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. in l. 17 luglio 2020, n. 77. La stessa disposizione prevede che le prove scritte siano svolte presso sedi decentrate, «anche attraverso l’utilizzo di tecnologia digitale».

41 I dati sono disponibili sino a settembre 2020: Monitoraggio sull’attuazione del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni, novembre 2020, in funzionepubblica.gov.it

42 Dati riportati dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, 3 novembre 2020, in osservatori.net.

43 Secondo quanto riportato su La Stampa Cuneo del 13 gennaio 2021 (“Dopo ventisette anni un cambio totale ma non traumatico”), in Provincia di Cuneo lo smart working è stato usato per poco meno della metà dei dipendenti (150 su 336).

44 La conclusione emerge con chiarezza da quanto riportato da Corte conti, sez. autonomie, delib. 4 agosto 2020, n. 15, Referto al parlamento sullo stato di attuazione del Piano Triennale per l’informatica 2017-2019 negli enti territoriali.

45 Così ad es. la Provincia di Cuneo secondo quanto riportato in “Dopo ventisette anni un cambio totale ma non traumatico”, cit.

46 Così l’art. 14, c. 1, l. n. 124 del 2015, come mod. dall’art. 87 bis, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. in l. 24 aprile 2020, n. 27 e dall’art. 263, c. 4 bis, lett. a, d.l. n. 34 del 2020, cit. (una modifica identica a quella di cui all’art. 87 bis del d.l. n. 18 del 2020 era stata anticipata dall’art. 18, c. 5, d.l. 2 marzo 2020, n. 9, abrogato con salvezza di atti e i provvedimenti adottati, effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti dalla l. n. 27 del 2020, cit., art. 1, c. 2).

47 Per l’obbligo di adeguamento del sistema di valutazione delle performance: d.m. Min. Pubbl. Amm. 19 ottobre 2020, art. 6. Cfr. L. Zoppoli, P. Monda, Innovazioni tecnologiche e lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Dir. rel. ind., 2020, 312 ss. Per gli enti locali la scadenza coincide con quella del Piano esecutivo di gestione (PEG), da approvarsi entro venti giorni dall’approvazione del bilancio di previsione (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 169): per il 2021 la scadenza slitta dunque al 20 aprile.

48 L. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, c. 5, 8, 9.

49 D.m. Min. Pubbl. Amm. 9 dicembre 2020, e allegate “Linee guida sul Piano organizzativo del lavoro agile (POLA) e indicatori di performance”.

50 D.m. Min. Pubbl. Amm. 4 novembre 2020, di attuazione dell’art. 263, c. 3 bis, d.l. n. 34 del 2020, cit.

51 A tal fine è stato istituito presso il Dipartimento della Funzione pubblica un gruppo di lavoro incaricato di individuare un modello di intervento per l’organizzazione e lo svolgimento a distanza delle prove (preselettive, orali, scritte): D.m. Min. Pubbl. Amm. 24 novembre 2020.

52 Cfr. Circ. Min. Pubbl. Amm. n. 1 del 2020, cit.

53 Art. 24 ss. d.l. 16 luglio 2020, n. 76, Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale, conv. in l. 11 settembre 2020, n. 120. Per un’analisi aggiornata degli strumenti utili a favorire la transizione verso l’amministrazione digitale: R. Cavallo Perin – I. Alberti, Atti e procedimenti amministrativi digitali, in R. Cavallo Perin – D.U. Galetta, Il diritto dell’amministrazione pubblica digitale, Giappichelli, Torino, 2020, 119 ss.

54 In Piemonte si pensi ad es. alla digitalizzazione di alcuni servizi sanitari avvenuta con la realizzazione del fascicolo sanitario elettronico e di alcuni altri servizi (es. scelta del medico di base) sulla piattaforma PiemonteTu, cui si riferiva già la Delib. Giunta Regionale 23 febbraio 2018, n. 27-6517, recante Linee di indirizzo della sanità digitale piemontese: piano degli interventi 2018-2020.

55 Ad es. è di interesse l’avvio di una sperimentazione volta alla realizzazione di uno sportello virtuale – realizzato con tecnologie open source – presso alcuni centri per l’impiego (Asti, Chivasso, Novara e Omegna).

56 Sulla carenza delle competenze digitali e la correlata centralità della formazione al fine di porvi rimedio: C. Spinelli, Le potenzialità del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni: da modalità ordinaria di gestione dell’emergenza a volano per l’innovazione?, in Lav. pubbl. amm., 2020, 29-30; V. Talamo, Impatto della digitalizzazione e nuove modalità di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni: le sfide e le opportunità, ivi, 2019, 75. Sul diritto alla formazione del lavoratore agile: l. n. 81 del 2017, cit., art. 20, c. 2.

57 È lo stesso Ministro per la Pubblica Amministrazione a rilevare come la strumentazione informatica «non sempre si è rivelata adeguata nelle singole realtà amministrative» (Dir. Min. Pubbl. Amm. 4 maggio 2020, n. 3).

58 Il Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche della Polizia postale (Cnaipic) ha evidenziato per il 2020 l’aumento degli attacchi (attacchi malware, e specialmente ransomware, attacchi Ddos a scopo di cyberestorsione, accessi abusivi per carpire dati sensibili, campagne di phishing e di Apt, “advanced persistent threats”), rivolti anche a strutture sanitarie (507 episodi, a fronte dei 239 dell’anno precedente, secondo i dati pubblicati in www.commissariatodips.it).

59 D.m. Min. Pubbl. Amm. 9 dicembre 2020, e allegate “Linee guida sul Piano organizzativo del lavoro agile (POLA) e indicatori di performance”.

60 Secondo l’analisi riportata nell’analisi condotta a maggio 2020 da Assinter Italia (Associazione delle Società Pubbliche per l’Innovazione Tecnologica), La rete delle società pubbliche ICT per l’innovazione nella PA, 04.05.2020, in www.assinteritalia.it.

61 Art. 75, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, conv. in l. 24 aprile 2020, n. 27.

62 Per far fronte alle esigenze degli enti consorziati di collocare i dipendenti in smart working CSI Piemonte ha ad es. autorizzato l’acquisto n. 32 server utili al potenziamento del data center, utilizzando la procedura di cui all’art. 75, d.l. n. 18 del 2020, cit.

63 Gli acquisti in tecnologia della p.a. sono cresciuti di 135 milioni nei primi dieci mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019: «L’intelligenza artificiale snellirà la PA», intervista al Ministro Dadone, in Il Messaggero, 22 dicembre 2020. Il 42% delle amministrazioni ha comprato hardware, il 49% sofware: soprattutto applicazioni per videoconferenze (60%) e sistemi per l’accesso da remoto in sicurezza (VPN, 46%); Dati riportati dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, 3 novembre 2020, in osservatori.net.

64 Se la p.a. non provvede ad attrezzare adeguatamente i dipendenti (e a rimborsare i costi sostenuti) questi possono legittimamente rifiutarsi di adempiere, in tal senso: V. Pinto, Emergenza sanitaria e lavoro pubblico: una visione d’insieme, in Covid-19 e diritti dei lavoratori, cit., 257.

65 Si veda il Decreto del Capo Dipartimento della Funzione pubblica del 20 maggio 2020 con cui è stato approvato il progetto “Rafforzamento della capacità amministrativa dei Piccoli Comuni” e il relativo Avviso per la manifestazione di interesse da parte dei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, ove sono destinati al progetto 42 milioni di euro. Numerosi sono i comuni piemontesi già ammessi al finanziamento, secondo le tabelle consultabili in funzionepubblica.gov.it (consultato a gennaio 2021). La Regione Piemonte ha inoltre pubblicato un bando per favorire la connettività su cloud dei comuni del territorio (Delib. Giunta Reg. 12 Aprile 2019, n. 31-8756).

66 V’è anche da dire che, quantomeno nella c.d. “fase 1” ha pesato sulla produttività individuale la chiusura di scuole e servizi per l’infanzia.

67 Si vedano ad es. G. Melis, Riformare l’amministrazione pubblica a partire dallo smart-working, in il Mulino, 2020, 634 ss.; B. Caruso, Tra lasciti e rovine della pandemia: più o meno smart working?, cit., 215 ss.; F. Toscano e S. Zappalà, Smart working in Italia: origine, diffusione e possibili esiti, cit., 216; V. Pinto, op. cit., 262; C. Alessi, M.L. Vallauri, Il lavoro agile alla prova del Covid-19, cit., 146; V. Talamo, Impatto della digitalizzazione e nuove modalità di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni: le sfide e le opportunità, cit., 74. L’osservazione è confermata dalla ricerca condotta dall’Enea per il periodo 2015-2018: M. Penna, B. Felici, R. Roberto, M. Rao, A. Zini, Il tempo dello Smart Working. La PA tra conciliazione, valorizzazione del lavoro e dell’ambiente. Primi risultati dell’indagine nazionale su lavoro agile e telelavoro nel settore pubblico, Enea, 2020, 34 ss.

68 Cfr. la riforma di cui al d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, su cui si veda S. Ponzio, La valutazione della qualità delle amministrazioni pubbliche, NelDiritto, Roma, 2012.

69 Dalle Maldive a Thailandia, Florida o in Europa Grecia ed Estonia: Un anno alle Maldive o in Thailandia: il resort è di lusso, la tariffa da b&b, in La Repubblica, 21.12.2020; L’offerta della Grecia: “Vieni qui in smart working e pagherai metà tasse”, in La Repubblica, 13.11.2020.

70 Per una stima della riduzione delle emissioni di CO2 indotta dall’implementazione di modalità di lavoro agile nel periodo 2015-2018 in un campione selezionato di amministrazioni (tra cui Regione Piemonte, Arpa Piemonte, Città di Torino): M. Penna, B. Felici, R. Roberto, M. Rao, A. Zini, Il tempo dello Smart Working. La PA tra conciliazione, valorizzazione del lavoro e dell’ambiente. Primi risultati dell’indagine nazionale su lavoro agile e telelavoro nel settore pubblico, cit., 34 ss.

71Vedi i casi della Silicon Valley e di San Francisco, svuotatesi – in conseguenza dell’epidemia e grazie al lavoro agile – a causa degli affitti elevatissimi: I giganti del web voltano le spalle alla Silicon Valley: “colpa” dello smart working, in LaRepubblica.it, 05.11.2020; Smart working, fuga dagli affitti a San Francisco. E se succedesse anche a Milano?, in ilsole24ore.com

72 F. Toscano e S. Zappalà, Smart working in Italia: origine, diffusione e possibili esiti, cit., 206.

73 K.Rosenkranz, City Quitters: Creative Pioneers Pursuing Post-Urban Life, Frame Publishers, NL, 2018.

74 Vedi il “Manifesto GlocalWorking Italia” in glocalworking.com.

75 Cfr. l’esperienza del gruppo di professionisti e accademici riuniti sotto l’etichetta “South Working. Lavorare dal sud”, in southworking.org.

76 Per un fugace cenno alla sottovalutazione del rischio di un «effetto di segregazione femminile di ritorno»: B. Caruso, Tra lasciti e rovine della pandemia: più o meno smart working?, cit., 222.

77 F. Toscano e S. Zappalà, Smart working in Italia: origine, diffusione e possibili esiti, cit., 210.