Le smart cities nell’ordinamento giuridico

Edoardo Ferrero1

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Impostazione dell’indagine. – 3. Modelli applicativi a confronto. – 4. Le comunità intelligenti nell’ordinamento italiano – 5. Il Patto dei sindaci ed il Piano d’azione per l’energia sostenibile. – 6. L’approccio multidimensionale. – 7. Spunti per una riflessione.

 

(Abstract)

Il presente lavoro si propone di affrontare la tematica, in continua evoluzione, delle Smart cities, in ordine alla quale sono state intraprese numerose iniziative normative a livello sovranazionale e nazionale. In particolare, l’indagine avrà ad oggetto due modelli contrapposti: da un lato, quello statunitense, basato su un approccio bottom-up; dall’altro lato, quello europeo, caratterizzato da un sistema top-down. All’interno di questo secondo modello, verrà compiuta una ricognizione delle misure adottate nell’ambito dell’ordinamento italiano al fine di dare compiuta attuazione all’idea suggestiva di comunità intelligente. Infine, verranno messe in luce le maggiori questioni giuridiche e sociali che disvela la tematica, specie per quel che riguarda le relazioni sussistenti tra la nuova concezione di benessere collettivo ed il ruolo moderno degli apparati amministrativi.

This paper aims to address the evolving issue of the Smart cities, in respect of which numerous regulatory initiatives have been undertaken at the supranational and national level. In particular, the analysis will focus on two contrasting models: on the one hand, the US model, based on a bottom-up approach; on the other hand, the European one, characterized by a top-down system. Within this second model, the paper will offer an overview of the measures adopted in the Italian legal system in order to provide for a complete implementation of the suggestive idea of “comunità intelligente”. Finally, the work will highlight the major legal and social questions, especially to what concerns the relations between the new conception of collective welfare and the modern role of the public administrations.

 

Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.

Italo Calvino

Le città invisibili

 

1. Premessa.

Nel corso dell’ultimo decennio è diventato sempre più frequente, se non addirittura abusato, l’utilizzo dell’aggettivo “Smart”, il cui significato si rivela quanto mai evanescente e cangiante.

Una traduzione letterale del vocabolo sembrerebbe propendere per “elegante”, nel senso di “alla moda”; nel gergo colloquiale e pubblicitario, nondimeno, è prevalsa un’altra accezione del termine, ossia “intelligente”, “capace” o “reattivo”.

Solitamente vengono definiti “intelligenti” i prodotti tecnologici di consumo nella contemporanea società capitalistica, come ad esempio i telefoni (smart-phone), le televisioni (smart-tv), gli occhiali (smart-glass) e gli orologi (smart-watch).

Ma “intelligenti” possono essere definite anche le scelte di politica normativa e amministrativa intraprese dai decisori pubblici, a livello sia locale sia sovranazionale, al fine di indirizzare il sistema socio-economico verso una nuova concezione di benessere umano2.

L’obiettivo dichiarato di queste politiche, particolarmente sensibili alle tematiche ambientali, è quello di creare le condizioni opportune per stimolare investimenti in soluzioni energetiche integrate e innovative, in armonia con il principiodello sviluppo sostenibile3.

Da tempo l’efficienza energetica e lo sviluppo sostenibile sono entrati a far parte delle priorità delle politiche internazionali, nazionali e locali, assumendo una rilevanza tale da orientare le politiche delle democrazie occidentali.

Si assiste ad un cambiamento culturale ed economico, che si riflette anche sul piano delle fonti normative, come dimostrano chiaramente le recenti novelle legislative introdotte in svariati settori dell’attività umana: dall’edilizia4 ai trasporti5, dalle telecomunicazioni6 alla gestione dei rifiuti7.

Il terreno elettivo di queste politiche è rappresentato dalla città8, ovvero l’ente territoriale di governo più vicino alle esigenze ed ai bisogni di una data collettività e, per questo, astrattamente più idoneo a provvedere al relativo soddisfacimento9.

In questo quadro, ha assunto una crescente importanza l’impiego delle nuove tecnologie digitali, non solo quelle relative alla gestione ed al trattamento delle informazioni (Ict), ma anche quelle adoperate per migliorare la logistica, il traffico urbano e la mobilità degli abitanti.

Proprio in relazione all’insieme delle istanze di trasformazione del contesto cittadino è stato coniato il neologismo “Smart city10, che, pur non trovando espressa definizione e tipizzazione nei testi legislativi, è oramai entrato a far parte del lessico comune delle organizzazioni politiche.

In linea di principio, il concetto di “Smart city” è utilizzato per indicare una città caratterizzata dall’integrazione tra strutture e mezzi tecnologicamente avanzati, proiettata verso politiche di crescita sostenibile al fine di ottenere un miglioramento degli standard qualitativi della vita umana.

La vaghezza di significato di cui è inevitabilmente intrisa la definizione di Smart city consente a tale concetto di essere utilizzato con una certa frequenza e flessibilità nel contesto odierno della crisi economica11, laddove l’obiettivo indissolubile permane quello del rilancio della competitività economica del sistema attraverso la realizzazione di sinergie tra lo sviluppo di nuove tecnologie e la crescente salvaguardia dell’ambiente.

 

2. Impostazione dell’indagine.

L’immagine suggestiva ed al contempo inquietante della metropoli come entità intelligenti, con al centro un cervello in grado di gestire ogni aspetto della vita cittadina, si rivela di grande attualità e si presta ad un approccio essenzialmente multidisciplinare.

Questo spiega poiché intorno al tema delle Smart cities si siano sviluppati filoni di studi di vario genere, soprattutto in ambito economico12, sociologico13 e urbanistico14; meno approfondito, invece, pare essere il profilo giuridico dell’argomento, del quale si tenterà di offrire una ricognizione sistematica nel corso del presente lavoro.

Più precisamente, costituiranno oggetto di analisi gli strumenti apprestati dall’ordinamento a fronte dell’interazione tra i seguenti fattori dominanti: innovazione tecnologica, crescita economica e tutela dell’ambiente.

L’indagine deve tuttavia essere preceduta da alcune fugaci considerazioni circa l’inarrestabile processo di metropolizzazione del territorio e la trasformazione del concetto di benessere collettivo.

Il concetto di metropolizzazione indica anzitutto un fenomeno globale di urbanizzazione e di crescita delle città: all’inizio del diciottesimo secolo, soltanto il 3% della popolazione terrestre viveva in città; oggi, quasi una persona su due, ed entro il 2050 si prevede che la percentuale aumenti fino a raggiungere la soglia del 70%.

In Italia, poi, la popolazione cittadina è incrementata del 2% soltanto negli ultimi venti anni, raggiungendo la soglia del 69%, che è pur sempre al di sotto della media europea, rilevata nella misura del 74%15.

Concomitante alla crescente urbanizzazione è poi l’inesorabile declino economico, che nei Paesi occidentali a democrazia stabilizzata ha imposto un ripensamento complessivo del settore delle politiche e dei servizi alla persona, accompagnato a sua volta da un mutamento della concezione del benessere.

Per lungo tempo, il livello di benessere di una società è stato misurato attraverso indicatori come il reddito pro-capite e il Prodotto interno lordo (Pil), che oggi trovano sempre minor spazio, in quanto si è affrancato un esteso fronte critico, supportato da svariate organizzazioni sovranazionali16, che ha proposto nuovi rilevatori del benessere.

Alcuni studi hanno infatti evidenziato che la dimensione del benessere è formata da caratteri eterogenei, che sono stati compendiati nei seguenti concetti: standards materiali di vita (reddito, consumi e ricchezza), salute, istruzione, attività personali (compreso il lavoro), opinione politica e governabilità, integrazione e relazioni sociali, ambiente e insicurezza (economica così come fisica)17.

È stato quindi sviluppato un approccio multidimensionale del benessere equo e sostenibile, finalizzato ad integrare il tradizionale indicatore dell’attività economica, il PIL, con altri indicatori di vario genere, compresi quelli relativi alle disuguaglianze ed alla sostenibilità economica, sociale e ambientale.

Questi cambiamenti non hanno tardato a far ricadere i loro effetti sull’ordinamento giuridico, la cui risposta è stata, per un verso, nella cessione di ulteriori quote di sovranità a favore delle organizzazioni sovranazionali e, per l’altro, nel potenziamento degli strumenti di intervento degli enti territoriali di governo più vicini alla popolazione18.

È infatti evidente che tra le iniziative delle città e le linee di azione delineate a livello internazionale esiste una relazione di presupposizione ed osmosi, perlomeno su un piano economico, riguardante l’erogazione dei finanziamenti necessari per supportare tali iniziative.

L’indagine avrà dunque ad oggetto il ruolo delle organizzazioni giuridiche nel processo di sviluppo dell’idea di spazio urbano intelligente, suscettibile a sua volta di aprirsi in un ventaglio di argomenti connessi, fra i quali spiccano i delicati temi dello sviluppo sostenibile e dell’efficienza energetica, ma anche, su un piano ancor più generale, quello della cittadinanza amministrativa.

 

3. Modelli applicativi a confronto.

Nel panorama internazionale sono ravvisabili essenzialmente due modelli di riferimento per la realizzazione delle Smart cities: il primo fa capo agli Stati Uniti, il secondo ai Paesi dell’Unione europea, trovando però un largo seguito anche al di fuori del vecchio continente19.

Si tratta di due linee d’azione completamente opposte: il primo non richiede un ruolo particolarmente attivo da parte degli apparati amministrativi, al contrario del secondo, che, per essere attuato, presuppone investimenti pubblici considerevoli ed un’intensa attività di indirizzo e pianificazione da parte degli organi di governo.

Alla base c’è una differente concezione dell’idea di innovazione: secondo l’approccio statunitense, l’innovazione rappresenta un processo dal basso verso l’alto (c.d. bottom-up), nel cui ambito si verifica un effetto di sostanziale ritrazione delle autorità pubbliche.

Queste ultime sono piuttosto chiamate a promuovere un quadro normativo favorevole alle nuove tecnologie che si affacciano sul mercato20, in un’ottica di semplificazione degli oneri amministrativi ma soprattutto di certezza del diritto.

Sul punto si pensi alla start-up Uber, nota per aver creato nel 2010 l’omonima applicazione per mettere in contatto diretto gli automobilisti ed i passeggeri, offrendo così un servizio di trasporto automobilistico distinto dai tradizionali autoservizi pubblici non di linea (taxi e noleggio con conducente).

Ebbene, l’irrompere sul mercato di questa nuova applicazione ha generato non poche frizioni tra le parti sociali, che non poche volte sono sfociate in contenziosi giurisdizionali dall’indubbio risvolto mediatico.

L’esempio più clamoroso negli Stati Uniti – che, occorre precisare, non costituisce un caso isolato21 – è rappresentato dall’ingiunzione pronunciata dal giudice della Corte distrettuale del Nevada il 25 novembre 201422, che ha impedito temporaneamente alla predetta start-up di operare in tutto il territorio statale.

Ciononostante, nel sistema statunitense è evidente che le soluzioni ideate da alcune start-up di successo stanno rivoluzionando la vita urbana sotto molteplici aspetti, dal pendolarismo alle telecomunicazioni, dai consumi energetici alla salute personale.

In considerazione del successo che ricevono, queste applicazioni innovative attraggono i fondi privati provenienti dal venture capital, comportando (perlomeno in apparenza) un minor dispendio economico per le autorità pubbliche.

Pertanto, l’intervento pubblico risulta – in linea generale – relegato al sostegno della ricerca scientifica ed alla promozione delle soluzioni in settori meno attraenti per il venture capital, nonché alla creazione di un quadro normativo snello e semplificato.

Diverso si rivela, invece, l’approccio europeo alla tematica dello sviluppo urbano, ispirato da una maggior concertazione tra i diversi livelli di governo e gli operatori economici, che spesso beneficiano di cospicui finanziamenti pubblici23.

Al contrario del sistema statunitense, che si è detto essere basato sulle start-up, quello europeo presuppone un’individuazione dall’alto delle misure da adottare per ottenere un grado elevato di efficienza ed innovazione (c.d. top-down)24.

In particolare, le pubbliche amministrazioni vengono incentivate ad impiegare prodotti e tecnologie efficienti dal punto di vista energetico soprattutto nel campo dei trasporti ed in quelli della ristrutturazione del patrimonio edilizio e della creazione di nuove infrastrutture.

Il focus di queste politiche è dunque costituito dall’efficienza energetica25, che oggi va necessariamente coniugata con l’innovazione tecnologica, in modo tale da raggiungere un minore dispendio economico ed una maggiore tutela dell’ambiente26.

Gli strumenti messi in atto dalle pubbliche amministrazioni sono i più svariati, per lo più riconducibili allo schema della governance, e cioè quel sistema complesso di moduli e modelli di azione e di comportamento che, essendo caratterizzati da un’elevata flessibilità, consentono alle istituzioni di interagire attivamente con i poteri privati27.

Ci si muove, insomma, sul delicato terreno del Soft-law, al di fuori quindi dei tradizionali confini del riparto di compiti e attribuzioni tra legge e amministrazione.

L’esempio più eloquente è forse dato dal Patto dei sindaci (Covenant of Mayors), siglato nell’anno 2008 dalle autorità locali e regionali al fine di aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nei territori di propria competenza28.

In origine, il Patto dei sindaci era stato previsto all’interno del Piano di azione per l’efficienza energetica predisposto dall’Unione europea29, che, con riferimento all’efficienza energetica negli agglomerati urbani, stabiliva l’istituzione di un Patto di sindaci che veda “la presenza, in una rete permanente, dei sindaci delle 20-30 maggiori30 (e più avanzate sul piano dell’efficienza energetica) città europee”.

Lo scopo dell’iniziativa era “lo scambio e l’applicazione delle migliori pratiche per aumentare significativamente l’efficienza energetica nelle aree urbane, soprattutto laddove, come nel caso dei trasporti, le iniziative e le politiche locali rivestono grande importanza”.

Successivamente, ma comunque prima dell’istituzione del Patto dei sindaci, l’Unione europea si era formalmente impegnata a ridurre unilateralmente le proprie emissioni inquinanti entro il 2020 e, al contempo, ad aumentare il livello di efficienza e la quota di utilizzo delle fonti di energia rinnovabile31.

Il momento di avvio ufficiale, a scala europea, della politica per le Smart cities risale dunque al decennio scorso, in concomitanza con l’adozione delle direttive sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili32 e sull’efficienza degli usi finali dell’energia33.

Sempre dello stesso periodo è poi l’avvio di Europa 202034, ovvero della strategia decennale per la crescita e l’occupazione attraverso cui l’Unione Europea mira a superare la crisi economica, ovviando alle storture del precedente modello di crescita e creando le condizioni per una crescita più intelligente, sostenibile e solidale.

A tal fine, l’Unione europea si è posta cinque obiettivi da realizzare entro l’anno 2020, riguardanti l’occupazione, la ricerca e sviluppo, il clima e l’energia, l’istruzione, l’integrazione sociale e la riduzione della povertà.

Lo sviluppo delle Smart cities si muove pertanto attraverso questi assi programmatici, coniugando esigenze di crescita economica con la promozione di soluzioni tecnologiche innovative, in un’ottica di tutela dell’ambiente, soprattutto sotto il profilo energetico35.

Così delineato, sia pur sommariamente, il contesto europeo all’interno del quale ha attecchito l’idea di Smart city, occorre ora svolgere alcune considerazioni intorno all’ordinamento italiano.

 

4. Le comunità intelligenti nell’ordinamento italiano.

Nonostante abbia assunto un’indubbia centralità nell’agenda del governo nazionale e di quelli locali soltanto negli ultimi anni, complici soprattutto lo stato di disavanzo economico e l’influenza delle politiche dell’Unione europea, il dibattito italiano36 sulle comunità intelligenti affonda le proprie radici in un passato relativamente risalente, ovvero nella deliberazione del Cipe 21 dicembre 2000, n.150, avente ad oggetto il “Programma nazionale ricerca37 per gli anni 2001-2003.

In particolare, questo atto contemplava l’adozione di un “Programma strategico tecnologie abilitanti la Società della conoscenza (Ict)”, composto a sua volta di 6 grandi progetti, fra i quali figurava quello relativo alle Smart cities, denominato “Sviluppo di piattaforme abilitanti – ‘comunità intelligenti’”.

Si trattava, tuttavia, di una vaga enunciazione di principio, alla quale non è stato dato seguito per lungo tempo, perlomeno fino all’emanazione del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5 (cd. Semplifica Italia), che, all’art. 47, istituisce l’Agenda digitale italiana, nel quadro delle indicazioni dell’Agenda digitale europea38.

L’art. 2-bis della suddetta disposizione, nell’individuare una serie di obiettivi nell’ambito dell’Agenda, alla lett. a) prevede la “realizzazione delle infrastrutture tecnologiche e immateriali al servizio delle “comunità intelligenti” (smart communities), finalizzate a soddisfare la crescente domanda di servizi digitali in settori quali la mobilità, il risparmio energetico, il sistema educativo, la sicurezza, la sanità, i servizi sociali e la cultura”.

Ecco quindi che all’interno dell’ordinamento giuridico italiano vengono a delinearsi, sia pur con una certa genericità ed approssimazione, le dimensioni delle Smart cities, ovvero gli ambiti di intervento all’interno dei quali sistematizzare le iniziative degli amministratori volte a rendere più sostenibile ed inclusivo il sistema locale.

Occorre peraltro porre l’accento sulla collocazione di tale disposizione, che, non a caso, è stata inserita all’interno dell’insieme delle misure di semplificazione amministrativa adottate, in via di decretazione d’urgenza, in un momento delicato per l’economia nazionale.

La città intelligente può infatti essere esaminata anche sotto il profilo della semplificazione amministrativa, laddove la tecnologia può essere intesa come strumento efficace di eliminazione delle forme di intermediazione del potere amministrativo.

Anche in questo caso, tuttavia, la norma presenta un carattere meramente ottativo, in quanto si limita ad individuare un approssimativo campo d’azione degli apparati amministrativi nell’auspicio che, in futuro, possano essere adottate proposte più incisive e concrete.

L’intento è stato altresì ribadito in occasione dell’istituzione, per effetto del decreto legge 22 giugno 2012, n.83 (cd. Decreto sviluppo), dell’Agenzia per l’Italia digitale (AgId), preposta alla realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana.

Più precisamente, l’art. 20, co. 3-bis di tale decreto39 conferisce all’AgId il compito di promuovere “la definizione e lo sviluppo di grandi progetti strategici di ricerca e innovazione connessi alla realizzazione dell’Agenda digitale italiana e in conformità al programma europeo Horizon 2020, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo delle comunità intelligenti, la produzione di beni pubblici rilevanti, la rete a banda ultralarga, fissa e mobile , tenendo conto delle singole specificità territoriali e della copertura delle aree a bassa densità abitativa, e i relativi servizi, la valorizzazione digitale dei beni culturali e paesaggistici, la sostenibilità ambientale, i trasporti e la mobilità, la difesa e la sicurezza, nonché al fine di mantenere e incrementare la presenza sul territorio nazionale di significative competenze di ricerca e innovazione industriale”.

Sempre nell’ambito dell’AgId è stato poi creato un organismo di supporto denominato Comitato tecnico delle comunità intelligenti, che, ai sensi dell’art. 19 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (cd. Decreto sviluppo bis), deve essere “formato da undici componenti in possesso di particolari competenze e di comprovata esperienza (sic!) nel settore delle comunità intelligenti”.

Questo comitato riveste la funzione di organo di ausilio nei confronti dell’AgId, svolgendo funzioni prettamente strumentali quali la partecipazione alla definizione dello Statuto della cittadinanza intelligente e la collaborazione alla supervisione di strumenti finanziari innovativi per lo sviluppo delle comunità intelligenti.

Così delineato il quadro ordinamentale interno su un piano generale, occorre ora passare ad esaminare nello specifico le modalità di attuazione delle politiche in materia di comunità intelligenti.

Competente in materia è il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, in virtù soprattutto della delega conferitagli in materia di innovazione tecnologica.

In concreto, l’impegno del suddetto dicastero si è concretizzato perlopiù nell’emanazione di decreti ministeriali o atti interni attraverso cui sono stati adottati bandi di ricerca, stanziando così ingenti finanziamenti pubblici40.

Il sistema italiano è dunque riconducibile, a pieno titolo, nel modello applicativo europeo, laddove gli apparati amministrativi rivestono essenzialmente il ruolo di public procurers, in quanto destinano parte della spesa pubblica verso la realizzazione di strumenti e prodotti innovativi, orientando il mercato verso un’economia digitale41.

Una chiosa, infine, pare necessaria in relazione alle misure assunte dagli organi di governo nazionale con riferimento alla desolante vicenda del sisma verificatosi nel territorio abruzzese durante il mese di aprile 2009.

Nell’ambito dei programmi finalizzati alla ricostruzione, si rinvengono numerose iniziative finalizzate alla promozione delle comunità intelligenti, specialmente per quel che riguarda l’assegnazione e la ripartizione delle risorse economiche a suo tempo stanziate42.

Ebbene, gli organi di governo hanno stabilito che la ricostruzione dell’area dovesse prioritariamente passare attraverso “nuove attività imprenditoriali collegate alla realizzazione delle infrastrutture innovative per le smart-cities (mobilità, energia, telecomunicazioni, sicurezza e centri per il comando e controllo)43.

Tale ultima circostanza si rivela sintomatica della sempre maggiore attenzione riposta dal legislatore e dalla pubblica amministrazione nei confronti delle nuove tecnologie digitali, considerate come veicolo imprescindibile per il rilancio della competitività economica dell’intero sistema Paese.

 

5. Il Patto dei sindaci ed il Piano d’azione per l’energia sostenibile.

Come anticipato in precedenza, il piano su cui si gioca forse maggiormente la partita delle Smart cities è quello del soft law, ovvero di quell’insieme di prescrizioni adottate in via spontanea dalle parti e sfornite di efficacia vincolante diretta, non essendo direttamente sanzionata l’eventuale violazione44.

In questo settore, l’esempio più rilevante è rappresentato dal Patto dei sindaci, a cui hanno volontariamente aderito gli amministratori locali che ne condividono gli intenti.

In questo modo, il Patto dei sindaci esprime un’indubbia moral suasion nei confronti degli organi di governo delle comunità locali, perlomeno da un punto di vista degli scopi da raggiungere entro un determinato periodo di tempo.

In particolare, fra gli impegni previsti dal Patto dei sindaci vi è quello di raggiungere l’obiettivo minimo del 20% in termini di riduzione delle emissioni di CO2 entro l’anno 2020.

Al fine di intraprendere le iniziative necessarie, le amministrazioni locali si sono impegnate ad adottare, entro l’anno successivo alla data di adesione ufficiale all’iniziativa, un Piano d’azione per l’energia sostenibile (Paes), che stabilisca essenzialmente quali misure intendono essere messe concretamente in atto.

L’elaborazione del Paes da parte delle autorità locali risulta agevolata dall’emanazione delle linee guida, che presentano una serie di principi e raccomandazioni flessibili, in modo tale che le amministrazioni locali già impegnate in campo energetico e climatico potessero contribuire all’iniziativa del Patto dei sindaci senza modificare radicalmente il proprio approccio.

Passando ora ad esaminare il contenuto del Paes, si rileva come le misure prescritte possano essere suddivise in due grandi categorie: quelle che comportano un impegno verso l’esterno da parte dell’autorità amministrativa, relative cioè alla definizione ed all’attuazione di una politica per l’energia sostenibile, e quelle che viceversa determinano un impegno verso l’interno, attraverso una organizzazione ad hoc della struttura amministrativa, in modo coerente e funzionale alle attività e tempistiche connesse alla predetta politica.

Con riferimento a quest’ultima categoria di azioni, le linee guida sottolineano come l’attuazione di un simile impegno richieda necessariamente la collaborazione e il coordinamento di diversi uffici dell’amministrazione locale, come ad esempio quelli competenti in materia di protezione ambientale, pianificazione territoriale, affari sociali, gestione di edifici e infrastrutture, bilancio, contratti pubblici, mobilità e trasporto.

La predisposizione di una struttura organizzativa chiara e l’attribuzione di responsabilità precise costituiscono dunque i prerequisiti per una corretta attuazione del Paes, unitamente allo stanziamento di risorse umane e finanziarie sufficienti per il mantenimento degli obblighi stabiliti.

Per quel che riguarda l’impegno esterno, invece, il Patto dei sindaci45 individua puntualmente quattro aree nelle quali i governi regionali e locali possono porre in essere misure adeguate di efficienza energetica, nonché realizzare progetti in ambito di fonti rinnovabili.

La prima area, forse la più pervasiva, è quella nella quale l’amministrazione pubblica agisce in qualità di consumatore, produttore e fornitore di beni e servizi (“consumer and service provider”): si pensi al consumo di energia per il riscaldamento degli edifici pubblici, oppure all’erogazione di servizi quali il trasporto pubblico e l’illuminazione stradale.

Sul punto va sottolineato che il Patto ha contemplato espressamente l’ipotesi in cui le autorità competenti abbiano delegato questo genere di servizi ad altri fornitori, stabilendo, in questo caso, che azioni di risparmio ed efficienza energetica possano essere attuate attraverso contratti di acquisizione e di servizi46.

La seconda area attiene all’attività amministrativa generale consistente nella pianificazione e nella programmazione (“plan, develop and regulate”), la cui incidenza si manifesta attraverso l’adozione di decisioni strategiche quali la riduzione di domanda energetica, la fissazione di standard ambientali e l’introduzione di sistemi ad energia rinnovabile.

Quest’ultimo aspetto, relativo alle energie rinnovabili, si ricollega alla quarta area prevista dal Patto dei Sindaci, quella cioè in cui l’amministrazione locale recita il ruolo di promotore della produzione di energia a livello locale (“producer and supplier”)47, incoraggiando le imprese ad attuare progetti sulle energie rinnovabili, anche e soprattutto attraverso l’erogazione di un supporto finanziario alle iniziative locali.

L’ultima area presa in considerazione dal Patto dei sindaci è quella, forse di minor rilevanza sotto l’aspetto economico, ma di cui non devono sottovalutarsi i relativi effetti, riguardante il ruolo di consigliere, incentivo e modello (“advisor, motivator and role model”).

L’assunto di partenza è che i governi regionali e locali hanno un ruolo importante nell’informare e motivare i cittadini residenti, i professionisti e gli altri stakeholder locali su come poter utilizzare l’energia in maniera più intelligente.

Se questo è vero, allora è presto spiegata la ragione per cui il patto ha imposto alle amministrazioni pubbliche il compito di incrementare la consapevolezza ambientale dei propri utenti, a partire proprio dai bambini e dagli studenti che frequentano le strutture locali.

All’esito della disamina delle iniziative ricollegate al Paes, pare potersi affermare che, nonostante tali iniziative costituiscano indubbiamente un indice della sensibilità ambientale dell’amministrazione locale che vi aderisce, affinché una città possa definirsi smart a tutti gli effetti sembrerebbe comunque richiesta la messa in campo di strumenti più pervasivi.

 

6. L’approccio multidimensionale.

Il concetto di Smart city, infatti, non esaurisce il proprio orizzonte nell’ambito della tematica ambientale, involgendo altri aspetti della vita urbana, quali il livello di competitività economica, la facilità di partecipazione sociale, le modalità di amministrazione, la gestione della mobilità e la qualità di vita48.

Agli amministratori locali è quindi richiesto un approccio multidimensionale, che, seppure entro le cornici delineate a livello europeo e nazionale, si rivela più incisivo rispetto alla semplice adesione al Patto dei sindaci.

In questa direzione si sono mosse le maggiori capitali europee49, ma non solo: degni prototipi di Smart city si rinvengo anche in realtà minori, ove amministratori accorti hanno da tempo avviato un processo di rinnovamento delle modalità di direzione e gestione delle risorse e infrastrutture locali50.

In particolare, gli sforzi degli amministratori locali si sono essenzialmente concentrati in cinque direzioni: la mobilità, l’ambiente, il turismo (e, più in generale, la cultura), l’economia della conoscenza e della tolleranza e le trasformazioni urbane.

La mobilità rappresenta forse il campo di prova su cui si misura la capacità di performance di una Smart city, per evidenti ragioni pratiche: la qualità della vita urbana dei cittadini non può che dipendere anche dalla facilità di spostamento che viene loro garantita.

Questa facilità di spostamento dovrà però inevitabilmente tenere conto dei vincoli, il più delle volte autoimposti a livello locale, derivanti dalle esigenze di salvaguardia dell’ambiente circostante, soprattutto in un’ottica di tutela della salute personale.

In questo modo si spiegano quindi le iniziative volte a promuovere l’uso dei mezzi a basso impatto ecologico, come ad esempio i mezzi elettrici approvvigionati con fonti solari o fotovoltaiche e con punti di ricarica diffusi.

Un altro utile strumento, che poco alla volta ha trovato sempre più spazio, anche nei comuni minori ma con un elevato afflusso turistico, è la regolamentazione dell’accesso ai centri storici in modo tale da privilegiarne la vivibilità, attraverso l’imposizione di Zone a traffico limitato (Ztl) oppure attraverso la creazione di ciclopiste e percorsi pedonali.

Sempre nello stesso senso, poi, deve essere letto il servizio di car-sharing, la cui diffusione interessa tendenzialmente le città di maggiori dimensioni, ove è possibile un più frequente ricircolo.

Con specifico riguardo alle iniziative assunte a tutela dell’ambiente, le decisioni degli amministratori locali hanno avuto ad oggetto la riduzione della produzione dei rifiuti51, la riduzione dell’inquinamento dell’aria52, la limitazione delle emissioni industriali, la razionalizzazione dell’edilizia e dell’illuminazione pubblica, la promozione del verde urbano e la bonifica di aree dismesse.

Per quel che riguarda l’offerta turistica, invece, le iniziative degli enti locali particolarmente virtuosi si sono mosse nella direzione di valorizzare il patrimonio culturale e paesaggistico mediante interventi mirati di conservazione e rifunzionalizzazione, al fine soprattutto di migliorare l’accessibilità ai siti di interesse53.

Venendo ora al quinto punto, occorre premettere una precisazione terminologica: per economia della conoscenza e della tolleranza deve intendersi l’insieme delle misure atte a valorizzare l’apprendimento continuo e la formazione in tutte le sue forme.

La città viene dunque vista come un luogo di apprendimento54, che promuove la creatività incentivando le innovazioni e le sperimentazioni e che incoraggia alleanze con le università e con le associazioni locali.

L’ultimo profilo di interesse delle Smart cities, si è detto, è costituito dalle trasformazioni urbane per la qualità della vita, che possono variamente consistere in opere di manutenzione e gestione efficiente del patrimonio immobiliare cittadino, nella previsione di limiti al consumo del suolo55 e nella pianificazione orientata ad una migliore integrazione dei quartieri degradati e, più in generale, ad un miglioramento della qualità dell’architettura e degli spazi pubblici.

 

7. Spunti per una riflessione.

Volendo ora, nell’ambito di questo complesso e continuamente variabile quadro di riferimento, tirare le fila del discorso, si può concludere che la Smart city rappresenta il principale punto di snodo delle politiche di sviluppo sostenibile, non solo a livello sovranazionale ma soprattutto a livello locale.

Questo spiega anche la trasformazione del ruolo degli amministratori locali, chiamati a riporre maggiore attenzione verso l’utilizzo di nuove tecnologie al fine di rendere migliore la qualità di vita urbana degli utenti, incrementando così il benessere complessivo di una data comunità.

In quest’ottica, l’utilizzo della tecnologia costituisce uno strumento prezioso di semplificazione amministrativa, che nondimeno può rivelarsi un’arma a doppio taglio, i cui risvolti negativi non devono essere sottovalutati.

Se è vero che le innovazioni digitali (il più delle volte) migliorano la vita dei cittadini, è altrettanto vero che non tutta la popolazione dispone delle capacità e degli strumenti necessari per potervi accedere, soprattutto nei Paesi ove l’età media risulta particolarmente elevata.

In molti casi, infatti, una larghissima fascia della popolazione potrebbe avere difficoltà ad accedere alle nuove tecnologie digitali56, che quindi rimangono inutilizzate anche se disponibili e rispondenti ai bisogni effettivi.

All’interno del novero dei soggetti astrattamente capaci, deve poi distinguersi tra coloro che dispongono e coloro che non dispongono delle risorse necessarie per avvalersi delle predette tecnologie, che nella maggior parte dei casi richiedono un investimento iniziale a carico del soggetto che intende usufruirne57.

Questa circostanza avvantaggia una cerchia ristretta di destinatari, che solitamente coincide con le élites più colte ed abbienti, a discapito della maggior parte della popolazione.

Per una sorta di eterogenesi dei fini, quindi, l’incremento del benessere collettivo prodotto dalla Smart city rimane talvolta circoscritto a quella fascia della società che meno necessita dell’intervento pubblico nel settore dei servizi alla persona, potendo ipoteticamente soddisfare tali necessità autonomamente58.

L’insuccesso di alcune tecnologie, inoltre, è molte volte determinato, prima ancora che dall’incapacità soggettiva del destinatario di sfruttarle, dall’inutilità pratica delle medesime.

È il caso delle soluzioni ideate a partire da una tecnologia e non a partire da un bisogno, che propongono soluzioni ad esigenze che non sono avvertite dai cittadini, trascurandone di altre che invece sarebbero di grande importanza per la vita quotidiana59.

Ecco quindi che vengono a delinearsi le maggiori questioni attorno all’argomento delle comunità intelligenti, che appaiono tuttora aperte, non essendo di semplice ed immediata soluzione.

In linea di principio, alcune distorsioni potrebbero venire corrette attraverso una maggior consapevolezza, da parte dei cittadini, non solo dell’esistenza e della disponibilità di un servizio, o della sua facilità d’uso, ma anche e soprattutto dei vantaggi concreti che il servizio stesso può apportare singolarmente a ciascuno di loro ed alla collettività complessivamente intesa.

In questo modo, si creerebbe uno stimolo per i destinatari della tecnologia, che si troverebbero ad essere invogliati all’utilizzo; certo è che, per ottenere risultati proficui, questa soluzione non deve richiedere investimenti particolarmente dispendiosi da parte degli utenti finali, che anzi dovrebbero essere posti nella condizione di trarne soprattutto vantaggio.

È quindi chiaro che, in questo contesto, gioca un ruolo fondamentale la fase generale della programmazione strategica, che dovrà costruire obiettivi sistemici condivisi dalla comunità di riferimento.

È dunque possibile teorizzare una programmazione strategica digitalmente orientata, tesa cioè alla promozione ed alla modernizzazione dei centri urbani, in modo tale da conferire nuova linfa all’economia del territorio, rendendola maggiormente competitiva ed al contempo sostenibile.

Resta inteso che, in taluni casi, non può prescindersi da un più marcato intervento del legislatore60, al quale spetta la funzione di indirizzare e, al tempo stesso, semplificare l’attività degli apparati amministrativi, indicando le priorità da raggiungere.

La burocrazia rimane infatti l’ostacolo da abbattere, anche attraverso la messa in campo di tecnologie innovative e nuovi moduli di partecipazione del cittadino alla cura dell’interesse pubblico.

In questo quadro, una soluzione potrebbe essere il potenziamento degli strumenti di partenariato pubblico-privato (ppp), in un’ottica di stimolo per le amministrazioni pubbliche ad adottare un approccio efficiente ed in grado di individuare i criteri di fattibilità del progetto e, soprattutto, i vantaggi attesi (non solo economici) dell’investimento61.

Le comunità intelligenti dovranno poi essere in grado di tessere, sullo sfondo, una governance all’altezza del compito, in modo tale da sviluppare una visione chiara ed unanimemente condivisa dell’idea di benessere con le altre comunità locali che sviluppano progetti simili.

In questo senso, le realtà transfrontaliere rappresentano il terreno elettivo sul quale sperimentare nuovi modelli di governance, ottimizzando gli investimenti e coinvolgendo le aziende private, anche attraverso modalità di partenariato pubblico-privato.

Non vanno infine ignorate le connessioni (e talora contraddizioni) che sussistono tra la tematica delle comunità intelligenti ed il più noto tema della cittadinanza amministrativa62.

Su un piano generale, i concetti di Smart citiy e cittadinanza amministrativa parrebbero dislocarsi su due fronti contrapposti: il primo richiama la solitudine del cittadino digitale63, il secondo evoca l’inserimento in una data collettività (ovvero le relazioni sociali).

L’apparente contrasto potrebbe però essere risolto nei moderni spazi urbani attraverso lo svolgimento di attività di condivisione, dialogo e concertazione tra i diversi soggetti interessi allo sviluppo dell’intelligenza di una città, anche e soprattutto attraverso la messa in campo di nuove soluzioni tecnologiche.

Solo in questo modo potrebbe mantenersi intatta l’essenza della città, eloquentemente racchiusa nella citazione letteraria tratta dall’opera di Italo Calvino, in base alla quale il nucleo d’una città è dato dalla risposta che questa è in grado di offrire ad una domanda, e quindi ad un’esigenza del cittadino.

Ebbene, la risposta non può passare soltanto attraverso l’utilizzo di innovazioni tecnologiche all’avanguardia, dovendo invece necessariamente essere anche occasione di incontro, di scambio e di arricchimento con la città medesima, da intendersi nella sua complessità e vastità di forme e sfaccettature.

L’auspicio è che i processi di sviluppo delle metropoli intelligenti si ispirino ad un ideale comune, improntato alla socievolezza ed alla relazione in senso pieno, evitando le degenerazioni egoistiche ed utilitaristiche imposte dal consumismo.

In questo senso, la tecnologia va intesa come mezzo di semplificazione e condivisione tra le parti sociali, soprattutto in un’ottica di partecipazione del cittadino alla gestione della cosa pubblica, non certo come fine – men che meno economico – a cui deve tendere ed aspirare l’intera collettività.

A questo punto, sorge spontaneo domandarsi se il concetto moderno di Smart city imponga una parziale rivisitazione della cittadinanza amministrativa, tradizionalmente definita come “titolarità del cittadino di pretese sia di prestazione che di protezione nei confronti dell’Amministrazione64 a partire dal concreto inserimento del medesimo in una data comunità.

Nel contesto delle comunità intelligenti, infatti, l’innovazione tecnologica incide sui caratteri della legittimazione degli amministrati alla soddisfazione dei diritti soggettivi di prestazione collegati all’essere parte di una determinata collettività.

In particolare, il sistema ideato a partire dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict) richiede l’assolvimento di taluni oneri da parte dell’utente (rectius, cittadino), che quindi è chiamato a porre in essere una vera e propria cooperazione all’esecuzione della prestazione da parte dell’ente locale.

Tali oneri consisteranno, generalmente, nel dotarsi di strumenti tecnologicamente avanzati e, prima ancora, nell’acquisire una maggior consapevolezza circa le nuove modalità di erogazione dei servizi pubblici.

Da questa prospettiva, l’idea di sviluppo urbano sottesa al concetto di Smart city implica un progetto di riforma culturale, prima ancora che giuridica, del rapporto tra la pubblica amministrazione ed il quivis de populo nell’era digitale.

La sfida delle Smart cities è solo agli albori, dunque pare affrettato trarre conclusioni dal quadro normativo delineato e dalle considerazioni abbozzate; sembra certo, però, che la direzione è quella corretta, non intravedendosi soluzioni alternative.

Questo processo di riforma cittadina, tuttavia, dovrà auspicabilmente avvenire per gradi e non per salti, in modo tale che non si realizzino più inconvenienti che vantaggi, da un punto di vista economico ma soprattutto sociale.

1 Dottorando di ricerca in Diritti e Istituzioni al XXX ciclo di dottorato.

 

2 Sul punto va richiamato il Report by the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress (di seguito, per brevità, Rapporto Stiglitz, dal nome dell’esperto che ha presieduto la commissione), disponibile alla pagina web http://www.stiglitz-sen-fitoussi.fr/documents/rapport_anglais.pdf.

 

3 Per una ricognizione intorno al concetto di sviluppo sostenibile, si vedano C. Videtta, Lo sviluppo sostenibile dal diritto internazionale al diritto interno, inR. Ferrara – M.A. Sandulli (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Milano, 2014, I, 221- 270 (spec. 235) e F. Fracchia, Il principio dello sviluppo sostenibile, in M. Renna – F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 433- 451.

 

4 Con specifico riguardo all’edilizia, si pensi soprattutto alla Direttiva 2002/91/Ce del 16 dicembre 2002, altrimenti nota come “EPBD – Energy Performance Building Directive”, che è stata recepita dall’Italia con il d.lgs. 19 agosto 2005, n. 192, che introdusse l’attestato di certificazione energetica, oggi sostituito dall’attestato di prestazione energetica.

A livello europeo sono state poi successivamente adottate la Direttiva 2010/31/Ue del 19 maggio 2010, recepita con il d.l. 4 giugno 2013, n. 63, convertito con modificazioni in l. 3 agosto 2013, n. 90, e la Direttiva 2012/27/Ue del 25 ottobre 2012, che ha trovato recentemente attuazione anche nel nostro ordinamento per effetto del d.lgs. 4 luglio 2014, n. 102.

 

5 Un fulgido esempio in materia di trasporti è dato dalla Direttiva 2010/40/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, sul quadro generale per la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto.

Questa direttiva è stata in un primo momento recepita dal nostro ordinamento mediante l’art. 8 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni in l. 17 dicembre 2012, n. 221, che a sua volta rinvia alle fonti secondarie per una ulteriore specificazione delle iniziative da adottare.

 

6 Nell’ambito delle telecomunicazioni costituisce senz’altro una priorità la diffusione della banda larga, fortemente auspicata a livello europeo, ove costituisce uno degli obiettivi dichiarati dell’Agenda digitale europea, richiamata nella strategia “Europa 2020” (su cui si tornerà più avanti) per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva.

A tale proposito si veda, ex multis, la Comunicazione della Commissione del 20 settembre 2010, n. 472, denominata “La banda larga in Europa: investire nella crescita indotta dalla tecnologia digitale”.

 

7 Con riferimento al settore dei rifiuti, il dibattito degli ultimi decenni si è focalizzato intorno alla possibilità di utilizzo delle tecnologie di incenerimento; siano citati, a tale riguardo, la Direttiva 2000/76/CE del 4 dicembre 2000 sull’incenerimento dei rifiuti, attuata per mezzo del d.lgs. 11 maggio 2005, n. 133.

 

8 Per un’analisi delle questioni che si annidano intorno al concetto di “città”, si rinvia a J. B. Auby, Droit de la ville: Du fonctionnement juridique des villes au droit à la Ville, Parigi, 2013, ove viene puntualmente affrontato il tema dell’accesso dei cittadini ai servizi pubblici essenziali di competenza della città, come ad esempio il diritto alla casa, i diritti di mobilità e il diritto alla sicurezza.

 

9 Si tratta, in altre parole, di un’applicazione del più generale principio di prossimità, in base al quale le decisioni devono essere prese nella maniera il più possibile vicina ai cittadini.

 

10 Nell’ordinamento italiano, come si vedrà meglio nel prosieguo, è presente anche il concetto di “comunità intelligente”, che riprende essenzialmente i medesimi tratti della nozione di Smart city.

 

11 Con riferimento alle connessioni tra la nozione di Smart city e quella di Green economy nel contesto delle società complesse del capitalismo maturo, si veda R. Ferrara, The Smart City and the Green Economy in Europe: a Critical Approach, in Energies, 2015, VIII (in corso di pubblicazione), ad avviso del quale “The concepts of smart city and green economy as delineated in European regulations and directives may sometimes appear to be rather cursory or even little more than simple slogans born in the shadow of the economic crisis and destined to disappear, almost without a trace, by the time the crisis is over”.

 

12 Un contributo essenziale è dato da E. Glaeser, Triumph of the City: how our greatest invention makes us richer, smarter, greener, healthier and happier, Londra, 2011, il cui titolo è altamente emblematico della posizione di favore assunta dall’Autore nei confronti delle Smart city. Altrettanto fondamentale è il contributo di B. Katz, J. Bradley, The Metropolitan Revolution: How Cities and Metros Are Fixing Our Broken Politics and Fragile Economy, Washington, 2014; in argomento, ma meno recente, si veda altresì J. Rifkin, Il sogno europeo: come l’Europa ha creato una nuova visione del futuro che sta lentamente eclissando il sogno americano, Milano, 2004.

 

13 Per un inquadramento del tema (anche) sotto l’aspetto sociologico, si veda L. Leydesdorff, M. Deakin, The Triple Helix Model and the Meta-Stabilization of Urban Technologies in Smart Cities, consultabile alla pagina web http://arxiv.org/ftp/arxiv/papers/1003/1003.3344.pdf.

 

14 Fra i massimi esperti non può non essere menzionato C. Ratti, Il futuro della città: verso la Smart City, disponibile online al seguente sito web: https://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/system/files/inline/T%20WATCH%20Ratti%2066.pdf.

 

15 I dati statistici richiamati risalgono all’anno 2013 e sono estratti dalla banca dati della World Bank, disponibile alla seguente pagina web: http://data.worldbank.org/topic/urban-development#tp_wdi.

 

16 Ci si riferisce anzitutto all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), che nel 2003 ha istituito l’ambizioso progetto di revisione del concetto di benessere denominato “Global Project on Measuring the Progress of Societies”, disponibile alla pagina web http://www.oecd.org/statistics/measuring-well-being-and-progress.htm.

In seguito, anche l’Unione europea ha espresso la propria adesione ad un simile mutamento culturale prima ancora che economico, come si evince dalla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 20 agosto 2009, n. 433, denominata “Non solo Pil. Misurare il progresso in un mondo in cambiamento”, reperibile online alla pagina http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2009:0433:FIN:IT:PDF.

 

17 Si tratta delle dimensioni individuate alle pagine 14 e 15 del citato Rapporto Stiglitz.

 

18 Dando così piena attuazione al principio di sussidiarietà, che permea di sé l’ordinamento europeo (art. 5 TUe) così come quello italiano (art. 118 Cost.).

 

19 Ci si riferisce, in particolare, a città come Rio de Janeiro e Singapore, che hanno avviato i processi di sviluppo rispettivamente denominati “Smart Operations” e “Smart Nation”.

 

20 Il meccanismo, oramai collaudato, è quello delle start-up, ovvero di quelle imprese che vengono costituite al precipuo fine di sviluppare un’idea (che spesso si tramuta in un’applicazione informatica) da immettere sul mercato. Solitamente, queste imprese presentano nella fase iniziale un rischio elevato, che esalta sia le prospettive di guadagno sia la possibilità di perdite. Questa caratteristica fa sì che l’avvio e la crescita delle attività di queste imprese vengano finanziati attraverso il venture capital, ovvero fondi investiti a lungo termine da soggetti che scommettono su un progetto innovativo.

 

21 Anche in Italia, così come in altri Stati membri dell’Unione europea, si sono verificate simili controversie. A tale proposito, si veda il recente e emblematico caso milanese, in relazione al quale è stata accertata la concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, n. 3 c.c. e conseguentemente inibita alla società Uber International B.V. ed altre in via cautelare ed urgente l’utilizzazione sul territorio nazionale dell’applicazione o comunque la prestazione di un servizio “che organizzi, diffonda e promuova da parte di soggetti privi di autorizzazione amministrativa e/o di licenza un trasporto terzi dietro corrispettivo su richiesta del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta” (Tribunale di Milano, ordinanza 25 maggio 2015).

 

22 Cfr. Nevada Trasnportation Authority v. Uber Technologyies Inc., Second Judicial District Court, Nevada (Washoe), CV14-02284, disponibile sul sito web: http://washoecourts.com/print_casedesc.cfm?case_id=CV14-02284. L’ingiunzione era stata richiesta sulla base della mancata conformazione dei veicoli e degli autisti di Uber alle prescrizioni dettate dalla disciplina statale in tema di servizio di trasporto. La società ingiunta si era invece difesa affermando di essere una società prettamente informatica e non un operatore del settore dei trasporti.

 

23 Si pensi, a tale riguardo, al recente Call – Smart Cities and Communities, bandito nell’ambito del Programma quadro europeo per la ricerca e l’innovazione denominato Horizon 2020, che ha previsto uno stanziamento complessivo pari ad euro 107.180.000,00; il bando in questione è disponibile alla pagina web http://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/opportunities/h2020/calls/h2020-scc-2015.html#tab2.

 

24 Per un più approfondito excursus sui provvedimenti normativi adottati dall’Unione Europea e sulle conseguenti ricadute di sistema, si rimanda a R. Ferrara, The Smart City and the Green Economy in Europe: a Critical Approach, in Energies, 2015, VIII (in corso di pubblicazione).

 

25 L’energia rappresenta un tema cruciale per l’Unione Europea, avendo peraltro trovato espresso riconoscimento all’art.194 TfUe. La più significativa enunciazione di politica europea in materia energetica e ambientale è costituita dalla Comunicazione della Commissione europea del 10 novembre 2010, n. 639, denominata “Energy 2020 A strategy for competitive, sustainable and secure energy”.

 

26 Per una disamina dettagliata del rapporto tra energia e diritto dell’ambiente, si veda C. Vivani, Ambiente ed energia,inR. Ferrara – M.A. Sandulli (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Milano, 2014, I, 503-569.

 

27 In questo senso si è espresso R. Ferrara. Introduzione al diritto amministrativo. Le pubbliche amministrazioni nell’era della globalizzazione, Bari, 2014, 228, al quale si rinvia per una più compiuta ed esaustiva ricognizione sistematica del concetto di governance.

 

28 La centralità del ruolo delle amministrazioni locali è messo in risalto dal premesso n. 11 del Patto, ove viene affermato “che molte delle azioni sulla domanda energetica e le fonti di energia rinnovabile necessarie per contrastare il cambiamento climatico ricadono nelle competenze dei governi locali ovvero non sarebbero perseguibili senza il supporto politico dei governi locali”.

 

29 Il Piano di Azione in discorso era stato adottato per effetto della Comunicazione del 19 ottobre 2006, n. 545 (le citazioni nel corpo del testo sono tratte a pagina 20), che si inserisce nel solco tracciato dall’art. 11 TfUe, ai sensi del quale “Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”.

 

30 Il numero è cresciuto esponenzialmente, al punto che, al giorno 1° marzo 2014, risultano avervi aderito 6.258 pubbliche amministrazioni, per una popolazione complessiva di 196.309.340 abitanti.

 

31 Si tratta del documento denominato “Energia per un mondo che cambia”, che è stato approvato in occasione del Consiglio dell’Unione europea del 9 marzo 2007.

 

32 Cfr. Direttiva 2001/77/Ce del 27 settembre 2001, recante disposizioni sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.

 

33 Cfr. Direttiva 2006/32/Ce del 5 aprile 2006, concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e recante abrogazione della direttiva 93/76/Cee del Consiglio.

 

34 L’atto denominato “Europe 2020”, avente ad oggetto “A strategy for smart, sustainable and inclusive growth”, è stato adottato con la Comunicazione del 3 marzo 2010, n. 2020 final. Recentemente, la Commissione ha poi effettuato un primo bilancio della strategia Europa 2020, reso pubblico attraverso la Comunicazione del 5 marzo 2014, n. 130 final. Per quanto qui di interesse, si evidenzia che, nelle conclusioni a pag. 20 della predetta Comunicazione, la Commissione ha riconosciuto l’importanza del ruolo delle amministrazioni locali, affermando che “l’esperienza mostra anche che il coinvolgimento e la partecipazione attivi di regioni e città – responsabili in prima linea per l’attuazione di molte politiche dell’UE – sono fondamentali per continuare a realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020”.

 

35 Occorre rimarcare come il ruolo di guida pubblici nella promozione dell’efficienza energetica fosse stato attribuito agli enti locali già a far tempo dalla citata Direttiva 2006/32/Ce, recepita all’interno dell’ordinamento italiano mediante il d.lgs. 30 maggio 2008, n. 115, e successivamente sostituita dalla Direttiva 2012/27/Ue.

 

36 Per una ricognizione della prospettiva italiana, si veda A. Calafati (a cura di), Città tra sviluppo e declino. Un’agenda urbana per l’Italia, Roma, 2015, passim.

 

37 Si tratta del programma adottato in attuazione del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204, recante disposizioni per il coordinamento, la programmazione e la valutazione della politica nazionale relativa alla ricerca scientifica e tecnologica, così come previsto dalla legge Bassanini.

 

38 A livello di Unione europea, l’Agenda digitale è disciplinata dalla comunicazione della Commissione europea COM (2010) 245 definitivo/2 del 26 agosto 2010.

 

39 Più precisamente, la disposizione in commento è stata introdotta successivamente per effetto dell’art. 19 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (cd. Decreto sviluppo bis), così come convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.

 

40 Al momento, i due bandi più rilevanti sono, da un lato, quello intitolato “Smart cities and communities”, destinato alle regioni del mezzogiorno per un ammontare di complessivi euro 200 milioni; dall’altro, quello prelativo allo sviluppo di città intelligenti in tutto il territorio nazionale, per un totale di euro 655,5 milioni.

 

41 Dello stesso avviso pare essere A. Casinelli, Le città e le comunità intelligenti, in Giornale di diritto amministrativo, 2013, 3, 242.

 

42 Lo stanziamento è avvenuto ai sensi dell’art. 14, comma 1 del decreto legge 28 aprile 2009, n. 39 e della deliberazione Cipe 27 maggio 2005, n. 35.

 

43 Cfr. punto 1.5 della deliberazione Cipe 21 dicembre 2012, n. 135.

 

44 La grave lacuna dell’assenza di un quadro normativo vincolante nell’ambito delle Smart cities è ampiamente messa in luce da R. Ferrara, The Smart City and the Green Economy in Europe: a Critical Approach, in Energies, 2015, VIII (in corso di pubblicazione).

 

45 La collocazione esatta è l’allegato 1 del Patto medesimo.

 

46 Si tratta, in altre parole, del Green Public Procurement, che consiste per l’appunto nella promozione e nella graduale affermazione degli interessi ambientali nella disciplina legislativa dei contratti pubblici. Il fenomeno è stato recentemente messo in luce da E. Frediani, Il paradigma trasversale dello sviluppo sostenibile, in Il diritto dell’economia, 2015, I, 49– 79 (spec. 72 ss.), che, su un piano generale, ha ravvisato come “il principio di integrazione (delle considerazioni ambientali nella definizione e attuazione delle politiche e azioni pubbliche, ndr) consente di valorizzare il significato e la rilevanza dei criteri di aggiudicazione di natura non economica (tra cui rientrano in primis quelli di carattere ambientale e sociale) in occasione delle procedure per l’affidamento della realizzazione di opere pubbliche, della acquisizione di forniture o della gestione di pubblici servizi”. Per quel che riguarda le connessioni di tale fenomeno con le teorie della Green economy, si veda E. Bellomo, Il Green Public Procurement nell’ambito della green economy, in Diritto e processo amministrativo, 2013, I, 163 ss.

 

47 L’esempio preso in considerazione dal Patto dei sindaci è quello dei distretti cogenerativi che utilizzano la biomassa.

 

48 Questi fattori sono stati individuati da R. Giffinger – C. Fertner – H. Kramar – R. Kalasek – N. Pichler-Milanovic – E. Meijers, Smart cities – Ranking of European medium-sized cities, disponibile sul sito http://www.smart-cities.eu. Si tratta della relazione, pubblicata nel 2007, all’esito del progetto di ricerca guidato dal Centre of Regional Science (SRF), University of Technology di Vienna, che individua le seguenti cinque macroaree di intervento della città: Smart Economy, Smart People, Smart Governance, Smart Mobility, Smart Environment e Smart Living. Per scrupolo di completezza si segnala che, recentemente, sono stati realizzati due nuovi progetti di ricerca da parte dello stesso centro studi, e segnatamente negli anni 2013 e 2014; entrambi sono disponibili alla pagina web sopraindicata.

 

49 L’esempio forse più virtuoso è rappresentato dalla città di Vienna, le cui iniziative sono disponibili sul sito web https://smartcity.wien.at/site/en/.

 

50 Con riferimento alla realtà italiana, si pensi a comuni come Firenze, Torino e Treviso; l’esperienza delle Smart city ha influenzato poi anche le unioni di comuni – il cui ruolo è stato recentemente rinforzato per effetto della l. 7 aprile 2014, n. 56 – in relazione alle quali si richiama l’esempio dell’Unione dei Comuni della Romagna Faentina

 

51 L’esperienza italiana ha dimostrato che l’obiettivo può esser raggiunto, ad esempio, attraverso la differenziazione dei rifiuti oppure attraverso la realizzazione di un impianto termovalorizzatore (inceneritore).

 

52 Soprattutto attraverso la limitazione del trasporto privato, ad esempio mediante l’imposizione delle già citate Zone a traffico limitato.

 

53 Sono state quindi messe in campo tecniche avanzate di comunicazione e di accesso ai servizi on-line: si pensi all’impiego del QR-code nei musei.

 

54 Un esempio eloquente di questo modello è dato dalle notti lunghe dei musei o notti bianche, ovvero di quell’insieme di iniziative culturali e di intrattenimento che durano un’intera nottata. Solitamente, in un’ottica di piena sinergia cittadina, queste iniziative sono accompagnata da un servizio straordinario dei mezzi pubblici, dall’apprestamento di spettacoli vari, dall’apertura prolungata di negozi, etc

 

55 Ad esempio privilegiando il riuso dell’esistente o densificando le volumetrie esistenti.

 

56 Si parla, a tale riguardo, di e-government readiness.

 

57 Nel caso delle applicazioni informatiche, ad esempio, è richiesta la disponibilità di uno smart-phone e di una connessione internet, che implicano un costo fisso iniziale sia pure non eccessivo.

 

58 La soddisfazione del bisogno, per questa cerchia di persone, può ad esempio avvenire mediante l’acquisto dei servizi necessari sul libero mercato.

 

59 Nel sistema americano si è osservato che questo fenomeno si realizza, solitamente, nei settori meno attraenti per il venture capital, laddove le prospettive di investimento e di ricavo appaiono decisamente inferiori.

 

60 L’esempio più emblematico, per il sistema italiano, è forse rappresentato dalla connessione internet a banda larga, senza la quale la maggior parte delle innovazioni tecnologiche non potrebbero essere sfruttate. Orbene, per lungo tempo questa opera non è stata ricompresa nel novero delle opere di urbanizzazione primaria previste dal legislatore all’art. 4 della legge 29 settembre 1964, n. 847. Questa lacuna, che col passare del tempo trovava sempre meno giustificazioni, è stata colmata soltanto recentemente per effetto dell’art. 6, comma 3-bis della legge 11 novembre 2014, n. 164, che introduce la lett. g-bis) all’elenco delle opere di urbanizzazione primaria previsto dal citato art. 4.

 

61 In questa direzione si è peraltro posta la recente direttiva 2014/24/Ue in materia di appalti, che all’art. 31 introduce l’istituto del partenariato per l’innovazione, ovvero una procedura particolare che consente di sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi non ancora disponibili sul mercato.

 

62 Per una ricognizione bibliografica del concetto di cittadinanza amministrativa, si rinvia a R. Ferrara, F. Manganaro, A Romano Tassone (a cura di), Codice delle cittadinanze, Milano, 2006, passim.

 

63 In questo parafrasando il contributo, sempre attuale e coinvolgente, di Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Milano, 2000, ove viene smascherata la solitudine prodotta dall’individualismo. Ebbene, oggigiorno tale solitudine appare acuita in conseguenza della progressiva ed inarrestabile digitalizzazione del reale, che conduce molti utenti all’isolamento sociale, inverando – per certi aspetti – il rischio di trasformare il cittadino in semplice consumatore.

 

64 La definizione è di C. E. Gallo, La pluralità delle cittadinanze e la cittadinanza amministrativa, intervento al Convegno privati e Pubblica amministrazione (Torino, luglio 2002), in Diritto amministrativo, 2002, fasc. 3, 487. Sulla tematica, specie con riferimento alle diverse letture offerte dalla dottrina, si veda anche R. Cavallo Perin, La configurazione della cittadinanza amministrativa, intervento al Convegno privati e Pubblica amministrazione (Torino, luglio 2002), in Diritto amministrativo, 2004, fasc. 1, 201 ss.