Provvedimenti sindacali nella gestione dell’emergenza sanitaria COVID-19 in Piemonte

Serena Matarazzo1

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le ordinanze extra ordinem e l’emergenza COVID-19. – 2.1. I dispositivi di protezione individuale. – 2.2. Accesso a parchi e zone verdi. – 2.3. La chiusura dei cimiteri. – 3. Considerazioni conclusive.

 

1. Introduzione.

Il sistema delle amministrazioni locali è stato, di recente, interessato dall’emergenza epidemiologica COVID-19.

I Comuni, in particolare, hanno dovuto affrontare tale situazione inedita e imprevista, al fine di assicurare l’applicazione delle numerose ordinanze sindacali contingibili e urgenti, all’interno di un contesto normativo statale e regionale alquanto mutevole2.

In tale prospettiva, la gestione dell’emergenza ha posto in rilievo i tratti di autonomia di cui godono i Comuni, nel tentare di rispondere alle esigenze che vengono in rilievo nei rispettivi territori.

Il presente contributo intende trattare, nello specifico, del potere di ordinanza sindacale extra ordinem come esercitato dai sindaci piemontesi nell’emergenza da COVID-19 e del suo intrecciarsi con i provvedimenti degli altri livelli di governo.

In particolare, si farà riferimento ad alcune questioni applicative emerse nella prassi che, più di tutte, sembrano sottolineare la capacità della dimensione locale di anticipare scelte successivamente fatte proprie dal piano regionale, oltreché statale, sebbene non sempre rispondenti ai requisiti di proporzionalità e adeguatezza.

2. Le ordinanze sindacali extra ordinem e l’emergenza COVID-19.

Atti a contenuto atipico, le ordinanze di necessità e urgenza rappresentano uno strumento utile a fronteggiare situazioni eccezionali e imprevedibili, in cui viene lasciato alla pubblica amministrazione un notevole apprezzamento sul contenuto specifico del provvedimento, ferma restando la previa individuazione legislativa dei presupposti generali per la relativa emanazione.

Stante la tensione che tali ordinanze potenzialmente possono generare con il principio di legalità dell’azione amministrativa3, nonché con quello di tipicità degli atti amministrativi4, la loro adozione è subordinata al rispetto di stringenti condizioni quali la ricorrenza di una situazione eccezionale e urgente5, di fronte alla quale i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento si mostrano incapaci di fornire una risposta congrua6, la presenza di un interesse generale da tutelare, il carattere di proporzionalità e adeguatezza tra la misura adottata e il contesto necessitato, nonché la sussistenza di un idoneo supporto motivazionale.

Tra le ipotesi di ordinanze cosiddette “libere”, il cui inquadramento tra le fonti secondarie è stato oggetto di discussione7, si annoverano quelle richiamate nel T.U.E.L. che, all’art. 54, c. 4, dispone come “il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana8”.

Parimenti, l’art. 50, c. 5, del T.U.E.L. attribuisce al Sindaco – questa volta in qualità di rappresentante della comunità locale – il potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti incaso di emergenze sanitarie a carattere esclusivamente locale9.

Sempre in materia di sanità pubblica, l’art. 32, c. 1, l. n. 833/1978 prevede che il Ministero della Sanità possa adottare ordinanze contingibili in materia di igiene, sanità pubblica o polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o ad una parte di esso concernente più Regioni; analogamente, al comma terzo, si riconosce il medesimo potere al Presidente della Giunta regionale e al Sindaco, con validità che si esplica, rispettivamente, nel contesto regionale e comunale10. L’art. 32 della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale si limita, dunque, a disciplinare l’ambito spaziale di operatività dei citati provvedimenti, a seconda del soggetto deputato all’adozione, senza tuttavia fornire indicazioni sul rapporto intercorrente tra le diverse tipologie di ordinanze extra ordinem.

Rileva, in tal senso, quanto previsto dall’art. 117 del d.lgs. 112/98 che riconosce la competenza ad adottare misure d’urgenza in base alla dimensione dell’emergenza venuta in rilievo. Pertanto, si stabilisce che il Sindaco possa adottare ordinanze contingibili e urgenti qualora intervengano emergenze sanitarie di carattere esclusivamente locale, nelle altre ipotesi, l’adozione dei provvedimenti d’urgenza è rimessa rispettivamente allo Stato o alle Regioni, con la precisazione che, nel caso di contesto emergenziale riguardante più Comuni, “ogni sindaco adotta le misure ritenute necessarie, fino a quando non intervengano i soggetti competenti ai sensi del comma 1”, vale a dire Stato e Regioni11. Tale inciso implica un carattere di cedevolezza delle ordinanze sindacali, laddove si palesino contesti emergenziali di dimensione più ampia rispetto a quella locale.

In questo contesto normativo, durante l’emergenza da COVID-19, diverse disposizioni si sono occupate dell’esercizio del potere di ordinanza sindacale.

Si pensi al d.l. n. 9/2020, recante “Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, che ha previsto all’art. 35 come, a seguito dell’adozione delle misure statali di contenimento e gestione dell’emergenza, “non possono essere adottate e, ove adottate sono inefficaci, le ordinanze sindacali contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza predetta in contrasto con le misure statali”.

Tale previsione è stata successivamente abrogata dal d.l. n.19/2020 (art. 5), convertito con modificazioni dalla l. n. 35/2020. Nel disciplinare le misure urgenti di carattere regionale o infraregionale, l’art. 3 del citato decreto ha stabilito che i sindaci non possano adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza, qualora in contrasto con le misure statali12, in tal modo ribadendo, in sostanza, quanto era stato affermato dall’art. 35 del d.l. n. 9/2020.Elemento di novità, rispetto alla disposizione abrogata, risulta essere il richiamo all’impossibilità di eccedere i “limiti di oggetto indicati al comma 1” che, a sua volta, evoca tra l’altro la catalogazione di cui all’art. 1, c. 2, del decreto stesso13.

Al riguardo, l’espressione relativa ai “limiti di oggetto” va letta in combinato con il primo comma che statuisce la possibilità per le Regioni, nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e in caso di specifiche situazioni di aggravamento del contagio sul rispettivo territorio, di introdurre misure più restrittive tra quelle elencate all’art. 1, c. 214, purché rientranti “nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale”.

L’esplicito riferimento ai limiti di oggetto contenuti nell’art. 3, c. 1, sottopone quindi l’esercizio del potere di ordinanza sindacale alle medesime limitazioni previste per le ordinanze regionali15

Per altro verso, il d.l. n.19/2020 ha anche abrogato gran parte del precedente d.l. n. 6/202016, inclusi gli artt. 1 e 2. La prima disposizione, in particolare, prevedeva che le autorità competenti, nei Comuni e nelle aree in cui sarebbe risultata positiva al virus una persona senza conoscerne la fonte di trasmissione, avrebbero dovuto adottare ogni misura di contenimento che risultasse adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica. A tal proposito, il secondo comma introduceva un elenco di misure di intervento, da considerarsi non esaustivo, stante il tenore dell’espressione “tra le misure di cui al comma 1, possono essere adottate anche le seguenti”

L’art. 2 stabiliva inoltre che le autorità competenti avrebbero potuto adottare ulteriori misure per prevenire la diffusione dell’epidemia, al di fuori dei casi menzionati dall’art. 1, così ampliando il potere di intervento anche sindacale, svincolandolo da un ambito oggettivo delineato in modo preciso17.

Abrogando le disposizioni citate, il d.l. n. 19/2020 non ripropone la clausola di residualità e fornisce all’art. 1 un elenco maggiormente dettagliato delle misure adottabili, anche in via cumulata, pur riconoscendone la possibilità di modulazione in aumento o in diminuzione. Tutto ciò per periodi predeterminati, con l’individuazione del termine massimo della cessazione dello stato di emergenza e secondo i principi di adeguatezza e proporzionalità, parametrati tuttavia non alla generica espressione di evoluzione della situazione epidemiologica – come veniva richiesto nel d.l. n. 6/2020 – bensì al rischio effettivamente presente sulla parte di territorio interessato, in base ad una valutazione da svolgere, quindi, in concreto.

La mancanza di riferimento alla possibilità di adottare ulteriori misure rispetto a quelle elencate, la necessaria predeterminazione dei tempi, nonché l’adeguatezza e la proporzionalità rispetto all’effettivo rischio presente sul territorio interessato dal provvedimento d’urgenza sembrano costituire tutti fattori finalizzati alla restrizione degli ampi spazi discrezionali attribuiti dal precedente decreto18.

Sull’ampiezza dell’esercizio del potere sindacale di emanare ordinanze contingibili e urgenti, è intervenuta anche la recente giurisprudenza amministrativa, sottolineando come occorra operare una distinzione in base alla dimensione dell’emergenza.

Mentre nell’ipotesi in cui il Sindaco debba fronteggiare un’emergenza di natura locale, il relativo intervento può avere capacità derogatoria dell’ordinamento giuridico, in un contesto emergenziale nazionale, come quello derivante da COVID-19, l’autorità locale è tenuta a non travalicare i limiti indicati dalla normativa statale sotto un duplice profilo, non solo in riferimento ai presupposti, ma anche per ciò che concerne l’oggetto della misura limitativa, come da prescrizione contenuta nel d.l. n.19/202019.

Di fronte a un’emergenza di carattere nazionale, pur “nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, vi deve essere una gestione unitaria della crisi per evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione dell’emergenza, soprattutto in casi in cui non si tratta solo di erogare aiuti o effettuare interventi ma anche di limitare le libertà costituzionali20.

Nella gestione della pandemia da COVID-19, le previste limitazioni al potere di intervento sindacale, di carattere più incisivo, si spiegano dunque nella dimensione dell’emergenza, di natura nazionale e non semplicemente locale. In applicazione infatti del principio di leale collaborazione, nella prospettiva di una gestione unitaria, occorre assicurare la non contraddizione tra quanto stabilito a livello nazionale e quanto, nell’ambito dell’autodeterminazione di ogni singola amministrazione, prescritto a livello locale.

Al riguardo però, pena il sacrificio dell’autonomia riconosciuta alle amministrazioni locali, appare coerente interpretare le menzionate disposizioni, nel senso di concludere per l’arrendevolezza delle ordinanze contingibili sindacali soltanto nel momento in cui le stesse si pongano, senza alcun fondamento, in contrasto con le indicazioni statali contenitive del contagio e non quando, invece, introducano misure tra quelle elencate dal d.l. n.19/2020 e modulate, in senso ampliativo o riduttivo, per rispondere alle esigenze dello specifico contesto territoriale.

Del resto, tale assunto pare trovar conforto nella disciplina dell’intervento regionale, estendibile, come visto, all’esercizio del potere di ordinanza sindacale, contenuta nell’art. 3 del d.l. n. 19/2020, laddove richiama la necessità di “specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio”, oltrechénei principi giurisprudenziali consolidati in materia di ordinanze libere, considerato che nell’adozione di tali atti deve sempre sussistere, tra l’altro, un criterio di adeguatezzadella misura scelta utile a fronteggiare la determinata situazione di rischio21

Nella stessa direzione, il d.l. n. 33/2020 – convertito, con modificazioni, dalla l. n. 74/2020 – dispone la possibilità di adottare o reiterare le misure di contenimento del contagio, soltanto con i provvedimenti di cui al d.l. n.19/2020 e nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico.

In siffatto contesto normativo, molteplici sono stati gli ambiti interessati dall’utilizzo delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti, alcuni dei quali (dispositivi di protezione individuale, regolamentazione dell’accesso a parchi e cimiteri), sembrano aver evidenziato, almeno nella Regione Piemonte, la capacità della dimensione decentrata di “autoregolamentarsi”, anche anticipando, in alcune circostanze, scelte poi replicate sul piano regionale e statale.22

2.1 I dispositivi di protezione individuale.

Nel territorio regionale, con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 39 del 6 aprile 2020 è stato introdotto l’obbligo dell’uso di mascherine e di guanti monouso, limitatamente al personale addetto alla vendita negli esercizi commerciali allora consentiti, come da allegato 1 del D.P.C.M. 11 marzo 202023.

Per il resto dei cittadini, al contrario, soltanto nella parte relativa alle raccomandazioni, il provvedimento regionale stabiliva che “nelle attività commerciali al chiuso o all’aperto (mercati), a partire dall’8 aprile 2020, i clienti possano accedervi se provvisti di mascherine”.

Con il menzionato D.P.G.R. non si prevedeva ancora un obbligo generalizzato rivolto alla popolazione di indossare ovunque le mascherine, obbligo che avrebbe comportato, tra l’altro, l’incombenza in capo ai sindaci, in qualità di autorità sanitarie locali, di provvedere alla relativa fornitura.

Dinanzi a tale raccomandazione, concernente tra l’altro soltanto l’ingresso nelle attività commerciali e inserita in un elenco di esortazioni rivolte agli esercenti, una serie di ordinanze sindacali ha viceversa disposto fin da subito l’obbligo di utilizzare dispositivi di protezione individuale in tutti i casi in cui i cittadini si fossero trovati in luogo pubblico o aperto al pubblico.

Si è, in tal modo, prefigurata l’adozione di misure più restrittive su alcuni territori comunali piemontesi, rispetto a quelle operanti contestualmente a livello regionale.

Queste previsioni hanno sollevato, inoltre, dubbi sull’opportunità di subordinare a condizioni la libertà di circolazione individuale, quando non fondate su elementi oggettivi legati al livello dei contagi presenti nei luoghi interessati, con il rischio potenziale di impugnativa dei provvedimenti adottati.

Altra questione problematica ha riguardato, invece, l’incombenza di fornitura in capo al Comune, una volta che l’ente locale avesse reso obbligatorio l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. In proposito, al fine di ovviare all’onere di distribuzione, si è optato in alcune circostanze per il riferimento, alquanto sui generis, all’impiego di sciarpe e foulard, come strumenti alternativi, seppur non egualmente efficaci24.

E’ stato il caso, ad esempio, del Comune di Castellamonte (TO) che, con ordinanza n. 21 del 20 marzo 2020, nel dettare misure di contenimento della diffusione del COVID-19, ordinava che qualsiasi persona dovesse “essere munita di misure di protezione personale ovvero mascherina e/o in assenza della stessa sciarpa o foulard a copertura delle vie respiratorie, anche per lo spostamento appiedato”, con la previsione di una sanzione amministrativa per i trasgressori da un minimo di cento ad un massimo di cinquecento euro.

Ancora, il Comune di Trino (VC), con ordinanza n. 14 del 30 marzo 2020, stabiliva che l’allontanamento dalla propria abitazione fosse consentito soltanto “portando con sé specifiche mascherine a protezione delle vie respiratorie da indossare allorché si entri in contatto con altri soggetti” e che l’accesso agli esercizi commerciali, alle farmacie, agli uffici pubblici e ad ogni altro luogo chiuso fosse subordinato all’obbligo di indossare le mascherine. Tale obbligo si rivolgeva a “tutti i residenti e domiciliati nel Comune di Trino e dei limitrofi comuni dove tali dispositivi sono stati distribuiti”, nei confronti, invece, di chi provenisse da Comuni in cui non fosse intervenuto il processo di distribuzione, si poneva l’obbligo di utilizzare altre protezioni, come sciarpe e foulard, in modo da coprire interamente naso e bocca.

Così disponeva anche il Comune di Pray (BI) con ordinanza n. 1500 del 21 marzo 2020, secondo cui “nel momento in cui si entra in contatto con altre persone si deve obbligatoriamente coprirsi bocca e naso con mascherine, se disponibili, ovvero sciarpe, foulard o qualsiasi altra protezione in grado di contenere la diffusione del contagio”. L’amministrazione comunale prevedeva anche l’obbligo per tutti gli addetti delle attività commerciali, non soltanto per gli esercenti impiegati nella distribuzione di generi alimentari, di indossare obbligatoriamente mascherina e guanti in lattice, prima che tale prescrizione fosse introdotta sul piano regionale con D.P.G.R. 6 aprile 2020.

E’ soltanto con D.P.G.R. n. 50 del 2 maggio 2020, avente decorrenza 4 maggio (oltre un mese dopo l’adozione delle prime ordinanze sindacali sul tema), che sull’intero territorio regionale, sulla scorta dell’art. 3, commi 2 e 3, del D.P.C.M. 26 aprile 202025, si è disposto l’obbligo in capo a tutti i cittadini (ad eccezione dei bambini con età inferiore a sei anni, nonché dei soggetti con forme di disabilità non compatibili con l’uso continuativo della mascherina e dei soggetti interagenti con gli stessi) di usare protezioni delle vie respiratorie nei luoghi chiusi e accessibili al pubblico – compresi i mezzi di trasporto – nonché nelle situazioni in cui non fosse stato possibile assicurare in modo continuato il mantenimento della distanza di sicurezza26.

Tale obbligo è stato poi ulteriormente esteso con D.P.G.R. n. 63 del 22 maggio 2020, con formulazione ripresa dal D.P.G.R n. 64 del 27 maggio 2020, in riferimento alle aree pertinenziali al chiuso e all’aperto dei centri commerciali e delle grandi superficie di vendita, come indicate all’art. 9 della l. n. 114/1998 (a titolo esemplificativo, parcheggi, giardini, aree gioco, piazzali davanti agli ingressi). Esso è stato inoltre confermato dal D.P.G.R. n. 68 del 13 giugno, in cui è venuto meno, tuttavia, l’esonero di indossare le mascherine per i soggetti che accompagnavano le fasce deboli (minori di età inferiore a sei anni e soggetti con forme di disabilità o patologie incompatibili con l’uso continuativo dei dispositivi di protezione).

Con riferimento all’applicazione del D.P.G.R. n. 64 del 27 maggio, si richiama il caso del Comune di Parella (TO) che concludeva per la non applicazione del punto 1) del menzionato decreto secondo cui, considerato l’elevato rischio di assembramento in occasione della festività della Repubblica, dal 29 maggio al 2 giugno, era fatto obbligo a tutti i cittadini di utilizzare, nei luoghi pubblici all’aperto dei centri abitati del territorio regionale, idonee protezioni delle vie respiratorie, ad esclusione di minori di sei anni, dei soggetti con disabilità incompatibile con uso continuativo dei dispositivi di protezione e di chi svolgesse attività motoria e sportiva. Il provvedimento comunale riteneva che le ragioni alla base del decreto, ossia le segnalazioni di comportamenti non conformi alle misure precauzionali, non si applicassero alla realtà del Comune, avuto conto della conformazione demografica dell’ente (il Comune di Parella conta meno di cinquecento abitanti) e del senso di responsabilità civico dei residenti e domiciliati, così concludendo per la sufficienza di tali fattori ad assicurare il rispetto delle misure allora previste dal D.P.C.M 17 maggio 202027.

Da ultimo, si segnala l’ordinanza n. 27 del 23 luglio 2020, con cui il Sindaco del Comune di Limone Piemonte (CN), in considerazione del “grande afflusso turistico proveniente da più Regioni”, ha prescritto ai cittadini – con una logica di tipo precauzionale – di indossare dispositivi di protezione individuale “su tutto il territorio comunale, in ogni luogo, e negli spazi aperti nel caso in cui non vengano rispettate le distanze di almeno due metri e non vi siano rapporti di convivenza”, con la previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria, di importo fino a cinquecento euro, in caso di mancata osservanza.

Il tema dei dispositivi di protezione individuale e del relativo obbligo di indossarli ha rappresentato, dunque, un ambito in cui gli enti locali hanno sperimentato, nella sfera di autonomia loro assicurata dal potere di ordinanza sindacale, diverse soluzioni per far fronte alle specifiche situazioni di rischio di contagio presenti nei rispettivi territori.

Al riguardo, se lo strumento delle ordinanze contingibili è stato utilizzato dai sindaci piemontesi soprattutto per prescrivere misure più restrittive rispetto a quelle previste a livello regionale, nei Comuni di minor dimensione si è invece assistito all’adozione di misure meno rigide o ampliative.

 

2.2 Accesso a parchi e zone verdi.

Altro settore interessato in maniera rilevante dal potere di ordinanza sindacale in ambito regionale è quello concernente l’accesso alle aree pubbliche o aperte al pubblico, con particolare attenzione ai parchi e alle zone verdi.

In proposito, fin dal D.P.C.M. 9 marzo 2020 è stato previsto il divieto, sull’intero territorio nazionale, di ogni forma di assembramento in luoghi pubblici o aperti al pubblico. È soltanto con D.P.C.M. 10 aprile 2020, però, che all’art. 1, lettera e), è stato fatto specifico divieto di accedere a parchi, ville, aree gioco e giardini pubblici, divieto riprodotto nel decreto del Presidente della Giunta regionale del Piemonte n. 43 del 13 aprile 202028.

Tale interdizione è stata poi temperata con successivo D.P.C.M. 26 aprile 2020 che condizionava l’accesso ai predetti luoghi al rigoroso rispetto del divieto di assembramento e della distanza di sicurezza interpersonale di un metro.

A ciò si aggiungeva che il Sindaco avrebbe potuto disporre la temporanea chiusura di determinate aree in cui non fosse stato possibile assicurare il rispetto delle richiamate condizioni (art. 1, c. 1, lett. d) del D.P.C.M. 26 aprile 2020). Unica eccezione era costituita dalle aree attrezzate per il gioco dei bambini, di cui si disponeva senza eccezioni la chiusura, situazione mutata soltanto con il D.P.C.M. 17 maggio 2020 che ha reso possibile ai minori fare ingresso nelle aree gioco all’interno di parchi, ville e giardini pubblici, per svolgere attività ludica o ricreativa 29.

La previsione del D.P.C.M. 26 aprile 2020, concernente la facoltà per i sindaci di disporre la chiusura temporanea delle aree di cui si tratta, è stata da ultimo ripresa anche nel d.l. n. 33/2020 che all’art. 1, c. 9, ha stabilito che “il sindaco può disporre la chiusura temporanea di specifiche aree pubbliche o aperte al pubblico in cui sia impossibile assicurare adeguatamente il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”. Tale riferimento, a ben vedere, può ritenersi superfluo se si tiene conto dell’ordinaria competenza dei Comuni nella regolamentazione dell’uso dei parchi insistenti sul proprio territorio.

D’altronde, sulla scorta di tale considerazione, nel periodo antecedente al D.P.C.M. 10 aprile 2020 diversi sindaci, inclusi quelli piemontesi, erano già intervenuti sul punto con autonome ordinanze, anticipando quanto, di lì a qualche settimana, sarebbe stato deciso su scala nazionale.

È quanto accaduto, ad esempio, nel Comune di Omegna (VCO) dove, con ordinanza n. 74 del 16 marzo 2020, il Sindaco ordinava la chiusura di “tutte le aree pubbliche allestite per il gioco dei bambini presenti sul territorio comunale, vietando l’utilizzo di tutte le attrezzature all’uopo allestite” e nel Comune di Leinì (TO) in cui, con ordinanza n. 40 del 14 marzo 2020, si decideva per la chiusura totale e il conseguente divieto di accesso a tutti i parchi pubblici e alle aree gioco presenti sul territorio comunale.

Analoga prescrizione era contenuta nell’ordinanza n. 48 del 19 marzo 2020 del Comune di Nichelino (TO), che contemplava tuttavia un’eccezione soltanto per le aree cani, anche se collocate entro parchi pubblici, nelle quali si consentiva “l’ingresso ad una sola persona per volta e per un massimo di dieci minuti”.

Sulla medesima linea, con ordinanza n. 120 del 19 marzo 2020, il Comune di Chivasso (TO) prevedeva, per motivi di prevenzione e cura della salute pubblica, l’interdizione al pubblico di tutte le aree cani, aree verdi, parchi e giardini di proprietà pubblica, orti urbani, compreso il divieto di sedersi sulle panchine presenti nel Comune laddove non fosse possibile rispettare il metro di distanza, facendo salve “eventuali proroghe e/o normative vigenti materia maggiormente stringenti a cui la presente si intende adeguata in maniera automatica, nel rispetto delle disposizioni di legge”.

Ancora, il neonato Comune di Mappano (TO), con ordinanza n. 2 del 17 marzo 2020, stabiliva la chiusura di aree verdi, parchi, giardini, aree cani e orti urbani di proprietà pubblica, nonché il divieto di uso di piastre sportive e polivalenti, attrezzature ludiche earee gioco. Nello stabilire la chiusura, il Comune lasciava tuttavia uno dei parchi comunali aperto, optando quindi per un regime di diversificazione, pur senza motivare la decisione30.

La vicenda dei parchi ha assunto rilievo altresì nella fase decrescente del contagio, quando con D.P.C.M. 17 maggio 2020 è venuto meno il divieto di accesso, come confermato dal D.P.G.R. n. 57 del 17 maggio che disponeva la riapertura di parchi e giardini, con orari e modalità definite dal Comune competente31. Ciononostante, alcuni Comuni piemontesi hanno mantenuto le restrizioni, adottando specifiche ordinanze di proroga.

Si pensi, a titolo esemplificativo, al Comune di Cisterna (AT) che inibiva l’accesso ai parchi e alle aree pubbliche destinate al gioco fino al 28 giugno scorso, prescrivendo l’obbligo di indossare le mascherine per l’accesso, rivolto ai bambini con età superiore ai tre anni. L’amministrazione comunale si distaccava quindi dall’indicazione, dotata di valenza scientifica, recepita dai provvedimenti statali e regionali, del limite dei sei anni, senza fornire alcuna spiegazione, come richiesto dal d.l. n.19/2020 e dal d.l. n. 33/2020.

Sul versante dei grandi Comuni, occorre menzionare il Comune di Grugliasco (TO) che, con ordinanza n. 8339 del 22 maggio 2020, prevedeva il divieto di utilizzo degli arredi, delle piastre sportive polivalenti, delle attrezzature ludiche e delle aree gioco fino al 14 giugno successivo per “l’impossibilità di rispettare gli standard minimi di igiene e sicurezza richiesti dal D.P.C.M. e dal D.P.G.R. vigenti”.

L’ordinanza, tra le argomentazioni a sostegno del divieto, annoverava la numerosità degli spazi interessati (trentacinque aree gioco e cinque aree fitness), oltre ad un’ elevata quantità di arredi sul territorio comunale, cui non corrispondeva la possibilità di porre in essere le attività di supervisione e vigilanza necessarie, nonché gli elevati costi a carico della parte corrente del bilancio comunale per effettuare la “pulizia approfondita e frequente delle superfici più utilizzate, almeno giornaliera”, come da indicazione contenuta nell’allegato 8 al D.P.C.M.

Nella medesima prospettiva, interveniva il Comune di Torino che, nonostante con ordinanza n. 35 del 7 maggio 2020 aveva disciplinato l’accesso a parchi, ville e giardini pubblici, seppur con limitazione nella fascia oraria 6/23 e nel rispetto delle prescrizioni anticontagio, per contro, con ordinanza n. 63 del 19 maggio 2020, confermava la chiusura temporanea delle aree giochi interne ai parchi e ai giardini comunali, nonché delle aree interne ai parchi e ai giardini comunali di libero accesso.

Il menzionato provvedimento veniva revocato dalla successiva ordinanza n. 67 del 29 maggio 2020, soltanto in riferimento alla chiusura temporanea delle aree giochi collocate nei parchi e nei giardini comunali.

La riapertura veniva subordinata a un “utilizzo responsabile” comportante il rigoroso rispetto del distanziamento fisico di almeno un metro, l’obbligo di utilizzo della mascherina per tutte le persone presenti nell’area al di sopra dei sei anni di età, sotto l’esclusiva responsabilità del genitore o dell’adulto accompagnatore circa la valutazione preventiva dello stato di salute del minore, nonché l’adeguata pulizia di mani e oggetti utilizzati per il gioco.

L’ordinanza n. 63 del 19 maggio 2020 rimaneva invece efficace per la parte relativa alla interdizione delle aree interne ai parchi e ai giardini comunali di libero accesso (campi calcio, calcetto, basket), considerata la mancanza di disciplina sugli sport da contatto32.

L’accesso ai parchi, quale luogo pubblico di aggregazione e possibile assembramento, è stato, quindi, oggetto di intervento da parte delle amministrazioni locali in tutti i momenti caratterizzanti l’emergenza sanitaria, accentuando una propensione all’“emancipazione locale” nella regolamentazione della materia, con l’adozione di soluzioni più restrittive sia nel periodo iniziale, quando la questione non era ancora all’attenzione regionale o nazionale, sia nella c.d. “Fase 2”, quando sono venute meno le restrizioni, ad opera del D.P.C.M. 17 maggio 2020.

 

2.3 La chiusura dei cimiteri.

Nel periodo emergenziale, ulteriore ambito interessato da ordinanze sindacali contingibili e urgenti è stato quello dell’accesso ai cimiteri.

Sul tema, in realtà, i vari provvedimenti statali intervenuti non vi si sono soffermati nel dettaglio, se non attraverso l’affermazione generica – contenuta fin dal D.P.C.M. 1 marzo 2020 – che “lapertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro”33.

Volendo ritenere che il Presidente del Consiglio dei Ministri, richiamando l’intera categoria dei luoghi di culto, abbia inteso includere anche i cimiteri, va comunque osservato che gli stessi, pur contenendo certamente luoghi di culto al loro interno, non possono considerarsi coincidenti con essi. Ne consegue che i diversi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, nel subordinare genericamente l’apertura dei luoghi di culto al rispetto delle misure organizzative utili ad evitare assembramenti, non abbiano esaminato la problematica complessiva delle strutture cimiteriali.

Sul punto specifico, è al contrario intervenuta la circolare del Ministero della Salute 8 aprile 2020, n. 12302, avente come finalità l’individuazione di procedure adeguate al settore funebre e cimiteriale nella fase emergenziale, valida per l’intero territorio nazionale. Sarebbe spettato al Sindaco, in raccordo con il Prefetto competente e nei limiti dei poteri a lui assegnati, emanare eventuali atti contingibili e urgenti necessari per attuare le indicazioni contenute nella menzionata circolare.

A questo proposito, il paragrafo g), dedicato espressamente ai cimiteri, prevedeva che “i cimiteri vanno chiusi al pubblico per impedire le occasioni di contagio dovute ad assembramento di visitatori”.

Nel frattempo, i sindaci piemontesi adottavano, anche su tale versante, i propri provvedimenti.

Alcuni, in considerazione della mancanza di un espresso divieto di apertura, se non quello contenuto in circolare, hanno optato per l’apertura dei cimiteri per tutto il periodo d’emergenza, come il caso dei Comuni di Cintano (TO) e di Parella (TO), valutando probabilmente la relativa ridotta dimensione territoriale, comportante un basso rischio di assembramento e di conseguente contagio.

La maggior parte dei sindaci piemontesi ha invece deciso la chiusura dei cimiteri, in alcune ipotesi prima dell’adozione della circolare, così anticipando la soluzione individuata sul piano nazionale.

È quanto accaduto, a titolo esemplificativo, a Bagnolo Piemonte (CN) dove, con ordinanza n. 22 del 19 marzo 2020, si prevedeva “la chiusura al pubblico dei Cimiteri Comunali del Capoluogo, della frazione Villare della frazione Villaretto fino al giorno 03/04/2020 incluso e comunque fino al permanere dell’emergenza, garantendo comunque l’erogazione dei servizi essenziali (trasporto, ricevimento, inumazione, tumulazione,ecc) nei limiti imposti dal D.P.C.M del 08 Marzo 2020”.

Nello stesso senso procedeva il Comune di Gamalero (AL) che, con ordinanza n. 3 del 4 aprile 2020, disponeva l’immediata chiusura dei cimiteri, poi riaperti con ordinanza n. 4 del 8 maggio soltanto per due giorni alla settimana e in determinate fasce orarie, con l’individuazione di precise norme comportamentali per l’accesso (ingresso consentito a quattro persone contemporaneamente e, in caso di medesimo nucleo familiare, a un solo componente munito di mascherine e guanti, infine, il divieto di sosta prolungata).

Anche il Comune di Rivalta (TO), con circolare n. 2 del 18 marzo 2020, ordinava la chiusura al pubblico del cimitero comunale, garantendo comunque i servizi funebri e il Comune di Moretta (CN), con ordinanza n. 17 del 14 marzo, consentiva l’accesso solo in caso di sepolture, nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa sul divieto di assembramento.

Adottava una soluzione di riapertura limitata il Comune di Bellinzago (NO) che, a decorrere dal 5 maggio, riapriva i cimiteri di Bellinzago e della frazione di Cavagliano, con la prescrizione di rispettare la presenza contemporanea di non più di cinque persone.

Oltre al controllo degli afflussi e all’obbligo diindossare la mascherina, il provvedimento sindacale, in modo singolare, consentiva l’ingresso solo a piedi, con la sospensione delle autorizzazioni per l’accesso in bicicletta.

Pertanto, anche dinanzi a una situazione normata in termini piuttosto generici, rispetto alla quale una circolare dichiarava espressamente la chiusura dei cimiteri, mentre i vari decreti del Presidente del Consiglio dei ministri continuavano a prevedere l’accesso ai luoghi di culto, sebbene condizionato al rispetto delle prescrizioni sul distanziamento sociale, molti sindaci sono intervenuti a regolamentare l’accesso ai cimiteri, attraverso lo strumento flessibile delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti, dando vita a soluzioni assai variegate.

 

3. Considerazioni conclusive.

La gestione dell’emergenza epidemiologica COVID-19 ha costituito un’occasione, senza precedenti, per una sperimentazione continua di provvedimenti contingibili e urgenti a ogni livello di governo.

L’utilizzo diffuso delle ordinanze libere da parte dei sindaci, in particolare, ha messo in rilievo, su alcuni aspetti, la capacità delle amministrazioni locali di anticipare modelli adottati poi su scala più ampia.

D’altronde, tale evenienza appare essere una conseguenza del riconoscimento dell’autonomia in capo alle amministrazioni locali, quali enti di prossimità rispetto alle comunità di riferimento, una prossimità che spiega l’immediatezza delle risposte formulate per gli scenari di competenza.

In questa prospettiva, vanno letti altresì gli interventi legislativi che si sono susseguiti nella regolamentazione del potere di ordinanza sindacale durante l’emergenza da COVID-19, con cui si è voluto assicurare, in virtù della leale collaborazione tra i livelli di governo coinvolti, un coordinamento della gestione emergenziale, senza tuttavia ledere il principio parimenti fondamentale dell’autonomia spettante agli enti locali.

Calando il ragionamento nell’esperienza del Piemonte, riguardo le ordinanze relative all’obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, si può osservare come, pur anticipando una determinazione poi generalizzata, le stesse risultino essere state tuttavia non proporzionate, laddove non motivate da un rischio elevato di contagio sui territori considerati, oltreché discutibili nei casi in cui la prescrizione non sia stata accompagnata da una idonea e tempestiva fornitura dei dispositivi da parte delle amministrazioni comunali, non sostituibile da strumenti differenti, non rispondenti ai requisiti prescritti dalla comunità scientifica.

I profili di problematicità richiamati, ad ogni modo, sembrano aver trovato soluzione con l’adozione prima del D.P.C.M 26 aprile 2020 e poi del conseguente D.P.G.R. n. 50 del 2 maggio, con l’introduzione dell’obbligo generalizzato di usare protezioni delle vie respiratorie nei luoghi chiusi e accessibili al pubblico, compresi i mezzi di trasporto, nonché nelle situazioni in cui non fosse stato possibile assicurare in modo continuato il mantenimento della distanza di sicurezza, interventi che hanno svolto una indubbia funzione di indirizzo.

Sul tema della regolamentazione dell’accesso a parchi e zone verdi, più che l’andamento della situazione epidemiologica presente sui relativi territori, la situazione finanziaria, oltre la dimensione dell’ente sembrano aver fatto pendere in modo decisivo l’ago della bilancia sulla parte delle restrizioni.

Nella fase della riapertura, inaugurata con l’adozione del D.P.C.M. 17 maggio 2020, infatti, in considerazione degli elevati oneri posti in capo ai Comuni per garantire le adeguate condizioni di sicurezza, le amministrazioni locali hanno dovuto fare i conti con i propri bilanci, soprattutto quando diversi erano i parchi e le aree verdi presenti nel rispettivo territorio.

Non pare essere mancata invece un’attività di coordinamento regionale su alcuni nodi problematici. È ciò che è avvenuto per le attività ludico – ricreative e per le attività sperimentali di educazione all’aperto (concernenti l’utilizzo anche di aree verdi) per la fascia d’età compresa tra gli zero e i diciassette anni, in cui il legislatore regionale ha provveduto a risolvere l’aporia creatasi tra quanto statuito dal D.P.C.M. 11 giugno 2020 e la D.G.R. n. 26-1436 del 29 maggio 2020, tramite l’adozione del provvedimento del 23 giugno 2020, recante “Chiarimenti relativi al D.P.C.M. del 11 giugno 2020”.

In riferimento alla disciplina dell’ingresso nei cimiteri, mentre il legislatore nazionale non si è espressamente occupato della materia, se non attraverso il generico cenno ai luoghi di culto (espressione non riferibile all’intero plesso cimiteriale, ma soltanto ai luoghi di culto in esso contenuti) e l’intervento di una circolare ministeriale, davanti una pratica comunale diversificata, la Regione Piemonte ha fatto richiamo esplicito al potere sindacale di disciplinare orari e modalità di apertura dei cimiteri, a partire dal D.P.G.R. 57 del 17 maggio, quasi a voler validare le decisioni assunte dalle singole amministrazioni comunali.

Per quanto attiene, infine, alla tendenza emersa dalle decisioni assunte dai comuni negli ambiti presi in esame, l’impressione è che si sia registrata una propensione da parte degli enti di media e grande dimensione ad adottare misure più restrittive, con anticipazione delle soluzioni poi replicate su scala regionale e nazionale.

Diversamente, le piccole comunità, in virtù del basso rischio di contagio discendente dalle relative condizioni demografiche e ambientali, sembrano aver optato per misure più espansive rispetto alle soluzioni contestuali regionali (come si evince dal tema delle aperture dei cimiteri e della mancata applicazione del punto 1 del D.P.G.R. n. 64 del 27 maggio).

Nell’uno e nell’altro caso, matrice comune nella gestione dell’emergenza sembra essere stata comunque una manifestazione del carattere di autonomia di cui godono i Comuni, nel tentativo di rispondere alle esigenze dei propri territori sebbene, spesso, l’utilizzo dello strumento dell’ordinanza contingibile e urgente non sia stato accompagnato da una valutazione specifica – avallata da un parere del comitato tecnico scientifico regionale o da elementi probatori simili – del concreto rischio di aggravamento del contagio nella zona interessata, così incidendo sul profilo della necessaria proporzionalità e adeguatezza della misura extra ordinem.

 

1 Dottoranda di Ricerca, Università Piemonte Orientale.

 

2 Brevemente, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, è intervenuto il decreto-legge 6 del 23 febbraio 2020 – convertito con modificazioni dalla legge n. 13 del 5 marzo 2020 – recante “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da covid -19”, con il susseguirsi poi di vari decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (25 febbraio, 1° marzo, 4 marzo, 8 marzo, 9 marzo, 11 marzo, 22 marzo). Ancora, il d.l. n. 19 del 25 marzo, il D.P.C.M. del 1° aprile, del 10 aprile, del 26 aprile, del 17 maggio, del 11 giugno, del 14 luglio.

Parimenti, a livello regionale, diversi sono stati i decreti del Presidente della Giunta regionale (n.34 del 21 marzo, n. 35 del 29 marzo, n. 36 del 3 aprile, n. 38 del 6 aprile, n. 39 del 6 aprile, n. 40 del 7 aprile, n. 41 del 9 aprile, n. 43 del 13 aprile, n. 44 del 15 aprile, n. 47 del 20 aprile, n. 49 del 30 aprile, n. 50 del 2 maggio, n. 57 del 17 maggio, n. 58 del 18 maggio, n. 63 del 22 maggio, n. 64 del 27 maggio, n. 65 del 28 maggio, n. 66 del 5 giugno, n. 68 del 13 giugno, n. 72 del 29 giugno, n. 75 del 3 luglio, n. 76 del 11 luglio, n. 77 del 15 luglio, n. 82 del 17 luglio).

 

3 Sul rapporto tra ordinanze di necessità e urgenza e il principio di legalità, si veda M. S. Giannini, “Diritto amministrativo”, Milano, 1993, 270; M. Ramajoli, “Potere di ordinanza e stato di diritto”, in AA. VV., “Studi in onore di Alberto Romano”, Editoriale Scientifica, Napoli, 2011; R. Cavallo Perin, “Potere di ordinanza e principio di legalità”, Giuffrè, Milano, 1990; V. Cerulli Irelli, “Principio di legalità e poteri straordinari della pubblica amministrazione”, in Dir. Pubbl., 2007, p. 345.

 

4 Riguardo la deroga al principio di tipicità degli atti amministrativi e alla conseguente differenza rispetto gli atti c.d. necessitati (si pensi alle occupazioni d’urgenza) che, pur condividendo con le ordinanze contingibili il requisito della presenza di una situazione di urgenza, sono atti tipici e nominati, si veda R. Galli, “Corso di diritto amministrativo, Padova, 2011.

 

5 Sull’imprescindibilità del ricorrere di una situazione eccezionale e imprevedibile, tra tante, T.A.R. Campania, 1° giugno 2015, n. 3011.

 

6 Ribadisce la condizione dell’impossibilità per le pubbliche amministrazioni di adottare rimedi di carattere ordinario, ad esempio, T.A.R. Sardegna, sez. I, 12 giugno 2015, n. 855.

 

7 Sul punto, diverse le tesi che si sono affermate nel tempo. Secondo una prima tesi dottrinale, le ordinanze contingibili e urgenti presentano natura sostanzialmente normativa, considerata la capacità di derogare, seppur per un lasso di tempo limitato, a norme di rango primario, oltreché per il contenuto generale e astratto che presentano. Altra tesi è quella che ne sostiene la natura formalmente e sostanzialmente amministrativa, come confermato anche dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 4 del 1977, secondo cui i caratteri di generalità e astrattezza non risultano significativi ai fini dell’inquadramento all’interno degli atti normativi, essendo questi ultimi destinati a modificare in modo definitivo l’ordinamento e non in modo temporaneo, in base al perdurare della situazione di emergenza. Ad avviso della Corte, sia nelle ipotesi in cui le ordinanze contingibili si rivolgano a destinatari determinati, con l’indicazione di un comportamento puntuale, sia quando dispongano nei confronti di una generalità di soggetti, si è di fronte a provvedimenti amministrativi, sottoposti al regime dei controlli giurisdizionali esperibili nei confronti di tutti gli atti amministrativi. Ultima tesi è quella definibile intermedia, in base alla quale occorre distinguere tra i casi, più frequenti, in cui le ordinanze hanno carattere amministrativo e quelli in cui, invece, presentano carattere eccezionalmente innovativo per l’ordinamento, quindi normativo.

 

8 Formulazione come risultante a seguito della modifica operata dal d.l. n. 14/2017 (c.d. decreto Minniti). L’art. 54, prima dell’intervento normativo, nella versione precedente era stato oggetto di censura da parte della Corte costituzionale che, con sentenza n. 117 del 4 aprile 2011, ne aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui includeva la locuzione “anche” prima dell’espressione contingibili e urgenti. Per gli effetti della sentenza sul potere sindacale, si legga G. TROPEA “Una rivoluzionaria sentenza restauratrice (in margine a Corte cost., n. 115/2011)”, in Dir. Amm., 2011, p. 623.

 

9 Nell’occuparsi delle competenze del Sindaco e del Presidente della provincia, l’art. 50, c. 5, del T.U.E.L. dispone che “In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali”. Anche tale comma è stato modificato dalla l. n. 48/2017, di conversione del decreto-legge n. 14 del 2017 (art. 8, c. 1, lett. a).

 

10 Istitutiva del Servizio sanitario nazionale, la l. 833/1978 prevede all’art. 32, primo comma, il potere del Ministero della Sanità di “emettere ordinanze di carattere contingibili ed urgenti in materia di igiene e sanità pubblica o di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o parte di esso comprendente più regioni” e, al terzo comma, che per le emergenze in ambito locale “nelle medesime materie sono emesse dal Presidente della Giunta regionale e dal Sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente con efficacia estesa rispettivamente alla Regione o parte del suo territorio comprendenti più comuni e al territorio comunale”.

 

11 La menzionata disposizione, rubricata “interventi d’urgenza”, stabilisce che “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali. In caso di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano i soggetti competenti ai sensi del comma 1”.

 

12 Sul differente tema delle ordinanze sindacali in contrasto con le misure statali, ma non con le ordinanze regionali, A. Ruggeri “Il coronavirus, la sofferta tenuta dell’assetto istituzionale e la crisi palese, ormai endemica, del sistema delle fonti”, in “Consulta Online”, n. 1/2020. L’autore sostiene che il contrasto con le ordinanze statali venga sanato dalla coerenza con le misure regionali; di contrario avviso è M. Luciani “Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza”, in “Rivista AIC”, n. 2/2020, p. 137, secondo cui “il tenore dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020 non ammette equivoci”.

 

13 L’art. 3, nel disciplinare le misure urgenti di carattere regionale o infraregionale, prevede che “Nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all’articolo 1, comma 2, esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale. I Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali, ne’ eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente”.

 

14 A titolo non esaustivo, si richiama la limitazione della circolazione delle persone, la chiusura al pubblico di strade urbane, parchi, aree giochi, giardini o altri spazi pubblici, la limitazione o il divieto degli assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico, le riduzioni dell’ingresso nei luoghi di culto, la sospensione delle cerimonie civili e religiose, la chiusura dei centri culturali, sociali, ricreativi o analoghi luoghi di aggregazione, la sospensione dell’attività convegnistica o congressuale, salvo lo svolgimento a distanza, la limitazione o la sospensione di eventi e competizioni sportive, di attività ludiche, ricreative, sportive e motorie svolte all’aperto o in luoghi aperti al pubblico, la limitazione o sospensione dei servizi di apertura al pubblico o chiusura dei musei e degli altri luoghi della cultura di cui all’art. 101 del d.lgs. n. 42/2004, la limitazione della presenza fisica dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, fatte salve le attività indifferibili e l’erogazione dei servizi essenziali, infine, la limitazione o la sospensione delle procedure concorsuali ad eccezione di quelle in cui sia possibile la valutazione su basi curriculari o con modalità a distanza.

 

15 Così, il Consiglio di Stato, sez. I, Ad. 7 aprile 2020, aff. n. 260/2020 sull’ordinanza del Sindaco di Messina n. 105 del 5 aprile 2020. Il Consesso ricorda come l’art. 3 del d.l. 19/2020 riconosce “un’autonoma competenza ai presidenti delle regioni e ai sindaci ma solo al ricorrere di questi presupposti e delle seguenti condizioni: a) nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’art. 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento; b) in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso; tali circostanze, in applicazione delle ordinarie regole sulla motivazione del provvedimento amministrativo, non devono solo essere enunciate ma anche dimostrate; c) esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza; d) senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale”. Pertanto, il giudice amministrativo interpreta l’espressione “limiti d’oggetto indicati al comma primo” nel senso di estendere tutte le limitazioni previste per le misure regionali anche a quelle sindacali.

 

16 Le uniche disposizioni non abrogate sono l’art. 3, c. 6 bis e l’art. 4.

 

17 Sulla volontà di lasciare un margine di intervento non predeterminato, con il connesso rischio di vanificare la tipizzazione delle misure emergenziali e il principio di legalità sostanziale, si veda R. Cherchi e A. Deffenu “Fonti e provvedimenti dell’emergenza sanitaria COVID-19: prime riflessioni”, in “Diritti regionali. Rivista di diritto delle autonomie territoriali”, n.1/2020, p. 653.

 

18 Sul passaggio dal d.l. n. 6/2020 al d.l. n.19/2020, con le conseguenze sul potere di esercizio di ordinanza, si veda S. Staiano, “Né modello né sistema. La produzione del diritto al cospetto della pandemia”, in “Rivista AIC”, n. 2/2020, p. 540 ss., che sottolinea come “il d.l. n. 19 del 2020 aspirava, dunque, a riordinare e stabilizzare l’esercizio dei poteri di ordinanza, ponendo fine alla frammentazione e alla moltiplicazione disgiuntiva, sia al livello statale sia in ambito locale, che si era prodotta in vigenza del d.l. n. 6 del 2020”.

 

19 Il riferimento è al T.A.R. Bari, sez. III, 22 maggio 2020, n. 733 che, pronunciandosi sulla istanza di annullamento di un’ordinanza sindacale con cui si stabiliva, con decorrenza immediata, il divieto di introduzione di pane o derivati nel territorio comunale di Peschici, afferma “L’attuazione delle misure di contenimento è però affidata, in primis, al Presidente del Consiglio dei Ministri attraverso propri decreti; la Regione, nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legge sopra citato – e con efficacia limitata fino a tale momento – può varare misure ulteriormente restrittive in presenza di situazioni specifiche sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel territorio regionale o in una parte di esso, esclusivamente nell’ambito di sua competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica nazionale. Il Sindaco, dal canto suo, non può adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza, in contrasto con le misure statali, né eccedere i limiti di oggetto di cui al comma 1. Il Sindaco, in altri termini, in una cornice di riferimento normativo di questo tipo, non è privato del potere di ordinanza extra ordinem ma – diversamente da quanto avviene in periodi non qualificabili come emergenze nazionali, in cui l’ordinanza contingibile e urgente vale a fronteggiare un’emergenza locale e può avere finanche attitudine derogatoria dell’ordinamento giuridico – neppure può esercitare il potere di ordinanza travalicando i limiti dettati dalla normativa statale, non solo per quel che concerne i presupposti ma anche quanto all’oggetto della misura limitativa”.

 

20 In tal senso, Consiglio di Stato, sez. I, Ad. 7 aprile 2020, aff. n. 260/2020.

 

21 In proposito, si veda la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione V, n. 580 del 9 febbraio 2001 secondo cuisono le esigenze obiettive che si riscontrano nel caso concreto che determinano la misura dell’intervento”. Sempre sul tema dell’adeguatezza, ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV del 22 giugno 2004 n. 4402, sez. V del 10 febbraio 2010, n. 670.

 

22 Sostiene la capacità delle ordinanze regionali e sindacali di anticipare le scelte adottate sul piano statale G. Boggero,“Le“more” dell’adozione dei dpcm sono “ghiotte” per le Regioni. Prime osservazioni sull’intreccio di poteri normativi tra Stato e Regioni in tema di Covid-19”, in “Diritti regionali”, n. 1/2020, p. 366.

 

23 Si legga il punto 10 del D.P.G.R. 39 del 6 aprile 2020, come poi riprodotto, nello stesso tenore, dal successivo D.P.G.R. n. 43 del 13 aprile 2020.

 

24 La soluzione prospettata si ritiene non possa essere inclusa neanche nell’espressione, seppur generica, “protezioni delle vie respiratorie” utilizzata dai successivi provvedimenti statali e regionali, in quanto la stessa è stata sempre accompagnata dalla precisazione che “possono essere utilizzate mascherine di comunità, ovvero mascherine monouso o mascherine lavabili, anche auto-prodotte, in materiali multistrato idonei a fornire un’adeguata barriera e, al contempo, che garantiscano comfort e respirabilità, forma e aderenza adeguate che permettano di coprire dal mento al di sopra del naso” (così a partire dal D.P.C.M. 26 aprile 2020 e dal D.P.G.R. n. 50 del 2 maggio 2020).

 

25 L’art. 3 del D.P.C.M. 26 aprile 2020, tra le misure di prevenzione del contagio sul territorio nazionale, stabiliva che “èfatto obbligo sull’intero territorio nazionale di usare protezioni delle vie respiratorie nei luoghi chiusi accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto e comunque in tutte le occasioni in cui non sia possibile garantire continuativamente il mantenimento della distanza di sicurezza. Non sono soggetti all’obbligo i bambini al di sotto dei sei anni, nonché i soggetti con forme di disabilità non compatibili con l’uso continuativo della mascherina ovvero i soggetti che interagiscono con i predetti”.

 

26 Tale previsione è stata supportata dalla distribuzione alla popolazione da parte della Regione – con la collaborazione degli enti di area vasta, dei Comuni e della protezione civile – di mascherine gratuite e riutilizzabili, distribuzione iniziata i primi giorni del mese di maggio. In proposito, l’art. 1 della l.r. 9/2020 disponeva che “Dopo il comma 1 dell’articolo 4 della legge regionale 14 marzo 2003, n. 7 (Disposizioni in materia di protezione civile), sono aggiunti i seguenti: 1 bis. Al fine di far fronte all’emergenza sanitaria in atto nella Regione Piemonte, connessa alla diffusione dei contagi da COVID-19, la Giunta regionale, ai sensi degli articoli 15 e 16 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per le famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID19), è autorizzata all’acquisto e distribuzione di mascherine ad uso sociale per tutta la popolazione piemontese”.

 

27 L’ordinanza affermava che le motivazioni che hanno portato all’emanazione del Decreto n.64 del 27 maggio 2020 e cioè le ripetute segnalazioni di comportamenti sociali non conformi alle misure precauzionali indicate dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 maggio 2020 non si applicano alla realtà del Comune di Parella e che la conformazione urbanistica e demografica del Comune, unita al senso di responsabilità civico dei suoi residenti e domiciliati, è sufficiente a garantire il rispetto delle misure precauzionali prescritte dal già citato D.P.C.M”.

 

28 L’ordinanza in questione, al punto 26, disponeva con decorrenza immediata e fino al 3 maggio “il divieto di accesso a parchi, ville, aree gioco, e giardini pubblici. Il divieto di svolgere all’aperto attività ludica o ricreativa, nonché qualsivoglia attività motoria svolta, anche singolarmente, se non entro 200 metri dalla propria abitazione con obbligo di documentazione agli organi di controllo del luogo di residenza o domicilio”.

29 Così, l’art. 1, c. 1, lett. b), secondo cui “l’accesso del pubblico ai parchi, alle ville e ai giardini pubblici e’ condizionato al rigoroso rispetto del divieto di assembramento di cui all’articolo 1, comma 8, primo periodo, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro; e’ consentito l’accesso dei minori, anche assieme ai familiari o altre persone abitualmente conviventi o deputate alla loro cura, ad aree gioco all’interno di parchi, ville e giardini pubblici, per svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto nel rispetto delle linee guida del dipartimento per le politiche della famiglia di cui all’allegato 8”. L’allegato 8, partendo dalla considerazione di quanto parchi e giardini pubblici rappresentino una risorsa di grande importanza per tutti, compresi bambini e adolescenti, definiva la riapertura dei parchi “un fatto positivo per il recupero di un equilibrio psicologico e fisico che ha risentito delle prescrizioni che hanno impedito di uscire di casa”, nonostante necessitasse di un’apposita regolamentazione nelle modalità di accesso, di controllo delle condizioni igieniche di arredi e attrezzature, con la garanzia del rispetto del distanziamento fisico. Sono stati poi indicati come compiti del gestore: “1. mettere a disposizione personale per la realizzazione delle funzioni di a) manutenzione e controllo periodico; b) pulizia periodica degli arredi; c) supervisione degli spazi. 2) Eseguire manutenzione ordinaria dello spazio: a) definendo e controllando dei suoi confini; b) eseguendo controlli periodici dello stato delle diverse attrezzature in esso presenti con pulizia approfondita e frequente delle superfici più toccate, almeno giornaliera, con detergente neutro. 3) Eseguire la supervisione degli spazi, verificando in particolare che: a) i bambini e gli adolescenti siano accompagnati da adulti; b) tutte le persone che accedono siano dotate di mascherine se dieta’ superiore ai 3 anni, e che non si determinino densità fisico tali da pregiudicare il rispetto delle prescrizioni sul distanziamento fisico (almeno un metro fra ogni diversa persona presente nell’area)”. Medesima disposizione è contenuta nel D.P.C.M. 11 giugno 2020 all’art. 1, c. 1, lett. b), che richiede il rispetto delle linee guida del relativo allegato 8, le quali tuttavia presentano una formulazione differente rispetto a quelle allegate al D.P.C.M. 17 maggio, in quanto vengono modificati e ridotti notevolmente i compiti, in veste di gestori, delle amministrazioni comunali che devono: “1) disporre la manutenzione ordinaria dello spazio, eseguendo controlli periodici dello stato delle diverse attrezzature in esso presenti, con pulizia periodica approfondita delle superfici piu’ toccate, con detergente neutro; 2) posizionare cartelli informativi all’ingresso delle aree verdi e delle aree gioco rispetto ai comportamenti corretti da tenere, in linea con le raccomandazioni del Ministero della salute e delle autorità competenti”. Il D.P.G.R. n. 68 del 13 giugno 2020 ha per conseguenza disposto che “l’accesso di bambini e ragazzi a luoghi destinati allo svolgimento di attività ludiche, ricreative ed educative, anche non formali, al chiuso o all’aria aperta, con l’ausilio di operatori cui affidarli in custodia e con obbligo di adottare appositi protocolli di sicurezza predisposti in conformità alle disposizioni regolamentari deliberate dalla Giunta della Regione Piemonte, è autorizzato ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettere c e q, del D.P.C.M. del 11 giugno 2020 e nel rigoroso rispetto delle linee guida del Dipartimento per le politiche della famiglia di cui all’allegato 8 del medesimo D.P.C.M.”. Le menzionate linee guida nazionali, in vista della riapertura dei servizi educativi, si occupano di regolamentare, da un lato, l’accesso a parchi, giardini pubblici e aree gioco da parte dei bambini, anche di età inferiore a tre anni, dall’altro, la “realizzazione di attività ludico-ricreative, educazione non formale ed attività sperimentali di educazione all’aperto (in inglese, outdoor education) per bambini e adolescenti di eta’ 0-17 anni, con la presenza di operatori, educatori o animatori addetti alla loro conduzione, utilizzando le potenzialità di accoglienza di nidi e spazi per l’infanzia, scuole e di altri ambienti similari ed aree verdi”. Se il D.P.C.M. 17 maggio 2020 sembrava però limitare la realizzazione di attività ludico-ricreative, ossia i centri estivi, ai bambini di età superiore ai tre anni e agli adolescenti, nel successivo D.P.C.M. tale possibilità risulta estesa all’intera fascia 0-17 anni, dunque,anche ai bambini con età inferiore a tre anni.

 

30 La soluzione del regime di diversificazione è stata proposta successivamente da ANCI Toscana che, nelle linee guida predisposte sull’apertura di aree verdi e giardini dal 4 maggio, suggeriva ”la suddivisione fra parchi aperti, difficilmente controllabili e parchi/giardini recintati”, partendo dal presupposto chele grandi aree sono più adatte a garantire spazi liberi. Pertanto, “se nelle città non si vogliono aprire tutti gli spazi verdi, suggeriamo l’apertura di almeno uno/due spazi per quartiere, in modo da evitare spostamenti e da garantire maggiori spazi”.

 

31 Nello specifico, il D.P.G.R. n. 57 del 17 maggio 2020 prevedeva, al punto 23, che “è consentita la riapertura di parchi e giardini, con orari di apertura e modalità di accesso definiti dalle Amministrazioni Comunali territorialmente competenti, nelle modalità previste all’articolo 1, comma b, del D.P.C.M. del 17 maggio 2020”.

 

32 Sull’argomento, è poi intervenuto il D.P.G.R. n. 82 del 17 luglio 2020.

 

33 Così l’art. 2, comma 1, lettera d), del D.P.C.M. 1 marzo 2020, con riferimento soltanto alle regioni e alle province indicate negli allegati 2 e 3 al decreto. A livello regionale, la questione dei cimiteri è stata affrontata in modo esplicito la prima volta con D.P.G.R. n. 57 del 17 maggio 2020 in cui si stabiliva che “gli orari di apertura e le modalità di accesso si cimiteri sono definiti dalle amministrazioni comunali territorialmente competenti”, come confermato poi dal D.P.G.R. n. 58 del 18 maggio e dal D.P.G.R. 63 del 22 maggio 2020.