Qualche considerazione sul contenuto materiale del limite della forma repubblicana alla luce di due recenti proposte di legge costituzionale di modifica dell’art. 117 Cost.

Alice Stevanato [1]

  

Intervento al Convegno annuale del Gruppo di Pisa, Alla prova della revisione. Settant’anni di rigidità costituzionale, tenutosi all’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro, i giorni 8-9 giugno 2018, i cui Atti sono in corso di pubblicazione con l’Editoriale scientifica di Napoli.

 

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La vocazione internazionalista della Costituzione italiana: il collegamento fra gli artt. 10 e 11 e l’art. 117, comma 1 Cost. – 3. Le proposte di legge costituzionale nn. 291 e 298 e le possibili conseguenze “preterintenzionali”. – 4. Qualche annotazione conclusiva sul decreto-legge n. 113/2018.

 

1. Introduzione.

Le recenti proposte di legge costituzionale presentate il 23 marzo 2018 ed aventi ad oggetto l’introduzione del principio di sovranità dell’ordinamento italiano su quello europeo e la modifica degli artt. 97, 117, 119 Cost.[2] consentono di riflettere sull’ampiezza dei limiti materiali alla revisione costituzionale e sulla capacità espansiva dell’art. 139 Cost., il quale individua nell’irrevedibilità della forma repubblicana l’unico limite espressamente previsto al procedimento di revisione costituzionale.

Se volessimo isolare, infatti, la forma di Stato voluta dal popolo italiano il 2 giugno 1946 dal complesso degli istituti volti a tratteggiarne il relativo garantismo istituzionale, la forma repubblicana risulterebbe priva di ogni sostanza e, pertanto, «non corrisponderebbe più ad alcun valore fondamentale costituzionalmente degno di formare il perno insopprimibile del nostro ordinamento»[3]. L’inesorabilità di una simile considerazione, che, visti i numerosissimi contributi e le importanti costruzioni teoriche sul tema, può dirsi pienamente condivisa in dottrina, impegna ogni studioso della Costituzione italiana ad indagare lo spettro dei significati che tale divieto stabilisce e ad analizzare il contenuto, in chiave evolutiva, di ciò che materialmente rappresenta la c.d. “forma repubblicana”. Ciò anche in considerazione del fatto che l’insieme delle tutele di organizzazione predisposte dallo Stato si traduce concretamente in una serie di «garanzie di rispetto dei diritti del soggetto»[4] e, come si argomenterà meglio nelle note conclusive di questo scritto (facendo esplicito riferimento al decreto-legge n. 113/2018[5]), l’accertamento di quale protezione apprestare all’art 117, comma 1 Cost., si potrebbe risolvere, anche, in una decisione di ordine materiale e di salvaguardia dei diritti umani e fondamentali di ogni uomo in quanto tale.

In questa sede s’intende proporre un breve approfondimento sulla portata e il valore complessivo del principio internazionalistico nell’ordinamento italiano, per capire se il già ricordato carattere espansivo dell’art. 139 Cost. possa ricomprendere sia gli artt. 10 e 11 Cost., sia l’art. 117, comma 1 Cost., come novellato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, il quale rappresenta il primo riferimento esplicito all’ordinamento comunitario (oggi europeo) e agli obblighi internazionali, come limite generale alla potestà legislativa di Stato e Regioni[6].

Tali premesse sono prodromiche ad una serie di valutazioni in ordine alle già citate proposte di legge costituzionale nn. 291 e 298, in particolare con riferimento proprio alla sostituzione del primo comma dell’art. 117 Cost.[7] con la disposizione secondo cui «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto delle competenze a essi spettanti». Ad una prima ricognizione, sembra quantomeno evidente come il nuovo ipotetico testo non rappresenti solo – come si vedrà meglio più avanti – un sostanziale passo indietro del nostro ordinamento nel processo di integrazione europea e internazionale, ma, svuotando la disposizione formale del proprio contenuto materiale, del proprio quid pluris, non sembri nemmeno avere molta ragion d’essere. Detto in altri termini, il principio generale di legalità, al quale sono sottoposti, in primis, lo Stato e le Regioni, sembra assorbire in toto il testo delle suddette proposte di legge costituzionale; peraltro, a riprova dell’inutilità di una simile disposizione, si ricorda come il testo originario del 1948, che pure disciplinava il riparto degli ambiti di esercizio della potestà legislativa fra Stato e Regioni, anche se “verticale” e notevolmente indeterminato[8], indicava direttamente le rispettive competenze, senza prevedere alcun comma introduttivo.

Partendo dalla capacità dell’art. 139 Cost. di dilatare la sua portata prescrittiva e al punto di approdo della dottrina e della giurisprudenza (soprattutto costituzionale)[9], è possibile tentare di ricostruire il complesso di quei principi (in primis il principio democratico) che, rappresentando «l’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana»[10], diventano i pezzi del puzzle costituito dalla “forma repubblicana”;  senza di essi, la forma di Stato italiana non sarebbe altro che la cornice di quel puzzle, in grado di demarcare solamente la scelta repubblicana dall’opposto principio monarchico.

La pacifica esistenza di due categorie di norme costituzionali, le une irrivedibili e le altre, invece, modificabili con la procedura prevista dall’art. 138 Cost., ha rappresentato e rappresenta tuttora un terreno molto fecondo per gli studiosi, i quali hanno tentato di individuare il nucleo delle disposizioni non sottoponibili a revisione costituzionale, per ricostruire, infine, l’identità unitaria dell’ordinamento costituzionale italiano.

  

2. La vocazione internazionalista della Costituzione italiana: il collegamento fra gli artt. 10 e 11 e l’art. 117, comma 1 Cost..

All’interno di questo mare magnum di possibili considerazioni, ci si deve chiedere quale peso abbia il principio internazionalistico nel sistema costituzionale italiano e, soprattutto, se in questo principio rientrino solo le due norme (artt. 10 e 11) collocate nella prima parte della Costituzione o anche l’art. 117, comma 1, che, pur essendo inserito nella seconda, ne risulta ontologicamente connesso.

Per rispondere adeguatamente alla domanda appena formulata, è necessario, primariamente, chiedersi quale fosse il disegno complessivo dei padri costituenti con riferimento allo spazio da destinare alla dimensione internazionale e sovrannazionale, il quale s’inserisce in quello che si è definito il complessivo «armistizio costituzionale»[11], non senza qualche contraddizione interna, in ordine alla precisa collocazione di quel principio ineludibile, espressione «[dello] spirito del nuovo costituzionalismo internazionale»[12].

Per ricomporre ad unità un caos che, altrimenti, non avrebbe portato ad alcun risultato soddisfacente, i riferimenti internazionali nel testo costituzionale sono stati predisposti utilizzando un livello di astrattezza tale da permettere di declinare quel valore in una pluralità di prospettive (a seconda delle diverse opinioni in materia)[13] e di rimandare a futuri interventi legislativi la disciplina di dettaglio.

Piero Calamandrei riuscì a cogliere, con una metafora architettonica alquanto singolare, questa tensione espansiva del testo costituzionale e, soprattutto, l’«ineludibilità storica dell’espansione dell’associazionismo internazionale»[14] che, già alla fine degli anni ’40, era percepita come una scelta non più ritrattabile; il padre costituente, infatti, parlò di «ammorsature giuridiche»[15] per indicare quelle disposizioni che, in un futuro, non ancora  immaginabile o comunque non pienamente configurabile negli anni in cui operò la Costituente, sarebbero potute «servire di raccordo e di collegamento con una più vasta costruzione internazionale»[16].

Gli artt. 10 e 11 Cost., il primo, statuendo la clausola internazionalistica e il secondo, accettando solennemente[17] «limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni», rappresentano il “cuore” della scelta di apertura dei padri costituenti e la base del composito percorso intrapreso dall’Italia nel cammino d’integrazione europea e nel riconoscimento delle numerose Carte dei diritti elaborate in ambito internazionale (come, ad esempio, la CEDU o la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951). Le cose dette finora e, soprattutto, ciò che si potrebbe dire ancora su questo tema vastissimo, confermano che il principio internazionale potrebbe essere considerato un principio supremo, tale da resistere al procedimento di revisione costituzionale, in virtù dell’impronta espansiva dell’art. 139 Cost., più volte menzionata. L’intangibilità della vocazione internazionale si può accertare, non solo dalla collocazione degli artt. 10 e 11 Cost. nella prima parte della Costituzione[18], ma dalla constatazione che il principio in esame è visceralmente collegato a Repubblica[19], che non può (o sicuramente non può più) essere considerata una Repubblica democratica solo intra moenia, ma anche europea; peraltro, le scelte compiute dall’Italia, dal Trattato di Roma del 1957 in avanti, potrebbero confermare che il diritto costituzionale italiano non può considerarsi avulso dal processo di integrazione europeo[20]. Uno dei risultati di questo lungo e complesso cammino è stato la creazione di un sistema parlamentare euro-nazionale, nel quale il Governo italiano opera contemporaneamente in due diversi contesti istituzionali (quello nazionale e quello europeo)[21]; ciò non descrive solamente dall’esterno la nostra forma di governo (e quindi la forma di Stato), ma la alimenta, la integra, diventandone, così, un suo aspetto costitutivo.

Questa visione sovrannazionale e comunitaria (e poi europea) del patto costituzionale rappresenta un’importante eredità per gli operatori giuridici e la classe politica di oggi; avendo a mente il formidabile percorso di integrazione europeo compiuto dal nostro paese, quelle ammorsature giuridiche, di cui parlava Calamandrei, sembrano aver raggiunto lo scopo prefissato. La previsione introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001 s’inserisce in questa prospettiva generale, rappresentando, senza ombra di dubbio, un’evoluzione in senso migliorativo di quanto già auspicato dai padri costituenti. Ora, a prescindere dal dibattito dottrinale sulla natura dell’art. 117, comma 1, che pure sembra assecondare la c.d. tesi “massimalista”[22], la norma in esame (per quanto attiene i vincoli comunitari) sembrerebbe rappresentare una conferma di quanto già esisteva e attribuisce «basi più stabili all’acquis dei rapporti tra gli ordinamenti che si erano realizzati nell’esperienza costituzionale»[23].

La norma costituzionale citata, collocata nella Parte seconda della Costituzione, si ricollega al principio fondamentale contenuto nell’art. 11 Cost. e presuppone il rispetto dei diritti e dei principi fondamentali garantiti dalla Costituzione italiana»[24].

Sempre la Corte, con le notissime sentenze nn. 348 e 349 del 2007 (in ordine, invece, agli obblighi internazionali), riconosce alla riforma del 2001 una portata innovativa, in quanto essa ha saputo superare la zona franca[25] che emergeva dall’originaria struttura costituzionale[26] e con la disposizione posta all’art. 117 ha «offerto una nuova base per conferire alle norme della [CEDU] carattere di vero e proprio parametro ai fini del giudizio sulla costituzionalità delle leggi»[27]. A tal proposito, infatti, i giudici costituzionali hanno stabilito che, «con l’art. 117, primo comma, si è realizzato, in definitiva, un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata “norma interposta”»[28].

Inoltre, giovandosi di quella posizione dottrinale critica nei confronti della rigida separazione fra prima e seconda parte del testo costituzionale e tesa a una ricerca dinamica e valoriale dei principi che resistono all’art. 139 Cost. (a prescindere, quindi, dalla loro rubricazione), l’art. 117 Cost., pur essendo collocato nella seconda parte della Costituzione, non è affatto «estraneo al novero dei principi fondamentali»[29]; anzi, in virtù dello stretto collegamento con gli artt. 10 e 11, sembra dover godere del medesimo livello di resistenza a quelle proposte di revisione costituzionale che vogliano, di fatto, fare un passo indietro nel percorso di integrazione europea e di rispetto degli obblighi internazionali.

Inteso in questa prospettiva, l’art. 117 Cost. diventerebbe un perno nel sistema complessivo delle relazioni fra ordinamenti e assumerebbe «la funzione specifica di riconoscimento e garanzia primaria», con la correlativa “trasformazione” dell’art. 11 Cost. in una disposizione che […] rappresenta la barriera di protezione dell’ordinamento interno»[30].

Tutto ciò premesso diventa più pregnante con riferimento all’immediata fruibilità del principio ex art. 117 nei giudizi di legittimità costituzionale. Con la nota sentenza n. 406/2005, la stessa Corte costituzionale (decidendo su una normativa della Regione Abruzzo) ha, infatti, stabilito che «le direttive comunitarie fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’art. 117, primo comma, Cost.».

 

3. Le proposte di legge costituzionale nn. 291 e 298 e le possibili conseguenze “preterintenzionali”.

Questa concisa ricostruzionestorica e giuridica sul principio di apertura internazionalistica della nostra carta costituzionale è indispensabile per formulare una più consapevole riflessione sulle proposte di legge costituzionale nn. 291 e 298. Entrambe, pur presentando qualche profilo di diversità (la prima volendo introdurre un secondo comma all’art. 11 Cost. e la seconda aspirando a modificare anche gli artt. 97 e 119 Cost.), sono concordi nel voler riformare, nella formula indicata precedentemente, il primo comma dell’art. 117 Cost., eliminando definitivamente il riferimento ai vincoli europei e internazionali come limite all’attività legislativa di Stato e Regioni.

Ora, alla luce delle considerazioni appena svolte, si potrebbe sollevare qualche dubbio sulla legittimità di tali proposte di revisione costituzionale, con riferimento al predetto art. 117 Cost. (sul quale questo scritto intende soffermarsi). Anche quand’anche si sostenesse che la disposizione in commento non debba godere della copertura dell’art. 139 Cost. (considerando il collegamento eziologico delle predette norme costituzionali non sufficiente per procedere ad una simile interpretazione) c’è, comunque, almeno un altro elemento a favore della tesi che si sostiene.

Gaetano Silvestri, nel lontano 1987 e, quindi, ancor prima della riforma del Titolo V, si era espresso in termini molto chiari, sostenendo che «qualunque revisione in senso regressivo deve considerarsi illegittima, quale che sia il principio costituzionale intaccato»[31]. Questo lapidario inciso, se non accompagnato da un’idonea spiegazione, rischia di essere troppo assertivo, lasciando irrisolti alcuni elementi, come il parametro con il quale accertare la (presunta) regressività di una riforma costituzionale o, ancora, l’individuazione di chi sia effettivamente legittimato ad operare il relativo sindacato. Silvestri precisa preliminarmente due aspetti che lo hanno condotto a sostenere questa tesi; in primis, chiarisce che l’art. 139 Cost. ha un «ruolo di clausola di innovazione in quanto si pone come garanzia formale di non-ritorno»[32], escludendo qualsiasi riforma che comporti una qualsiasi involuzione del nostro ordinamento; in secondo luogo, sostiene che i due articoli finali della Costituzione debbano essere letti ed interpretati unitariamente. L’art. 139 Cost. non sarebbe, quindi, un limite materiale alla procedura di revisione che opera dall’esterno ma una «condizione preliminare indispensabile perché vi sia una revisione legittima»[33].

Lo stesso autore, nelle battute finali del suo scritto, conferisce alla Corte costituzionale il potere/dovere di valutare in concreto «la consistenza del fine, anche mediante la rappresentazione degli effetti ulteriori della legge di revisione»[34]. Ora, anche sulla scia del contributo storico della sentenza n. 1146/1988, già citata, è ben possibile ammettere che siano proprio i giudici di Palazzo della Consulta a giudicare la legittimità delle revisioni costituzionali, accertando, nei singoli casi, se una riforma abbia carattere regressivo e sia, di conseguenza, illegittima[35]

Pur sapendo che l’ultima parola spetta alla Corte costituzionale, in questa sede si è voluto riflettere sulla legittimità delle proposte di riforma costituzionale del marzo scorso, valorizzando il legame eziologico fra l’art. 11 e l’art. 117, comma 1, Cost. A tal proposito, esse sembrerebbero amputare la portata universalistica dell’art. 11 e il sistema della tutela multilivello dei diritti fondamentali del canale diretto e privilegiato (accanto a quello più generale, ma comunque ben praticabile degli artt. 10 e 11 Cost.), per poter garantire nell’ordinamento italiano diritti e principi riconosciuti in sede internazionale ed europea, mortificando, così, sia lo spirito della Costituzione stessa, sia l’atteggiamento complessivo della Corte costituzionale, che si è servita, negli anni, dell’art. 117, comma 1 (come parametro interposto) per censurare atti normativi italiani in contrasto con normative europee o internazionali. Infatti, nell’ottica della c.d. globalizzazione dei diritti fondamentali, oltre che dei mercati, l’ordinamento statale non è sempre in grado di garantire (o comunque non in modo adeguato) alcuni di questi diritti[36]; l’attività di integrazione internazionale ed europea colma queste lacune e conferisce, quindi, nuova sostanza, nuova linfa al costituzionalismo italiano.

Il grande fermento del dibattito scientifico sul processo di integrazione (o meglio regressione) europea degli ultimi anni, portato alla luce dalla scelta di exit della Gran Bretagna con il referendum del 2016, richiede un’ultima riflessione sulle possibili conseguenze delle proposte nn. 291 e 298 in ordine all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, partendo da un diverso presupposto (peraltro condiviso da molta parte della dottrina[37]), secondo cui le disposizioni ex art. 11 Cost. garantirebbero il primato del diritto europeo su quello nazionale, ma non anche il fondamento giuridico dell’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. “Sgombrato” il campo dal baluardo dell’intangibilità dell’art. 11 Cost., si dovrebbe quantomeno prevedere una procedura aggravata ex art. 138 Cost. per l’opzione di un’eventuale exit[38], con la quale epurare il testo costituzionale dai diversi riferimenti europei; se questa previsione è corretta, si potrebbe, quindi, concludere che le conseguenze derivanti dall’approvazione delle proposte in commento siano quasi “preterintenzionali” rispetto al fine dichiarato dagli stessi iniziatori[39]; a tal proposito, il giudice costituzionale, nel giudicarne la legittimità, dovrà tenere conto non solo dello scopo della riforma, ma anche dei suoi effetti ulteriori[40] che, nel caso di specie, sembrano concretizzarsi in un “via libera” per la c.d. Italexit.

 

4. Qualche annotazione conclusiva sul decreto-legge n. 113/2018.

Nelle battute finali di questo piccolo contributo, sembra opportuno proporre un’ultima riflessione sulle possibili conseguenze che la modifica dell’art. 117, primo comma, potrebbe avere su una vicenda concreta, quella del decreto-legge n. 113/2018, convertito nella legge n. 132/2018, il quale, peraltro, ha già attratto a sé ampi dibattiti in ordine ai plurimi profili di illegittimità che presenta. Senza voler entrare nel merito di quella accesa discussione[41], si ricorda che, fra le numerose doglianze che sono state avanzate, tale decreto-legge sembrerebbe in contrasto (oltre che con altre norme costituzionali, fra le quali gli artt. 10 e 11) proprio con l’art. 117, primo comma, Cost., a causa della violazione di diverse direttive europee che disciplinano il processo migratorio[42], della CEDU e della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato.

La fecondità della giurisprudenza costituzionale in materia ha dimostrato e dimostra tuttora che l’art. 117, primo comma, è – fra le altre funzioni che assolve – lo strumento (non solo potenziale ma anche effettivo) con cui l’ordinamento italiano tutela diritti fondamentali riconosciuti aliunde. Partendo da queste brevi considerazioni, sembra opportuno concludere con una riflessione dubitativa e chiedersi (aprendo, di fatto, nuove prospettive di analisi) se, soprattutto in un campo minato come quello dei diritti umani, privare la relativa tutela del suo canale preferenziale, non comprometta pericolosamente le fondamenta e lo “stato di salute” del nostro costituzionalismo, che s’indentifica come includente (e non escludente) e che rappresenta l’ultimo baluardo contro quei movimenti populisti e nazionalisti che negli ultimi anni si sono diffusi nel panorama europeo.  


[1] Dottoressa in Giurisprudenza e cultrice della materia in Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi dell’Insubria.

[2] Ci si riferisce alle proposte di legge costituzionale nn. 291 (“Modifiche agli articoli 11 e 117 della Costituzione, concernenti l’introduzione del principio di sovranità rispetto all’ordinamento dell’Unione europea”) e 298 (“Modifiche agli articoli 97, 117 e 119 della Costituzione, concernenti il rapporto tra l’ordinamento italiano e l’ordinamento dell’Unione europea”) su iniziativa dell’on. Meloni ed altri, entrambe assegnate alla I Commissione permanente “Affari costituzionali”, in sede referente; la seconda, peraltro, è già in discussione (si rimanda, integralmente, alle sedute dell’11, 24, 31 ottobre 2018).

[3] L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Il Mulino, Bologna, 1996, 158.

[4] A. Mattioni, Procedure di revisione e garanzie costituzionali, in AA.VV., I procedimenti di revisione costituzionale nel diritto comparato, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1999, 37.

[5] Il decreto-legge n. 113/2018 è rubricato “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”. Si precisa, inoltre, che il 28 novembre 2018 è stato approvato definitivamente alla Camera dei Deputati (con voto di fiducia) e il 3 dicembre è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge di conversione (l. n. 132/2018).

[6] A. Cossiri, Art. 117, co. 1, in S. Bartole, R. Bin (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, 2^ ed., Cedam, Padova, 2008, 1046.

[7] Il quale, lo si ricorda, recita: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».

[8] A. D’Atena, Diritto regionale, 3^ ed, Giappichelli, Torino, 2017, 68.

 

[9] Su cui vedi ora lo studio di A. Apostoli, L’art. 139 e il nucleo essenziale dei principi supremi e dei diritti inviolabili, relazione al Convegno annuale del Gruppo di Pisa, Alla prova della revisione. Settant’anni di rigidità costituzionale, Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro, 8-9 giugno 2018, in corso di pubblicazione con l’Editoriale scientifica di Napoli, 1 ss..

 

[10] Corte cost. n. 1146/1988, cons. in diritto § 2.2.

 

[11] M. Dogliani, Origine e sviluppo dell’ordinamento costituzionale italiano, in Id., La ricerca dell’ordine perduto, Scritti scelti, il Mulino, Bologna, 2015, 58.

[12] V. Onida, La Costituzione ieri e oggi, il Mulino, Bologna, 2008, 22.

[13] P. Faraguna, Costituzione senza confini? Principi e fonti costituzionali tra sistema sovrannazionale e diritto internazionale, in F. Cortese, C. Caruso, S. Rossi (a cura di), Immaginare la Repubblica. Mito e attualità dell’Assemblea Costituente, Franco Angeli, Milano, 2018, 66.

[14] P. Faraguna, Costituzione senza confini?, cit., 72.

[15] P. Faraguna, Costituzione senza confini?,  cit., 63, che cita appunto P. Calamandrei, Stato federale e confederazione di Stati, in Europa Federata, Edizioni di Comunità, Milano, 1947, 24.

[16] P. Faraguna, Costituzione senza confini, cit., 63, che cita ancora P. Calamandrei, Costituente italiana e federalismo europeo, in Id., Costruire la democrazia. Premessa alla Costituente, Edizione U, Firenze, 1945, 174, 414-415.

[17] Se si considera la scelta del soggetto (Italia), il quale viene utilizzato solo in un’altra disposizione della nostra Costituzione: l’articolo 1. Si veda M. Benvenuti, Il principio del ripudio della guerra nell’ordinamento costituzionale italiano, Jovene, Napoli, 2010, 29.

[18] Peraltro, secondo parte della dottrina, la previsione di disposizioni sotto l’intitolazione di “principi fondamentali” (artt. 1-12 Cost.), pur essendo un sicuro argomento a favore, non può considerarsi il criterio risolutivo per accertarne o meno l’intangibilità ex art. 139 Cost. Si veda G. Grottanelli de’ Santi, I principi supremi come limite alla revisione costituzionale, in E. Ripepe, R. Romboli (a cura di), Cambiare costituzione o modificare la Costituzione?, Giappichelli, Torino, 1995, 30-31. Cfr. anche A. Pizzorusso, Art. 138 Cost., in A. Pizzorusso, G. Volpe (a cura di), Art. 134-139: Garanzie costituzionali, Zanichelli, Bologna, 1981, 723.

[19] A. Mattioni, Procedure di revisione e garanzie costituzionali, cit., 38.

[20] A. Ciancio, Relazione orale al Seminario Italo-spagnolo “Perspectivas del constitucionalismo contemporáneo”, Murcia, 28-30 novembre 2018.

[21] N. Lupo, Il Governo italiano, settanta anni dopo, Relazione al seminario “Gli organi costituzionali a 70 anni dall’entrata in vigore della Carta”, Roma, Palazzo della Consulta, 19 gennaio 2018, in Rivista AIC, 3/2018, 178.

[22] Ci si riferisce alla contrapposizione fra la tesi c.d. «massimalista», secondo la quale l’articolo in esame prevede un nuovo parametro espresso, di conformità comunitaria, e quella c.d. «continuista» che, invece, si fonda sulla convinzione che il vincolo introdotto con l’art. 117, comma 1, sarebbe solo riproduttivo di quello già previsto dall’art. 11 Cost. Si veda, sul punto, A. Cossiri, Art. 117, co. 1, cit., 1046. Sul carattere innovativo dell’art. 117, comma 1 Cost. si veda L. Bartolucci, Sugli effetti di una ipotizzata rimozione delle clausole europee dalla Costituzione, in Osservatorio sulle fonti, 2018, 3, 6-7.

[23] G. Serges, Art. 117 1° co., in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet giuridica, Torino, 2006, 2219.

[24] Corte cost. n. 406/2005, peraltro confermata dalle sentenze nn. 129/2009 e 227/2010.

[25] Con tale espressione s’intende la lacuna determinata dall’impossibilità di applicare in casi come la CEDU la copertura ex art. 11 Cost. in quanto l’adesione alla stessa non ha comportato alcuna limitazione di sovranità (si veda, anche, Corte cost. n. 349/2007).

[26] A. Cossiri, Art. 117, co. 1, cit., 1050. La sentenza n. 349/2007 dispone, ancora, che «alla luce del quadro complessivo delle norme costituzionali e degli orientamenti di questa Corte, […] il nuovo testo dell’art. 117, primo comma, Cost., ha colmato una lacuna […] che, in armonia con le Costituzioni di altri Paesi europei, si collega, a prescindere dalla sua collocazione sistematica nella Carta costituzionale, al quadro dei principi che espressamente già garantivano a livello primario l’osservanza di determinati obblighi internazionali assunti dallo Stato».

[27] V. Onida, La Costituzione ieri e oggi, cit., 32.

[28] Corte cost. n. 349/2007, Cons. in diritto § 6.2.

[29] G. Serges, Art. 117 1° co., cit., 2223.

[30] Ancora, G. Serges, Art. 117 1° co., cit., 2224.

[31] G. Silvestri, Spunti di riflessione sulla tipologia e sui limiti della revisione costituzionale, in Studi in onore di P. Biscaretti di Ruffia, II, Milano, Giuffré, 1987, 1206. Per questa ripresa del pensiero di Silvestri, vedi anche A. Apostoli, L’art. 139 e il nucleo essenziale dei principi supremi e dei diritti inviolabili, cit., 11, nt. 46.

[32] G. Silvestri, Spunti di riflessione sulla tipologia e sui limiti della revisione costituzionale, cit., 1204.

[33] G. Silvestri, Spunti di riflessione sulla tipologia e sui limiti della revisione costituzionale, cit.

[34] G. Silvestri, Spunti di riflessione sulla tipologia e sui limiti della revisione costituzionale, cit., 1206.

[35] Cfr. L. Bartolucci, Sugli effetti di una ipotizzata rimozione delle clausole europee dalla Costituzione, cit., 14; nelle note conclusive del suo scritto, l’autore si domanda se la revisione costituzionale in commento possa rischiare di scontrarsi «con i principi supremi dell’ordinamento e con l’identità costituzionale italiana, che la Corte costituzionale potrebbe rilevare in sede di giudizio di legittimità costituzionale anche di una legge di revisione costituzionale».

[36] R. Romboli, Relazione orale al Seminario Italo-spagnolo “Perspectivas del constitucionalismo contemporáneo”, Murcia, 28-30 novembre 2018. A tal proposito l’autore ricorda quella posizione dottrinale che considera “parziali” le costituzioni statali, intese non sul piano gerarchico, ma su quello dei contenuti, le quali necessitano, quindi, di una continua interdipendenza.

[37] Si veda, per tutti, R. Bin, L’Italexit?, come si potrebbe fare (se si può fare), in Quaderni costituzionali, 2018, 4, 813-830.

[38] Cfr. G. Tosato, Italexit: basta una maggioranza semplice per lasciare l’Ue?, in Affarinternazionali, 20 settembre 2018 e R. Bin, Italexit, ma si potrebbe fare? in lacostituzione.info, 8 dicembre 2016.

[39] Durante l’esame della proposta n. 298 in Commissione “Affari costituzionali, Presidente del Consiglio e Interni”, l’on. Giorgia Meloni ha voluto precisare che non era in nessun caso in discussione «l’adesione dell’Italia all’Unione europea, che peraltro risultava già consolidata prima della richiamata riforma del Titolo V, tenuto conto dell’articolo 11 della Costituzione». Cfr. Atti Parlamentari Commissione I, 31 ottobre 2018, 7.

[40] G. Silvestri, Spunti di riflessione sulla tipologia e sui limiti della revisione costituzionale, cit., 1206

[41] Si rimanda, a tal proposito, al contributo dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, Manifeste illegittimità costituzionali delle nuove norme concernenti permessi di soggiorno per esigenze umanitarie, protezione internazionale, immigrazione e cittadinanza prevista dal decreto- legge 4 ottobre 2018, n. 113, 15 ottobre 2018. Cfr. anche M. Benvenuti, Audizione resa il 16 ottobre 2018 innanzi all’Ufficio di Presidenza della Commissione 1° (Affari costituzionali) del Senato della Repubblica nell’ambito del disegno di legge recante “Conversione in legge del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, in Osservatorio costituzionale AIC, 2018, 3, 165-171 e M. Ruotolo, Brevi note sui possibili vizi formali e sostanziali del d.l. n. 113 del 2018 (c.d. decreto “sicurezza e immigrazione”), in Osservatorio costituzionale AIC, 2018, 3, 173-176.

[42] Si vedano, fra le altre, le Direttive 2008/115/CE “Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”, 2013/32/UE “Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale” e 2013/33/UE “Norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”.