Recensione del libro “Diritto degli enti locali: dall’autarchia alla sussidiarietà”, di Francesca Migliarese Caputi

Giovanni Cavaggion[1]

L’opera monografica Diritto degli enti locali: dall’autarchia alla sussidiarietà, di Francesca Migliarese Caputi (edita da Giappichelli, Torino, 2016) ripercorre la storia delle autonomie locali dalla nascita dell’ordinamento costituzionale italiano ad oggi. Si distingue per l’attenzione prestata, in parallelo, ai temi del decentramento (dallo Stato agli enti locali) e del controllo (dello Stato sugli enti locali). Uno dei principali fili conduttori dell’opera è l’influenza che la contingenza economica inevitabilmente esercita ed ha esercitato sull’assetto del sistema italiano degli enti territoriali. Il decentramento quindi, inteso nella ricostruzione dell’A. come graduale allontanamento dall’autarchia (e dunque dall’identificazione degli enti decentrati come mere propaggini della macchina amministrativa statale) ed avvicinamento alla sussidiarietà (e dunque dalla configurazione di un sistema multilivello di governo), è un lento processo che ha conosciuto, come si evidenzia nel volume, non poche battute d’arresto. Dette battute d’arresto possono coincidere con un esercizio più incisivo (se non con un incremento) delle funzioni di controllo centrale sull’autonomia locale. In quest’ottica l’A. analizza il rapporto tra autonomia locale e controlli, specie negli anni recenti, in seguito alla crisi economica che ha colpito l’Italia insieme alla gran parte del mondo “occidentale”.

Il primo capitolo del libro è interamente dedicato alla ricostruzione della visione centralista dello Stato ed alle prime fasi del “decentramento” amministrativo nell’Italia pre-repubblicana, operando in primo luogo una ricostruzione storica, per poi proseguire con una ricostruzione degli orientamenti dottrinali dell’epoca. L’A. evidenzia in particolare come le scelte compiute in sede di unificazione abbiano posto i binari su cui si è poi avviata l’esperienza regionalista italiana.

Nella prima sezione vengono affrontati i temi della transizione dal c.d. “modello per ministeri” cavouriano, estremamente centralizzato, all’avvento delle prime decentralizzazioni e quindi alla nascita dei Comuni e delle Province nello Stato sabaudo e nell’ormai annesso Regno Lombardo-Veneto, con la c.d. “legge Rattazzi” del 1859, che ridefiniva l’amministrazione locale piemontese sulla base del modello francese (con la divisione in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni, l’istituzione di Prefetti dipendenti dal Ministero dell’Interno e la razionalizzazione del sistema delle Province in Piemonte). Particolare attenzione viene inoltre dedicata dall’A. al fallimento dei primi progetti istitutivi delle Regioni tra il 1860 ed il 1861 (c.d. “progetti Minghetti”). La sezione si conclude con un’analisi della nota legge n. 2248/1865 (ed in particolare dell’Allegato A), che dopo l’unificazione nazionale estendeva di fatto il modello sabaudo disegnato con la legge Rattazzi a tutto il territorio del neonato Regno d’Italia: dalla ricostruzione emerge chiaramente come la semplice trasposizione di una legge concepita per essere applicata ad una specifica porzione del territorio (il Piemonte ed il Lombardo-Veneto) a territori estremamente diversi, senza considerazione per le loro peculiarità, abbia poi contribuito a molti dei problemi che il decentramento italiano ha conosciuto negli anni successivi.

Alla seconda sezione l’A. si dedica alla ricostruzione degli orientamenti dottrinali prevalenti in quegli anni, ed in particolare delle dure critiche di cui era bersaglio l’Allegato A della legge n. 2248/1865. Viene analizzata la prospettiva fornita dal c.d. “metodo giuridico” e lo studio di cui era oggetto il concetto di decentramento, che da valore politico diveniva vera e propria tecnica di amministrazione per il tramite del concetto di autarchia.

 

Il secondo capitolo è dedicato all’evoluzione del regionalismo italiano nel corso della storia repubblicana, e dunque dalla Costituzione del 1948 alle soglie della riforma del Titolo V del 2001. Si tratta necessariamente di una ricostruzione per sommi capi (e non poteva essere altrimenti, vista la vastità degli argomenti toccati), che tuttavia è funzionale all’intento dell’A., e dunque all’esplorazione delle diverse fasi della transizione dal modello autarchico al modello fondato sul principio di sussidiarietà.

La prima sezione analizza i principi fondamentali dell’autonomia locale e del decentramento amministrativo nella Costituzione repubblicana (art. 5 Cost.) oltre all’assetto delineato dall’originaria formulazione del Titolo V. Viene dato conto delle ragioni sottese all’iniziale inattuazione della Costituzione, per poi passare alla ricostruzione dei due primi e principali trasferimenti di funzioni amministrative con le due regionalizzazioni: quella del 1972 (dopo la prima elezione dei Consigli regionali) e quella del 1977. L’analisi si distingue per una particolare attenzione dedicata all’esperienza dei comprensori, spesso trascurati dalla letteratura del settore. Vengono ricostruiti i principi che animavano il regionalismo italiano in quella fase storica, ed in particolare l’avvento del regionalismo duale e del regionalismo cooperativo, del principio di leale collaborazione, della supremazia dell’interesse nazionale e dell’esercizio statale delle funzioni di indirizzo e coordinamento e dei poteri sostitutivi. La sezione si chiude con la nascita del sistema delle Conferenze e con la riforma dell’ordinamento delle autonomie locali (la legge n. 142/1990, che ha riformato l’ordinamento di Province, Città metropolitane e Comuni).

La seconda sezione focalizza il decennio 1990-2000, descrivendo quindi il quadro giuridico-istituzionale che ha fatto da preludio alla riforma del Titolo V della Costituzione. Si analizzano quindi la riforma Bassanini ed il c.d. “federalismo amministrativo” (altresì definita terza regionalizzazione), poi di fatto in gran parte recepiti dal legislatore costituzionale, ed i poteri sostitutivi che pur permanevano in capo allo Stato.

 

Il terzo capitolo è interamente dedicato alla riforma del Titolo V del 2001, che del resto rappresenta, come noto, la più ampia revisione organica della Costituzione repubblicana dalla sua entrata in vigore ad oggi.

La prima sezione analizza il disposto della legge costituzionale n. 3/2001, ed in particolare opera una ricognizione del nuovo assetto istituzionale dell’ordinamento costituzionale italiano, con notevoli ripercussioni sulla forma di Stato. Particolare attenzione viene dedicata dall’A. ai poteri sostitutivi previsti dalle leggi statali e regionali ed all’istituzione del Consiglio delle autonomie locali.

La seconda sezione è dedicata all’analisi del rapporto tra autonomie locali e territorio, ed in particolare alle variazioni degli assetti territoriali nella riforma del Titolo V con riferimento al territorio regionale, provinciale e comunale. In quest’ottica viene operata un’approfondita analisi dei nuovi articoli 132 (fusione e creazione di Regioni, distacco ed annessione di Comuni o Province) e 133 comma 2 Cost. (istituzione e modificazione di Comuni): l’A. riflette sul concetto di “popolazioni interessate” richiamato da entrambe le disposizioni costituzionali sopraccitate.

La terza sezione affronta la questione della giurisprudenza costituzionale degli anni immediatamente successivi alla riforma del Titolo V, e non avrebbe potuto essere altrimenti, dal momento che, come noto, la giurisprudenza della Consulta, peraltro accusata di essere stata ispirata ad una logica sostanzialmente accentratrice, ha di fatto impresso una chiara direzione alla revisione costituzionale in esame, escludendo in radice qualsiasi lettura di stampo quasi-federale. L’A. analizza i criteri interpretativi adottati dalla Corte nella definizione delle materie, e si sofferma sull’elaborazione dei concetti di competenze statali trasversali, competenze prevalenti e competenze regionali residue (tutti principi introdotti dalla Consulta ai fini di espandere la competenza statale in materie che la lettera della norma sembrava attribuire al livello locale). Alla stessa logica risponde l’analisi della chiamata in sussidiarietà della legislazione. La sezione si chiude con la ricostruzione del principio collaborativo, con particolare riferimento alla sua portata ed ai suoi limiti.

 

Il quarto capitolo dell’opera è interamente dedicato all’attuazione della riforma del Titolo V, oltre che ai tentativi di riforma dello stesso che si sono profilati negli anni della crisi economica, che ha visto la reviviscenza di istanze accentratrici ispirate a logiche di contenimento della spesa pubblica e dei c.d. “costi della politica”. Il capitolo si apre pertanto con l’analisi dei contenuti della legge n. 131/2003 (c.d. “legge La Loggia), con la quale veniva data una prima attuazione alle nuove norme costituzionali, adeguando l’ordinamento a quelle parti della riforma che venivano ritenute immediatamente operative ovvero indispensabili per il funzionamento complessivo della riforma (la legge La Loggia disciplinava peraltro, per la prima volta, la partecipazione regionale alla formazione del diritto europeo). L’A. affronta poi la questione, che ha animato un lungo dibattito in dottrina, circa l’interpretazione e l’applicazione del nuovo art. 118 Cost., ed in particolare la non facile distinzione tra funzioni fondamentali, funzioni proprie e funzioni conferite. In quest’ottica viene analizzato il disegno di legge del Governo (A.C. 3118 – A.S. 2259) di riordino delle funzioni degli enti locali ai fini dell’adeguamento al nuovo Titolo V, ed in particolare la proposta di una “Carta delle autonomie locali”, che avrebbe dovuto sostituire il TUEL divenendo unica fonte “di sistema” per la disciplina degli enti locali. L’analisi si sposta poi sull’attuazione dell’art. 119 Cost. e sulla prima attuazione del c.d. “federalismo fiscale” con la legge n. 42/2009, e l’introduzione dei principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché della perequazione (ed il fondo perequativo). Il capitolo si chiude con la ricognizione degli effetti della crisi economica sull’assetto locale dell’ordinamento costituzionale italiano, concentrandosi in particolare sul d.l. n 95/2012 e quindi sul tentativo di riordino delle Province in un’ottica di razionalizzazione della spesa pubblica, tentativo successivamente dichiarato incostituzionale dalla Consulta con la sentenza n. 220/2013.

 

Il quinto capitolo è dedicato all’ordinamento locale ed alla sua evoluzione, e dunque in particolare agli enti sub-provinciali. Vengono analizzate le possibili forme associative e di cooperazione e le convenzioni, con particolare attenzione agli istituti dei consorzi, delle unioni di Comuni, delle Comunità montane (nel capitolo si affronta altresì il tema poco conosciuto delle Comunità isolane o di arcipelago). Gli ultimi paragrafi affrontano il tema dell’esercizio associato di funzioni e servizi comunali negli anni ’90, con particolare focus sulle questioni relative al servizio idrico integrato. Il capitolo si chiude con una ricostruzione della storia delle città metropolitane.

 

Il sesto capitolo affronta il tema dell’autonomia normativa degli enti locali, sia al livello regionale che al livello sub-regionale.

La prima sezione è pertanto dedicata agli statuti ed ai regolamenti locali: come è noto la dottrina si è a lungo interrogata sulla configurabilità di alcuni regolamenti locali quale fonte normativa, alla luce della loro peculiare natura che presenta collegamenti notevoli con il diritto amministrativo. La sezione si preoccupa inoltre di ricostruire il rapporto tra statuto locale e legge, rapporto che in gran parte dipende, come ovvio, dal collocamento dello statuto locale nel sistema delle fonti, apparendo limitante la sua qualificazione quale mera fonte secondaria.

La seconda sezione del capitolo è dedicata ai nuovi Statuti regionali o, come la dottrina li ha spesso definiti, alle “piccole Costituzioni” regionali. L’A. ricostruisce il loro contenuto effettivo e possibile, oltre al procedimento per la loro adozione ed alle limitazioni che il legislatore regionale necessariamente incontra (anche in questo caso la giurisprudenza della Corte Costituzionale non può certo dirsi filo-regionalista). Viene analizzato il complicato rapporto tra Statuto, forma di governo regionale e legge elettorale regionale, rapporto che necessariamente investe altresì la Costituzione e le disposizioni inderogabili: si ricostruisce quasi “a contrario” il margine discrezionale che residua al legislatore statutario nella determinazione della forma di governo e del sistema elettorale regionali. La sezione si conclude con alcuni cenni all’influenza che la riforma del Titolo V ha esercitato altresì sulle leggi statutarie delle Regioni a Statuto speciale.

 

Il settimo capitolo affronta i temi della partecipazione del cittadino negli enti locali e del decentramento al livello comunale. L’A. evidenzia in particolare come il principio di sussidiarietà ed il decentramento operati al livello costituzionale abbiano viaggiato in parallelo con un avvicinamento delle funzioni amministrative al cittadino: la sussidiarietà verticale, abbassando il livello di allocazione della funzione amministrativa, ha permesso un coinvolgimento sempre crescente dell’individuo nell’esercizio dei pubblici poteri. Non sembra pertanto azzardato scorgere un riferimento all’evoluzione del concetto di sussidiarietà orizzontale come complementare e tangente rispetto alla dimensione verticale della sussidiarietà.

La prima sezione è interamente dedicata alla partecipazione nelle Regioni, nei Comuni e nelle Province, per il tramite di istituti di diritto amministrativo quali la partecipazione procedimentale, il diritto di accesso agli atti ed il principio generale di trasparenza dell’azione amministrativa, con tutti gli obblighi che ne derivano. Non viene peraltro trascurato il principale strumento di democrazia diretta: il referendum (e del resto a livello locale si ha un uso del referendum consultivo con una portata sconosciuta al livello statale). La sezione analizza infine due strumenti di difesa attiva del cittadino nei confronti dell’amministrazione, quasi a corollario dell’esercizio del diritto di partecipazione, e cioè l’azione popolare e la difesa civica.

La seconda sezione affronta la questione, spesso trascurata, del decentramento sub-comunale, con la descrizione del panorama costituito, nei Comuni di una certa dimensione, dai municipi e dai circondari.

 

L’ottavo capitolo del volume è dedicato alla “funzione di governo” negli enti locali ed alle sue recenti trasformazioni.

La prima sezione è interamente dedicata alla nota legge n. 56/2014 (la c.d. legge “Delrio), con il riassetto del sistema delle Città metropolitane, delle Province e delle unioni di Comuni. La seconda sezione opera una ricognizione organica ed approfondita della “forma di governo” comunale, integrando quasi un saggio di “diritto costituzionale comunale”, con l’analisi delle dinamiche tra potere esecutivo e potere legislativo (ed il loro ordinamento interno). Con particolare riferimento alla figura del Sindaco, l’A. si sofferma sulla sua doppia natura di autorità locale e di ufficiale del Governo, e dunque sui poteri normativi sindacali mediante ordinanza contingibile e urgente (c.d. ordinanze extra ordinem) in materia di incolumità pubblica e sicurezza urbana (poteri come noto ampliati considerevolmente con il c.d. “pacchetto sicurezza” del 2008 e poi ridimensionati dalla Consulta).

La terza sezione del capitolo sposta l’attenzione sul tema, oggi particolarmente attuale, della patologia della forma di governo comunale, affrontando il tema dello scioglimento ordinario dei Consigli e della rimozione degli amministratori. Confermando la particolare attenzione dedicata al tema della sussidiarietà, e dunque ai poteri di ingerenza statale al livello regionale, viene analizzato il caso dello scioglimento dei Consigli per mafia.

 

Il capitolo nono, proseguendo nella ricognizione dei meccanismi di governo al livello locale, presenta un’analisi complessiva dell’organizzazione amministrativa, con particolare attenzione alla gestione finanziaria, agli aspetti problematici della dirigenza (con le questioni delle nomine e della compatibilità con i principi costituzionali in tema di amministrazione), alla figura del segretario ed agli enti strumentali per l’erogazione dei servizi e l’esercizio delle funzioni.

 

Il decimo capitolo riprende la tematica lasciata in parte in sospeso al capitolo precedente, spostando l’attenzione sulla gestione e l’erogazione dei servizi pubblici locali, operando una ricostruzione a partire dalla legge n. 142/1990. Il capitolo è di carattere principalmente storico-ricostruttivo, con un’elencazione analitica degli interventi di riforma e del loro impatto. L’analisi copre gli interventi legislativi successivi alla riforma del 2001 unitamente agli interventi della decretazione d’urgenza nel biennio 2008-2009 (ancora una volta particolare attenzione viene dedicata al servizio idrico ed alla sua privatizzazione), fino a giungere al referendum abrogativo del 2011 ed al suo impatto sull’ordinamento.

 

Il capitolo undicesimo è interamente dedicato al tema del federalismo fiscale. Anche in questo caso l’A. muove da un puntuale inquadramento storico della questione, a partire dagli albori della Costituzione repubblicana, passando per l’entrata in vigore del TUEL, fino a giungere alla riforma del Titolo V del 2001 ed al nuovo testo dell’art. 119 Cost. (dando peraltro atto, anche in questo caso, della giurisprudenza restrittiva della Consulta). L’A. torna poi nuovamente sulla legge delega al Governo in materia di federalismo fiscale (la già richiamata legge n. 42/2009), analizzando poi l’attuazione (o inattuazione) concreta che la delega ha ricevuto, con uno stato del federalismo fiscale che non può che essere giudicato insufficiente rispetto alle premesse poste in Costituzione. Il capitolo si conclude con due paragrafi dedicati agli anni della crisi, ed in particolare a come le esigenze di contenimento della spesa ed il sentimento diffuso circa la necessità di operare un riaccentramento ed una razionalizzazione del sistema delle autonomie (l’A. si sofferma sul d. lgs. n. 118/2011 e sulla legge costituzionale n. 1/2012, che come noto ha introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione ma che è altresì intervenuta sull’art. 119 Cost.) abbiano influito sull’autonomia fiscale al livello locale.

 

Il capitolo dodicesimo, ultimo capitolo del volume, chiude il cerchio, con un’analisi del sistema dei controlli statali che possono, a certe condizioni, intervenire sull’autonomia locale, comprimendola. Anche in questo caso il lavoro si distingue per il suo approccio storico alla questione, muovendo da un’analisi del controllo di legittimità sugli atti degli enti locali previsto dall’art. 130 Cost., poi abrogato. Viene successivamente descritto il sistema dei controlli vigente negli anni ’90, e dunque immediatamente prima alla revisione della forma di Stato, con particolare attenzione al controllo contabile ed ai poteri di intervento governativi previsti dal TUEL (poteri sostitutivi e di annullamento). La ricognizione dei poteri governativi serve all’A. ai fini di evidenziare il mutamento radicale nella loro configurazione conseguente alla riforma del Titolo V. Gli ultimi paragrafi delineano, avendo ancora una volta ben presente l’incidenza della crisi economica sulle dinamiche del sistema delle autonomie, il ruolo sempre più centrale assunto dalla Corte dei Conti con riferimento al controllo sulla gestione finanziaria degli enti locali, corroborato dalla giurisprudenza costituzionale in materia e culminato con il d.l. n. 174/2012 (c.d. “d.l. sisma”).

 

Nel complesso l’A. fornisce una ricostruzione efficace dell’evoluzione del regionalismo italiano, con un’analisi saldamente ancorata alle sue origini (con la puntuale descrizione delle scelte storiche che hanno plasmato gli assetti correnti) che non manca di cogliere le connessioni tra le questioni cruciali del sistema delle autonomie attuale. L’autarchia iniziale ed il suo superamento gettano le basi per le diverse fasi di regionalizzazione nel corso della storia repubblicana, regionalizzazione che tuttavia è ben lungi dall’essere completata, ed anzi potrebbe forse essere, come si intuisce dagli approdi a cui il volume giunge in diverse sue parti, un processo almeno in parte reversibile. Da questo punto di vista non sfuggono le tendenze accentratrici della giurisprudenza costituzionale prima, e del legislatore ordinario poi. L’A. presta non a caso una particolare attenzione alle questioni relative all’autonomia finanziaria locale, questioni che hanno rappresentato a lungo una delle principali criticità dell’originaria riforma del Titolo V, e che tornano oggi con prepotenza al centro del dibattito istituzionale con il riaccentramento progettato dalla riforma Renzi/Boschi. E del resto non possono che essere confermati i dubbi, nel corso della lettura, circa l’incompatibilità del decentramento (o se non altro, del decentramento ancora in corso di attuazione) con situazioni di grave crisi economica. L’A. fornisce una fotografia dello stato attuale del principio di sussidiarietà (verticale, ma anche orizzontale) nell’ordinamento costituzionale italiano, delineandone la portata, le lacune e, non ultimi, i contrappesi, specie con riferimento ai poteri di intervento statali (particolare attenzione viene dedicata infatti ai poteri sostitutivi). Si tratta, ancora una volta, di questioni che sono state ampiamente recepite dal legislatore costituzionale, se si pensa che, nella progettata revisione costituzionale, concetti come interesse nazionale e clausola di supremazia avevano nuovamente occupato il palcoscenico del dibattito politico e giuridico italiano.


 


[1] Dottorando di ricerca in Autonomie, servizi pubblici e diritti presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale.