Una cronaca (poco confortante) dall’Europa delle Regioni. La LIA: legge sulle imprese artigiane del Canton Ticino

Massimo Cavino[1]

 

Sommario: 1. La legge: le finalità dichiarate e gli strumenti per conseguirle. 2. Le finalità reali. 3. Le reazioni in Italia. 4. Gli effetti delle reazioni sulla applicazione della LIA. 

 

1. Il 1° febbraio 2016 è entrata in vigore nel Canton Ticino la legge sulle imprese artigianali (LIA) del 24 marzo 2015. Contestualmente è entrato in vigore il regolamento attuativo, “regolamento della legge sulle imprese artigianali” (RLIA) del 20 gennaio 2016.

Il dibattito e le questioni applicative che essa ha determinato non sono ancora del tutto risolti. È parso però utile dare conto della vicenda, ancorché al suo stato attuale, perché essa è emblematica di questa stagione dei rapporti tra i singoli Stati e lo spazio politico europeo.

Abbiamo deciso di dedicarle poche pagine, limitandoci a riordinare i passaggi, istituzionali e non, che l’hanno caratterizzata ritenendo che essi siano, di per sé, significativi.

Occorre in primo luogo prendere le mosse dalle finalità dichiarate dal legislatore ticinese, definite all’articolo 1 della LIA, per il quale essa «mira a favorire la qualità dei lavori delle imprese artigianali che operano sul territorio cantonale, a migliorare la sicurezza dei lavoratori e a prevenire gli abusi nell’esercizio della concorrenza».

Per realizzarle essa prevede l’istituzione di un albo al quale devono iscriversi le imprese artigiane che intendano operare sul territorio ticinese.

L’iscrizione all’albo è subordinata all’accertamento di due ordini di requisiti relativi alle qualità personali[2] dell’imprenditore e alle sue qualità professionali.

Ed è proprio rispetto a queste ultime che si pongono, come vedremo, gli aspetti problematici più rilevanti.

L’articolo 6 della legge rinvia la definizione dei requisiti professionali al regolamento di attuazione che per ogni categoria ha indicato i titoli di studio minimi identificandoli negli AFC, gli attestati federali di capacità, disciplinati dalla Legge federale sulla formazione professionale del 13 dicembre 2002.

In mancanza dei titoli di studio minimi, possono ottenere l’iscrizione all’albo (art.24 LIA) anche le imprese che siano in grado di dimostrare di avere esercitato la propria attività nel territorio svizzero da almeno cinque anni.

Il regolamento non prevede un regime di equipollenza diretta tra gli AFC e i titoli di studio stranieri; nessun valore viene riconosciuto alla esperienza professionale maturata all’estero.

I titoli di studio stranieri sono soggetti a una procedura discrezionale e unilaterale di riconoscimento da parte del Governo Federale, per mezzo della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI) o di altre autorità competenti (art.4, comma 3, RLIA).

La tenuta dell’albo è affidata ad una Commissione di vigilanza nominata, per un periodo di quattro anni, con decreto del Consiglio di Stato (il Governo del Canton Ticino) e composta da un presidente designato dal Consiglio di Stato, quattro rappresentanti delle associazioni dei lavoratori e quattro rappresentanti dell’Unione Associazioni dell’Edilizia (che riunisce le associazioni artigiane del Cantone).

L’iscrizione all’albo delle imprese comporta il pagamento di unatassa cheammonta a 1500 franchi per le imprese associate all’Unione Associazioni dell’Edilizia e sale a 2000 franchi per quelle non iscritte.

 

2. Se le finalità dichiarate consistono nella tutela dei committenti, nella garanzia della qualità dei lavori delle imprese artigiane, nella tutela della concorrenza e della sicurezza dei lavoratori, le intenzioni reali del legislatore ticinese emergono con chiarezza dalla lettura dei lavori preparatori.

L’iter legislativo era stato avviato con iniziativa parlamentare del 5 novembre 2012 alla quale il Governo ticinese aveva reagito formulando una controproposta, sostanzialmente adesiva, con il messaggio n.6999 dell’11 novembre 2014[3]

Il Consiglio di Stato nel suo messaggio delineava il perimetro della legislazione federale entro il quale doveva mantenersi la legge ticinese, ricordando che «il quadro giuridico di riferimento per questa tematica è determinato principalmente dalla Legge federale sul mercato interno (LMI), che sancisce e disciplina in modo vincolante il principio del libero accesso libero al mercato (art. 3) e non ammette sostanzialmente alcuna limitazione alla concorrenza fondata esclusivamente su motivazioni economiche (art. 3 cpv. 3). La normativa federale obbliga inoltre le autorità ad esaminare la proporzionalità delle eventuali restrizioni al principio del libero accesso al mercato tenendo conto dell’esperienza professionale acquisita dall’offerente nel luogo di origine a prescindere dall’esistenza di un certificato di capacità (art. 3 cpv. 2 lett. d)».

E poiché la restrizione determinata dall’obbligo di iscrizione all’albo non è fondata solo su motivazioni di carattere economico, secondo il Consiglio di Stato essa deve essere considerata compatibile con le norme federali vigenti.

Il Governo ticinese aggiunge però una precisazione, affermando che, oltre alle finalità espressamente dichiarate, la legge realizza un altro interesse rispondendo «al manifesto bisogno di assicurare maggiori controlli in un settore, come quello delle imprese artigianali, che a tutt’oggi soffre in modo particolare il massiccio afflusso di lavoratori frontalieri, fornitori di prestazioni indipendenti esteri e lavoratori distaccati».

Il fraseggio utilizzato dal Governo ticinese chiarisce il suo indirizzo politico[4]: il settore delle imprese artigianali “soffre” l’afflusso della concorrenza straniera[5].

Ancora più esplicita è la Commissione della legislazione del Gran consiglio che nel suo rapporto 4 marzo 2015 n. 6999R, ribadendo la compatibilità della legge con il diritto federale, sostiene che: «Il nostro settore delle imprese artigianali soffre in modo particolare il massiccio afflusso di lavoratori frontalieri, fornitori di prestazioni indipendenti esteri e lavoratori distaccati esteri. Il tutto si è ulteriormente aggravato dopo la recente decisione della Banca nazionale di non più mantenere la soglia minima di cambio sull’euro. I dati che sono elencati nel riassunto delle statistiche generali sono impressionanti: nel 2014 le notifiche di questi fornitori di prestazioni, provenienti da oltre confine, sono state 26204. Calcolando i giorni annui lavorativi sono state quindi più di 100 le notifiche che ogni giorno sono state inoltrate per l’occupazione di manodopera estera. Se poi ipotizziamo un 15-20% di lavori “in nero” il quadro generale risulta essere ancora più negativo. Basandoci sui dati relativi ai settori professionali rappresentati dall’UAE (oltre 1000 imprese che occupano circa 6000 lavoratrici/tori e 600 apprendisti) e sulle cifre ufficiali concernenti le giornate di lavoro effettuate nel 2014 da manodopera estera nei settori artigianali (116449 giorni corrispondenti a 647 posti di lavoro a tempo pieno) possiamo stimare che la cifra d’affari persa annualmente dall’intero comparto dell’artigianato dell’edilizia ticinese, considerata anche la quota sommersa legata al lavoro nero, supera i 250 milioni di franchi. Sarebbe sicuramente interessante conoscere i nomi di questi ticinesi, privati e imprese che operano sul territorio cantonale e che settimanalmente sono i committenti di questa infinita schiera di padroncini e lavoratori distaccati. Le disposizioni della Legge sulla protezione dei dati ce lo impediscono».

L’intenzione reale del legislatore ticinese è dunque quella di realizzare un regime protezionistico a vantaggio delle imprese artigiane locali.

Così l’istituzione dell’albo finisce per costituire uno strumento di forte discriminazione nei confronti degli imprenditori stranieri.

In tale prospettiva è particolarmente significativo il fatto che né il Consiglio di Stato, né la Commissione della legislazione del Gran consiglio abbiano guardato, nel definire il quadro giuridico di riferimento, agli obblighi di diritto internazionale assunti dalla Svizzera con l’Unione Europea, rispetto ai quali la disciplina della LIA induce a più di una perplessità.

Come vedremo essi saranno la premessa delle reazioni da parte italiana.

 

3. L’approvazione della LIA è stata guardata con preoccupazione dall’Italia e ha portato a reazioni tanto a livello nazionale che regionale.

La Camera dei deputati si è pronunciata l’11 febbraio 2016 con una mozione[6] con cui ha impegnato il Governo a richiedere un chiarimento formale alla Confederazione elvetica in merito alle decisioni discriminatorie assunte dal Canton Ticino in contrasto con gli accordi di libera circolazione delle persone.

La mozione ha sottolineato come «il quadro delle relazioni con la Confederazione Elvetica risulta essere complesso a seguito delle prese di posizione dei massimi responsabili istituzionali del Canton Ticino e all’assunzione di specifiche iniziative unilaterali lesive dei principi di libera circolazione delle persone, di libertà della concorrenza e di intrapresa e di uguaglianza di fronte alla legge; risultano essere infatti ormai quotidiane le dichiarazioni pubbliche di esponenti istituzionali del Canton Ticino tese a mettere in discussione sia i diritti dei numerosi cittadini italiani occupati regolarmente presso imprese e aziende ticinesi, sia lo stato delle relazioni Italia-Svizzera, concentrate oggi sui negoziati fiscali e sull’accordo per l’imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri; ad oggi i lavoratori frontalieri in territorio elvetico provenienti dall’Italia risultano essere circa 60.000 e numerose sono le piccole e medie aziende dei territori di confine della Valle d’Aosta, del Piemonte, della Lombardia e della provincia autonoma di Bolzano ad essere interessate nei processi di fornitura e di assistenza nell’ambito del mercato elvetico; nei confronti dei lavoratori frontalieri si è assistito negli ultimi mesi, complice anche la campagna elettorale in territorio elvetico, ad un continuo ed ingiustificato attacco di natura discriminatoria e xenofoba; in particolare, ha destato scalpore, a questo riguardo, la decisione del Canton Ticino tesa ad obbligare ogni cittadino italiano in via di occupazione in Svizzera a presentare il certificato dei carichi pendenti in allegato alla richiesta di assunzione; in questa direzione si è inserito anche l’avvio dell’elaborazione da parte del Consiglio di Stato del Ticino di una clausola fortemente restrittiva sul reddito dei cittadini italiani occupati in Ticino mediante una maggiorazione del trattamento fiscale sulla base della nazionalità italiana dei lavoratori, circostanze ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in palese contrasto con l’accordo sulla libera circolazione delle persone sottoscritto tra Unione europea e Confederazione Elvetica; è da sottolineare altresì la volontà di introdurre su base cantonale un limite restrittivo di quote dei frontalieri, smentendo in tal modo la competenza del Consiglio federale e ponendo di fatto un’azione di messa in mora dell’accordo sulla libera circolazione delle persone; a ciò si aggiunga il fatto che il 24 marzo 2015, con provvedimento n. 24 del 2015, il Gran Consiglio della Repubblica e Cantone Ticino ha approvato la legge sulle imprese artigianali per l’esercizio della professione di imprenditore nel settore artigianale, introducendo elementi che vanno nella direzione di ostacolare la libera circolazione delle imprese estere in Canton Ticino; nello specifico agli articoli 3 e 4 della legge si è decretata l’istituzione di un albo delle imprese artigianali, la cui iscrizione da parte delle stesse costituisce conditio sine qua non per l’esercizio della professione, ed è subordinata al rispetto di determinati requisiti professionali, così come previsto dall’articolo 6 della legge stessa, la cui identificazione è rimandata all’approvazione di apposito regolamento pubblicato sul bollettino ufficiale delle leggi del Canton Ticino il 20 gennaio 2016, con entrata in vigore il 1o febbraio 2016; i contenuti del suddetto regolamento prevedono, tra le altre cose, il rispetto dei seguenti requisiti:
a) diplomi e titoli di studio prevedendo il riconoscimento unilaterale dei diplomi e certificati esteri da parte della Segreteria di Stato Svizzera – SEFRI;

b) attestati e referenze concernenti l’attività pratica;

c) certificato di solvibilità personale;

d) dimostrazione di lavorare in Svizzera da almeno 5 anni;

e) eventuali infrazioni saranno sanzionate con multe sino a 50.000 franchi;

una disposizione che, così concepita, necessita di approfondimenti sia rispetto al percorso formativo abilitante sia rispetto alla modalità per il riconoscimento dell’esperienza professionale; in merito all’omologazione dei titoli di specializzazione professionale degli artigiani italiani con quelli riconosciuti in Svizzera, come già emerso in passato, e ribadito in occasione nell’incontro tenutosi il 30 giugno 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico – divisione VI cooperazione economica bilaterale in merito alla professionalità degli elettricisti ed idraulici italiani, l’ostacolo è rappresentato dal diverso percorso formativo adottato nei due Paesi; impedimento che non può essere superato, così come prospettato dalla Svizzera, con l’introduzione di obbligo di frequentazione da parte delle imprese italiane di idoneo corso professionale riconosciuto dal legislatore svizzero e successivo superamento di un esame di pratica; la disamina della questione dovrebbe tener conto anche di quanto previsto dalle direttive europee 2005/36/CE e 2013/55/UE, che nell’istituire un regime di riconoscimento delle qualifiche professionali nell’Unione europea, estesa anche ad altri Paesi dello spazio economico europeo (SEE) e alla Svizzera, mira a rendere i mercati del lavoro più flessibili, a liberalizzare ulteriormente i servizi, a favorire il riconoscimento automatico delle qualifiche professionali e a semplificare le procedure amministrative; in tal senso sembra significativo quanto sancisce l’articolo 16 della direttiva 2005/36/EU che recita: «Se in uno Stato membro l’accesso a una delle attività legate all’allegato IV o il suo esercizio è subordinato al possesso di conoscenze e competenze generali, commerciali o professionali, lo Stato membro riconosce come prova sufficiente di tali conoscenze e competenze l’aver esercitato l’attività considerata in un altro Stato membro»; in questa direzione va anche la direttiva 2013/55/UE, applicabile dal 18 gennaio 2016, che nel prevedere la creazione di una tessera professionale europea consente ai cittadini di poter chiedere il riconoscimento delle proprie qualifiche professionali; si evidenzia altresì che esiste un apposito Accordo tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e l’Unione europea ed i suoi Stati membri, dall’altra, sulla libera circolazione delle persone i cui lavori si sono conclusi il 21 giugno 1999, approvato dall’Assemblea federale svizzera l’8 ottobre 1991, ratificato con strumenti depositati il 16 ottobre 2000, entrato in vigore il 1o giugno 2002; il provvedimento adottato coinvolge 4.548 ditte artigiane individuali e 9.835 dipendenti di società, per un totale di 14.383 italiani che nel corso del 2015 hanno prestato, per un periodo di tempo inferiore ai 90 giorni anno, lavoro in Svizzera nel Canton Ticino. Questi lavoratori, imprenditori e loro dipendenti, sono per lo più di provenienza lombarda e piemontese, in particolare delle province di Varese, Como, Verbano Cusio Ossola, che, per il ruolo che giocano a supporto dell’economia cantonale, quale importante forma di collaborazione per lo sviluppo di alcuni comparti economici (in primis quelli legati alla filiera dell’abitare), sono sempre stati al centro del dibattito in Canton Ticino in quanto ingiustamente accusati di sottrarre opportunità di lavoro alle imprese locali».

Se a livello statale la reazione si è diretta ad una contestazione della incompatibilità della LIA col quadro normativo degli impegni internazionali assunti dalla Svizzera, le Regioni più direttamente interessate, Piemonte e Lombardia, hanno assunto un atteggiamento differente.

La questione LIA è stata affrontata a livello regionale in una prospettiva di concertazione utilizzando, in particolare, lo strumento dei tavoli di lavoro della “Comunità di Lavoro Regio Insubrica”.

Essa è una associazione, con sede a Balerna – Mezzana, costituita secondo le norme di diritto privato svizzero nel 1995 dalle Province italiane del Verbano Cusio Ossola, di Novara, di Como, di Lecco e di Varese e dalla Repubblica e Cantone Ticino. Dal dicembre del 2015 vi hanno aderito anche la Regione Piemonte e la Regione Lombardia.

Poiché Regio Insubrica è stata istituita per discutere e approfondire tematiche di interesse transfrontaliero, essa è divenuta la sede naturale per affrontare le spinose questioni poste dalla LIA. L’ufficio di presidenza della Regio ha così costituito un tavolo di lavoro sulla LIA che si è riunito per la prima volta il 18 maggio 2016.

Il lavoro compiuto a livello regionale è consistito nel tentativo di proporre interpretazioni “adeguatrici” della legge e di procrastinarne il termine di iscrizione all’albo al fine di consentire alle imprese italiane (e alle associazioni di categoria che le assistono) di adeguare le proprie strategie al mutato quadro normativo.

 

4. Le pressioni condotte dal Governo italiano su quello federale e le attività di soft power esercitate dalle Regioni hanno prodotto due risultati di impatto immediato.

Sul versante della equipollenza dei titoli professionali e della certificazione della competenza professionale acquisita all’estero si deve registrare un importante intervento del Governo federale che, per mezzo della SEFRI, in collaborazione con le autorità cantonali ticinesi, ha elaborato la nota informativa del maggio 2016.

La nota informativa precisa che, ai fini dell’accertamento dei requisiti professionali necessari per l’iscrizione all’albo LIA, trova piena applicazione la normativa europea di riferimento e che pertanto «in virtù della direttiva 2005/36/CE[7], ripresa dall’ALCP, i professionisti intenzionati a svolgere una professione regolamentata in Svizzera possono richiedere il riconoscimento delle loro qualifiche professionali. Detta direttiva parte dal principio che ogni professionista qualificato per l’esercizio della professione nel proprio Stato d’origine, indipendentemente dal suo status professionale o dal suo tasso d’attività, ha diritto al riconoscimento della propria qualifica professionale per l’esercizio della stessa professione in uno Stato membro EU/AELS (Stato ospitante). Le professioni regolamentate vengono dapprima valutate in base al sistema di riconoscimento dell’esperienza professionale (art. 17 della direttiva 2005/36/CE). Ciò significa che se un professionista ha acquisito un’esperienza professionale particolare, per l’accesso alla sua attività in Svizzera tale esperienza professionale va ritenuta quale prova sufficiente delle competenze professionali richieste (art. 16 della direttiva 2005/36/CE). Se le condizioni relative all’esperienza professionale non sono soddisfatte – per esempio nel caso in cui il professionista non può giustificare l’esperienza professionale richiesta – si applica il sistema generale di riconoscimento (art. 10 segg. della direttiva 2005/36/CE). Secondo questo sistema, l’autorità dello Stato ospitante può paragonare la formazione estera con quella da esso richiesta e esigere delle misure di compensazione nel caso in cui si presentino delle differenze sostanziali fra le formazioni. Per “materie sostanzialmente diverse” si intendono materie la cui conoscenza è essenziale all’esercizio della professione e che in termini di durata o contenuto sono, nella formazione dello Stato ospitante, molto diverse rispetto alla formazione ricevuta dal migrante (art. 14 par. 4 della direttiva 2005/36/CE)».

Gli imprenditori italiani potranno pertanto chiedere il riconoscimento della propria competenza professionale alla SEFRI che, entro quattro mesi, dovrà procedere e trasmettere la certificazione alla Commissione di vigilanza dell’albo LIA.

In effetti la questione dei tempi di iscrizione all’albo rappresentava un altro ostacolo significativo per gli imprenditori italiani.

Il termine per iscriversi all’albo LIA erano stati originariamente fissati al 1° agosto 2016. Esso risultava troppo stringente per le imprese italiane che avrebbero dovuto adeguarsi molto rapidamente ad un quadro normativo non del tutto chiaro.

Rispondendo alle sollecitazioni di parte italiana (soprattutto regionali) il Consiglio di Stato del Cantone ha rinviato al 1° ottobre 2016 la scadenza del termine.

L’impatto negativo dell’entrata in vigore della LIA sulle imprese artigiane italiane pare dunque essere stato ridimensionato. Ma, come abbiamo detto, la vicenda è in divenire e la prudenza impone di non giungere, finora, ad alcuna conclusione.

 

 


 


[1] Professore di Diritto Pubblico e Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”.

 

[2] Art. 7 I titolari dei requisiti di cui all’art. 6 devono inoltre adempiere ai seguenti requisiti personali:

a) avere l’esercizio dei diritti civili;

b) non avere subito, in Svizzera o all’estero, condanne penali per atti contrari alla dignità professionale;

c) godere di ottima reputazione;

d) non essere gravati da attestati di carenza beni e non essere stati, negli ultimi cinque anni, dichiarati in fallimento;

e) non essere stati oggetto, negli ultimi cinque anni, di decisioni di revoca dell’autorizzazione a esercitare la professione da parte delle competenti autorità.

 

[3]L’articolo 104 della “Legge sul Gran consiglio e sui rapporti col Consiglio di Stato” dispone che «Il Consiglio di Stato o la Commissione incaricata possono opporre un controprogetto a un’iniziativa parlamentare».

 

[4] Giova ricordare che il voto del Canton Ticino è stato determinante per l’approvazione del referendum del 9 febbraio 2014 “Contro l’immigrazione di massa”. Così come giova ricordare che il Governo federale si espresse negativamente su quella stessa proposta referendaria (cfr. la nota successiva).

 

[5] Per una attenta analisi delle ricadute economiche dell’afflusso dei lavoratori frontalieri e delle imprese italiane sull’economia ticinese cfr. il documento del 12 ottobre 2015 elaborato dal MEF (reperibile all’URL http://www.mef.gov.it/inevidenza/documenti/doc_mef_supporto.pdf) e significativamente intitolato “I lavoratori frontalieri italiani in Svizzera. Carburante di qualità nel motore dell’economia elvetica”.

Di particolare interesse è la lettura del messaggio del 7 dicembre 2012 col quale il Consiglio federale esprimeva il proprio parere sfavorevole al referendum popolare contro “L’immigrazione di massa”: «La politica migratoria svizzera si basa sull’Accordo sulla libera circolazione delle persone con l’UE (ALC) e sulla corrispondente Convenzione dell’AELS, nonché su un’ammissione limitata di cittadini di altri Stati per importanti motivi economici o umanitari. Questo sistema di ammissione binario ha prodotto buoni risultati. Oggigiorno l’immigrazione è influenzata e determinata in primo luogo dalla situazione economica svizzera e dalla relativa domanda, in particolare di lavoratori qualificati. Il Consiglio federale vuole mantenere la politica d’immigrazione sinora perseguita e affrontare eventuali ripercussioni negative, specialmente in determinati ambiti infrastrutturali, adottando le misure necessarie. Già con l’introduzione dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone sono state varate misure collaterali per contrastare gli abusi, in particolare nell’ambito salariale e delle condizioni lavorative. Il Consiglio federale riconosce come la crescita economica svizzera e l’immigrazione relativamente elevata degli ultimi anni abbiano causato una crescita della popolazione, con un aumento delle sfide, in particolare nel campo dell’integrazione, del mercato degli alloggi, della pianificazione delle infrastrutture e del territorio e della politica in materia di formazione. La forte immigrazione rafforza a livello di politica interna la necessità di procedere a riforme negli ambiti citati. Il Consiglio federale si impegna ad affrontare le riforme necessarie. Il rapporto del gruppo di lavoro sulla libera circolazione delle persone e l’immigrazione, approvato dal Consiglio federale il 4 luglio 2012, funge da base in tal senso1. Infine, per il successo della politica d’ammissione è decisiva l’integrazione professionale e sociale degli stranieri, che oggi è complessivamente buona, malgrado l’immigrazione elevata. Inoltre, il Consiglio federale pianifica ulteriori misure in materia di politica d’integrazione.».

Tale impostazione è stata da ultimo confermata dal comunicato stampa sulla “Libera circolazione” del 5 luglio 2016 della Segreteria di Staro dell’Economia (SECO) del Governo elvetico (all’url https://www.seco.admin.ch/seco/it/home/seco/nsb-news/medienmitteilungen-2016.msg-id-62511.html) secondo cui, in prospettiva, «Il bilancio tutto sommato positivo sugli effetti della libera circolazione delle persone rimane valido. Alla luce delle attuali tensioni sul mercato del lavoro bisogna però tenere particolarmente d’occhio gli sviluppi dell’immigrazione. Sarà decisivo che l’immigrazione corrisponda con il fabbisogno di manodopera, rendendola complementare al potenziale dei lavoratori già presenti in Svizzera. Sarebbe invece problematico se l’immigrazione concernesse in ampia misura i settori con scarse prospettive occupazionali (attualmente quelli particolarmente esposti alle oscillazioni dei tassi di cambio) o se la struttura delle qualifiche degli immigrati peggiorasse, provocando un aumento dei lavoratori poco qualificati. Infine, vista l’attrattiva che la Svizzera continua a esercitare sui frontalieri, è necessario monitorare da vicino gli sviluppi dei mercati del lavoro nelle regioni di confine».

 

[7] Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, GU L 255 del 30.9.2005, pag. 22, versione in vigore secondo l’Accordo sulla libera circolazione delle persone e la Convenzione AELS riveduta.